FRANCIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

FRANCIA

Giuliano Bellezza
Giannandrea Falchi
Bruno Tobia
Jacqueline Risset
Eugenia Equini Schneider
Marina Righetti Tosti-Croce
Jean-Louis Froment
Claudio Varagnoli
Nicola Balata
Stefania Parigi

(XV, p. 876; App. I, p. 620; II, I, p. 969; III, I, p. 670; IV, I, p. 855)

Popolazione. − Al censimento del marzo 1982 gli abitanti sono risultati 54.334.871, con un aumento di 1.679.069 rispetto al censimento precedente (febbraio 1975): l'aumento annuo è stato in media di 240.000 unità, pari al 4,5‰. Il ritmo di aumento negli anni seguenti è solo leggermente diminuito, dato che al censimento del 1990 gli abitanti erano 56.615.155, con un aumento di 2.280.284 in 8 anni, circa 285.000 per anno, corrispondenti al 4‰. La densità ha raggiunto i 104 ab./km2, valore ormai prossimo a quello medio europeo. Va sottolineato che la dinamica demografica recente è, in ambito europeo, piuttosto favorevole. Infatti, se nei primi decenni successivi alla guerra mondiale l'aumento di popolazione era stato in buona parte sostenuto da Francesi rientrati dalle ex colonie o da immigranti stranieri, attualmente la maggior parte dell'aumento ufficiale è dovuto al prevalere della natalità (prossima al 14‰) sulla mortalità (9,4‰). È necessario tuttavia parlare di aumento ufficiale, essendo accertato un flusso d'immigrazione clandestina del quale sfugge la precisa entità. L'occupazione prevalente degli immigrati senza qualificazione è l'edilizia, i cui addetti sono per il 40% forestieri. Nel 1990 si stimava una presenza straniera di 3.700.000 unità; gli Italiani, un tempo prevalenti, sono circa 333.000, nettamente superati da Portoghesi (765.000), Algerini (796.000), Marocchini (431.000); numerosi anche gli Spagnoli (321.000), i Tunisini (190.000), i Turchi (124.000), ecc. Negli anni Settanta, a seguito della crisi economica internazionale, si è cominciato a tentare di ridurre l'afflusso straniero: è comunque legato all'immigrazione l'innalzamento dei tassi di natalità. Per completare il quadro della dinamica demografica, va segnalato che la mortalità infantile, dato il rilevante livello di assistenza raggiunto, è del 7‰, inferiore cioè a quello complessivo.

Dinamica demografica e distribuzione della popolazione nel territorio nazionale danno un quadro che è allo stesso tempo effetto e causa della situazione economica. Nettissima è la prevalenza dell'Ile-de-France, la regione parigina, dove su un cinquantesimo di territorio si concentra quasi un quinto degli abitanti (circa 887 ab./km2); da rilevare che l'agglomerato urbano della capitale, prossimo ai 9 milioni di abitanti, è ormai il maggiore d'Europa (ciò va considerato indice di squilibrio, non titolo di merito: nella capitale si concentra il 16% della popolazione francese). Seguono per densità la regione Nord-Pasde-Calais, di ampiezza analoga e con 319 ab./km2, e l'Alsazia, con 196; nel Nord la comunità urbana di Lilla supera il milione di abitanti. Gli altri addensamenti rilevanti si trovano tra Parigi e i due mari, su estensioni più ampie ma con densità inferiori. In quello verso l'Atlantico (la Manica), lungo la Senna, la densità è alta soprattutto nella zona costiera (dipartimento della Senna Marittima). In quello verso il Mediterraneo la densità è piuttosto bassa in Borgogna, per poi salire nella valle del Rodano, dove si sviluppa il secondo agglomerato urbano francese, Lione, che ospita oltre 1.200.000 abitanti. Le densità si mantengono elevate lungo tutta la valle, e presso la foce si trova Marsiglia, terza città francese (1.100.000 ab.), dove si è sviluppato il grande complesso portuale di Fos: affiancando siderurgia e petrolchimica l'installazione ha nettamente consolidato Marsiglia come primo porto del Mediterraneo. In complesso, le regioni AlpiRodano e Provenza-Alpi-Costa Azzurra hanno la stessa popolazione dell'agglomerato parigino, su un'area 30 volte maggiore. La zona più popolosa si stende quindi tra le foci della Senna e del Rodano: ha una forma ad arco, e viene talvolta definita Mezzaluna fertile. Le altre regioni presentano tutte difficoltà demografiche ed economiche, con la sola eccezione dell'Alsazia, lungo il Reno. Il principale problema dello stato, che da decenni i governi tentano di risolvere, è quello di un'area parigina che continua, anche solo per inerzia, a svolgere un ruolo trainante, accentuando il distacco dalle regioni più periferiche. Dalla fine degli anni Settanta si sono visti alcuni risultati positivi: l'aumento dell'area parigina, dopo molti secoli, non è stato il più consistente del paese, ma è addirittura risultato inferiore alla media nazionale. Gli aumenti più rapidi si registrano sulla costa mediterranea, nella valle del Rodano, in Alsazia, in alcune parti della Bretagna e in Aquitania, dove Bordeaux supera i 650.000 abitanti. In conclusione, si riportano due aspetti da considerare positivi: nel complesso delle regioni montuose la popolazione nell'ultimo quarto di secolo è leggermente aumentata (ciò significa che l'aumento naturale non è più totalmente vanificato dal movimento migratorio); nel solo movimento anagrafico (pur se al dato sfugge l'immigrazione clandestina) l'Ile-de-France registra da qualche anno un saldo negativo: non solo la capitale non è più la meta di tutti gli emigranti, ma si fanno sempre più evidenti i sintomi di un'inversione di tendenza.

Condizioni economiche. − L'economia francese è tra le più sviluppate del mondo: nel 1991 le stime di Business International attribuivano al paese un reddito pro capite di 21.000 dollari USA (Italia 19.400; Stati Uniti 20.860, mentre al vertice della graduatoria mondiale c'è la Svizzera con 34.000); nel 1990 il consumo pro capite di energia era di 3845 kg di petrolio equivalente (alla stessa data, Italia 2754 e Stati Uniti 7822); i due terzi della popolazione attiva erano occupati nel settore dei servizi, e solo il 4% nell'agricoltura; la speranza di vita alla nascita era di 77 anni. Tra il 1965 e il 1985, in termini reali, l'incremento medio annuo del PIL è stato del 2,8%, che è uno dei più elevati dell'Europa occidentale.

L'agricoltura mantiene sempre un ruolo portante nell'economia del paese, nonostante continui il declino dell'occupazione. Ancor oggi quasi un quinto delle esportazioni complessive è rappresentato da prodotti agricoli, in massima parte diretti verso i mercati comunitari. Il settore è fra i più avanzati del mondo, ma sono tuttora intensi gli sforzi dei responsabili della politica economica per completare l'opera di ulteriore ammodernamento delle strutture produttive. Dopo un trentennio di espansione pressoché ininterrotta (nonostante la caduta del 1975, nel decennio 1970-80 la produzione industriale ha segnato un incremento del 33%), nel corso degli anni Ottanta i ritmi di crescita dell'industria francese si sono fatti meno intensi e, nel giro di poco meno di un decennio, l'incidenza della produzione della F. rispetto a quella mondiale è scesa dal 5,4% al 4,9%. È stata avviata, nel corso della seconda metà degli anni Ottanta, ad opera del governo guidato da J.-R. Chirac, un'azione di privatizzazione di parte delle industrie (ma anche di attività terziarie quali assicurazioni e banche) di proprietà dello stato; nel contempo è sempre intensa la politica di razionalizzazione e di recupero di efficienza dei rami produttivi obsoleti. In particolar modo la politica industriale ha interessato le attività estrattive (chiusura delle miniere di carbone meno redditizie, riduzione della manodopera) e la siderurgia (riduzione della produzione oltre che della manodopera).

Agricoltura. − La superficie agricola non ha avuto in un decennio variazioni rilevanti; l'arativo (19.547.000 ha) ha guadagnato circa 290.000 ha alle colture arborescenti (1.280.000 ha); immutata risulta la superficie forestale (14.700.000 ha) e leggermente ridotti i prati e pascoli (11.740.000 ha), con conseguente aumento della superficie improduttiva. Formidabile è stato, invece, l'aumento delle rese, in particolare per il frumento, giunto a superare i 330 milioni di q all'inizio degli anni Novanta, confermando il già saldo primato per l'Europa occidentale. Altri primati sono quelli per l'orzo (100 milioni di q) e per due prodotti collegati con l'allevamento: il mais (90 milioni di q, utilizzati principalmente come foraggio per il bestiame) e le barbabietole (circa 299 milioni di q, da cui si ricavano 4,4 milioni di t di zucchero, mentre i cascami vanno a integrare i foraggi). Al secondo posto (dietro la Germania) sono le produzioni della segale e delle patate. Queste coltivazioni sono piuttosto regolarmente distribuite nel territorio, pur se le colture sono meglio organizzate nell'arco compreso tra le foci della Senna e del Rodano. Più abbondanti nel Sud, invece, sono le colture orticole, che vedono inoltre una forte concentrazione nella regione parigina, evidentemente per motivi di mercato più che di clima. Climaticamente legate al Sud sono le oleaginose quali girasole e colza, e al Nord le colture industriali quali il lino (altro primato europeo); tra le novità che hanno fatto registrare rapido aumento va citata la soia.

Sempre rilevante la produzione di frutta, ma la coltura legnosa più celebrata rimane indiscutibilmente la vite. Quantitativamente (tra 65 e 70 milioni di hl) il primato mondiale è conteso con l'Italia, qualitativamente il primato commerciale dei vini francesi sul mercato internazionale rimane saldo. Va piuttosto rilevato che la produzione vinicola del Sud, di qualità inferiore, risente la concorrenza dei vini da taglio algerini e soprattutto italiani; la cosiddetta ''guerra del vino'', cominciata negli anni Settanta con distruzione di autocisterne di provenienza italiana, è continuata con gli stessi sistemi negli anni Ottanta. La dimensione media delle aziende agricole francesi supera i 23 ha, ma molte sono sottoutilizzate da proprietari che svolgono part time l'attività di coltivatori diretti; la maggior parte delle aziende di oltre 50 ha (nelle quali si registrano la migliore conduzione economica e la maggiore integrazione con l'allevamento) si trova nell'Ile-de-France e regioni contermini. In effetti è ubicato qui l'allevamento intensivo volto alla produzione sia di latte (in diminuzione) che di carne (in aumento): in complesso il patrimonio bovino si è leggermente incrementato, attestandosi sui 26 milioni di capi. In prevalenza le vacche da latte sono rimaste nelle stalle, limitate a pochi capi, delle regioni atlantiche, condotte da piccoli proprietari apparentemente ignari della sovraproduzione di latte e burro in ambito comunitario.

Produzione mineraria e di energia. − La ripresa di alcuni giacimenti alsaziani (Staffelfelden) ha portato a raddoppiare la produzione di petrolio (3,3 milioni di t), comunque scarsa per i bisogni, non essendosi verificati incrementi nel Sudovest e nel bacino di Parigi; addirittura diminuita è la produzione di metano (4,4 miliardi di m3: Lacq, Saint Marcet). Gli idrocarburi debbono quindi venire importati dalla zona del Golfo Arabico, e i combustibili energetici formano il 22% del valore totale delle importazioni. La produzione di carbone (13,8 milioni di t, principalmente nelle regioni settentrionali: Nord-Pas-de-Calais e Lorena) si è ridotta di tre quarti in 30 anni, e tutto l'insieme fa comprendere il forte impulso dato dai governi al settore nucleare. La produzione di ossido di uranio dei giacimenti del Centro e del Sud è di circa 3890 t e, integrata con importazioni dalle ex colonie africane, alimenta una serie di centrali che, con 52 milioni di kW installati, danno alla F. il primato nell'Europa occidentale. Riguardo all'energia, dev'essere sottolineato come la F. sia al primo posto per produzione di elettricità di origine nucleare. Le centrali nucleari costituiscono il 40% del totale, ma la loro produzione giunge al 60%. Con 23.000 addetti il settore nucleare ha diversi centri per ricerca, arricchimento di combustibile, produzione di plutonio e radioisotopi. Nella valle del Rodano si sviluppa a Tricastin un centro per un reattore a neutroni non rallentati (''reattore veloce''), cui partecipano anche altri paesi. Le sole altre produzioni minerarie da menzionare, più che bauxite, salgemma o potassa, sono quelle, ridotte ma comunque significative, di tungsteno e vanadio.

Attività industriali. − L'attività industriale non ha avuto grandi modifiche nel decennio, e ciò mantiene la F. peraltro al quarto posto tra le nazioni più sviluppate del mondo occidentale: impiega il 32% della popolazione attiva e fornisce il 36% del PIL e addirittura l'80% delle esportazioni.

Rilevante è la raffinazione di metalli, sempre basata in gran parte su materia prima importata, con la rimodernata elettrometallurgia della regione alpina (alluminio, piombo, rame, zinco, ecc.); oltre alle centrali nucleari del medio Rodano, questa conta su un grande complesso di centrali idroelettriche. Molto notevole rimane la petrolchimica (zone terminali del Rodano e della Senna), mentre in flessione, come in tutta Europa, risulta la siderurgia, e questo anche nei cantieri integrati sulla costa atlantica.

L'area parigina mantiene la funzione centrale, e vi sono rappresentate ad alto livello tutte le attività industriali. I numerosi interventi governativi volti a decongestionarla hanno portato alla diminuzione delle industrie con grandi necessità di spazio (la Renault, per es., ha trasferito vari impianti a Rennes); non hanno potuto invece impedire la sempre maggiore concentrazione di quelle a fortissimo valore aggiunto, prima di tutte l'elettronica (nell'area meridionale della Grande Parigi si sviluppa una ''tecnopoli'' tra Orsay, Courtaboeuf ed Evry et Massy). Nel meridione ha continuato a svilupparsi l'industria aeronautica, con base principale a Tolosa e sviluppi verso il Sudovest (Bordeaux). Anche quello automobilistico è un settore fiorente, nel quale si bilanciano importazioni ed esportazioni; gli autoveicoli circolanti sono oltre 27 milioni (vanno aggiunte le vetture di molti dei 43,8 milioni di turisti), e la rete autostradale supera i 6900 km. Invariata la rete ferroviaria (34.300 km, 12.430 dei quali elettrificati), mentre un forte incremento ha avuto l'utenza dell'aviazione civile.

Bibl.: C. Dyer, Population and society in twentieth century in France, Londra 1978; F. Caron, An economic history of modern France, ivi 1979; J. N. Tuppen, France, Folkestone 1981; M. Baleste, L'économie française, Parigi 1984; X. Browaeys, P. Chatelain, La France du travail, ivi 1984; J.-P. Diry, L'industrialisation de l'élevage en France, Clermont-Ferrand 1984; D. Noin, L'espace français, Parigi 1984; R. Brunet, La vérité sur l'emploi en France: les faits, les régions, les problèmes, ivi 1985; R. Brunet, J. Sallois, France, les dynamiques du territoire, Montpellier 1986; D. Noin, Y. Chauvire, La population de la France, Parigi 1986; E. Todd, La nouvelle France, ivi 1988; OCDE, France, ivi 1990.

Economia. - Dopo le incertezze dei primi anni Ottanta, a partire dal 1983 la politica economica della F. è stata volta al graduale riassorbimento degli squilibri interni ed esterni, alla riduzione del tasso d'inflazione e alla promozione di riforme strutturali. Quest'azione è stata caratterizzata dalla riduzione del tasso d'inflazione a livello di quello prevalente nei principali partners europei, in primo luogo nella Germania federale; dal risanamento della struttura produttiva dopo gli shock degli anni Settanta; da alcune riforme strutturali volte a migliorare l'allocazione delle risorse e a ridurre in maniera duratura il tasso di disoccupazione. A tal fine si sono perseguite politiche monetarie e fiscali restrittive, e promosse una maggiore flessibilità del mercato del lavoro e una moderazione salariale destinata, da un lato, a ridurre l'inflazione, dall'altro, a ristabilire la competitività delle imprese.

I benefici di queste politiche hanno tardato a manifestarsi. Nel periodo 1983-86 la crescita del reddito è infatti risultata, in media, pari all'1,6% all'anno, circa la metà di quanto fatto registrare dai principali paesi industriali. In questo periodo il contributo maggiore alla crescita del PIL è derivato dai consumi privati; in presenza di una moderazione salariale ciò ha provocato una sensibile diminuzione del tasso di risparmio delle famiglie. Nonostante l'aumento dei profitti, gli investimenti sono rimasti su livelli depressi anche a causa degli elevati tassi reali d'interesse e delle prospettive di crescita modesta della domanda. D'altra parte, la stabilità del cambio del franco all'interno del Sistema Monetario Europeo (SME) ha provocato una certa perdita di competitività.

In conseguenza di ciò, l'andamento delle esportazioni è risultato debole e la F. ha perso oltre il 10% della sua quota di mercato tra il 1983 e il 1987. In presenza di una crescita modesta il tasso di disoccupazione è salito di due punti percentuali tra il 1982 e il 1985. I risultati più rilevanti di questa prima fase di aggiustamento si sono invece registrati nel processo di disinflazione. Anche grazie al favorevole andamento del contesto esterno, il tasso d'inflazione è infatti sceso dall'11,5% del 1982 a meno del 3% nel 1986.

Solo a partire dal 1986 i risultati dell'azione di politica economica sono divenuti più evidenti. I guadagni nelle ragioni di scambio derivanti dalla diminuzione del prezzo del petrolio e dal deprezzamento del dollaro nei confronti del franco francese hanno comportato un aumento dei profitti delle imprese e un sensibile aumento della domanda interna ed estera. Questa evoluzione è stata accompagnata da una serie di misure volte a migliorare l'efficienza della struttura produttiva, a ridurre le rigidità sul mercato del lavoro, a promuovere la liberalizzazione dei prezzi e dei movimenti di capitale e a modernizzare i mercati finanziari. Vi è stata inoltre una riduzione delle imposte dirette sulle persone fisiche e su quelle giuridiche pari, complessivamente, all'1,3% del PIL nel biennio 1986-87.

Dopo un 1987 caratterizzato da un deterioramento del saldo corrente e da un lieve aumento dei prezzi al consumo, il 1988 ha fatto registrare un elevato tasso di crescita (4,5%), un tasso d'inflazione al disotto del 3% e una seppur lieve riduzione del disavanzo pubblico in rapporto al PIL. Il tasso di disoccupazione è rimasto, per il quarto anno consecutivo, al disopra del 10%. Nel biennio 1989-90, il quadro complessivo è restato pressoché stabile: nel 1989 vi è stato un certo rallentamento della domanda e una diminuzione dell'incidenza del deficit pubblico sul PIL; però l'inflazione è tornata a un livello superiore a quello del 1987 mentre la disoccupazione è diminuita di poco. Nel 1990 la tendenza al rallentamento della domanda si è ulteriormente rafforzata, e l'inflazione è di nuovo tornata al 3%; il tasso di disoccupazione, ridottosi di circa mezzo punto, è rimasto comunque elevato.

