RUFFINI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

RUFFINI, Francesco


– Nacque a Lessolo Canavese (presso Ivrea) il 10 aprile 1863, da Martino – avvocato e magistrato, la cui famiglia era originaria della vicina Andrate – e da Elisa Ambrosetti.

Rimasto orfano di padre nel 1867, venne allevato dalla madre insieme al fratello Alfredo, di tre anni minore di lui.

Dopo essersi diplomato a Ivrea presso il ginnasio-liceo Carlo Botta, tra il 1882 e il 1886 frequentò i corsi della facoltà di giurisprudenza di Torino; si laureò con una tesi in storia del diritto italiano discussa con Cesare Nani, che venne pubblicata nel 1889, in forma rielaborata, con il titolo L’actio spolii: studio storico-giuridico.

Nell’anno accademico 1889-90 frequentò in Germania, presso l’Università di Lipsia, i corsi di diritto canonico ed ecclesiastico tenuti da Emil Albert Friedberg, allora uno dei più autorevoli studiosi in questo campo. Nel 1893 Ruffini avrebbe poi curato la traduzione italiana (Trattato del diritto ecclesiastico cattolico ed evangelico) di una sua importante opera, la seconda edizione (1884) del Lehrbuch des katholischen und evangelischen Kirchenrechts; vi aggiunse una breve premessa sulla storia dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, un tema che avrebbe ripreso molti anni dopo nei suoi corsi universitari.

Abilitato alla libera docenza nel dicembre del 1890, nell’anno accademico 1891-92 tenne a Torino un corso libero di diritto ecclesiastico, e poi, dopo un incarico di insegnamento nell’Università di Pavia (1892-93), risultò vincitore (primo in graduatoria con 47/50) nel concorso alla cattedra di professore straordinario di diritto canonico a Genova (1893; Gazzetta ufficiale, 7 marzo 1894, 56, p. 959).

Ottenne poi la promozione a professore ordinario a decorrere dal 1° gennaio 1898: la commissione – formata da Francesco Scaduto, unico specialista della materia, Carlo Calisse Augusto Gaudenzi, Giuseppe Salvioli e Nino Tamassia, eminenti storici del diritto – fu unanime nell’apprezzare l’assoluta originalità e i tratti geniali della produzione e specialmente della sua ultima monografia, La rappresentanza giuridica delle parrocchie (Torino 1896).

Alla scomparsa di Nani, la facoltà giuridica torinese, sostenendo l’affinità tra diritto canonico e storia del diritto, e rilevando le prove date anche in quest’ultimo campo da Ruffini, propose e ottenne il suo trasferimento sulla cattedra dell’antico maestro, a decorrere dal 1° dicembre 1899.

Nel 1900 si sposò con Ada Avondo – appartenente a una ricca famiglia, proprietaria di cartiere in Valsesia –, che l’anno successivo gli dette l’unico figlio, Edoardo (v. la voce Ruffini Avondo, Edoardo in questo Dizionario). Il fratello Alfredo (ingegnere, e professore all’Accademia navale di Livorno) aveva sposato nel 1897 Bianca, la figlia primogenita del commediografo Giuseppe Giacosa.

Dal 1° gennaio 1909, sempre a Torino, tornò sulla cattedra di diritto ecclesiastico, insegnamento che ricoprì fino al 1931 (i suoi corsi torinesi sono stati poi raccolti in Relazioni tra Stato e Chiesa: lineamenti storici e sistematici, a cura di F. Margiotta Broglio, 1974).

Fu preside della facoltà di giurisprudenza di Torino dal 1904 al 1907; capo gabinetto di Paolo Boselli al ministero della Pubblica Istruzione nel breve primo governo Sonnino, tra il febbraio e il maggio del 1906, distaccato «per lo studio e la preparazione di regolamenti e disegni di legge riguardanti l’istruzione superiore»; rettore dell’ateneo torinese dal 1910 al 1913; consigliere comunale di Torino dal 1914 al 1923. Su proposta del presidente del Consiglio, Antonio Salandra, il 30 dicembre 1914 venne nominato senatore; entrato in tal modo nella vita politica, fu attivamente presente in Parlamento fino al 12 maggio 1928 (data del suo ultimo discorso, tenuto sul progetto di legge governativo teso a riformare in senso autoritario la legge elettorale per la Camera dei deputati), e si impegnò in particolare per la riforma del Senato. Tra il giugno 1916 e l’ottobre 1917 fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo Boselli.

