RUSCA, Franchino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

RUSCA, Franchino

Paolo Grillo

(I). – Fu il figlio di Pietro, a sua volta figlio di Lotario Rusca (I) (v. la voce in questo Dizionario), che era stato signore di Como fra il 1282 e il 1291, ma si ignorano il luogo e la data di nascita, probabilmente collocabile fra il 1260 e il 1280. Aveva due fratelli: Zanino, detto Ravizza, e Valeriano.

Nel 1302 i Rusca – casata tra le più antiche e importanti della Como medievale, principale esponente della fazione ghibellina nella città lariana – furono obbligati all’esilio in seguito alla fine della signoria di Matteo Visconti e al ritorno dei della Torre a Milano. Corrado Rusca, figlio di Lotario e capo della pars, era stato ucciso negli scontri urbani che precedettero la cacciata, e Franchino Rusca emerse come nuovo capo della parte politica che prendeva il nome dalla sua famiglia. Compare infatti nelle fonti cronistiche nel 1303, quando risulta che dai suoi possessi bellinzonesi aiutò Matteo Visconti in un tentativo di attacco verso Como e Milano. Le truppe di Visconti furono però battute dai guelfi alle porte di Como, e Rusca fu catturato e imprigionato. Non è nota la data del suo rilascio, forse nel 1307 quando accettò, con i fratelli, di vendere al Comune il suo castello presso Bellinzona in cambio di 4000 lire di denari nuovi. Nel frattempo aveva sposato una delle figlie di Matteo Visconti, Zaccarina.

Sullo scorcio del 1310 i ghibellini esuli videro con grande favore la discesa in Italia di Enrico VII, imperatore eletto, intenzionato a pacificare la regione. Non è noto se Rusca fosse tra i molti banditi politici che affollarono la corte di Enrico: alcune fonti lo vogliono presente a Milano e all’incoronazione del 6 gennaio 1311, avvenuta nella basilica di Sant’Ambrogio. Il 5 marzo 1311 Enrico investì in feudo Franchino e un altro nobile comasco, Giovanni Lucini, di un reddito di 200 lire imperiali annue da ricavarsi sulle entrate del Comune di Como. L’operazione era volta evidentemente a consolidare il dominio regio sulla città lariana, premiando i due più prestigiosi capiparte ghibellini in un momento in cui il controllo di Enrico sulla Lombardia era minato dalle rivolte dei guelfi a Milano, Lodi, Cremona e Brescia.

La pars Rusconorum rientrò a Como probabilmente alla fine del 1310, quando la città prestò giuramento di sottomissione a Enrico VII; non è giunto il testo della pacificazione che forse il re dei Romani promulgò nell’occasione. Per tre anni Como fu governata da vicari imperiali, che però si ressero grazie al determinante appoggio della fazione capeggiata da Rusca, tanto che almeno una parte dei guelfi fu bandita. In seguito alla morte dell’imperatore, avvenuta il 24 agosto 1313, l’apparato di governo da lui costruito nell’Italia settentrionale si dissolse e a Como, dopo alcuni tumulti che videro sconfitti e cacciati gli oppositori della pars Vitanorum, Rusca ottenne il dominio di fatto sulla città.

La scarsità di documentazione superstite rende difficile studiare la signoria di Rusca. Secondo lo storico cinquecentesco Benedetto Giovio (1629), sin dal 1313 egli ebbe il titolo di capitano e signore generale del Comune e del Popolo di Como (capitaneus et dominus generalis comunis et populi Cumarum), ma il primo documento a testimoniare questa dizione è del 1322. Per un certo periodo, può dunque darsi che il dominio sia stato esercitato informalmente, tramite il controllo che la famiglia aveva sugli uffici comunali. Come principale esponente della pars Rusconorum, infatti, Rusca aveva il diritto di approvare l’elezione dei podestà da parte del Consiglio civico.

Fra gli anni Venti e Trenta del XIV secolo nell’Italia centro-settentrionale si verificò quella che è stata recentemente definita la ‘mutazione signorile’, ovvero la tendenza da parte dei signori di accaparrarsi un potere sempre più autocratico e svincolato dalle vecchie istituzioni comunali e popolari. Rusca fu pienamente partecipe di questo processo: nel 1327 giurò fedeltà al re dei Romani, Ludovico il Bavaro, senza però, a quanto risulta, ottenere alcuna conferma ufficiale del proprio ruolo di governo in città, nonostante quanto afferma il cronista Pietro Azario. Probabilmente, invece, ottenne il vicariato imperiale due anni dopo, in cambio di un forte esborso di denaro. Di sicuro fu nominato vicario regio nel febbraio del 1331, a opera di re Giovanni di Boemia.