La situazione economica nel 1991 è stata caratterizzata dall'influenza negativa esercitata dalla crisi del Golfo. Sia il PIL che la domanda interna sono cresciuti di circa l'1% rispetto al 1990; la produzione industriale è aumentata solo dello 0,4% rispetto al +1,4% dell'anno precedente; il tasso di disoccupazione è tornato al 9,4% (lo stesso livello del 1989). Per contro l'inflazione è stata del 3,1%, inferiore a quella tedesca, e il disavanzo corrente si è ridotto a 6,3 miliardi di dollari rispetto ai quasi 15 miliardi dell'anno precedente. Nei primi mesi del 1992 si è registrata una modesta ripresa dell'attivit'a economica, l'inflazione è rimasta sul livello dell'anno precedente e il tasso di disoccupazione si è elevato raggiungendo circa il 10%. Nel biennio 1991-92 le politiche fiscali hanno continuato a essere orientate verso il rigore prevedendo il congelamento di varie spese e l'inasprimento dell'IVA per vari beni (misura in parte compensata da riduzioni di altre imposte). Ciò nonostante la percentuale del disavanzo pubblico sul PIL è aumentata. Le autorit'a monetarie hanno continuato a seguire una linea di difesa del franco nello SME e di lotta decisa all'inflazione e hanno proseguito sulla linea di difesa del cambio anche nel settembre 1992, quando le forti tensioni verificatesi sui mercati valutari europei hanno interessato anche il franco francese.

Storia. - La situazione politica francese uscita dalle elezioni del marzo 1978 presentava, sotto l'apparenza della stabilità parlamentare, vari sintomi di complicazione. I partiti di governo, infatti, che in virtù dei meccanismi della legge elettorale possedevano una stabile maggioranza alla Camera (286 seggi su 491), avevano però ottenuto soltanto il 50,7% dei seggi. Inoltre l'ormai tradizionale rivalità tra giscardiani e gollisti era adesso aggravata dalla sostanziale equivalenza numerica delle rappresentanze parlamentari (137 seggi contro 148). Soltanto le divisioni della sinistra in tema di programma comune ponevano la maggioranza al riparo da sorprese politiche troppo sgradevoli e spingevano il governo guidato da R. Barre (in carica dal 23 aprile) a tentare la strada di un'apertura, per quanto timida, al Partito socialista di F. Mitterrand, approfittando dell'opposizione che entro il PSF M. Rocard portava alla leadership di questi.

Il congresso di Metz del PSF (aprile 1979), riconfermando la guida di Mitterrand, bloccò però ogni tentativo verso una simile direzione, mentre i contrasti interni della maggioranza giungevano a esprimersi nella bocciatura del bilancio dello stato, su cui il governo Barre aveva posto la fiducia (dicembre 1979). Era questa l'ultima manifestazione delle difficoltà in politica interna che su un piano sociale avevano costellato l'intero anno, addensandosi in specie attorno al nodo della smobilitazione della siderurgia con i suoi strascichi di pesanti disordini in Lorena (febbraio 1979) e a Parigi (marzo 1979). Diverso il quadro della politica estera, nel quale la F. ancora giocava un ruolo non indifferente di presenza nell'Africa francofona (deposizione di Bokassa nell'Impero Centrafricano nel settembre 1979 e, prima ancora, intervento nello Shaba nel maggio 1978, ma soprattutto appoggio al governo del Ciad, minacciato dall'espansionismo libico nel dicembre 1980).

Le difficoltà interne nel biennio 1980-81, specialmente in campo economico (il tasso d'inflazione si mantenne nei due anni al 13,3%), logorarono tuttavia irrimediabilmente la compattezza della maggioranza, tanto che alle elezioni presidenziali del 10 maggio 1981 Mitterrand riportò la vittoria sul suo diretto avversario V. Giscard d'Estaing con il 51,8% dei voti contro il 48,1%. Il socialista P. Mauroy formò pertanto un governo a cui partecipavano ministri del PSF e radicali di sinistra, ma non del PCF, avviando anticipatamente il paese alle elezioni politiche generali di giugno. Il poderoso salto in avanti del PSF (37,5% dei voti al primo turno e 270 deputati complessivamente eletti dopo lo svolgimento del secondo) compensò più che ampiamente il pesante ridimensionamento del PCF (16,1% e 44 deputati), mentre anche i radicali di sinistra incrementarono la propria rappresentanza parlamentare (ora composta da 14 deputati). L'inequivocabile sconfitta dei partiti dell'ex maggioranza (RPR − Rassemblement Populaire pour la République - con il 20,8% e 84 deputati; UDF − Union de la Démocratie Française - con il 19,2% e 64 deputati) permise la riconferma di Mauroy che formò un nuovo governo, questa volta con la partecipazione anche di 4 ministri del PCF (23 giugno 1981) a cui la Camera votò la fiducia l'8 luglio.

Il governo compì una drastica svolta in campo economico, cominciando l'attuazione del programma comune. L'ambizioso disegno prevedeva l'avvio contestuale di una politica tesa a sostenere i ceti più deboli (incremento del salario minimo garantito, delle ferie, delle pensioni), a lottare contro la disoccupazione e contro l'inflazione. La difficoltà dell'operazione risiedeva nel fatto che, in controtendenza rispetto alle politiche economiche dei principali paesi industrializzati, si tentava di raggiungere l'obiettivo della lotta all'inflazione in un quadro di politica espansiva. Parte integrante della politica economica fu quella delle nazionalizzazioni (iniziate dopo una lunga preparazione nel febbraio 1982), che toccavano settori chiave del credito e dell'industria di base, specialmente la metallurgica, la chimica, le costruzioni aeronautiche e degli armamenti. In realtà le difficoltà sul fronte del disavanzo, della solidità del franco, del tasso d'inflazione imposero un netto ridimensionamento della politica espansiva e un ferreo blocco dei prezzi e delle retribuzioni, nonché una rigorosa stretta monetaria. Ciò non fu senza effetto nelle elezioni per il rinnovo della metà dei seggi dei Consigli di dipartimento e dei Consigli comunali (nel contesto di una riforma che vide il trasferimento dei poteri amministrativi e finanziari dei prefetti ai vari consigli dell'autogoverno locale), tanto che i partiti di governo furono penalizzati nella competizione elettorale (marzo 1983). Tali insuccessi determinarono le dimissioni di Mauroy, per altro nuovamente confermato nell'incarico da Mitterrand il 23 marzo. Il nuovo ministero, che comprendeva come il precedente ministri socialisti, comunisti, radicali di sinistra e, in aggiunta, anche un rappresentante del Parti Socialiste Unifié (PSU), dovette affrontare una situazione sempre più difficile economicamente e sempre più deteriorata socialmente, orientando le proprie scelte in una direzione ormai nettamente restrittiva di blocco delle assunzioni pubbliche e di drastici tagli di spesa: tutte misure destinate a provocare l'aspra critica dei comunisti. Si trattava del prodromo di crescenti difficoltà politiche, tanto più che i partiti di centro-destra precedentemente sconfitti venivano compiendo un'opera di riorganizzazione divenuta nel frattempo improcrastinabile. La più evidente espressione di questo processo furono il rilancio politico dell'ex presidente Giscard d'Estaing e il riavvicinamento tra RPR e UDF, che già era stato propiziato dall'incontro tra lo stesso Giscard e J. Chirac del 24 novembre 1982. Il riavvicinamento sembrò archiviare la stagione degli accesi contrasti tra i due vecchi partiti di maggioranza e segnò la loro ritrovata compattezza in funzione antigovernativa.

Per il ministero nacque un'ulteriore causa di preoccupazione con la protesta, anche violenta, degli agricoltori − specialmente bretoni − preoccupati per la scarsa remuneratività di alcuni prodotti agricoli e assai scontenti della politica comunitaria in campo agricolo (gennaiofebbraio 1984). Proprio il risultato delle elezioni per il Parlamento europeo del 17 giugno 1984 (cui partecipò soltanto il 56,7% degli aventi diritto) si mostrò particolarmente severo per i partiti governativi. Il PSF ottenne, infatti, il 20,8% dei suffragi (rispetto al 23,5% delle elezioni del 1979) e il PCF dimezzò addirittura la propria forza, attestandosi soltanto sull'11,2% (rispetto al precedente 20,5%); praticamente invariata risultò la forza dell'UDF e del RPR (che per l'occasione si presentarono uniti, ulteriore prova del processo di riavvicinamento tra le due compagini), i quali ottennero insieme il 43% rispetto al precedente 43,9%; e così tuttavia si mostrarono in netto recupero rispetto alle ultime elezioni politiche nazionali. Clamoroso, infine, risultò il successo del partito di estrema destra, il Fronte nazionale, con l'11,8% dei suffragi, se si pensa che nel 1979 questa formazione aveva ottenuto l'irrilevante risultato dell'1,03% dei voti. Non è difficile ipotizzare che la crisi della politica comunista favorì un diretto passaggio di voti dal PCF all'estrema destra, secondo un'oscillazione che i successi (o gli insuccessi) delle due compagini confermarono anche negli anni successivi. La difficoltà della politica governativa e, corrispettivamente, un ritrovato slancio di mobilitazione da parte dei suoi avversari erano del resto confermati dalla vera e propria prova di forza che giscardiani e neogollisti riuscirono a imporre sul problema dei finanziamenti alla scuola privata, che il ministero Mauroy voleva affrontare in termini di tradizione laicista. Il corteo di oltre un milione di persone che attraversò Parigi il 17 giugno 1984 (amplificando un successo analogo colto dalle stesse forze sulla medesima questione già nel marzo precedente) sembrò dare una rappresentazione visiva dell'eco e delle simpatie suscitate dalla battaglia delle opposizioni, le quali riuscirono a imporre il ritiro del provvedimento.

Il primo ministro Mauroy si dimise e Mitterrand nominò un nuovo governo a guida socialista, diretto da L. Fabius, ministro dell'Industria nella precedente compagine (24 luglio 1984); del governo però non fece parte il PCF che formalizzava così in termini politici definitivi il proprio dissenso verso la linea di politica economica e sociale seguita dall'ultimo governo Mauroy. Così il governo Fabius si configurò in pratica come un monocolore del PSF (essendo presenti nella compagine governativa soltanto un ministro radicale di sinistra e un rappresentante del PSU). Sui socialisti perciò ricadde l'intero onere del governo, stretto com'era tra l'opposizione del centro-destra e la politica di appoggio ''caso per caso'' dichiarata dai comunisti nel settembre, dietro la quale essi mascheravano una sostanziale opposizione al partito di Mitterrand e che sanciva la fine dell'unione delle sinistre. Ulteriori segnali di una situazione che diveniva sempre più pesante per il Partito socialista furono la bocciatura, da parte del Senato, del progetto di riforma costituzionale sull'estensione dell'uso del referendum, voluta da Mitterrand in persona, e i risultati delle elezioni regionali in Corsica, alla cui Assemblea regionale venne eletto come presidente un neogollista (agosto 1984), mentre avanzava l'estrema destra e il movimento indipendentista, raccolto attorno al Fronte nazionale di liberazione della Corsica (invano sciolto dal governo a gennaio 1983), non rinunciava all'attività terroristica che andava funestando la regione ormai da vari anni.

In politica estera un ruolo particolare venne svolto dal presidente della Repubblica Mitterrand che assunse, mantenendo in questo una linea tradizionale della diplomazia francese, un atteggiamento polemico verso gli Stati Uniti, ma adesso secondo un'inflessione ''terzomondista'' che trovò espressione nella Conferenza Nord-Sud di Concùn in Messico (ottobre 1981).

Su una linea di continuità si sviluppò la presenza della F. nei paesi dell'Africa sahariana, nel tentativo di spegnere le speranze libiche per una definitiva destabilizzazione del Ciad, il cui governo legale di H. Habré fu costantemente appoggiato da Parigi contro le formazioni ribelli attivamente sostenute dalla Libia. È in questo quadro di fermezza, ma anche di paziente ricerca di spazi negoziali, che Mitterrand giunse a un incontro con il leader libico Gheddafi (Creta, settembre 1984), che sanciva un accordo per il ritiro reciproco dei contingenti militari. Meno tradizionale e più innovativa si dimostrò invece l'iniziativa francese nell'area del Medio Oriente. Mitterrand stesso si recò in visita ufficiale in Israele nel marzo 1982, primo capo di stato francese, mentre a due riprese − nell'agosto e poi a settembre di quello stesso anno, e fino al marzo 1984 − contingenti militari francesi parteciparono, a fianco di americani, inglesi e italiani, all'intervento della forza multinazionale di pace in Libano allo scopo di stabilizzare la situazione interna di quel paese in vista di una soluzione politica dell'annosa guerra civile che lo travagliava. Nell'area del Pacifico un viaggio di Mitterrand in Nuova Caledonia (gennaio 1985) s'inserì in una difficilissima situazione, drammaticamente tesa da spinte indipendentistiche che si venivano esprimendo anche in quel caso in una serie di attentati terroristici, presto contraddette però dai risultati delle elezioni regionali di settembre che confermarono (con il 60,8% dei voti) la prevalenza dei sostenitori di un legame politico di quelle isole con la Francia.

I segni di un deterioramento della politica governativa venivano però accumulandosi da più parti: la vittoria dei partiti di centro destra alle elezioni cantonali del marzo 1985 (53% dei voti contro il 46,2% ottenuti dai partiti di governo); il primo sciopero generale antigovernativo da quando Mitterrand ricopriva la carica di presidente della Repubblica, proclamato nell'ottobre 1985 dalla CGT a guida comunista; la necessità di reintervenire nel Ciad contro le violazioni libiche degli accordi stipulati a garanzia dell'indipendenza di quel paese. Si comprende facilmente, perciò, che le elezioni politiche del marzo 1986 riportarono al potere la coalizione di centro-destra, sancendo sul piano del governo il successo ottenuto dal RPR e dall'UDR (Union des Démocrates pour la République). Sulla base di una legge elettorale proporzionale corretta con uno sbarramento d'accesso parlamentare per le liste che avessero ottenuto meno del 5% dei suffragi (approvata nel marzo dell'anno precedente, e che portava i seggi dell'Assemblea nazionale da 491 a 577), i neo-gollisti conseguirono da soli l'11,2% dei suffragi (e 76 deputati), i giscardiani da soli l'8,3% dei voti (e 53 seggi); le due formazioni unite il 21,4% delle preferenze (e 147 rappresentanti). Di contro, il PSF riuscì a mantenere la posizione di primo partito con il 31% dei voti (e 201 seggi), ma subì un grave arretramento di 6 punti in percentuale; il PCF andò incontro a un vero tracollo, conseguendo il 9,7% dei voti (con 35 deputati) mentre, a destra, clamoroso fu il successo della formazione estremista del Fronte nazionale che replicò il risultato delle ultime consultazioni cantonali, presentandosi ora per la prima volta alle elezioni politiche e ottenendo, con il 9,6% dei voti, 35 seggi parlamentari. Assolutamente marginale apparve, invece, il risultato delle piccole formazioni di estrema sinistra, dei regionalisti e degli ecologisti; non altrettanto quello di altre minori compagini di destra che si attestarono nel loro insieme al 3,9% dei suffragi con 14 deputati in complesso.

Il primo ministro Fabius rassegnò immediatamente le dimissioni il 17 marzo e il giorno successivo Mitterrand chiamò Chirac a formare un nuovo governo. Si riproponeva così la medesima situazione creatasi nel 1981 al momento del successo mitterrandiano alle elezioni presidenziali; soltanto che allora il neo eletto presidente, sfruttando la spinta a sinistra dell'opinione pubblica e sciogliendo le Camere, aveva risolto immediatamente la situazione di cosiddetta ''coabitazione'' a vantaggio del PSF per rendere così omogeneo il quadro politico, mentre questa volta, con la designazione di Chirac − che formava un ministero il 20 marzo con personalità del RPR e dell'UDF − Mitterrand, mantenendo la propria carica, accettava e rendeva permanente la situazione di ''coabitazione'' nuovamente ripresentatasi e si riservava un diritto di veto sulla politica estera e di difesa del ministero, cioè nei due ambiti che erano di tradizionale e più diretto intervento della presidenza della Repubblica.

Il 2 aprile il governo si presentò all'Assemblea nazionale, ottenendone la fiducia su un programma che aveva come cardine la liberalizzazione dell'economia (cioè lo smantellamento del sistema delle industrie nazionalizzate dai precedenti ministeri a guida socialista), il ripristino del sistema elettorale maggioritario a due turni, una lotta più serrata contro il terrorismo: còrso di matrice indipendentista, di estrema sinistra (del gruppo Action directe), islamico di origine mediorientale.

Il primo punto programmatico venne realizzato nel luglio 1986 con l'approvazione di una legge che consentiva la vendita ai privati di 65 grandi imprese nazionalizzate, con la legge di privatizzazione del primo canale della televisione di stato e con una legge sulla flessibilità dell'orario di lavoro (dicembre dello stesso anno), assai osteggiata dal movimento sindacale. È significativo che tutti questi provvedimenti fossero in pratica ostacolati dall'atteggiamento di Mitterrand che, negando al governo la possibilità dell'approvazione per decreto, lo costrinse al più lungo iter legislativo del disegno di legge, rendendo così evidente in tutta la sua portata l'insopprimibile limite conflittuale della ''coabitazione''. Anche il secondo punto programmatico venne realizzato nel luglio 1986, mentre il terzo trovò un inizio di attuazione nel settembre, quando furono adottate misure di rafforzamento della sicurezza e di controllo alle frontiere, quali l'impiego di reparti dell'esercito e l'obbligo del visto d'ingresso per gli stranieri extracomunitari.

Il successo, sempre nel settembre, dello schieramento di centrodestra nell'elezione per il rinnovo di un terzo del Senato non faceva presagire l'esplosione del sotterraneo malessere sociale che veniva esprimendosi con forza inaspettata nelle grandi manifestazioni studentesche di fine novembre e di dicembre contro la riforma universitaria, che portarono al ritiro del progetto governativo e alle dimissioni del sottosegretario all'istruzione superiore e, soprattutto, che assunse la forma assai esasperata del lunghissimo sciopero nei trasporti ferroviari da metà dicembre a metà gennaio 1987, sciopero che si estese anche ad altri settori del pubblico impiego.

In politica estera il governo Chirac non si discostò dalla linea tradizionale perseguita dalla F. − come del resto abbiamo visto fare anche dai governi a guida socialista − se si esclude una più decisa salvaguardia del prestigio nazionale in occasione della crisi scoppiata tra Parigi e Teheran, in seguito al rifiuto iraniano di consegnare un terrorista rifugiatosi presso l'ambasciata di Parigi.