La sua ‘intelligenza della politica’ si espresse in molti e diversi modi: in numerosi e importanti scritti di argomento storico (v. oltre); nei discorsi in Senato (poi raccolti in Discorsi parlamentari, 1986); negli articoli sul Corriere della sera e nel carteggio con il suo direttore, Luigi Albertini (cfr. Carteggio Ruffini-Albertini, 1912-1925, a cura di A. Moroni, in Diritti delle coscienze e difesa delle libertà: Ruffini, Albertini e il “Corriere”, 1912-1925, a cura di F. Margiotta Broglio, 2011); negli interventi del periodo 1917-19 sulla politica delle nazionalità, e in particolare nella prolusione all’anno accademico 1919-20, letta il 24 novembre 1919, Guerra e riforme costituzionali: suffragio universale, principio maggioritario, elezione proporzionale, rappresentanza organica (poi in F. Ruffini, Guerra e dopoguerra: ordine internazionale e politica delle nazionalità, a cura di A. Frangioni, 2006, pp. 195-258).

Secondo Artuto Carlo Jemolo – il più noto dei suoi allievi –, le idee politiche di Ruffini (più volte criticate da Antonio Gramsci) erano molto vicine a quelle di Albertini: «un conservatorismo laico con molte riserve verso Giolitti, in parte di ordine strettamente politico [...], in parte di ordine morale per quel che era, nel Mezzogiorno, la clientela dei deputati giolittiani» (Jemolo, 1967, p. XXVI). L’antigiolittismo di Ruffini era simile, più che a quello di Gaetano Salvemini, a quello di Piero Gobetti, un suo ex allievo di cui, commemorandone la prematura scomparsa, così scriverà: «sembra che oramai il maestro sia lui» (F. Ruffini, L. Einaudi, G. Fortunato, Piero Gobetti nelle memorie e nelle impressioni dei suoi maestri, in Il Baretti, 16 marzo 1926, p. 80).

Diversamente da Benedetto Croce, Ruffini si schierò tra gli avversari del fascismo anche prima dell’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (10 giugno 1924). Dopo quel delitto si oppose alla svolta in senso totalitario del regime – inaugurata dal discorso di Benito Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925 – e combatté in modo esplicito (in particolare con il libro Diritti di libertà, 1926) le cosiddette leggi fascistissime, ovvero le leggi liberticide promulgate dal governo tra il dicembre 1925 e il maggio 1928. Le lettere inviate a Jemolo in quegli anni (cfr. Un ventennio di corrispondenza Ruffini-Jemolo, 1990) mostrano il sereno coraggio dell’anziano maestro e le premure verso i suoi giovani allievi (come Mario Falco e lo stesso Jemolo).

A causa di questo suo atteggiamento, il 15 maggio 1928 subì un’aggressione, nel cortile della facoltà di giurisprudenza di Torino, da parte di studenti della facoltà di ingegneria e della Scuola superiore di commercio appartenenti ai Gruppi universitari fascisti, che non gli perdonavano in particolare il già citato discorso del 12 maggio in Senato contro la nuova legge elettorale. Fu difeso dai suoi studenti, mentre il rettore, Alfredo Pochettino, che pure era intervenuto, si limitò a prendere atto di quanto riferito dagli ‘invasori’, ovvero che le direttive per l’aggressione erano venute dall’alto, come si legge nella relazione ufficiale da lui inviata il giorno stesso al ministro della Pubblica Istruzione, Pietro Fedele (Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale dell’istruzione universitaria, fascicoli dei professori universitari, III versamento, b. 410, fasc. Ruffini Francesco). Ciò nonostante, Ruffini proseguì la battaglia in difesa della libertà, sia in Senato sia sulle colonne del Corriere della sera, e divenne il punto di riferimento di «tutto l’antifascismo intellettuale torinese, di giovani e vecchi» (Jemolo, 1967, p. XXIX). Coerentemente con questa linea politica, il 25 maggio 1929 votò contro la ratifica dei Patti lateranensi, insieme ad altri cinque senatori, le cui ragioni vennero esposte da Croce in un discorso concordato proprio con Ruffini.