Forse in conseguenza di queste prestigiose cariche Rusca si spinse – in questo fu tra i primi signori lombardi – a caratterizzare il conio della moneta comasca con l’inserzione delle sue iniziali F-R a fianco della figura di sant’Abbondio.

Governò comunque in stretta correlazione con il Consiglio del Comune e gli abati del Popolo di Como. Particolarmente significativa risulta la sua politica economica, che si sviluppò in un’intensa attività diplomatica per favorire le esportazioni comasche.

L’11 giugno 1328 concluse un importante trattato di commercio con Venezia, per risolvere una lite commerciale scoppiata in precedenza. Verso il 1331, grazie a un accordo con il landmano del cantone di Uri, Rusca riuscì a esercitare la sua influenza politica sulle cosiddette tre valli ambrosiane (valli di Blenio, Leventina e Riviera), un’area strategica attraverso la quale da Bellinzona si risaliva ai passi alpini del San Gottardo e del Lucomagno, fatto che gli consentì, nel 1333, di chiudere un accordo con i comuni della regione per favorire i traffici con la Germania. Ancora nel 1335 esentò da alcuni pedaggi gli abitanti dei cantoni svizzeri di Lucerna, Uri, Irsera, Untervaldo (Unterwalden) e Svitto (Schwyz).

Il fine di questi patti era potenziare l’asse commerciale Como-Bellinzona-San Gottardo, penalizzando la strada che raggiungeva l’importante passo svizzero passando dal lago Maggiore. Proprio sul Verbano, infatti, Rusca aveva subito uno smacco: nel 1318 Locarno si era sottratta al dominio comasco e posta sotto la protezione pontificia, ottenendo da Giovanni XXII la garanzia di potersi autogovernare. La località era peraltro talmente eccentrica rispetto al territorio di Como che probabilmente Rusca non fece un grande sforzo per recuperarla, preferendo isolarla commercialmente.

Durante la prima parte del suo dominio, Rusca fu stretto alleato della Milano viscontea. Nel grande processo intentato da papa Giovanni XXII contro i Visconti nel 1322, Rusca e il fratello Ravizza, rispettivamente capitaneus e potestas di Como, furono citati come sostenitori della dinastia ambrosiana; Ravizza fu del resto podestà di Milano nel 1322-23 (proprio durante il durissimo confronto fra Galeazzo Visconti e il pontefice, culminato nella cosiddetta crociata guidata da Raimondo di Cardona, ai combattimenti contro il quale le truppe comasche parteciparono attivamente) e gli succedette nella carica un altro Rusca, Giacomolo, nel 1324.

Negli stessi anni (probabilmente nel 1322), morta Zaccarina Visconti, Franchino Rusca rafforzò il suo ruolo nello schieramento ghibellino lombardo sposando Giacoma, figlia del capoparte vercellese Rizzardo Tizzoni.

Dal 23 marzo al 16 maggio 1327 Como ospitò Ludovico il Bavaro, appena sceso in Italia, e il 1° giugno successivo Rusca fu presente alla sua incoronazione a re d’Italia, nella basilica di S. Ambrogio di Milano. Negli stessi anni furono stretti importanti legami con i della Scala; nel 1328 Cangrande I della Scala investì del cingolo cavalleresco Ravizza Rusca in occasione dei festeggiamenti per la conquista di Padova. Il legame fu consolidato quando Rusca – nuovamente vedovo perché Giacoma era morta di parto – andò a nozze con una delle figlie di Bailardino Nogarola, il più potente e fidato collaboratore della dinastia veronese: le fonti divergono però sulla data del matrimonio, attribuita talvolta allo stesso 1328 e talvolta al 1333.

I buoni risultati ottenuti in politica estera furono in parte vanificati dal tentativo di Rusca di acquisire anche il controllo dell’episcopato comasco attraverso l’elezione a vescovo, da parte del capitolo della cattedrale, di suo fratello Valeriano nel 1325. Il papa non convalidò la scelta e nominò invece il domenicano Benedetto da Asnago, al quale Rusca impedì di entrare in città imponendo sulla cattedra Valeriano e facendolo confermare da Ludovico il Bavaro nel 1327. La città incorse nell’interdetto e Rusca nella scomunica. Benedetto da Asnago si rifugiò a Grumello, in Valtellina, e lì radunò attorno a sé i fuorusciti comaschi e la maggior parte dei gruppi dirigenti locali, che lo sostennero anche sul piano militare. La perdita del controllo su gran parte della Valle – una porzione consistente del territorio comunale – minò il potere di Rusca e diede una preziosa base operativa ai suoi oppositori, capitanati, oltre che dal vescovo, dalle famiglie Avvocati e Lambertenghi.