Questo determinò (luglio 1987) la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi (ripristinate soltanto nel giugno dell'anno successivo) e l'invio tra il luglio e il dicembre 1987, nel quadro di un'accentuata pressione politica occidentale verso il regime di Khomeini, di alcune navi da guerra nel Golfo Persico. La questione della Nuova Caledonia (con una nuova legge referendaria la popolazione locale venne chiamata ulteriormente a esprimersi sul legame con la F. nel settembre 1987) fu motivo di aspro scontro tra governo e presidenza della Repubblica, avendo Mitterrand criticato durissimamente, prima, l'impiego fatto delle forze di polizia nell'arcipelago durante la campagna elettorale, e poi anche lo statuto di autonomia, adottato di misura dall'Assemblea nazionale nel novembre. In realtà, molto oltre la rilevanza dell'episodio, si trattava del segnale più evidente del fatto che la politica di ''coabitazione'' era giunta a un punto irreversibile di crisi. Le elezioni presidenziali della primavera 1988 si configurarono perciò come un'ottima occasione di normalizzazione dell'intero quadro politico. Mitterrand mostrò tutta la sua abilità: seppe manovrare con accortezza, annunciando con ritardo la sua candidatura e rivolgendo una lettera "a tutto il popolo francese" nella quale si presentava non come esponente del PSF, ma come restauratore e garante dell'unità del paese, come un presidente "arbitro". Da parte sua lo schieramento di centro-destra non riuscì a esprimere una candidatura unica, e Chirac (per il RPR) e Barre (per l'UDR) videro profilarsi la temibile e inquietante concorrenza dello sciovinista e xenofobo Le Pen, leader del Fronte nazionale.

I risultati del primo turno (aprile 1988) assegnarono a Mitterrand il 34,1% dei voti validi, a Chirac il 19,9%, a Barre il 16,5% e a Le Pen addirittura il 14,3%, cioè più del doppio dei suffragi ottenuti dal candidato comunista A. Lajoinie, cui andò il 6,7%. Mentre i comunisti annunciavano di appoggiare al secondo turno il presidente uscente, la situazione si faceva assai imbarazzante per Chirac, il candidato di centro-destra meglio piazzato rimasto in lizza. Egli non poteva chiedere l'appoggio esplicito dell'estrema destra xenofoba, pena una sicura emorragia di voti moderati, il cui apporto gli risultava essenziale per avere una qualche prospettiva di successo contro il suo avversario Mitterrand. Le Pen, del resto, lasciava liberi i suoi sostenitori, come egli stesso si espresse con un'ambigua dichiarazione, di scegliere al secondo turno tra "il male e il peggio". Si verificò pertanto al secondo turno, nel maggio, ciò che soltanto un anno prima sarebbe stato difficilmente prevedibile: la rielezione di Mitterrand alla presidenza della Repubblica con il 54% dei voti validi, contro il 45,9% andato a Chirac; in sostanza, con un margine doppio del distacco che, nelle elezioni del 1981, lo aveva visto prevalere su Giscard d'Estaing. Immediate furono le dimissioni di Chirac dalla carica di primo ministro. La designazione al suo posto del socialista M. Rocard, a capo di una compagine di socialisti e radicali di sinistra (12 maggio), costituì soltanto il passaggio obbligato per verificare un'evidente situazione d'ingovernabilità all'Assemblea nazionale e per portare quindi il paese ancora una volta alle inevitabili elezioni politiche anticipate del giugno. Queste, contrariamente alle previsioni, non videro un grande successo socialista, a testimonianza, potremmo dire, dell'accorta strategia con la quale Mitterrand era riuscito a imporsi sui suoi avversari. Il PSF ottenne il 37,5% dei voti, il centro-destra il 40,5%, mentre al debole recupero comunista, con l'11,3%, corrispondeva il netto ridimensionamento del Fronte nazionale con il suo 9,6% dei suffragi. Mitterrand riconfermò a questo punto l'incarico a Rocard (28 giugno 1988), che però, con significativa novità, pur costituendo un gabinetto in cui i ministeri principali erano nelle mani di esponenti socialisti, distribuì alcuni incarichi a personalità indipendenti o di orientamento moderato di centro. Si trattava di un colpo assai duro per l'opposizione: le conseguenze del nuovo clima politico (in sostanza la formazione di un gabinetto di centro-sinistra) si resero ben presto manifeste a tutto vantaggio del principale partito di governo che coglieva significativi successi: innanzi tutto nelle elezioni cantonali dell'ottobre 1988; poi in quelle municipali del marzo 1989 (recuperando la leadership in tutte le città che aveva perduto 6 anni prima e nelle quali avveniva anche per la prima volta una significativa affermazione del partito ''ecologista''); infine nelle elezioni per il Parlamento europeo del giugno 1989 (anche se in quell'occasione, con 22 seggi ottenuti, il PSF rimase dietro il RPR e l'UDF uniti, che passarono da 41 a 26 seggi). La saldezza del governo Rocard si dimostrò a tutta prova in più di un'occasione, come, per es., nel rigetto della mozione di censura presentata dalla destra all'Assemblea nazionale nel dicembre 1988 contro l'incapacità governativa di fronteggiare gli scioperi nei pubblici servizi; o nel caso dell'approvazione del piano complessivo di provvedimenti da adottarsi tra il 1989 e il 1992 per preparare il paese alla formazione del Mercato unico europeo, previsto nel 1993 (aprile 1989). Le manifestazioni per il bicentenario della Grande Rivoluzione sembrarono attestare, in una Parigi rinnovata anche da un punto di vista urbanistico, un ritrovato equilibrio politico, pur in un quadro caratterizzato dallo spegnersi delle passioni politiche, dopo l'ultimo quinquennio vissuto piuttosto all'insegna di vivaci e personalizzati contrasti tra presidenza della Repubblica e presidenza del Consiglio.

Gli interrogativi sono piuttosto affidati al futuro, e riguardano essenzialmente la dinamica a cui il sistema politico e sociale della F. sarà sottoposto a partire dai rilevanti mutamenti che nel tradizionale quadro di riferimento sono stati introdotti proprio dalla vittoria di Mitterrand nel 1988: la palese crisi del partito d'ispirazione gollista, determinata dall'aver scelto una strada neo-conservatrice, dimentica della originaria tradizione di ''massa''; l'emergere dopo molti anni di un polo ''centrista'' dotato di una certa autonomia di decisioni politiche; la circostanza, verificatasi per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, per cui il partito del presidente e i suoi più stretti alleati non possiedono la maggioranza assoluta in Parlamento.

In politica estera, nonostante le preoccupazioni suscitate in molti ambienti politici dalla rapidità e dalle modalità della riunificazione tedesca, i rapporti con la Germania rimangono contrassegnati da una sostanziale convergenza di vedute soprattutto per quello che riguarda le politiche comunitarie. Più problematica appare invece la posizione della F. in Medio Oriente: infatti il fallimento del suo tentativo di mediazione nella crisi del Golfo (gennaio 1991) e la sua partecipazione alla guerra, scoppiata subito dopo, sembrano comprometterne il ruolo tradizionalmente autonomo svolto in quell'area.

Nella primavera del 1991 elementi di crisi minavano la solidità del governo, costretto anche a ritirare due proposte di legge sulla riforma del sistema elettorale (aprile). Mitterrand, nel tentativo di ridare slancio all'esecutivo, nominava primo ministro E. Cresson. Il programma del governo non presentava particolari novità: insisteva infatti in politica economica sulla necessità di rafforzare la moneta e di controllare inflazione e spesa pubblica, mentre sul piano sociale prometteva una più incisiva politica riguardo all'immigrazione. A questo proposito bisogna ricordare che tra la fine del 1990 e l'inizio del 1991 nelle periferie urbane, prevalentemente abitate dagli immigrati nordafricani di prima e seconda generazione, si verificarono violenti disordini.

Nel gennaio 1992 L. Fabius sostituì P. Mauroy al vertice socialista, nel quadro di un rinnovamento del partito. Nel marzo, le elezioni cantonali videro un forte arretramento del PSF, di cui però non riuscirono a beneficiare le forze neogolliste e i giscardiani, e una buona affermazione dei Verdi. A seguito della sconfitta elettorale, il 2 aprile P. Bérégovoy sostituiva E. Cresson alla guida del governo. Riguardo alla politica europea, nel giugno 1992 venivano approvate a larghissima maggioranza le modifiche costituzionali atte a conformare la Carta fondamentale francese al Trattato di Maastricht. Nello stesso mese Mitterrand atterrava all'aeroporto di Sarajevo, posto sotto il tiro delle milizie serbe, per portare la sua solidarietà alla Bosnia, mostrando così che l'integrazione europea non esauriva l'iniziativa e il ruolo della F. sul piano internazionale. Il 20 settembre 1992 si tenne il referendum popolare per la ratifica del Trattato di Maastricht, che era stato voluto da Mitterrand e che vide un risultato favorevole all'Unione europea, sia pure di stretta misura (51%).

Bibl.: A. Salomon, P. S.: la mise à nu, Parigi 1980; A. du Roy, R. Schneider, Le Roman de la rose. D'Epinay à l'Elisée: l'aventure des socialistes, ivi 1982; E. Roussel, Le cas Le Pen, ivi 1985; M. Duverger, Bréviaire de la cohabitation, ivi 1986; Id., La cohabitation des Français, ivi 1987; P. Milza, Fascisme français. Passé et présent, ivi 1987; P. Favier, M. Martin-Roland, La décennie Mitterrand, 1. Les ruptures (1981-1984), 2. Les épreuves (1984-1988), ivi 1990-91.

Letteratura. - Mentre gli anni Sessanta sono stati in F. gli anni del sistema e delle strutture, quelli dell'iper-teoricismo, nei quali il soggetto era considerato privo d'identità in quanto dipendente dalle strutture sociali o psichiche cui risultava assoggettato, nella seconda parte degli anni Settanta il paesaggio cambia improvvisamente: le strutture si cancellano, il sistema non agisce più; si assiste al ritorno dell'attore, del soggetto, dell'individuo. Allontanatesi le speranze rivoluzionarie ed entrato in crisi lo stato-provvidenza, i liberali riprendono l'iniziativa, e il moderno, la modernità finisce col coincidere con le forme della democrazia, con l'individuo. Ci troviamo di fronte a un nuovo individualismo.

In questo contesto la letteratura cambia direzione. Lo scrittore è solo: "incalcolabile, instabile, vario, irriducibile come la letteratura stessa" (Sollers). In questo senso gli ultimi anni Settanta e gli anni Ottanta potrebbero definirsi ''al di là del principio di teoria''. Il rapporto tradizionale teoria/letteratura risulta rovesciato sulle sue stesse basi. Un tempo era la filosofia a occupare il posto sovrano, ora sono i teorici e i filosofi a sentire di fronte alla letteratura, o più esattamente di fronte alla scrittura di fiction, una sorta di mancanza e d'imperfezione: i teorici contemporanei, da M. Foucault a J. Derrida a R. Barthes e a J. Lacan, esprimono una sorta di nostalgia attiva della letteratura, e tendono, come in un asintoto, verso una scrittura di fiction.

Essi percepiscono che il linguaggio tradizionale della teoria e della filosofia "di buona volontà", come Proust lo chiamava, esclude o è incapace di raggiungere da solo alcune realtà che hanno cominciato a far sentire la loro importanza (''l'inconscio'', ''il corpo'', ''il gioco'', ecc.), e con le quali il linguaggio letterario si trova invece in diretta comunicazione. È un privilegio della letteratura quello di ''fare'' direttamente, cioè di non fare programmi ma di realizzarsi in sé, nel ''plaisir'' di sé (Barthes).

Si è rapidamente allontanata la legge ferrea che negli anni Sessanta regolava i rapporti tra i concetti chiave della teoria marxista di L. Althusser, quelli della psicanalisi di Lacan e quelli della semiologia come nuova scienza, ecc. E questo allontanamento si prolunga e si approfondisce, all'inizio degli anni Ottanta, in quelli che saranno gli ultimi scritti di Barthes e di Foucault.

Una sorta di malinconia teoretica sembra sprigionarsi sia dal saggio La chambre claire. Note sur la photographie di Barthes sulla fotografia, pubblicato un mese prima della morte (marzo 1980; trad. it., 1980), sia dall'ultimo lavoro di Foucault (muore nel giugno del 1984, e il secondo e il terzo volume dell'Histoire de la sexualité, sul senso del sesso nell'antichità, l'Usage des plaisirs [trad. it., 19853] e Le souci de soi [trad. it., 1985] escono allora). Nei due casi l'ardore concettuale − quello necessario a imprese che si erano volute in alcune fasi totalizzanti (per un certo periodo, per es., Barthes aveva nutrito il sogno di una nuova scienza dei segni) − lascia il posto a un'attenzione riflessiva, alla pacatezza di uno sguardo sotto molti aspetti disincantato ("pessimista" diceva Foucault nei suoi ultimi testi, e contemporaneamente "attivista"). L'ultimo messaggio, in questi due creatori di riflessione teorica, è quello dell'''attenzione all'individuale''; e in ciò si esprime uno degli aspetti fondamentali e preziosi della loro attività: la funzione antidogmatica. Foucault legge nella discontinuità storica una lezione di relatività e, insieme, una sollecitazione a portare oltre il pensiero. Analizzando l'importanza dell'etica nel mondo antico, finisce con il mettere in evidenza anche "l'assenza dell'etica" nei movimenti di liberazione odierni, fondati come sono su "una conoscenza che si pretende scientifica dell'io, dell'inconscio, del desiderio". Sottolineando l'"estetica dell'esistenza" degli antichi, egli propone di sostituire, nell'etica contemporanea, la nozione di "autenticità" con quella di "creatività".

Peraltro, quest'ultimo periodo della letteratura francese è anche quello che avrà più nettamente contribuito a disegnare retrospettivamente, dietro il Novecento francese ufficiale descritto dalle storie letterarie (quello dei grandi protagonisti universalmente riconosciuti e delle scuole affermate), un secondo Novecento più complesso, più buio e problematico, i cui artefici hanno lavorato a lungo nell'isolamento e con una totale noncuranza dell'effetto immediato, nell'unica preoccupazione di esplorare una linea che per decenni è potuta sembrare estranea al procedere dell'epoca.

Questo effetto di conoscenza spostata, ritardata, si legge anche nel caso della diffusione tardiva dell'opera di Lacan, conosciuto solo negli anni Sessanta, con la pubblicazione degli Ecrits (1966; trad. it., 1974, in 2 voll.), mentre le sue ricerche e il suo insegnamento nel campo della psicanalisi (il ''ritorno a Freud'', operato come un ritorno ai testi e all'incidenza del linguaggio nel campo dell'inconscio: "l'inconscio è strutturato come un linguaggio") duravano già da diversi lustri, formando e influenzando, attraverso i seminari di Sainte Anne cui assistevano con regolarità, molti degli intellettuali che si sarebbero affermati in seguito (M. Foucault, P. Veyne, ecc.). Ma lo stesso fenomeno si può descrivere soprattutto a proposito di A. Artaud e di G. Bataille, i quali solo di recente sono entrati a pieno, postumi, nella zona illuminata del paesaggio novecentesco: come i surrealisti avevano tirato fuori dall'ombra Sade e Lautréamont, così gli scrittori di Tel quel hanno imposto come antenati e contemporanei Artaud, Bataille, F. Ponge. È degli ultimi decenni la pubblicazione delle opere complete (1946-81) di Artaud; molto recente anche il completamento di quelle di Bataille, che rivelano appieno l'importanza del suo pensiero e della sua attività di fondatore di gruppi intellettuali prima della seconda guerra mondiale e dopo, nella rivista Critique, da lui fondata (1946). Per mezzo di queste nuove letture il secolo cambia fisionomia, si reinterpreta in alcune parti decisive: a partire dalle acquisizioni recenti, Les Temps Modernes perde il suo ruolo di rivista egemone lasciando spazio a Critique, appunto, con Bataille e i suoi amici (R. Caillois, M. Leiris, P. Klossowski, M. Blanchot, ecc.); alla nozione di engagement va contrapponendosi quella di dépense (collegata all'antropologia di M. Mauss). Un tale spostamento di prospettiva storica risulta essere l'effetto diretto dell'allargamento del campo teorico e letterario del periodo più recente, che si manifesta con effetti diversi nei diversi campi letterari.

Il cambiamento della critica, il suo allontanarsi dalla ''dittatura'' teoricistica degli anni precedenti si trova sintetizzato in Apologie de Donald Evans (1982) di P. Mauriès. Dedicata alla memoria di Barthes, l'opera descrive la parabola di un pittore americano morto a trentun anni, nel 1977, che verso la fine della sua breve vita, dopo una pratica dell'avanguardia e dell'espressionismo alla De Koonig, torna a una bizzarra forma di filatelia immaginaria.

Intorno alla rivista Poétique proseguono le ricerche strettamente letterarie più rigorose, che non rinnegano quelle degli anni precedenti.

G. Genette (n. 1930) propone uno studio del racconto fondato sull'analisi del testo proustiano; il gesto della classificazione viene messo in scena e interpretato in Introduction à l'architexte (1980; trad. it., 1981). Intorno a Genette e a J. Bellemin-Noël cresce la ''critica genetica'', espressione della recente scoperta del continente filologia da parte della critica francese, a lungo restia a riconoscerne l'interesse. Di questa rivalutazione sono espressione le nuove edizioni di Proust a opera di gruppi di ''genetici'' che nel testo divulgato inseriscono arditamente brani dei quaderni di preparazione.

J. Starobinski prosegue la sua ricerca indipendente e solitaria, esplorando i rapporti tra soggetto e oggetto, consacrando i suoi ultimi studi a Montaigne (Montaigne en mouvement, 1982; trad. it., Montaigne. Il paradosso dell'apparenza, 1984) e all'idea del sonno nella letteratura del 20° secolo (in Valéry specialmente), nonché a Baudelaire e alla malinconia (argomento prediletto di Starobinski fino dal tempo della sua formazione di medico).

Anche i teorici più accesi del periodo precedente mutano.

T. Todorov (n. 1939) scrive addirittura una Critique de la critique: un roman d'apprentissage (1984), in cui rinnega il suo precedente credo strutturalista. J. Kristeva (n. 1941), che aveva consacrato i suoi primi saggi alla fondazione di un nuovo ramo della semiologia, la ''semanalisi'', si è progressivamente allontanata dai momenti più strettamente teorici della sua ricerca per dedicarsi all'esplorazione psicanalitica (in direzione lacaniana) dei testi letterari (Pouvoirs de l'horreur. Essai sur l'abiection, 1980, trad. it., 1981) e allo studio di casi clinici, messi in rapporto con i testi letterari (Histoires d'amour, 1982, trad. it., 1985; e Soleil noir. Dépression et mélancolie, 1984, trad. it., 1988).