Il suo lungo rapporto con Croce, iniziato nel 1910, fu caratterizzato da un alternarsi di consonanze e di dissonanze; nonostante queste ultime, divenne gradualmente una vera e intima amicizia, che coinvolse anche le rispettive famiglie. Tra le principali dissonanze vanno annoverate: nel 1914-15, l’atteggiamento (favorevole quello di Ruffini, contrario quello di Croce) verso l’intervento italiano nella prima guerra mondiale; nel 1916, le perplessità di Croce quando Ruffini, allora ministro della Pubblica Istruzione, rifiutò di imporre ‘dall’alto’ all’Università di Napoli (che era recalcitrante) il trasferimento di Giovanni Gentile da quella di Pisa; il 24 giugno 1924 (pochi giorni dopo il citato delitto Matteotti), il voto divergente (contrario quello di Ruffini, favorevole quello di Croce) sul voto di fiducia in Senato al governo Mussolini; nel giugno 1925, l’accettazione da parte di Ruffini dell’invito a far parte del primo Consiglio direttivo dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, nominato da Gentile (Ruffini ne uscì l’anno successivo, probabilmente dopo un intervento del segretario del Partito nazionale fascista, Augusto Turati, sollecitato da Mussolini). Tra le consonanze: il comune «sentimento verso la vita vissuta» (B. Croce, Francesco Ruffini, in La critica, 1934, n. 3, p. 230); nel 1925, l’adesione di Ruffini al Manifesto degli intellettuali antifascisti (in Il Mondo, 1° maggio) promosso da Croce; nel 1929, la citata opposizione alla ratifica dei Patti lateranensi in Senato.

Lucidissima, negli anni successivi alla marcia su Roma, la coscienza della pochezza intellettuale e dell’opportunismo della vecchia classe liberale, come mostrano i suoi apprezzamenti sui colleghi senatori confidati nelle lettere alle persone più vicine. Nel novembre del 1931 (insieme a un esiguo gruppo di professori, tra i quali suo figlio Edoardo, dal 1926 docente di storia del diritto italiano a Perugia) rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al regime fascista richiesto a tutti i docenti dal regio decreto n. 1227 del 28 agosto 1931. Il ministero avviò dunque il procedimento di rimozione dall’insegnamento universitario, interrotto poi dalla domanda anticipata di quiescenza.

La vita si fece per lui amara, ma non risulta alcun suo pentimento. Lasciò la casa di Torino, troppo grande, costosa e fastosa per i suoi gusti, come rivelò in una lettera scritta a Jemolo il 16 settembre 1933, pochi mesi prima di morire (Un ventennio di corrispondenza Ruffini-Jemolo, cit., p. 445). Si ritirò quindi nella sua casa di Borgofranco d’Ivrea; morì a Torino il 29 marzo 1934.

Al suo funerale, nel cimitero di Borgofranco, erano presenti i pochi superstiti del liberalismo italiano: Luigi Einaudi, Croce, Luigi e Alberto Albertini, Marcello Soleri, Gioele Solari, Luigi Salvatorelli, Mario Abiate, Nicolò Carandini, Jemolo. Quest’ultimo avrebbe poi scritto molti anni dopo, ricordando la presenza «proterva» dei carabinieri: «i superstiti si contano; a qualcuno viene in mente il funerale del Conte di Chambord, la bandiera del legittimismo richiusa con lui nella cripta: non sono questi gli ultimi liberali?» (Jemolo, 1967, p. XXXI).