Privato, nella lotta contro Benedetto da Asnago, dell’appoggio visconteo, a seguito della riconciliazione di Azzone con Giovanni XXII (1329), Rusca cercò allora l’appoggio di Giovanni di Boemia, che lo nominò vicario regio. In seguito, però, Rusca impedì al re l’ingresso in Como e ruppe rapidamente l’alleanza, unendosi alla grande coalizione dei signori lombardi contro il Boemo stipulata agli inizi del 1333.

Nel novembre del 1333 gli oppositori interni, in alleanza con la famiglia dei Grassi, signori di Cantù, tentarono un colpo di mano contro Rusca. L’impresa giunse a un passo dal successo: alla testa di un corpo di cavalleria in gran parte mercenaria, i Grassi entrarono a tradimento in città e giunsero a poca distanza dalla piazza del Comune, prima di essere fermati dall’intervento dei macellai cittadini in armi e poi dei mercenari tedeschi al soldo di Rusca. Nei combattimenti rimase ucciso Ravizza Rusca; trentaquattro uomini, tra canturini e fuorusciti comaschi, furono catturati e immediatamente impiccati. Da quel momento il governo di Rusca si fece più dispotico e repressivo.

Il cronista monzese Bonincontro Morigia definisce Franchino un tiranno, ma probabilmente il giudizio è volto a giustificare la sua successiva sostituzione da parte di Azzone Visconti, dato che solo nella repressione della congiura del 1333, nella quale perse il fratello, Rusca agì in maniera arbitraria e violenta.

Il dominio di Rusca sulla città era peraltro ormai precario. Nella primavera del 1335 il vescovo Benedetto de Asnago alla testa dei fuoriusciti comaschi marciò sulla città e la strinse d’assedio con il tacito appoggio di Azzone Visconti, che non solo non aiutò militarmente Rusca, ma schierò il proprio esercito sull’Adda impedendo l’arrivo degli aiuti inviati da Mastino II della Scala. Il 1° agosto 1335, trovandosi incapace di resistere alla pressione militare, Rusca cedette ad Azzone il dominio su Como, ottenendo in cambio il possesso di Bellinzona e dei territori circostanti.

Rusca morì nell’agosto del 1339. Fu sepolto nella chiesa umiliata comasca di S. Maria in Rondineto (priva di riscontri è invece la tradizionale collocazione della tomba nella chiesa conventuale di S. Francesco di Como) in un’imponente arca funebre, attribuita a Giovanni di Balduccio, oggi conservata presso il museo del Castello Sforzesco di Milano.

Secondo l’erudizione, lasciò cinque figli: Lotario, Alberto e Ottone avuti dalla prima moglie; Matteo e Angelo avuti dalla seconda.

Fonti e Bibl.: Bonincontri Morigiae Chronicon Modoetiense, in RIS, XII, Mediolani 1728, coll. 1053-1183 (in partic. col. 1166); Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, Inde ab a. MCCXCVIII ad a. MCCCXIII, I, a cura di I. Schwalm, Hannoverae-Lipsiae 1906, pp. 494-495, doc. 539; Petri Azarii Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, in RIS, XVI, 4, Bologna 1926-1939, pp. 15 s., 27, 32.

B. Giovio, Historiae patriae libri duo, Venezia 1629, pp. 55-63; R. Rusca, Il Rusco, ovvero Dell’historia della famiglia Rusca, Venezia-Torino-Vercelli 1664, pp. 84-98; G. Rovelli, Storia di Como, II, Milano 1794, pp. 290-298; Azzone Visconti a Como, in Archivio storico lombardo, II (1875), pp. 402-406; A. Rusconi, Un trattato di commercio fra Como e Venezia nel secolo XIV, in Periodico della Società storica comense, 1880, vol. 2, pp. 53-75; T. von Liebenau, Le ordinazioni daziarie di Como nel XIV secolo, ibid., 1885, vol. 5, pp. 205-294; F. Cognasso, Note e documenti sulla formazione dello stato visconteo, in Bollettino della Società pavese di storia patria, XXIII (1923), pp. 23-169 (in partic. p. 52); C. Campiche, Die Comunalverfassung von Como im 12. und 13. Jahrhundert, Zürich 1929, pp. 275-278; P. Schaefer, Il Sottoceneri nel Medioevo. Contributo alla storia del Medioevo italiano, Milano 1954, pp. 213-215; M. Della Misericordia, Dal patronato alla mediazione politica. Poteri signorili e comunità rurali nelle Alpi lombarde tra regime cittadino e stato territoriale (XIV-XV secolo), in Reti medievali rivista, V (2004), 1, p. 1; G. Girola - M. Bazzini, Como, in Le zecche italiane fino all’Unità, a cura di L. Travaini, Roma 2011, pp. 611-614.

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