Alcuni grandi romanzieri proseguono la loro opera in modo indipendente, come M. Duras, M. Yourcenar, G. Perec, A. Robbe-Grillet, N. Sarraute. S. Beckett scrive testi sempre più brevi, allusivi, densi.

Uno degli avvenimenti più clamorosi e sorprendenti della vita letteraria degli anni Ottanta in F. è lo straordinario successo del romanzo L'Amant (1984; trad. it., 1985) di M. Duras. Concepito come una serie di commenti a fotografie della vita dell'autrice, e scritto con una semplicità estrema, descrive un rapporto passionale e clandestino tra un'europea giovanissima e un cinese abbiente sullo sfondo dei paesaggi dell'Indocina, evocando con crudeltà e tenerezza insieme rapporti familiari drammatici nei quali, come sempre nella Duras, l'immagine della madre, groviglio di sofferenze enigmatiche e smisurate, resta centrale, inafferrabile, minacciosa e fragile. Come nelle altre opere, la Duras afferma di muoversi in una regione di verità quasi invisibili e decisive che si lasciano catturare soltanto grazie all'intraprendenza e all'audacia del procedimento narrativo. L'esplorazione del nesso ''amore-impossibile'' (come del nesso ''amore-desiderio'') è uno dei nuclei centrali della sua scrittura, dal tempo dei primi romanzi, sulla scia di Hemingway e di Faulkner degli anni Cinquanta. In seguito, attraverso la trasparenza quasi elementare del lessico e della sintassi, il suo stile, a volte rotto da punte stranamente manierate, enfatiche, oscure, si riallaccia a due grandi modelli, alla poesia dei troubadours e alla tragedia di Racine. "La letteratura è illegale oppure non è", afferma la Duras, ritrovando così un concetto di Bataille a proposito della ''Letteratura e il Male'', quello dell'enfantillage. I libri successivi, La douleur (1985; trad. it., 1985), Les yeux bleus cheveux noirs (1986; trad. it., 1987), Emily L. (1987; trad. it., 1988), si muovono nello stesso territorio, in maniera sempre più ellittica e condensata.

M. Yourcenar, prima donna a entrare nell'Académie Française, nel 1980, al posto di R. Caillois, conclude la cronaca familiare, o piuttosto il ''romanzo genealogico'' iniziato con Archives du Nord (1977; trad. it., 1982), in cui la minuzia dell'inchiesta (sulla sua famiglia in Belgio alla fine dell'Ottocento) sbocca in un'evocazione dei morti (fino alla preistoria dell'umanità), intorno a un centro, la vita tumultuosa e tragica del padre, unico personaggio a sfuggire alla "disfatta alchimica dell'essere umano".

Gli scrittori del Nouveau Roman, A. Robbe-Grillet, M. Butor, C. Simon, N. Sarraute, proseguono ciascuno nel proprio cammino.

Robbe-Grillet (Djinn, 1981; trad. it., s. d.) modella il suo racconto su una logica estranea (il sistema grammaticale dei modi e dei tempi): il testo è un gioco, con diverse utilizzazioni possibili, che trattiene nelle sue maglie come nei primi romanzi la fascinazione di una "vertigine fissa".

Butor prosegue la sua ricerca di un'architettura musicale, e s'interessa alle possibilità creative del campo audiovisivo nell'arte. Così Le rêve d'Irénée (1979), testo accompagnato da una cassetta letta dall'autore, si presenta come una sorta di sogno sull'immaginazione creatrice.

Simon, il più appartato degli scrittori del Nouveau Roman, premio Nobel 1985, nelle Géorgiques (1981) riafferma la sua maestria di narratore, riprendendo i suoi primi temi storici, quelli della Route des Flandres. Immenso collage, le Géorgiques collegano tre personaggi, tre luoghi, tre azioni principali attorno al tema della guerra (guerra civile spagnola, disfatta francese del 1940): il testo si costituisce in una straordinaria polifonia di voci.

Sarraute continua ad analizzare, attraverso spostamenti e ampliamenti di prospettiva, le situazioni di conflitto e di aggressione che aveva trattato nei suoi primi romanzi: l'inchiesta si estende dal piano psicologico al linguaggio stesso e al modo in cui gli altri, attraverso il linguaggio, ci foggiano: in ... disent les imbéciles (1976), per es., e poi nelle brevi prose (L'usage de la parole, 1980) ognuna delle quali mette in scena una singola parola oppure un'espressione e il linguaggio corrente; testi che sono altrettanti embrioni di fiction, ascolti microscopici del linguaggio e delle sue virtualità.

Sorprende il brusco cambiamento di stile romanzesco di P. Sollers, del gruppo fondatore della rivista Tel quel (1960): il suo Femmes (1983), sorta di descrizione a chiave del milieu intellettuale, richiama alla memoria i Mandarins di S. de Beauvoir, anche se in modi più violenti. Ma la sua immaginazione si esercita anche in una specie di lettura permanente e polivalente del mondo sensibile e artistico, come possibilità continua di allargamento degli orizzonti dell'esperienza.

In questo senso gli scritti critici (Théorie des exceptions, 1985, raccolta di saggi sulla letteratura − soprattutto del Settecento − sull'arte e sulla musica) e i romanzi (Portrait du joueur, 1984; Le coeur absolu, 1987; trad. it., 1988) sono collegati e dialoganti; dialoganti anche con Paradis (1981; trad. it., 1981; il cui titolo, oltre che a Dante, rimanda a Sade: "Tutto è paradiso in questo inferno"), testo di avanguardia, senza punteggiatura, uscito a puntate sulla rivista L'Infini, sostituitasi a Tel quel a partire dal 1983.

Nel gesto di sfida costante, lanciata fin dal primo racconto (Le défi, 1957), Sollers si propone di mostrare i rapporti tra piacere e conoscenza, grazie a un "cantare disincantato" diversamente modulato che egli afferma di prendere a modello dal clarinetto di Mozart.

G. Perec (1936-1982) prosegue la sua esplorazione delle risorse del linguaggio nel quadro delle ricerche dell'Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle), il laboratorio di letteratura sperimentale fondato da F. Le Lionnaise e da R. Queneau.

Egli scrive seguendo minuziose regole di composizione; nella linea di Roussel e di Queneau, è uno sperimentatore formale, appassionato di ricerca formale, aderente tuttavia alle realtà umane. Dal 1975 scrive frammenti di autobiografia come Je me souviens (1978; trad. it., 1988), un'autobiografia ''rovesciata'', che racconta, invece del passato più personale, quello più comune, e che dà luogo a una sorta di memoria collettiva (memoria dei clichés flaubertiani di una generazione). Il carattere ossessivo e ardito della sua sperimentazione letteraria risalta in W ou le souvenir d'enfance (1975), o ne La vie, mode d'emploi (1978; trad. it., 1984) in cui descrive un palazzo parigino e tutti i suoi occupanti, costruendo un'enorme macchina da racconto, con decine di personaggi e permutazioni calcolatissime degli elementi narrativi, fino a fissare nella mente del lettore le nozioni di necessità e di gratuità.

Nuovi romanzieri appaiono in quegli anni.

J. Echenoz (Le méridien de Greenwich, 1979; Cherokee, 1983; L'épopée malaise, 1986; Lac, 1989) è romanziere della sospensione del senso, della demolizione sorridente dei dogmi, degli spazi destrutturati e dei tempi fluttuanti. Le città in cui si muovono i suoi personaggi non hanno centro: siamo in una sorta di periferia mentale, percorsa da una scrittura ellittica, giocosa e sapiente.

J.-M. G. Le Clézio, detto J. M. G. (n. 1940), apparso nel 1968 come iniziatore di una nouvelle vague di romanzieri che intendono con la scrittura non più ''spiegare'' ma ''testimoniare'', creando così una nouvelle fable, continua la sua linea di una "classicità senza reale" (Bigongiari), e pubblica nel 1980 il suo capolavoro, Désert (trad. it., 1985). P. Modiano (n. 1945), il cui primo libro era anch'esso del 1968, pubblica una serie di romanzi sospesi tra ''vissuto e sognato'', nei quali i personaggi vengono sfigurati nel corso del tempo. Due giovani, B. Visage (n. 1952) e J.-N. Schifano, scelgono temi italiani; il primo, temi siciliani, in una scia che sta tra Sciascia e Brancati; il secondo, temi napoletani, tra Sciascia e D. Fernandez.

D. Sallenave (n. 1940) appartiene alla categoria degli scrittori colti, che costruiscono romanzo e critica con la stessa precisione concettuale e la stessa efficace semplicità. Les portes de Gubbio (1980), Un printemps froid (1983) e La vie fantôme (1986) trattano temi molto diversi, rivelando nell'autore, come in molti suoi contemporanei, un'attitudine ironica rispetto alle idées reçues della fine del secolo, di ascendenza flaubertiana.

A. Ernaux (n. 1940) fa sentire una voce di donna pacata e disperata nella precisione della descrizione dello scarto tra immagine sociale e realtà vissuta (per es., a proposito del rapporto figlia/madre, in La femme gelée, 1981).

T. Ben Jelloun (n. a Fez, Marocco, 1944) rappresenta la voce dell'Africa settentrionale. Dapprima poeta, scrive in seguito diversi romanzi sulle contraddizioni e le complessità di quella cultura (per es., La nuit sacrée, 1987, sugli esclusi della società del Maghreb, premio Goncourt).

J.-L. Schefer, conosciuto negli anni Settanta per i suoi saggi sulla pittura (P. Bordone, Paolo Uccello, Il Greco), su sant'Agostino (Saint Augustin ou l'invention du corps chrétien) e sul cinema (L'homme ordinaire du cinéma, 1980), si configura, con il romanzo Origine du crime (1985), come il primo erede di Proust nella letteratura francese della fine del secolo, come autore di una meditazione rinnovata sul tempo e sulla memoria, e sulla recherche stessa che suscita in noi: "Il libro è destinato a contenere l'oggetto più fragile del mondo, come se tutta la nostra scienza risiedesse tuttavia in esso". Il giovanissimo H. Guibert afferma in ogni suo testo una volontà di ''dire tutto'', nella direzione di Sade ("la philosophie doit tout dire"). I suoi primi romanzi (L'image-fantôme, 1981; Les lubies d'Arthur, 1983) rivelano un rigore e una padronanza insoliti nella descrizione e nella trasposizione letteraria dei problemi psicologici, familiari, esistenziali della sua generazione; fino al recentissimo Pour l'ami qui ne m'a pas sauvé la vie (1990), descrizione lucida della vita in attesa della morte che è quella del narratore malato di AIDS.

Tra i poeti, accanto a Y. Bonnefoy (n. 1923), figura centrale, poeta della meditazione, fedele alla sua antica idea di un ''Anti-Platon'' − nelle sue poesie (Dans le leurre du seuil, 1975) e nei saggi sulla letteratura (da Rimbaud, 1961, a Nuage rouge, 1977, e a Entretiens sur la poésie, 1981) o sull'arte (da Rome 1630, 1970, a Trois remarques sur la couleur, 1978) − emergono A. du Bouchet (n. 1924), discepolo di R. Char, esploratore sottile e intenso del "vuoto sempre reiterato" (Ici en deux, 1985); J. Dupin (n. 1927), che in Dehors (1975) enuncia, con la nozione di ''sentiero frugale'', la necessità di radici e di rigore nella lingua poetica; e, in una posizione a sé, tra poesia, filosofia e teologia, E. Jabès (n. 1912), la cui meditazione interrogativa sulla condizione ebraica, intorno alla nozione inesauribile di ''deserto'', prosegue nel Livre des ressemblances (1976), in relazione con l'esperienza poetica fondatrice di M. Jacob e con le ricerche di Blanchot e di Derrida.

M. Deguy (n. 1930), che dirige la rivista Poésie, nei suoi versi fa cozzare fra loro la prosodia di Du Bellay e quella dei poeti americani contemporanei, mentre J. Roubaud (n. 1932), poeta matematico vicino a Queneau − autore anche di vari romanzi (La belle Hortense, 1985, trad. it., 1989; L'enlèvement d'Hortense, 1987, trad. it., 1988; L'incendie de Londres, 1989) −, impianta la sua poesia su una serie di costruzioni formali molto serrate, e sollecita in altra direzione le possibilità narrative contenute − e inesplorate − nel tessuto del discorso poetico antico (testi dei troubadours, tesoro del sonetto).

In disparte, o quasi, J. Réda (n. 1929), piéton de Paris, che passa da una prosodia di stile classico, quella del passo tranquillo, a una poesia mossa, irregolare, pressante, in cui si riconoscono i ritmi del jazz (L'improviste, 1980).

Quanto ai poeti di Tel quel, essi interrogano in modi diversi la nozione stessa di poesia.

M. Pleynet (n. 1933) analizza e sovverte il rapporto tra ''canto'' e ''critica'' (Stanze. Incantation dite au bandeau d'or, 1973; Fragments du Choeur, 1980; L'amour vénitien, 1988). D. Roche (n. 1937) contesta le diverse convenzioni che fondano la poesia ed esplora le possibilità della fotografia e il linguaggio del romanzo, occasione di un'autobiografia composita (Louve basse). J. Risset, a partire dalla pubblicazione di Jeu (1971), sperimenta le ''cellule minimali'' della fiction (Mors, 1977; La traduction commence, 1978) e la ''musica amnesica'' legata agli istanti staccati dalla trama biografica (Sept passages de la vie d'une femme, 1986; L'amour de loin, 1988).

Tra i poeti che derivano da Tel quel, quelli che si raccolgono attorno alla rivista TXT riprendono alcune direzioni della lingua poetica francese poco frequentate in tempi recenti (il polilinguismo di Rabelais e quello di Artaud): la violenza che si esercita, contro il linguaggio stesso, nei testi di C. Prigent (L'oeuf-glotte, 1976) o di J.-P. Verheggen, nato nel 1942 (Degré zorro de l'écriture, 1978), nel desiderio di fondare una lingua nuova, si ritrova anche nel linguaggio teatrale di V. Novarina, nato nel 1942 (Les discours aux animaux, 1975). Un'ansia nuova di narrativa si percepisce nelle ricerche, ancora legate alla poesia del ''bianco'' di mallarmeiana memoria, di A. Veinstein, Cl. Royet-Journoud, A.-M. Albiach, Cl. Esteban.

La suddivisione stessa prosa-poesia appare spesso come una mera sopravvivenza, anche se negli ultimi anni indica un nuovo interesse per le forme fisse del passato (a partire dalle ricerche di J. Roubaud sui troubadours). I nuovi scrittori distruggono la nozione di genere anche all'interno di una singola composizione; la poesia e la prosa possono cambiare funzione e attributi rispettivi, come fanno la poesia e la critica. La poesia francese contemporanea ci riporta così alla problematica centrale della letteratura attuale, quella dello scrittorelettore, che cita, paròdia, riscrive, canta e critica in un unico gesto.

Bibl.: Opere generali: AA. VV., Dictionnaire de la littérature française contemporaine, Parigi 1977; AA. VV., La littérature en France depuis 1968, ivi 1982. Sulla critica: G. Delfau, A. Roche, Histoire et interprétation du fait littéraire, Parigi 1977; J. Bellemin-Noël, Psychanalyse et littérature, ivi 1977; AA. VV., R. Barthes, ivi 1977; R. Fayolle, La critique, ivi 1978. Sul romanzo: J. Ricardou, Le Nouveau Roman, Parigi 1979; R. Barthes, Sollers écrivain, ivi 1979; AA. VV., G. Perec, ivi 1980; A. Vircondelet, M. Duras, ivi 1980; H. Mitterand, Le discours du roman, ivi 1980; P. Ricoeur, Temps et récit, ivi 1984; B. Valette, Esthétique du roman moderne, ivi 1985; R. Paris, Cronache francesi, un panorama della nuova narrativa francese, Bologna 1989. Sulla poesia: H. Deluy, L'anthologie arbitraire d'une nouvelle poésie, Parigi 1983; J. Thélot, Poétique de Bonnefoy, Ginevra 1983; Ph. Delaveau, La poésie française au tournant des années 80, Parigi 1988; J. Risset, M. Pleynet, ivi 1988. Sul teatro: A. Simon, Le théâtre à bout de souffle, Parigi 1979; M. Corvin, Le théâtre nouveau en France, ivi 1980.

Archeologia. - I progressi compiuti dalla ricerca archeologica in F. sono stati, negli ultimi dieci anni, molto consistenti. Numerosi nuovi insediamenti sono stati scavati per l'età del Bronzo, mentre un interesse particolare è stato dedicato all'emergenza dei potentati territoriali, alla nascita dei villaggi e alla formazione delle aristocrazie dell'età del Ferro (cultura di La Tène). Alla creazione di queste complesse strutture sociali hanno indubbiamente contribuito la fondazione della colonia focea di Massalia (Marsiglia) e le rotte commerciali che dall'Etruria giungevano in Corsica e nella Provenza. Si ricordano le indagini effettuate nell'abitato di Saint-Blaise (Bocche del Rodano), con la scoperta di numerose abitazioni nell'oppidum arcaico di 5,5 ha, e i progressi compiuti nella stessa Marsiglia, con lo scavo di un'area portuale attiva sin dal 4° secolo a.C. A Hyères-Olbia (Var) sono continuate le ricerche nella città fondata da coloni marsigliesi nel 330 a.C., e nella necropoli di Agde (Hérault) le tombe dell'età del Ferro (circa 170) hanno rivelato una ricca messe di oggetti metallici e di vasi del 7° e 6° secolo a.C.

Notevoli scoperte si sono registrate anche per la cultura celtica con lo scavo nelle necropoli; si possono segnalare i rinvenimenti da Agris (Charente: un elmo in ferro, bronzo, argento e oro databile al 320 circa a.C.), da Mailly-Le-Camp (Aube: torques d'oro del 1° secolo a.C.), da Mailleraye-sur-Seine (Senna Marittima: deposito di oggetti in ferro). Nuovi dati emergono anche dagli abitati del 1° secolo a.C. come a Bibracte (Mont Beuvray; Nièvre), dove è stata messa in luce una cinta muraria che racchiude una città di 130 ha, a Villeneuve SaintGermain (Aisne), con la scoperta di numerose abitazioni circondate da due ampi fossati e da un aggere, e a Paule (Côtes-du-Nord), dove è stata identificata una statuetta in pietra raffigurante una divinità con lira e una torques al collo, databile al 1° secolo a.C.

Lo scavo del santuario gallico a pianta quadrata di Guarnay-sur-Aronde (Oise), in vita tra circa il 300 e il 60 a.C., ha reso una quantità notevole di oggetti in ferro (umboni, spade, lance, punte di aratri dedicati alla divinità del luogo), mentre è stata rinvenuta a Saint-Maur-en-Chausse (Oise) la statua del dio guerriero in bronzo, databile al 1° secolo a.C., nel ripostiglio di un santuario gallo-romano di origine celtica.