Di Ruffini va ricordato anche il lavoro di giurista a livello internazionale, e in particolare l’attività svolta a Ginevra e a Parigi in seno a un organo della Società delle Nazioni, la Commissione internazionale per la cooperazione intellettuale. Come rappresentante italiano nel suo Comitato direttivo – accanto a Jules Destrée, Hendrik Lorentz, Gilbert A. Murray e Gonzague de Reynold – dal 1922 al 1925 (quando fu costretto a dimettersi a causa dell’adesione al Manifesto degli intellettuali antifascisti) contribuì a elaborare la regolamentazione internazionale del diritto d’autore (cfr. F. Ruffini, De la protection internationale des droits sur les oeuvres littéraires et artistiques, 1927, testi dei corsi da lui tenuti nel 1926 a L’Aia, presso l’Académie de droit international).

La sua produzione sembra difficile da classificare secondo le categorie dei correnti specialismi. Si era formato del resto in seno a una generazione di giuristi per la quale il diritto positivo, pur articolato nelle varie discipline, era un precipitato che nella storia trovava le sue origini e la sua interpretazione. E come rilevò specificamente la già citata commissione che nel 1897 lo promosse all’ordinariato in diritto canonico, in questa materia il diritto vigente era particolarmente intrecciato con la storia. In effetti l’intellettuale piemontese fu giurista e storico a un tempo, così come l’impegno civile e politico fu in lui un tutt’uno con l’attività dello studioso e del didatta: lo conferma Jemolo – uno dei personaggi che meglio lo conobbero – in uno degli ultimi ritratti che ne tratteggiò, nella prefazione alla sopra citata raccolta didattica del 1974, Relazioni tra Stato e Chiesa (Premessa, pp. 9-14).

Croce, nel citato articolo del 1934, lo definì «fondamentalmente un giurista», il cui sguardo «nella considerazione della storia» andava sempre «alle formazioni dei principii e istituti giuridici», restio a «entrar nel vivo delle controversie teologiche e metafisiche» (p. 229), sì che quello che lo aveva veramente unito a Ruffini era stato «qualcosa di più profondo che non il cosiddetto consenso nelle idee: [...] il consenso nel sentimento della vita vissuta» (p. 230).

Solo per menzionare le opere principali, si possono ricordare (oltre al citato studio sulla actio spolii): La buona fede in materia di prescrizione: storia della teoria canonistica (1892), La libertà religiosa: storia dell’idea (1901; trad. inglese 1912, trad. russa 1914; ristt. 1967 e 1991), Le spese di culto delle opere pie (1908), La giovinezza del conte di Cavour (I-II, 1912, 1937-19382 – con il titolo La giovinezza di Cavour –, rist. 1961), Il presidente Wilson (1919), Sionismo e Società delle Nazioni (1919), La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo (1924, rist. 1992) – un classico del pensiero giuridico liberale, ancora attuale –, I giansenisti piemontesi e la conversione della madre di Cavour (1929, rist. 1942), La vita religiosa di Alessandro Manzoni (I-II, 1931), nonché le raccolte postume Ultimi studi sul conte di Cavour (1936), Scritti giuridici minori (a cura di M. Falco, A.C. Jemolo, E. Ruffini, 1936), Studi sul giansenismo (a cura di E. Codignola, 1943), Studi sui riformatori italiani (a cura di A. Bertola, L. Firpo, E. Ruffini, 1955) e nel 1974, come ricordato, i testi dei suoi corsi sulla storia delle relazioni tra Stato e Chiesa.

Una bibliografia quasi completa delle opere di Ruffini si trova in E. Dervieux, Bibliografia di Francesco Ruffini, 1863-1934, in Id., L’opera del 2° cinquantenario della regia Deputazione di storia patria, 1934 (l’elenco è stato poi riprodotto, con integrazioni, nel citato volume dei Discorsi parlamentari di Ruffini, pp. 433-450); ulteriori indicazioni nel citato Guerra e dopoguerra, p. 3, e in Bretti, 2008, p. 133.