Anche per l'età romana si possono aggiungere nuovi dati alla già sterminata bibliografia archeologica nota. A Lione-Lugdunum (Rodano) sono stati investigati analiticamente 4 ha all'interno della città antica con l'individuazione di diverse fasi successive: dall'impianto anteriore alla conquista romana (1° secolo a.C.) al momento della fondazione della colonia (15 a.C.-15 d.C.), quindi la fase di grande espansione edilizia, connotata da una serie di edifici con pianta stereotipata, a cui succede la costruzione di un grande impianto monumentale costituito da un tempio e da una serie di criptoportici (15-50 d.C.). Segue infine la fase (fino al 300 d.C. circa) in cui si sovrappongono, attorno al complesso, numerosissime abitazioni private spesso distrutte da incendi. Altre scoperte si registrano a Eu (Senna Marittima), con un teatro e un fanum, e a Aix-en-Provence (Bocche del Rodano), dove una nuova abitazione con terrazze e giardini ha restituito pannelli dipinti con candelabri e maschera teatrale della metà del 1° secolo a.C. Sempre nel campo della pittura parietale vanno segnalate le scoperte di Narbonne (Aude: Clos-de-laLombard, con scena raffigurante un genio e una vittoria alata fra altre divinità; seconda metà del 2° secolo d.C.) e di Famars (Nord: Jardin-à-Pois), dove un insieme di dipinti proviene da un ipocausto: le scene sono composte da elementi architettonici all'interno dei quali sono disposti anche un'imago clipeata e gorgoneia, databili fra la fine del 2° e l'inizio del 3° secolo d.C. Da Lione, nei pressi del teatro antico, provengono infine alcuni pannelli con candelabri e rappresentazione di una musa, anch'essi databili al 2°-3° secolo d.C.

A Parigi sono continuati gli scavi sotto la piazza di Notre-Dame, che, oltre a individuare chiare tracce di epoca celtica (ritrovate peraltro anche nella necropoli del giardino del Luxembourg), hanno consentito di chiarire ulteriormente lo sviluppo urbanistico della Lutetia romana, una ''città doppia'', costituita dall'isola (resti di un muro di un edificio monumentale, forse una basilica civile, di fronte alla Prefettura di polizia; fortificazioni della seconda metà del 3° secolo d.C., dopo una distruttiva invasione germanica; resti di un'abitazione del 4° secolo, ecc.) e dall'insediamento della ''riva sinistra'' (foro, terme, anfiteatro, teatro piccolo, ecc.), fortemente compromesso dalle invasioni e distruzioni del 3° secolo.

Nuove scoperte si registrano nel campo degli insediamenti rurali e delle attività legate all'artigianato e al commercio: le cantine di un ricco vignaiolo di Donzère (Drôme), gli oggetti in ferro per il lavoro nei campi, di epoca galloromana e tardo imperiale provenienti da Bliesbruck e Sarreinsming (Mosella), la grande villa gallo-romana con ampia corte residenziale (1°-3° secolo d.C.) a Châtillon-sur-Serche (Ille-et-Vilaine) o l'insediamento agricolo tardoantico di Castellu (Alta Corsica), possono essere alcuni fra i più importanti esempi. Di grande interesse è il complesso artigianale (vascolare soprattutto) scavato a Sallèles d'Aude (Aude), dove sono state ricostruite migliaia di anfore (Gauloise 4 del 2° secolo d.C.) e di tegole; né si possono dimenticare i contributi forniti in questo settore della ricerca dall'aerofotogrammetria e dalle prospezioni magnetiche, discipline nelle quali la F. è all'avanguardia.

Lo stesso si può dire dell'archeologia sottomarina con il rilevamento di relitti contenenti veri e propri tesori, come nel caso di quello fluviale di SaintGermain-du-Plain (Saône-et-Loire), carico di coppe e skyphos d'argento del 1° secolo a. C., di Madrague-du-Giens (Var) con 600 anfore (Dressel 1b) databile fra il 75 e il 60 a. C.; di Port Cros (Var) con lingotti di ferro e di stagno (2° secolo a. C.), di Bonifacio (Corsica meridionale) e di Golfe Saint-Juan (Alpi Marittime) del 1° secolo a. C.; infine il relitto di Perros Guirec (Côtes-duNord; 4° secolo d. C.) carico con 22 tonnellate di lingotti di piombo.

Per quel che concerne i luoghi di culto, particolarmente interessante è l'attestazione di un dittico eburneo da Grand (Vosgi: 2° secolo d. C.) con raffigurazione dei segni zodiacali; la scoperta, nel santuario di Saint-Marcel (Indre), di una serie di statue di pietra rappresentanti personaggi seduti di fronte a un tavolo (2° secolo d. C.) o del gruppo di statue decorante il santuario delle acque di Gennainville (Val d'Oise) della metà del 2° secolo d. C. Sviluppate anche le ricerche sugli accampamenti militari, come per es. quelle svolte a Jublains (Mayenne) del 3° secolo d. C., e a Boulogne-sur-Mer (Pas-de-Calais) dal 1° al 3° secolo d. C. Molto interessante, infine, è il tesoro appartenuto a un militare proveniente da Lione, databile alla metà del 3° secolo d. C., che contiene anelli, fibbie, un gladio e un gran numero di antoniniani argentei. Vedi tav. f.t.

Bibl.: M. Clavel Lévêque, Cadastres et espace rurale. Approches et réalités antiques (Besançon 1980), Parigi 1983; P. Debord e altri, Bordeaux Saint-Christoly, sauvetage archéologique et histoire urbaine, Bordeaux 1985; Le territoire de Marseille grecque, in Etudes Massaliètes, a cura di M. Bats, H. Trezigny, Aix en Provence 1986; J. L. Bruneaux, Les Gaulois, sanctuaires et rites, Parigi 1986; A. Ferdière, Les campagnes en Gaule Romaine, ivi 1988; Orfèvrerie gallo-romaine. Le trésor de Rethel, a cura di F. Baratte, F. Beck, ivi 1988; A. Nickels e altri, Agde, la nécropole du Ier âge du Fer, 19° suppl. à la Revue Archéologique de Narbonnaise, 1989; A. Duval, L'art celtique de la Gaule au Musée des Antiquités Nationales, Parigi 1989; AA. VV., Trésors d'orfèvrerie gallo-romaine, ivi 1989; P.M. Duval, Travaux sur la Gaule 1946-1986, 2 voll., Ecole Française de Rome, Roma 1989; A. Barbet e altri, Les peintures d'Aix en Provence, in Actes de Vaison la Romaine, in corso di stampa. In generale: B. Liou, P. Pomey, Informations archéologiques. Recherches sous-marines, in Gallia, 43 (1985); AA. VV., Archéologie de la France, 30 ans de découvertes, Parigi 1989.

Archeologia medievale. - I dati che l'archeologia medievale francese ha portato alla luce negli ultimi decenni contribuiscono in modo fondamentale al chiarimento e alla definizione di rilevanti aspetti del Medioevo; essi riguardano sia la vita quotidiana con i suoi ambienti, i suoi strumenti, i suoi usi alimentari, sia la produzione artistica, per la quale sono stati acquisiti nuovi fondamentali documenti di architettura, scultura e oreficeria.

Tra gli scavi, i cui risultati sono stati pubblicati negli ultimi due decenni, almeno quattro appaiono di particolare rilevanza; oltre che per l'entità dei loro risultati, essi sono infatti per molti versi esemplari della pluralità e problematicità delle metodologie seguite, nonché della varietà delle finalità che oggi segnano la crescita e lo sviluppo dell'archeologia medievale.

Gli scavi di Rougiers (dip. Var) costituiscono senza dubbio il caso francese più rilevante di archeologia programmata allo studio totale di un sito abbandonato. Iniziati nel 1961 e protrattisi per circa quindici anni, essi sono stati pubblicati nel 1980 da G. Demians d'Archimbaud. Teatro dello scavo fu il sito abbandonato di Rougiers, ubicato su un rilievo della Provenza, costituito da un castello con mastio e da un sottostante villaggio dove, oltre a numerose abitazioni, sono state archeologicamente indagate cisterne, grotte, fontane e una forgia. Scopo della ricerca è stato il recupero di ogni traccia dell'insediamento umano in un sito il cui abbandono comporta la cesura dello sviluppo storico in un preciso momento; la cospicua serie di documenti rinvenuti è analiticamente esaminata nella monumentale pubblicazione degli scavi, preziosa anche come catalogo di monete, forme e decorazioni ceramiche, oggetti metallici, vetri, oltre che naturalmente per la storia dell'architettura militare e civile.

D'impronta totalmente diversa lo scavo che ha portato al recupero del chiostro della chiesa di Notre-Dame-en-Vaux a Châlons-surMarne; in questo caso lo scavo fu mirato al recupero non solo del tracciato del chiostro, ma soprattutto della sua decorazione plastica − statue-colonna e capitelli − che un'attenta lettura delle architetture sorte nel luogo dopo la distruzione del chiostro aveva individuato reimpiegate come materiale da costruzione.

Lo scavo, condotto tra il 1963 e il 1976, è stato preceduto e costantemente accompagnato da un'operazione di ''archeologia verticale'', mirata all'individuazione dei materiali, al loro recupero, effettuato con l'abbattimento degli edifici che li avevano inglobati, e al loro studio nel quadro della possibilità di ricomposizione del complesso architettonico plastico. Del chiostro, che era stato costruito verso il 1170-80 accanto alla chiesa romanica e che fu distrutto tra il 1759 e il 1766, è stato recuperato l'intero tracciato delle fondamenta delle quattro gallerie e approssimativamente i tre quarti delle arcate (S. e L. Pressouyre, 1978). Straordinaria è la qualità delle sculture già presaghe della capacità di creare e animare lo spazio propria della statuaria gotica, pur in un vissuto formale e strutturale ancora sostanzialmente romanico.

Rinvenimento decisamente casuale è stato invece quello di ben 364 pezzi provenienti dalla cattedrale di Notre-Dame a Parigi, avvenuto nell'aprile 1977, durante i restauri dell'Hôtel Moreau, sede della Banque Française du Commerce Extérieur, in rue de la Chaussée d'Antin.

In una fossa, che appare chiaramente scavata per custodirli, sono venuti alla luce frammenti di statue, soprattutto alcune teste, che l'indagine storica ha permesso d'identificare come parti di quella statuaria di NotreDame che gli eccessi della Rivoluzione francese coinvolsero nell'eliminazione dei segni del potere reale. L'abbattimento delle statue fu decretato nel luglio del 1793 e fu effettuato tra il settembre e l'ottobre dello stesso anno; abbandonati sul marciapiede davanti a Notre-Dame i pezzi trovarono un acquirente solo nel 1796. Fu così che le statue arrivarono nel cantiere della casa che J.-B. Lakanal si stava facendo costruire in rue de la Chaussée d'Antin; una parte di esse fu probabilmente inglobata nelle fondazioni e nei muri, mentre altre furono seppellite con molta cura nella corte. Esse formano un complesso stilisticamente tutt'altro che unitario; il loro studio ha però consentito d'individuarne la pertinenza ad alcuni tra i più importanti gruppi scultorei di Notre-Dame.

I frammenti più antichi provengono dal portale destro della facciata, il cosiddetto portale di S. Anna; grazie a un'incisione pubblicata da Bernard de Montfaucon (Monuments de la monarchie française, Parigi 1729) è stato possibile procedere all'individuazione e alla ricomposizione di un gran numero di pezzi delle figure di re e regine della dinastia di Giuda nonché di quelle di s. Pietro e s. Paolo; le figure erano state realizzate in gran parte verso il 1150 per l'antica cattedrale merovingia di Saint-Etienne ed erano state rimontate verso il 1210 nella facciata in via di esecuzione della nuova cattedrale.

Una testa d'angelo, databile verso il 1210-20, è invece l'unica parte consistente attribuibile con certezza al portale di sinistra o dell'Incoronazione della Vergine, un complesso noto solo attraverso una modesta incisione del 18° secolo. Il frammento, di altissima qualità, si colloca tra le più notevoli realizzazioni della scultura dei primi decenni del Duecento e "obbliga a ripensare globalmente il ruolo di questo portale nel panorama della scultura dell'inizio del 13° secolo" (Erlande-Brandenburg, in Notre-Dame de Paris, Firenze 1980).

Al portale centrale dedicato al tema del Giudizio Universale, anch'esso noto solo da testimonianze iconografiche del 18° secolo, sono riferibili due frammenti di apostoli e un personaggio sotto una mensola. A questo complesso può anche attribuirsi un frammento di torso di apostolo ripescato nella Senna nel 1880 e oggi conservato al Musée Carnavalet.

Il maggior contributo alla conoscenza della scultura di Notre-Dame è stato però dato dall'individuazione, tra le varie teste scoperte nel 1977, di quelle che decoravano la Galleria dei re; si tratta della struttura che segna orizzontalmente la facciata al di sopra dei tre portali e dove, prima della Rivoluzione, erano inserite 28 statue alte più di tre metri e mezzo. Esse corrispondevano alle figure dei 28 re antenati di Cristo, secondo l'enumerazione che ne fa Matteo; le statue furono eseguite verso il 1230 da maestri diversi, tra i quali alcuni, come l'autore di quella catalogata col numero 6, già precorritori del grande sviluppo della statuaria degli anni intorno al 1240. Le cospicue tracce di colore individuate su alcune (giallo sui capelli, rosso per le bocche, nero per le pupille e i sopraccigli, rosa per le guance) sono un contributo straordinario alla conoscenza del ruolo del colore nella scultura medievale; il tema della policromia si va sempre più chiarificando negli studi sulla scultura grazie al numero via via crescente di osservazioni che dimostrano il ruolo della scultura policroma anche nel contesto architettonico.

Al portale del braccio nord del transetto sono stati riferiti altri frammenti tra i quali una testa femminile e due maschili, una delle quali, coronata, è stata individuata come la testa di un re mago.

L'ultimo grande scavo archeologico è quello che si svolse tra il 1983 e il 1985 nella Cour Carrée del Louvre; il cantiere si aprì nel quadro del progetto Grand Louvre allo scopo di recuperare quelle tracce che l'indagine sul Louvre medievale, condotta nel 1866 da A. Berty, aveva parzialmente individuato e per approfondirne la conoscenza. L'indagine, condotta da M. Fleury e V. Kruta, ha ampiamente superato le aspettative iniziali, riportando alla luce per ampia parte il castello eretto da Filippo Augusto alla fine del 12° secolo, gli ampliamenti operati da Carlo v che lo trasformarono in una prestigiosa residenza reale, nonché cospicue testimonianze della vita del castello, da quelle più importanti come le armi da parata di Carlo vi, a quelle che riflettono la realtà della vita comune come monete, vasellame o resti di animali che sono documento degli usi alimentari.

Il castello di Filippo Augusto fu eretto circa tra il 1190 e il 1202 nel quadro dell'opera di fortificazione della città, prima della partenza del re per la Crociata; centro del complesso era il grande mastio circolare − circa 15 metri di diametro e più di 30 di altezza − che sorgeva isolato, circondato solo da un fossato, al centro di un recinto quadrangolare, scandito all'esterno da dieci torri semicircolari. La celebre immagine del castello, miniata sullo sfondo della scena dei lavori agricoli previsti nel mese di ottobre nelle Très Riches Heures du duc de Berry, dà un'immagine, sostanzialmente confermata dagli scavi, dei lati meridionale e orientale del castello, dopo i lavori di ristrutturazione e ampliamento operati da Carlo v tra il 1360 e il 1380. Essi trasformarono una fortificazione medievale in uno dei palazzi reali più famosi, sede tra l'altro nella Tour de la librairie della biblioteca di Carlo v, passata poi a costituire uno dei nuclei fondamentali della Bibliothèque Nationale. Vedi tav. f.t.

Bibl.: F. Giscard d'Estaing, M. Fleury, A. Erlande-Brandenburg, Les Rois retrouvés, Parigi 1977; A. Erlande-Brandenburg, D. Kimpel, La statuaire de NotreDame de Paris avant les destructions révolutionnaires, in Bulletin Monumental, 136 (1978), pp. 213-66; S. e L. Pressouyre, Le cloître de Notre-Dame-en-Vaux, in Monuments historiques, 3 (1978), pp. 1-16; Résurrection d'un cloître roman: Notre-Dameen-Vaux, a cura di S. e L. Pressouyre, Roma 1979; Notre-Dame de Paris. Il ritorno dei Re, Catalogo della mostra, Firenze 1980; G. Demians d'Archimbaud, Les fouilles de Rougiers (Var). Contribution à l'archéologie de l'habitat rural médiéval en pays mediterranéen, Parigi 1980; M. Fleury, Les fouilles de la Cour Carrée du Louvre, in Archeologia, 197 (1984), pp. 20-29; M. Fleury, V. Kruta, Premiers résultats des fouilles de la Cour Carrée du Louvre, in Comptes Rendus de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 1985, pp. 649-70; Découvertes dans la Cour Carrée du Louvre, in Archeologia, 210 (1986), pp. 6-7; AA.VV., Les fouilles de la Cour Carrée du Louvre, in Dossiers. Histoire et Archéologie, 110 (1986); AA.VV., Il Castello del Louvre ritrovato. Scavi nella Cour Carrée. 1983-1985, Milano 1986; AA.VV., L'enceinte et le Louvre de Philippe Auguste, Parigi 1988.

Arte. - Negli anni Ottanta il processo d'internazionalizzazione e l'intervento dei mass-media nell'arte, iniziato nel decennio precedente, si è accentuato, influenzando le situazioni locali nazionali. Anche se l'arte francese è nel complesso poco presente al di fuori dei suoi confini, eccezion fatta per qualche personalità di spicco, tuttavia partecipa alle grandi tendenze intellettuali che negli ultimi anni hanno dato vita al dibattito fra posizioni divergenti. Il venir meno della filosofia, della teoria e delle ideologie ha comportato l'abbandono della fede nella verità dei modelli e il rifiuto dei dogmi, favorendo l'atteggiamento individualista, l'apertura a una concezione non modernista dell'arte e una considerazione della storia di rottura con la linearità del progresso. Il campo della cultura si è ampliato, inglobando elementi popolari, dei media ed economici del nostro universo quotidiano.

Caratteristica dell'arte degli anni Ottanta è la grande varietà di pratiche e, in F. in modo particolare, lo sviluppo delle istituzioni, del pubblico e più recentemente del mercato artistico.

Per alcuni artisti, che hanno iniziato a operare negli anni Settanta o Sessanta, questi sono stati gli anni della maturità e la loro arte ha rappresentato un punto di riferimento per un'intera generazione, sia che ne abbia seguito le tracce, sia che ne abbia rifiutato la presenza troppo ingombrante. Questi artisti, nel culmine della loro carriera, sono anche quelli che in F. godono della maggiore risonanza internazionale.