Nei primi anni del dopoguerra Ruffini conobbe una nuova fortuna (v. De Ruggiero, 2010). Nel 1946 Piero Calamandrei curò la ristampa di Diritti di libertà, con un’introduzione (L’avvenire dei diritti di libertà) che ne valorizzava «la parola precorritrice» (p. VIII). Tra il 1946 e il 1948 Ruffini venne frequentemente citato nei dibattiti all’Assemblea costituente (da Giuseppe Dossetti, Stefano Jacini, Meuccio Ruini, Palmiro Togliatti, Mario Cevolotto, Piero Calamandrei, Giorgio La Pira, Paolo Rossi e così via); talvolta queste citazioni appaiono strumentali, tese com’erano – si veda, per es., il discorso di Togliatti del 25 marzo 1947 – a giustificare l’art. 7 della Costituzione sui rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, come mise in evidenza anni dopo Alessandro Galante Garrone (Storia dell’articolo 7, in Il mondo, 1958, n. 33; cfr. anche Galante Garrone, 1995, p. 61). Cesare Magni, ricordando Ruffini nel 1949 (Commemorazione di Francesco Ruffini, letta a Bergamo il 31 marzo 1949 nella sede dell’Università Popolare), richiamò le convinzioni liberali di questo conservatore illuminato, dal quale gli italiani avrebbero dovuto trarre ispirazione.

Fonti e Bibl.: A.C. Jemolo, F. R., in Archivio giuridico Filippo Serafini, 1934, vol. 112, pp. 110-114; P. Calamandrei, L’avvenire dei diritti di libertà, introduzione alla ristampa di F. Ruffini, Diritti di libertà [1926], Firenze 1946, pp. VII-XL; A. Bertola, La vita e l’opera di F. R.: discorso del professore Arnaldo Bertola per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Torino, il 5 novembre 1946, in Annuario dell’Università di Torino, 1946-1947, 1947, pp. 19-49; G. Solari, Studi storici di filosofia del diritto, Torino 1949, pp. 425-440; A.C. Jemolo, Introduzione alla ristampa di F. Ruffini, La libertà religiosa: storia dell’idea [1901], Milano 1967, pp. XIX-XLI; Regione Umbria, Centro studi giuridici e politici, Per Edoardo Ruffini, Atti del Seminario commemorativo, Università di Perugia 25 aprile 1984, a cura di S. Caprioli, L. Rossi, Perugia 1985; N. Bobbio, L’ombra di F. R., in Nuova antologia, gennaio-marzo 1986, n. 2157, pp. 36-49: F. Margiotta Broglio, Materiali per una “autobiografia” del diritto ecclesiastico italiano: lettere di Benedetto Croce a F. R., in Il diritto ecclesiastico, LXXXVII (1987), 2, I, pp. 766-802 (in partic. pp. 786-799); Un ventennio di corrispondenza Ruffini-Jemolo: libertà religiosa e valori civili tra il 1912 e il 1932, a cura di G. Zanfarino, in Nuova antologia, ottobre-dicembre 1990, n. 2176, pp. 427-445; S. Ferrari, Introduzione alla ristampa di F. Ruffini, La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo [1924], Bologna 1992, pp. 11-59; H. Goetz, Der freie Geist und seine Widersacher: Die Eidverweigerer an den italienischen Universitäten im Jahre 1931, Frankfurt a. M. 1993 (trad. it. Il giuramento rifiutato: i docenti universitari e il regime fascista, Firenze 2000); A. Galante Garrone, Un affare di coscienza, Milano 1995; A. D’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino 2000, pp. 1-33; G. Boatti, Preferirei di no: le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino 2001, pp. 310-320; F. Bretti, F. R., Borgofranco d’Ivrea 2008; A. De Ruggiero, La fortuna di F. R. nel secondo dopoguerra, in I liberali italiani dall’antifascismo alla Repubblica, II, a cura di G. Berti, E. Capozzi, P. Craveri, Soveria Mannelli 2010, pp. 95-116; L. Forni, La laicità del sistema italiano: il contributo di F. R., in Id., La laicità nel pensiero dei giuristi italiani: tra tradizione e innovazione, Milano 2010, pp. 19-118; F. Margiotta Broglio, Religione, diritto e cultura politica nell’Italia del Novecento, Bologna 2011, pp. 25-90 (rif. bibl. alle pp. 71-72). *

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