D. Buren (n. 1938), che nel 1986 ha vinto il Gran Premio della Biennale di Venezia, è presente su tutti i fronti: conduce intensamente la sua battaglia di rimessa in discussione e di analisi delle condizioni materiali e ideologiche del sistema artistico. Crea dispositivi sempre più complessi, come Le Corridorscope della mostra Points de vue tenuta all'ARC a Parigi nel 1983: essi coinvolgono allo stesso tempo il luogo dell'opera − in questo caso il museo in quanto istituzione che condiziona l'atto visivo − e lo spettatore, che percorre le sale del museo guardando quello che Buren gli vuole far vedere. La funzione critica ha dunque coinvolto il sistema globale dell'opera d'arte e le righe sono soltanto un ''utensile visivo'', che da lontano richiama la funzione critica, del quadro, oggetto e mercanzia.

Negli anni Settanta Ch. Boltanski (n. 1944) aveva esplorato il gioco della memoria individuale e collettiva, contraffacendo i dati della sua infanzia vera e immaginaria, il banale innalzato al posto dell'arte: piccoli oggetti fabbricati o fotografie ritrovate e anonime costituivano allora i materiali dell'opera. Banali anche le fotografie composte che rimandano agli stereotipi delle attività infantili o del suo mondo. Verso la metà degli anni Ottanta Boltanski si addossa nei suoi Monuments la carica emotiva della storia, pur senza affrontare avvenimenti particolari: le fotografie di bambini ammassate e debolmente illuminate da ghirlande elettriche sono veri e propri ex voto, che egli chiama Leçon de Ténèbre. L'anonimato di questi ritratti o dei mucchi di vestiti evoca in forma morbosa e dolorosa i monumenti ai caduti e gli ossari dell'olocausto.

Anche J.-P. Raynaud (n. 1939) ha orientato il suo lavoro di questi anni verso il monumento, utilizzando sempre in maniera ossessiva il suo materiale prediletto, la mattonella di ceramica bianca, evocatrice di asettici luoghi di cura. Se ha continuato a trasformare la sua casa, interamente rivestita all'interno di questo materiale, in un luogo che rappresenta la sua critica presa di distanza dal nostro mondo, la sua opera si è diversificata: stele, edicole per fragili foglie di edera che bisogna rinnovare ogni giorno; allineamento, nel 1985, nelle sale di un museo di una cinquantina di letti d'ospedale, che creano così uno iato col museo, luogo di deposito delle opere. Il progetto di fossilizzazione di una torre abitativa di un grande insieme a destinazione sociale è un'apertura sul mondo esterno e un'affermazione critica dei nostri spazi urbani antagonisti dell'universo mentale personale, e costituisce la maggior espressione del suo investimento artistico.

Nel 1985 Christo, che era stato dapprima vicino ai Nouveaux Réalistes come Raynaud, riuscì in un'operazione pensata e progettata da molti anni: l'impacchettatura del Pont Neuf di Parigi, che fu un successo sotto numerosi punti di vista, tanto sul piano estetico − grazie a una realizzazione perfetta e alla scelta di materiali visivamente efficaci − quanto su quello della risonanza dell'opera; il pubblico parigino si entusiasmò, interpretandola, però, più come uno scherzo o un'operazione pubblicitaria che come un'opera d'arte, che voleva attirare lo sguardo su alcuni aspetti della vita quotidiana.

C. Viallat (n. 1936) fu compagno e membro del gruppo Support-Surface, che agli inizi degli anni Settanta conduceva l'analisi formale, politica e psicanalitica della pittura e delle sue componenti materiali e ideologiche. Negli anni Ottanta, ripresosi la sua libertà, ha potuto esprimersi da colorista qual è e sviluppare un mondo pittorico usando i più svariati supporti, quali tele di tende, camicie, fodere di poltrone, porte, ombrelli. È l'erede di Matisse nel colore e dei grandi dell'espressionismo astratto americano nell'energia pittorica, lontano dalla figura, avendo adottato dalla fine degli anni Sessanta una forma che ripete e varia all'infinito.

La fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta sono stati segnati da una decisa inversione di tendenza della pittura, innegabile nel campo estetico contemporaneo. Se la pittura continua a essere presente sotto le forme piuttosto astratte prodotte da Support-Surface, essa diviene soprattutto un teatro di figure, e si assiste allora a una vera e propria esplosione pittorica, dopo anni di performances, ricerche sull'immateriale dell'opera, situazioni e comportamenti. Sono stati soprattutto alcuni pittori molto giovani, come R. Combas, F. Boisrond, H. Di Rosa, J.-C. Blais, ecc., a condurre questo movimento che presto ha preso il nome di Figuration libre.

Bisogna distinguere diverse tendenze nell'uso della figura nell'arte di questi anni. Esiste una tendenza ''selvaggia'', che afferma una posizione spontanea rispetto alla creazione e un radicale dubbio sulla gerarchia dei valori: Combas, Boisrond e Di Rosa s'impadroniscono del mondo dei fumetti per farlo agire nei loro quadri: la sfera del quotidiano, l'aggressività, i mostri e la libertà della composizione sono fra le loro caratteristiche salienti; questi artisti hanno fatto il loro apprendistato sul campo e a poco a poco la loro pittura ha guadagnato in qualità, contraddicendo in qualche modo l'intuizione e l'istinto che aveva preso per guida. J.-M. Alberola, J.-Ch. Blais, G. Garouste e L. le Groumellec rappresentano il lato chic (C. Francblin) della Figuration libre. Pongono le radici della loro arte e trovano i loro soggetti nell'universo colto della storia dell'arte: opere di citazione, ma di citazioni sapienti, con elaborate tecniche tradizionali in Garouste, che sviluppa diversi cicli mitologici, personali come L'Indien o letterari come l'attenta lettura della Divina Commedia di Dante. Sebbene dipinga su manifesti strappati, Blais fin dall'inizio cita Matisse, Malevič e Léger, soprattutto nelle opere esposte in occasione della mostra organizzata da B. Lamarche Vadel, che nel 1981 ha presentato per la prima volta questi pittori col titolo Finir en beauté: fine di un'epoca e promessa di un'altra.

Se la presenza della figura ''esplicita'' è caratteristica della pittura degli anni Ottanta, anche sul piano internazionale, essa è velata, frammentata e nascosta nelle opere degli artisti che hanno subito l'influenza o l'insegnamento di Support-Surface. Così per A.-M. Pecheur un reticolo complesso di forme o di incastonature colorate dissimula frammenti di figure derivati da un repertorio che va dal fumetto alle pitture romaniche catalane: niente più è visibile di queste origini, solo un brulichio di colore anima la superficie pittorica. D. Gauthier introduce in maniera più appariscente e barocca la figura che irrompe nel processo astratto della composizione pittorica. Frammento di storie, la figura, come sottolineava la mostra Fragments et figures tenuta a Bordeaux nel 1982, è partner obbligatoria di un nuovo approccio pittorico allo sbocco del modernismo. Sia artisti giovani come B. Pifaretti e Y. Reynier, che meno giovani come F. Rouan, tramite l'intreccio se ne servono come elementi della struttura pittorica. Altri la usano come un elemento allo stesso tempo dissociato dalla composizione e rivelatore della tecnica pittorica, emergenza dal magma in Dalbis, citazione esarcebata in L. Cane o gioco sottile di trasparenze e di meccanismi di produzione del disegno in Buraglio. Questa tendenza dell'arte francese, prodotto di un movimento che negli anni precedenti ha concentrato su di sé la perennità della pittura, si ricollega a una tradizione pittorica degli anni Cinquanta riscoperti e rivalutati.

Bisogna sottolineare che il ruolo di comunicazione o di messaggio politico o sociale immediato attribuito alla figurazione pittorica negli anni Sessanta è stato abbandonato anche da quelli che un tempo erano stati vicini al realismo o all'iperrealismo come G. Gasiorowski. Morto nel 1986, negli ultimi anni di vita ha concentrato la sua riflessione su una specie di equivalenza fra il gesto pittorico e la regressione, costruendo o esorcizzando attraverso la sua opera un mondo intimo e personale mitico: al discorso sociale si è sostituito quello individualista dell'artista. Altri al contrario hanno esaltato il piacere del fare: J. Le Gac (n. 1936), lavorando negli anni Settanta a un discorso reale/immaginario sulla vita di un pittore, di cui numerosi tratti sono autobiografici, mostra un vero diletto nella realizzazione di pastelli tratti dalle illustrazioni infantili e naïves delle letture della sua infanzia, come se il solo scopo dell'arte fosse produrre queste immagini piacevoli e desuete. Il lavoro misterioso di un'archeologia fittizia per A. (n. 1942) e P. Poirier (n. 1942) si è trasformato in questi anni in una seduzione teatrale dei materiali che rievoca il mondo antico. Sarkis (n. 1938), ''capitano'' di un esercito di segni, di cui tesse le reti di significati, dal ''tesoro di guerra'' alla mitica ''Lulu'', crea un'opera di cui ogni manifestazione arricchisce il senso globale, allo stesso tempo personale e disincantato discorso sul mondo. J.-P. Bertrand, che un tempo fissava in cortometraggi avvenimenti anodini (gocce di pioggia, cambiamenti di luce), usa gli argomenti simbolici che trova in racconti mitici o romanzeschi come materia per impregnare discretamente il supporto cartaceo: le superfici ''pittoriche'' ci sono presentate, ieratiche, a uno stadio della loro trasformazione che deve sfociare nella sparizione dei colori.

Uno dei grandi dibattiti degli anni Settanta ha riguardato la fotografia e la sua configurazione come arte. Negli anni Ottanta alcuni artisti hanno utilizzato la fotografia e le procedure che permette di realizzare, come mezzi artistici. A fianco di Ch. Boltanski, Le Gac e numerosi altri, episodicamente, se ne servono o come costruzione per la presentazione del reale, o come un mezzo privilegiato di produzione di immagini; la fotografia è usata in tecnica mista con la pittura o con altre forme per produrre il sorgere o lo sparire delle immagini.

La fotografia è usata anche come strumento di narrazioni o di fantasie. G. Rousse dipinge forme geometriche o figure che solo la fotografia è in grado di restituire dal suo punto di vista privilegiato. L'effetto che ne deriva è quello di un'ambiguità fra il fotografico e il pittorico accentuata dalla dimensione molto grande delle stampe e dal colore fiammeggiante del Cibachrome.

P. Kern assembla oggetti e arnesi di scarto e li dipinge prima di fotografarli, così come P. Mercier fa con la carne o con la creta: il risultato è la creazione di un teatro del vero e del falso che la fotografia unisce in un'ambigua percezione. P. Tosani fotografa oggetti di sua fabbricazione o ritratti attraverso superfici più o meno trasparenti che trasformano completamente la natura del modello, prima di scegliere superfici più o meno lisce di cucchiai o pelli di tamburo che egli isola in ingrandimenti fino a rivelarne i riflessi e le asperità. La stessa derealizzazione è raggiunta da B. Faucon con sofisticate messe in scena: manichini, lanci di palloni, sfera di fuoco sospesa nello spazio, camera ricoperta d'oro. Per Mogarra la messa in scena è quella degli oggetti ordinari: pezzi di cartone, oggetti in plastica, mazzi di fiori che costituiscono altrettante forme di derisione dei miti del lusso e delle vacanze esotiche. Con T. Drahos e J.-Ch. Blanc la fotografia è lacerata, strappata, talvolta ricostituita, poi nuovamente fotografata al fine di divenire opera pittorica. L. Jammes, compagno dei pittori di Figuration libre, ha realizzato il ritratto degli amici costruendo sfondi che evocano le loro pitture e ritoccando poi graficamente le stampe fotografiche. Fra tutte queste pratiche fotografiche, appare tradizionale quella di J.-M. Bustamante, che fotografa terreni incolti e zone urbane, ottenendo poi degli ingrandimenti di una tale precisione che il vuoto di significato e di tema sembra ancora più inquietante.

S. Calle si serve delle fotografie come di tracce di un'attività, di un'inchiesta: esse permettono allora di ricostruire un episodio o di creare una storia di fantasia, addirittura di dar forma all'universo visivo immaginario dei ciechi a cui l'artista chiede di descrivere gli oggetti preferiti. Pierre e Gilles si servono di fotografie di ragazzi che mettono in scena nel repertorio kitsch e rétro dei ritratti ritoccati delle attricette.

Negli anni Settanta la scultura, sotto l'influenza del minimalismo americano e di Support-Surface, aveva avuto un ripiegamento su se stessa, sui suoi caratteri, i suoi procedimenti e i suoi materiali. In modo parallelo alla pittura, negli anni Ottanta la scultura in F. si è allontanata da questa astrazione fredda o materica che la caratterizzava. Artisti come T. Grand o B. Pagès, provenienti da Support-Surface, hanno adottato un atteggiamento molto più estetico, superando la semplice analisi dei mezzi e dei materiali che effettuavano negli anni Settanta. L'accostamento di materiali differenti (legno e resina per T. Grand, legno, cemento, ferraglia, pittura, ecc., per B. Pagès) porta alla costruzione di colonne e diviene un gioco sulla verticalità e la trasparenza, la storia e la natura. A. Kirili (n. 1946) nelle sue varie serie ricorre ai gesti tradizionali dello scultore (modellare, tagliare, fondere). Così situa la sua opera in un approccio alla storia della scultura senza svuotare le connotazioni simboliche, sessuali o religiose delle sue sculture.

Ma il vero sviluppo della scultura negli anni Ottanta, in F. come altrove, sta nell'appropriazione degli oggetti di scarto o costruiti, che gli artisti assemblano, tagliano, moltiplicano. L'accostamento può essere vivo in Saytour, che contrappone un mobile anni Cinquanta o Sessanta all'aggressività modernista, con zoccoli, barocchi o kitsch, fatti di cemento, pietre, gesso: estetica dell'incontro quella proposta da questo anziano di Support-Surface. Invece R. Baquié elabora le proprie sculture partendo da un bricolage di macchine, carrozzerie, oggetti usuali distolti dalla loro funzione. L'ironia e la derisione della tecnologia contemporanea sono il movente di quest'opera che trova eco nei lavori di N. Talec o J.-L. Ruggierello. In G. Friedmann (n. 1950) e in D. Tremblay, morto nel 1985, l'oggetto ha il compito di costruire l'immagine. Alla maniera di Arcimboldo nella prima: spesso un unico materiale, come aghi di pino, tubi di plastica, vetri, deve fabbricare la forma che il titolo esplicita a un altro livello di significato. Tremblay può accostarsi allo svizzero M. Raetz quando un punto di vista dello spettatore è privilegiato per veder sorgere la forma ritagliata in uno zerbino o prodotta dall'accumulo di animali di plastica; il titolo rafforza la dimensione poetica e l'astrazione di quest'opera.

Nel corso degli anni Settanta, l'artista conduceva volentieri un'azione critica sociale attraverso le performances: rituali di M. Journiac o automutilazione di G. Pane (n. 1939). Negli ultimi anni quest'ultima ha prodotto, con l'aiuto di oggetti simbolici, elementi di una performance ''possibile'': ''Partiture'' che rinviano mentalmente lo spettatore allo svolgimento di quelle azioni che l'artista non pratica più in pubblico. Per gli artisti francesi di oggi l'interrogativo maggiore si è spostato dal sociale all'artistico: l'artista indaga al centro della sua arte l'opera, la sua condizione, circolazione e dimensione pubblicitaria; di più, alcuni artisti arrivano a indagare attraverso la loro pratica il ruolo e la condizione dell'artista stesso. Rinnovando il legame fra arte e società dal punto di vista dell'autoriflessione, essi adoperano in genere oggetti che dispongono, installano, in parodie o simulacri di situazioni artistiche, pubbliche, quotidiane, convenzionali.

Il più caustico è certamente Présence Panchonnette, un gruppo di artisti che propongono gli oggetti irrisori della cultura popolare scimmiottando le installazioni dei professionisti dell'arte. Al limite estremo dell'arte, essi si collegano a una tradizione di attività critiche e satiriche riconoscibile dalla fine del 19° secolo. Il contesto dell'opera d'arte, sulla scia di M. Duchamp e di Buren, è il tema centrale dell'opera di B. Lavier (n. 1949), per il quale la pittura è semplicemente coprire gli oggetti con uno strato di resina, mentre quando sovrappone due oggetti, frigorifero e cassaforte, mette in evidenza insieme la loro presenza come opere d'arte, perché il dispositivo è installato in un museo, e anche il ruolo inevitabile di base per uno dei due. I dispositivi di presentazione delle opere sono altresì al centro del lavoro di Bazile-Bustamante, un gruppo di due artisti, e di M. Bourget: i primi, più radicali, giocano sull'assurdo e sull'inutilità funzionale; la Bourget privilegia l'aneddoto e la situazione umoristica: la base, per es., diviene l'opera stessa. Un ruolo importante nell'arte di oggi è attribuito agli spazi di presentazione delle opere: allora artisti come M. Verjux e F. Varini si dedicano al lavoro di questi spazi espositivi, proponendone un'elaborazione basata sulla luce: per il primo, dematerializzazione e inserzione della percezione dello spettatore con proiezioni luminose; per il secondo, nel mezzo dei processi di anamorfosi, obbligare lo spettatore a individuare un posto nello spazio, che sia il solo da cui l'opera può essere percepita per intero. Anche A. Leccia ha lavorato con la luce: proiettori, fari di moto o di automobili che mette di fronte in un Baiser, come egli intitola l'opera; il suo lavoro tuttavia risulta più dal rapporto con la pubblicità e col mondo del mercato diffuso per via dei media, che dal solo dispositivo dell'esposizione. Il mondo della pubblicità che diffonde la mercanzia è al centro delle opere di IFP e di Ph. Cazal. IFP (Information Fiction Publicité), un gruppo di artisti, usa mezzi pubblicitari come insegne luminose e manifesti per costruire installazioni nelle quali lo spettatore percepisce la vacuità di questo tipo di comunicazione. Cazal invece si mette in scena, in grandi fotografie a colori, come artista: non quello al lavoro nel suo studio, bensì quello sociale e mondano dei vernissages e dei cocktails.

Più radicale l'atteggiamento di Ph. Thomas, che sparisce come individuo dietro le circostanze e i diversi aspetti dell'arte: i collezionisti e i critici divengono gli autori delle opere che produce. Conia d'altronde il termine fictionnalisme, per indicare la finzione generalizzata che egli considera propria dell'arte, e così ha creato l'agenzia Les ready-made appartiennent à tout le monde, che si sostituisce all'artista stesso nella produzione di mostre.

La vitalità e la grande diversità dell'arte francese nel decennio 1980-90 è stata spesso opera di artisti giovani e molto giovani. Molto impegnati e pieni di volontà di fare, sono nella fase dell'affermazione della loro personalità e discutono con ardore le questioni artistiche. Il fenomeno è stato favorito dal crescente interesse per l'arte da parte del pubblico e anche delle istituzioni politiche. I musei e i centri d'arte hanno prodotto più esposizioni che nel passato e hanno più generosamente aperto le porte alle nuove creazioni.

La politica culturale adottata nel 1981 dal ministro della Cultura del governo socialista J. Lang partecipa dell'effervescenza dell'attività artistica e della sua diffusione, e in parte la produce. La creazione dei Fonds Régionaux d'Art Contemporain dota ogni regione di una collezione e di mezzi di diffusione: questo ha comportato numerosi acquisti e anche la moltiplicazione delle mostre in varie regioni, mentre fino a oggi solo Parigi, con le poche eccezioni di Bordeaux, Grenoble o Saint-Etienne, aveva presentato l'arte contemporanea. L'attuazione di una politica di aiuti, borse di studio e viaggi a favore degli artisti giovani ha lo scopo di metterli in contatto con la realtà artistica di altri paesi. Le commissioni pubbliche di opere d'arte ad artisti contemporanei, non specializzati nella decorazione e ornamentazione di edifici pubblici, hanno abituato, non senza contestazioni (cfr. Les colonnes di D. Buren al Palais Royal), i cittadini alla presenza di forme nuove. In questo periodo si sono aperti numerosi musei o centri d'arte contemporanea: Villeurbanne (1982), Bordeaux (1984), il Magazine a Grenoble (1986), Saint-Etienne e la Villa Arson a Nizza (1987) divengono centri per l'attività artistica, mentre numerose gallerie alternative si occupano dei giovani artisti in provincia. Alcune gallerie professioniste deliberatamente scelgono addirittura di restare in provincia: Sparta a Chagny, Arlogos a Nantes, Nelson a Lione o Pailhas a Marsiglia. La diffusione artistica passa anche attraverso le riviste e i periodici: se Artpresse resta una delle basi più importanti della comunicazione del pensiero contemporaneo, sono nate nuove riviste: Beaux Arts Magazine, destinato al grande pubblico, e Eighty Magazine (1983), Galeries Magazine (1985), Artstudio (1986).

La mostra è diventata un fenomeno pubblico importante: si vedono lunghe file per le classiche e prestigiose mostre al Grand Palais di Parigi, ma, pur senza raggiungere le stesse proporzioni, ogni esposizione di arte contemporanea, monografica o collettiva, diviene un evento, diffuso dai media. Fra le esposizioni memorabili: Baroques 81 e Truc et troc all'ARC di Parigi (1983), Légendes al Musée d'art contemporain di Bordeaux (1984), l'ultima Biennale de Paris nella grande Halle de la Villette (1985) e Immatériaux, organizzata nello stesso anno da J.-F. Lyotard; Qu'est-ce que la sculpture moderne al Beaubourg e Tableaux abstraits alla Villa Arson di Nizza (1986); L'époque, la mode, la morale, la passion al Beaubourg (1987) e Les magiciens de la terre (1989) hanno suscitato vivaci dibattiti e orientato le indagini sull'arte. Ogni anno la Fiera internazionale d'arte contemporanea (FIAC) è l'appuntamento degli acquirenti e degli amatori a Parigi. Nuovi collezionisti, giovani e avventurosi, accompagnano la creazione artistica francese. Senza conoscere l'infatuazione del mercato americano, anche l'arte francese diviene il nuovo gioco finanziario per qualche investitore.

Gli anni futuri vedranno la conferma di tendenze e soprattutto l'emergere di personalità, che usciranno da tutta quest'attività intensa e febbrile che ha caratterizzato il decennio scorso. Vedi tav. f.t.

Bibl.: B. Ceysson, S. Lemoine e altri, Vingt-cinq ans d'art en France: 1960-1985, Parigi 1986; L'époque, la mode, la morale, la passion: aspects de l'art d'aujourd'hui, 1977-1987, catalogo della mostra, ivi 1987; C. Millet, L'art contemporain en France, ivi 1987; R. Durand, Le regard pensif: lieux et objets de la photographie, ivi 1988; D. Durand Ruel, Y. Tissier, B. Wauthier-Wurmser, J.-P. Raynaud, la maison: 1969-1987, ivi 1988; D. Buren, Photos-souvenirs 1965-88, Villeurbanne 1988; D. Semin, C. Boltanski, Parigi 1988; Christo, from Lilja Collection, catalogo della mostra, Nizza 1989; J. Palette, R. Combas, le fan, Parigi 1989.

Architettura. - Dopo anni di produzione edilizia intensa, ma sclerotizzata in un linguaggio che coniugava i principi della ''Carta d'Atene'' con l'industrializzazione pesante, nell'ultimo decennio l'architettura francese ha mutato radicalmente indirizzo, tornando a svolgere un ruolo centrale nel panorama culturale europeo.

L'attuale situazione origina dal rinnovamento della didattica seguito al 1968: la sostituzione dell'antica Ecole des Beaux-Arts con le Unités Pédagogiques (1969) crea un ambiente favorevole all'accoglimento delle teorie architettoniche (formulate in Italia e in Gran Bretagna) tese a rivalutare il tessuto della città storica nei suoi rapporti fra tipologia edilizia e morfologia urbana. Nel dibattito che ne segue in F. si precisano inizialmente due posizioni: una pone l'indagine storica come fondamento della progettazione (B. Huet, M. e Ch. Devillers, M.-C. Gangneux, E. e O. Girard, L. Israël, F. Laisney, J.-P. J. Massenot, B. Paurd); l'altra parte da posizioni di rifiuto del sistema produttivo rivendicando il primato della ricerca esclusivamente disegnata (R. Castro, A. Grumbach, Y. Lion, J. Lucan, F. Montes, Ch. de Portzamparc, J.-P. Rayon). Emblematica l'attività dell'Atelier d'Urbanisme et d'Architecture (AUA, 1960-85) che unisce l'impegno sociale alla progettazione d'avanguardia. Ma la specificità della situazione francese è data dagli organi statali che, nel contesto della crisi economica degli anni Settanta, appoggiano un simile momento di riflessione, cercando un raccordo con le nuove leve e preparandone il reinserimento nel mutato assetto produttivo.

Così il Ministère de l'Equipement et du Logement istituisce il Plan Construction (1972) destinato a rilanciare la strategia edilizia e l'attività professionale attraverso il varo di numerosi concorsi PAN (Programme Architecture Nouvelle) per giovani architetti: per ogni insediamento superiore a 100 alloggi su aree pubbliche è prevista una competizione con agevolazioni agli imprenditori, da parte del ministero, per la realizzazione dei progetti vincitori. Questi confronti, insieme ad analoghe iniziative prese dalle municipalità, favoriscono il ripensamento e la critica dei vecchi modelli di sviluppo dell'urbanistica francese (concorsi per le villes nouvelles di Isle d'Abeau e Marne-la-Vallée, 1974), o alcune esercitazioni sui temi del rinnovamento urbano (isolato della Roquette, 1974; area delle Halles e della Villette a Parigi). L'indirizzo generale si orienta così verso un superamento dei canoni architettonici razionalisti, banalizzati negli anni Sessanta (scissione tra strada e casa, standardizzazione tipologica, creazione di volumetrie compatte in vaste zone verdi) per avvicinarsi alla ricchezza spaziale della città antica nella pluralità delle sue sedimentazioni. Orientamento, questo, da porre in relazione anche con la ripresa di ideologie tradizionalistiche e nostalgiche (durante la presidenza Giscard d'Estaing vengono costruite 1.840.000 case monofamiliari, il 30% in più rispetto al settennato Pompidou). L'intervento statale si fa gradatamente più forte, assorbendo e istituzionalizzando le nuove teorie architettoniche: si diradano i concorsi, che assumono proporzioni sempre più impegnative e selettive, mentre, per rinsaldare il rapporto tra insegnamento e produzione, vengono istituiti gli Albums de la Jeune Architecture (1980), portfolio di giovani progettisti distribuiti fra gli imprenditori; anche il CORDA (Comité de la Recherche du Développement en Architecture) cerca d'incanalare le nuove istanze nei parametri culturali della presidenza giscardiana.

Con l'abbandono della costruzione intensiva degli alloggi popolari, l'interesse pubblico si sposta sui grandi temi del rinnovamento urbano, coinvolgenti in primo luogo Parigi, sui quali si gioca gran parte della vicenda degli anni Ottanta. L'elezione, per la prima volta nella capitale, di un sindaco (J. Chirac, 1977) e soprattutto l'attività del nuovo capo dello stato F. Mitterrand (1981) sono all'origine di una serie di grandi interventi su Parigi, volti a consolidarne il ruolo egemone sulla scena non più solo europea, ma mondiale.

L'attività della nuova municipalità punta decisamente verso il definitivo abbandono delle strategie precedenti, tramite le direttive dell'Atelier Parisien d'Urbanisme (APUR) e della Direction de l'Aménagement Urbain de la Ville de Paris, che orientano gli architetti a studi di analisi tipo-morfologica del tessuto parigino. Le norme edilizie del POS (Plan d'Occupation du Sol, 1974, 1977) sanciscono indirettamente il ritorno a principi haussmanniani (rispetto degli involucri e degli allineamenti preesistenti; riproposizione del tipo dell'immobile mitoyen parigino composto di basamento con interrato, livelli successivi gerarchicamente distinti, arretramento del 5° o 6° piano), avallando implicitamente un'idea di architettura legata alla modernità temperata degli anni Trenta (R. Mallet-Stevens, P. Patout, H. Sauvage). Altri fattori di rinnovamento sono dati dalla Régie Immobilière de la Ville de Paris che ricorre ai giovani architetti per opere di edilizia sovvenzionata e di servizi pubblici: la politica abitativa della municipalità punta sulle ZAC (Zones d'Aménagement Concerté) che, tramite l'esercizio dell'esproprio e del diritto di prelazione, favoriscono la liberazione e la riconversione di aree occupate da ex servizi pubblici (ferrovie, gasometri), destinandole alla residenza, soprattutto economica.

I progetti di Mitterrand sembrano riallacciarsi alla tradizionale politica di prestigio dei capi di stato francesi; l'orientamento, palese, è quello di rilanciare le ''industrie culturali'' (musei, sale di spettacolo, centri d'informazione e comunicazione internazionali), simboli di una nuova idea di progresso. Queste operazioni sono state oggetto di concorsi o consultazioni internazionali (con pesanti intromissioni dell'autorità centrale) che hanno spesso visto come vincitori progettisti stranieri, favorendo un ulteriore arricchimento del dibattito nazionale. Costante appare il ritorno al concetto di monumentalità, risultante tuttavia non da una particolare scelta tipologica, ma dall'espressione di un sistema formale. I grands projets d'Etat erano stati preceduti in questo dal Centre G. Pompidou (R. Piano e R. Rogers, 1977) che risolve felicemente la dicotomia tra il ruolo di ''monumento'' e il rapporto con il contesto storico circostante, mediante i principi dell'architettura della tecnologia (struttura metallica esibita, variazioni cinetiche nella percezione dello spazio, ecc.).

La dialettica tra invenzione e rapporto con la città permea tutti i grands projets. Alcuni sono volti al confronto con ambienti monumentali preesistenti, come la grande piramide di vetro impiegata per la nuova sistemazione del Louvre (I. M. Pei, 1988), o il Musée d'Orsay (gruppo ACT e G. Aulenti, 1986), destinato alle collezioni del 19° secolo e impiantato in una stazione ottocentesca in disuso. Altre realizzazioni, invece, puntano all'inserimento di nuovi poli per rivitalizzare interi tessuti urbani: il Palais Omnisport (M. Andrault, P. Parat, J. Prouvé, 1984) e il Ministère de l'Economie et Finances (P. Chemetov e B. Huidobro, 1988), entrambi a Bercy; la nuova Opéra alla Bastille (C. Ott, 1989); il Musée des Sciences, des Téchniques et Industries alla Villette (A. Fainsilber, 1986) con il Parco urbano del 21° secolo (B. Tschumi, 1987) e la Cité de la Musique (Ch. de Portzamparc, 1989). Altri progetti, infine, raccolgono la sfida del rapporto con un contesto fortemente formalizzato, come l'Institut du Monde Arabe (J. Nouvel, P. Soria, G. Lézénès, 1987); simbolica la terminazione del grand axe parigino con il colossale cubo vuoto dell'Arche de la Défense (J.O. von Spreckelsen, 1988), inserito in un programma di completamento (con edifici di J.-P. Buffi, J. Nouvel e altri) della Cité de la Défense. A queste iniziative presidenziali corrispondono quelle della municipalità, volte soprattutto a qualificare l'Est parigino (piano dell'APUR) in una politica di riequilibrio globale della città, e a ricostruire e recuperare isolati in zone centrali (Halles, Montparnasse, Marais).

La fine degli anni Ottanta vede la ricerca di nuove strategie di sviluppo che superino l'adeguamento allo schema haussmanniano e il modello di ''crescita della città sulla città''. Il progetto Banlieues 1989, lanciato nel 1983 da R. Castro e M. Cantal-Dupart sotto il patronato del presidente e affidato a una delegazione interministeriale, testimonia lo sforzo di restituire alle periferie una propria identità, mediante interventi dall'arredo urbano alla realizzazione architettonica (200 progetti, finora realizzati in piccola parte), con vari obiettivi (riconciliare strada e città, segnalare le emergenze funzionali, eliminare le barriere, ritrovare la geografia dei luoghi, ecc.). Altre linee di ricerca sono indicate dal PAN 14 del 1987, che invita a rimettere in questione l'alloggio, la cellula abitativa, come ritorno a un tema posto in secondo piano dal dibattito più recente.

Nel contesto descritto, gli sviluppi del linguaggio architettonico dell'ultimo decennio sono contrassegnati da una generale ripresa di forme della tradizione, come l'accettazione degli allineamenti, la rivalutazione dell'isolato, il recupero di leggi compositive del passato (simmetria, unità volumetrica, proporzione), l'uso della parete piena con l'impiego di materiali tradizionali. Si configura così una volontà di superamento del movimento moderno, ma espresso in un ampio ventaglio di elaborazioni difficilmente riconducibili sotto la generica etichetta di post-modern.

Si va infatti dalle articolazioni complesse e stratificate di Ch. de Portzamparc (abitazioni in rue des Hautes-Formes, 1979, e conservatorio musicale in rue J. Nicot, Parigi) al processo combinatorio volto al recupero di un contesto urbano di A. Grumbach (alloggi quai de Jemmapes, 1986, e rue des Cascades, Parigi), al libero sperimentalismo di H.-E. Ciriani, docente e progettista (abitazioni a Lognes, 1983-86; cucina dell'ospedale Saint-Antoine, 1986, Parigi), ai riferimenti colti e alle suggestioni del passato di P. Chemetov e B. Huidobro (abitazioni al Quartier des Moines, Isle d'Abeau, 1982; spazio attrezzato sotterraneo delle Halles, 1985), fino al monumentalismo di facciata del catalano R. Bofill (abitazioni a Marne-la-Vallée; place de Catalogne, Parigi, 1985). Una posizione a parte occupano progettisti come C. Vasconi, mutevole nell'attivare motivi di continuità con il contesto (''Forum des Halles'' con G. Pencréac'h, 1979, a Parigi; edificio polifunzionale a Saint-Nazaire, 1988), o J.-P. Buffi, attento alla chiarezza geometrica dell'oggetto architettonico (Scuola d'arte a Cergy-Pontoise; abitazioni in rue Fédération, 1983, Parigi; centri informatici a Bordeaux-le-Lac e a Nevers, 1987; complesso ''Les Collines'' alla Défense, 1989).

Una reazione al progressivo appiattimento su formalismi ''di facciata'' è individuabile nelle geometrie frammentate di H. Gaudin (alloggi a Evry-Courcouronne, 1982-85; Collège Tandou, 1987, Parigi; complesso ''des Gardes'' ad Arcueil, 1987), o nella prosecuzione feconda di modelli razionalisti operata da P. Riboulet (Ospedale R. Debré, 1988, Parigi), o nelle recenti ricerche decostruttiviste che si riallacciano ai temi delle avanguardie russe, come nei padiglioni (folies) di B. Tschumi al parco della Villette.

Altri architetti manifestano un interesse per la ricerca tecnologica con l'uso di strutture metalliche, superfici vetrate, sistemi impiantistici avanzati, nel filone dell'high-tech internazionale. Fra tutti, dopo la morte di J. Prouvé (1984), emerge l'opera di J. Nouvel, che piega le acquisizioni tecnologiche e la produzione industriale contemporanee a una feconda vena creativa (alloggi a Saint-Ouen; complesso residenziale ''Némausus 1'' a Nîmes, 1985-87; Opéra di Lione, progetto 1986; ''Tour sans fin'' alla Défense, progetto 1989). Questo indirizzo è seguito da molti progettisti, fra cui numerosi giovani (F. Deslaugiers, D. Lyon e P. Du Besset, J.-M. Ibos) e segna anche i più recenti fra i grands projets: la fusione con tendenze compositive minimaliste porta a esiti di asciutta, rigorosa monumentalità (D. Perrault, Bibliothèque de France, progetto 1989; F. Soler, Centre de Conferences Internationales, progetto 1990). In provincia, la produzione architettonica appare ispirata a una pluralità di apporti, insieme alla persistenza di tendenze considerate superate (influenza di F.L. Wright, A. Aalto, Ch. Moore, R. Venturi). Da ricordare i nomi di J. Hondelatte, H. Jourda e G. Perraudin, e il gruppo Sycomore. Alcune municipalità (Nîmes, Montpellier), sull'esempio di Parigi, hanno dato l'avvio a progetti per centri culturali e interventi di riqualificazione urbana, spesso chiamando architetti di rinomanza internazionale. Vedi tav. f.t.

Bibl.: D. Noin, Lo spazio francese. Problemi della regionalizzazione. Disequilibri produttivi. Strutture urbane. Assi della circolazione, trad. it., Milano 1978; A. Andreucci, L'esperienza francese del plan construction e le tendenze evolutive in atto. Verso l'industrializzazione aperta, ivi 1979; Ch. Deslaugiers, F. Deslaugiers, Architecture en France. Modernité/Post-Modernité, Parigi 1981; AA. VV., La Modernité ou l'Esprit du Temps, Liegi 1982; Architectures sans titre. Momenti di architettura in Francia 1930 e1980, a cura di Ch. Furet, J. Ripault, Milano 1984; J.-P. Le Dantec, Enfin, l'architecture. L'histoire d'un renouveau, Parigi 1984; F. Chaslin, Les Paris de François Mitterrand, ivi 1985; M. Emery, Paris moderne 1977-1986, ivi 1986; AA.VV., Architectures capitales: Paris 1979-1989, ivi 1987; M. Béhar, M. Salama, Paris new/nouvelle architecture, ivi 1988; Paris, la ville et ses projets, a cura di J. L. Cohen, B. Fortier, ivi 1988; M. Emery, P. Goulet, Guide d'architecture en France depuis 1945, ivi 1988; J. Lucan, Francia. Architettura 1965-1988, Milano 1989; AA.VV., Architectures publiques 1990, Liegi 1990; Progettare la metropoli. Parigi, a cura di G. Mercurio, Roma 1990; AA.VV., Panoramique. Paris-provinces: 40+40 architectes de moins de 40 ans, Parigi 1991. V. anche le annate delle riviste francesi AMC, L'architecture d'aujourd'hui, Paris-Projet, Téchniques et architecture, Urbanisme, e delle riviste italiane Arredo urbano (in part. n. 30-31, 1989), Casabella (in part. n. 500, 1984), Controspazio (in part. n. 1, 1976), Domus (in part. n. 630, 1982), Ottagono (in part. n. 81, 1986), Spazio e società (in part. n. 44, 1988).

Musica. - L'insegnamento di O. Messiaen al conservatorio di Parigi (armonia, dal 1942; analisi musicale, estetica e ritmo, dal 1947) è della più alta importanza per lo sviluppo della musica francese nella seconda metà del secolo. Successore spirituale di R. Leibowitz − il primo a introdurre in F. la dodecafonia di Webern −, egli pone le basi della nuova musica in un testo del 1949, Quatre Etudes de rythme (in particolare nel secondo, Mode de valeur et d'intensités), modello per quanti si richiamavano allo stile post-weberniano. Alla sua scuola, e direttamente o indirettamente alla scuola di Leibowitz, si formano i maggiori rappresentanti dell'avanguardia degli anni Cinquanta in F., il più importante dei quali è P. Boulez (v. in questa Appendice).

Accanto ai lavori di Boulez di questi anni vanno poste le prime composizioni degli altri allievi di Messiaen, fra cui la Sonata per pianoforte (1952) e Séquence pour voix et instruments (1950-55) di J. Barraqué (1928-1973), poi approdato al principio compositivo da lui definito della ''serie proliferante''; Le cercle des métamorphoses (1953) per orchestra, di M. Le Roux (n. 1923); i Mouvements per orchestra da camera (1958) e il Cahier d'epigrammes per pianoforte (1964) di G. Amy (n. 1936), succeduto (1967) a Boulez nella direzione del Domaine Musical e approdato più recentemente a uno stile personale in opere come Chin'amin Cha'anamin (1979); Paraboles (1964) e Cérémonie (1969) di P. Mefano (n. Bassora, ῾Irāq, 1937), che è stato allievo dello stesso Boulez a Basilea e fondatore nel 1972 del gruppo di animazione musicale Ensemble international 2E2M di Champigny.

Altri allievi di Messiaen, fra cui S. Nigg (1924-1960) e J.-L. Martinet (n. 1912), aderiscono all'esperienza seriale piuttosto in funzione negativa rispetto alla tradizione, approdando rapidamente a nuove esperienze. Nigg in particolare indaga un nuovo linguaggio universale rispettoso dell'aspetto comunicativo del discorso musicale: la rinuncia alla teoria dodecafonica è già nel Concerto per pianoforte e orchestra (1954) e nel Concerto per violino e orchestra (1957). Tra le sue opere migliori, il poema sinfonico Jerome Bosch Symphonie (1960).

Al di fuori del serialismo si collocano H. Dutilleux (n. 1916), autore nel 1959 di una Seconda sinfonia; M. Constant (n. 1925), di cui vanno ricordate 14 Stations (1970) per 6 strumenti a percussione; B. Jolas (n. 1926), che ha composto Musique de jour pour orgue (1975), omaggio a Bach e Monteverdi, e Stances per pianoforte e orchestra (1987), con riferimenti a Chopin e a Debussy.

Alla metà degli anni Cinquanta risale la prima reazione al serialismo post-weberniano sotto l'influenza della musica aleatoria di J. Cage. Anche Boulez, all'inizio fortemente critico, con alcuni lavori di questi anni preannuncia il superamento dello strutturalismo seriale.

La musica aleatoria si sviluppa in F. negli anni Sessanta, attraverso compositori non assimilabili fra loro, come A. Boucourechliev (n. Sofia 1925), autore nel 1967 di Archipel I per 2 pianoforti e 2 percussioni; e il più giovane J.-C. Eloy (n. 1938), che è stato allievo di Boulez a Basilea, autore di Equivalences per 18 strumenti (1963) e recentemente influenzato dalla musica orientale in Kamakala (1971), Gaku-Nô-Michi (1977) e Yo-In (1981).

Alla ricerca post-seriale appartiene anche l'esperienza teorica e compositiva di C. Ballif (n. 1924), incaricato di analisi musicale al conservatorio superiore di Parigi: ha definito un sistema di scrittura basato su una scala di undici note (metatonale). Tra le sue opere principali più recenti, Coup de dés (1979-81). Al microtonalismo si sono rivolti invece M. Ohana (n. Casablanca 1914) con Sacral d'Ilx (1975) e Office des oracles (1975); e A. Banquart (n. 1934) che nel 1976 ha composto A la mémoire de ma mort.

Con la fondazione nel 1948 del Groupe de recherches de musique concrète di Parigi da parte di P. Schäffer (n. 1910) su finanziamento della radio francese, si afferma un indirizzo di sperimentazione elettronica destinato ad assumere caratteristiche diverse da quelle di altri indirizzi europei nello stesso settore.

Rivolto alla riproduzione e rielaborazione di suoni e rumori esistenti nella realtà, Schäffer collabora in quegli anni assieme a P. Henry (n. 1927) alle prime significative elaborazioni di musica concreta, come la Symphonie pour un homme seul (1949-50) e l'opera Orphée, rappresentata con un certo clamore a Donauschingen nel 1953. Tuttavia l'opera di musica concreta più compiuta si ha per la prima volta con Deserts, per 7 strumenti, 5 gruppi di percussioni e nastro magnetico (1950-54), del franco-americano E. Varése (1883-1965), registrata presso il centro parigino tra il 1954 e il 1955. Dopo l'allontanamento di Henry, che si dedica autonomamente alla musica elettroacustica, Schäffer inizia con la fine degli anni Cinquanta un periodo di più rigorosa sperimentazione, anche attraverso la collaborazione di compositori più giovani, come L. Ferrari (n. 1929), autore nel 1981 di Presque rien n. 2, trasmesso da un'orchestra di altoparlanti; F.-B. Mâche (n. 1935), che nel 1979 presenta Amorgos al Festival di Metz; e I. Maleć (n. Zagabria 1925), uno dei più significativi compositori francesi in questo settore, autore di Cantate pour elle (1966) e di Vox, Vocis, F. (1979).

Una delle più luminose figure della musica francese contemporanea è quella del compositore, nonché architetto, filosofo e matematico di origine greca I. Xenakis (n. Brăila, Romania, 1922), passato attraverso l'esperienza della musica concreta lavorando al centro di Schäffer (Diamorphoses, 1957; Concret PH, 1958; Orient-Occident, 1960), quindi attraverso una rielaborazione dei principi dell'alea mediante l'introduzione del calcolo delle probabilità nel procedimento compositivo (''musica stocastica'': Syrmos per 18 archi, 1959; Atrées (Hommage à Pascal) per 10 strumenti, 1958-62); dopo la fondazione nel 1966 dell'Equipe de mathématique et d'automatique musicales (Emamu) presso l'Ecole des hautes études di Parigi, rivolge la sua attenzione all'uso dell'informatica.

Un rilievo particolare va riservato al lavoro svolto in questi ultimi anni da Boulez, soprattutto attraverso la fondazione nel 1976 a Parigi dell'Institut de Recherche et de Coordination Acoustique/Musique (IRCAM) presso il Centre Georges Pompidou e la creazione dell'Ensemble intercontemporain per l'esecuzione di musica contemporanea. Nel 1977 l'IRCAM ha organizzato un'importante serie di concerti (Passage du XXe siècle) con opere di autori francesi e stranieri contemporanei: tra gli altri, P. Barbaud (n. 1911), autore di una ''musica algoritmica'' affidata al calcolatore; M. Decoust (n. 1936), autore della composizione elettronica Interphone; V. Globokar (n. 1934), responsabile del dipartimento strumento e voce dell'IRCAM.

Alla generazione più giovane appartengono G. Grisey (n. 1946), fondatore nel 1973 del gruppo d'avanguardia Itinéraire; T. Murail (n. 1947), M. Levinas (n. 1947) e H. Dufourt (n. 1943).

Bibl.: A. Golea, French music since 1945, in The Musical Quarterly, 1965, pp. 22-37; R. Lyon, La musique en France, in Schweizerische Musikzeitung, 1973, pp. 82-85; S. Gut, D. Tosi, Il mondo contemporaneo, in Storia della musica, Roma 1985, passim; O. Delaigue, L'impact du modernisme musical americain en France (19501980), in Revue International de musique française, 1985, pp. 101-10; Inharmoniques, 1 (Les temps des mutations), Parigi 1986; C. Goubault, La musique française contemporaine, in Revue International de musique française, 1988, pp. 23-38.

Cinema. - Dopo il maggio 1968 e le sue ripercussioni nelle opere di J.-L. Godard, A. Resnais, L. Malle, J. Rivette, oltre che in quelle di giovani registi politicamente o poeticamente impegnati come M. Karmitz e P. Garrel, il cinema francese rientra rapidamente nei ranghi. Esaurita la spinta propulsiva della Nouvelle Vague (v. cinematografia, App. IV, i, p. 448), si procede alla restaurazione dei generi: il poliziesco, innanzitutto, che vanta una lunga tradizione nazionale ispirando sia film d'autore (di C. Chabrol, C. Miller, A. Corneau, J. Bral e P. Leconte, protagonisti della rinascita del genere negli anni Settanta e Ottanta) sia prodotti più commerciali come quelli di J. Deray, Y. Boisset, F. Girod, E. Molinaro, G. Lautner; la commedia, in cui si distinguono i registi C. Zidi, G. Oury, Y. Robert, J.P. Mocky, J. Girault, F. Veber; il filone intimista e sentimentale, rappresentato a livelli diversi da C. Sautet, C. Lelouche, C. Pinoteau.

Un ruolo prioritario in questa produzione commerciale viene giocato dagli attori: J.-P. Belmondo e A. Delon, divi incontrastati degli anni Settanta, dominano il box-office passando da un genere all'altro fino al loro improvviso declino negli anni Ottanta. Su un altro versante L. de Funès e P. Richard assicurano le fortune del film comico. Contemporaneamente s'impone una nuova scuola di attori e registi provenienti dal café-théâtre: G. Depardieu, che diviene il simbolo del cinema francese della seconda metà degli anni Settanta e degli Ottanta, P. Dewaere, Coluche, M. Blanc, G. Jugnot, D. Auteuil, Miou-Miou, D. Lavanant, Anémone, J. Bolasko, G. Lanvin. A questi talenti, formatisi al ''Café de la Gare'' di R. Bouteille e allo ''Splendid'', si devono i nuovi umori della commedia francese, la sua vena più iconoclasta e irridente.

Il cinema commerciale convive d'altra parte con il cinema d'autore: mentre i veterani della Nouvelle Vague, attivissimi nell'ultimo ventennio, proseguono su strade diverse itinerari artistici già delineati, nuovi nomi s'impongono, a confermare la vocazione sperimentalistica del cinema francese, la sua capacità di preservare e alimentare una produzione legata a un concetto non deteriorato di autore.

F. Truffaut sceglie di operare al centro e non ai margini del mercato realizzando alcuni tra i suoi film più significativi (Les deux anglaises et le continent, Le due inglesi, 1971; La nuit américaine, Effetto notte, 1973; La chambre verte, La camera verde, 1978; Le dernier métro, L'ultimo metrò, 1980; La femme d'à côté, La signora della porta accanto, 1981; Vivement dimanche!, Finalmente domenica, 1983) prima di morire prematuramente nel 1984.

Dal canto suo E. Rohmer, dopo aver terminato nel 1972 la serie dei ''Contes moraux'', realizza La Marquise d'O (La marchesa von..., 1976), tratto da un racconto di H. von Kleist, e Perceval le Gallois (Perceval, 1979), da Chrétien de Troyes, un'aristocratica e poetica rilettura in versi del mito medievale. Dal 1981, con La femme de l'aviateur, inizia la serie ''Comédies et Proverbes'', accelerando i ritmi della propria attività (un film all'anno) e rappresentando, per le sue particolari scelte produttive di povertà e indipendenza, un modello singolare di autarchia d'autore.

Resnais gira altri lungometraggi (tra cui Providence, 1976; Mon oncle d'Amérique, 1980; La vie est un roman, La vita è un romanzo, 1983; L'Amour à mort, 1984; Mélo, 1986; I want to go home, Voglio tornare a casa, 1989), nei quali conferma il proprio talento attraverso un linguaggio elitario, mentale, letterario, nelle accezioni più positive di questi termini, e si concede amabili divagazioni.

Godard rimane l'instancabile alfiere dello sperimentalismo, autore di un cinema saggistico, autoriflessivo, metalinguistico estremamente attento ai mutamenti massmediologici. Dopo una parentesi televisiva con la Società Sonimage e A.-M. Miéville, torna al cinema tradizionale realizzando Sauve qui peut la vie (Si salvi chi può [la vita], 1979), Passion (1982), Prénom Carmen (1983) con cui vince il Leone d'oro a Venezia, il film-scandalo Je vous salue Marie (1985), Détective (1985), King Lear (1987), Soigne ta droite (Cura la tua destra, 1988), Nouvelle Vague (1990), Allemagne neuf-zero (1991).

Tra i veterani rimangono ancora da citare Chabrol e le sue intelligenti frequentazioni del poliziesco; Rivette, un autore dedito a rigorose ed estreme ricerche espressive, che raggiungerà esiti apprezzabilissimi con La belle noiseuse, La bella scontrosa, nel 1991; J. Demy, con le sue favole elaborate e moderne; A. Varda che nel 1985 vince a Venezia con Sans toit ni loi (Senza tetto né legge); Malle che nel 1978 si trasferisce in America e viene anch'egli premiato alla Mostra veneziana (1987) per Au revoir les enfants (Arrivederci ragazzi), come del resto succede anche a Rohmer per Le rayon vert (Il raggio verde, 1986).

Al di là del cerchio della ex Nouvelle Vague continua a operare, sempre lontano dalle mode e dai movimenti, R. Bresson, maestro indiscusso del cinema francese e internazionale, che nel ventennio in questione firma soltanto quattro film: Quatre nuits d'un rêveur (Quattro notti di un sognatore, 1971), tratto da Dostoevskij; Lancelot du Lac (Lancillotto e Ginevra, 1974), sul mito bretone; Le diable probablement (Il diavolo probabilmente..., 1978), sulla disperazione giovanile, e L'argent (1983), adattamento di un racconto di Tolstoj, con larghi riferimenti a Dostoevskij.

Mentre altri registi importanti come M. Deville, A. Cavalier (riscoperto solo dopo il successo del suo film Thérèse, 1986) e soprattutto R. Ruiz (un cileno trasferitosi in Francia cui si devono opere molto personali come L'hypothèse du tableau volé, 1977, e La ville des pirates, La città dei pirati, 1983) proseguono con eccellenti risultati una carriera iniziata negli anni Settanta, emergono nuovi giovani autori. Tra di essi A. Mnouchkine, proveniente dal teatro, che nel 1974 firma 1789, adattamento della pièce omonima, e nel 1978 un fervido Molière. Anche B. Tavernier, considerato un autore della restaurazione, antiNouvelle Vague, dedito a un cinema classicista, elegante, accademico e patinato, esordisce nel 1974 con un giallo tratto da G. Simenon, L'horloger de Saint-Paul (L'orologiaio di Saint-Paul), raggiungendo il successo internazionale con La mort en direct (La morte in diretta, 1980), Une dimanche à la campagne (Una domenica in campagna, 1984) e Round Midnight (Round Midnight - A mezzanotte circa, 1986), cui seguiranno La passion Beatrice (Quarto comandamento, 1987), La vie et rien d'autre (La vita e niente altro, 1989), Daddy nostalgie (1990).

Epigoni, seguaci o eredi critici e disinibiti dello spirito Nouvelle Vague appaiono invece A. Téchiné, P. Kané, J.-C. Biette, che provengono dai Cahiers du Cinéma, P. Zucca, J. Doillon e B. Jacquot, tutti caratterizzati da una vivace ricerca linguistica. Tuttavia gli anni Settanta sono segnati dalla triade Pialat-Eustache-Duras, esponenti di un cinema povero, difficile, sperimentale.

M. Pialat gira nel 1969 il suo primo lungometraggio, L'enfance nue, che riprende un tema, quello dell'adolescenza, particolarmente caro alla tradizione francese. Con La gueule ouverte (1974) racconta una storia di cancro mostrando la sua predilezione, confermata dai titoli successivi, per i personaggi soli, emarginati, malati. Attraverso un linguaggio crudo, senza patinature ed eleganze di maniera, Pialat riduce al minimo le strutture narrative esibendo la violenza delle emozioni, la fisicità dei vissuti, le ossessioni, le ferite psicologiche. Negli anni Ottanta raggiunge un discreto successo con Loulou (1980), A nos amours (Ai nostri amori, 1983) e Police (1985) in cui si avvale di attori come S. Bonnaire e G. Depardieu. Nel 1987 vince la Palma d'oro al Festival di Cannes con il discusso Sous le soleil de Satan, tratto dall'omonimo romanzo di G. Bernanos, cui fa seguito Van Gogh (1991).

J. Eustache, che ha esordito negli anni Sessanta realizzando le sue opere sulla linea del cinéma-vérité, firma nel 1973 La maman et la putain, nel 1974 Mes petites amoureuses e nel 1977 Une sale histoire, apparendo come uno dei più originali e solitari autori del decennio, legato a un cinema ''comportamentale'' che aderisce al corpo e contemporaneamente lavora sulla parola, sulla voce e sui suoi eccessi. Si uccide nel 1981.

La ricerca sulla parola, la scrittura e il testo è anche al centro dell'opera di M. Duras, che attraverso la dissociazione tra suono e immagine e l'ossessione della voce fuori campo (soprattutto in India song, 1974, Le camion, 1977), teorizza in maniera radicale "l'impossibilità di girare il film" esibendo il testo come "residuo" dell'operazione cinematografica.

La povertà di mezzi tipica di questo cinema riesce a trasformarsi in una scelta estetica che caratterizza buona parte della produzione d'autore degli anni Settanta e Ottanta. Su tale linea si muove P. Vecchiali, un regista capace di interessanti proposte linguistiche e di una originale rilettura del cinema degli anni Trenta e Quaranta. D'altra parte il prodotto d'autore a basso costo costituisce il modello di film finanziato dallo stato con il sistema dell'Avance sur recette che stabilisce un anticipo sugli incassi passibile di non venir restituito qualora il film sovvenzionato risulti un disastro commerciale. Così registi come P. Kast, Bresson, Rivette e altri possono continuare a lavorare solo grazie a questa protezione governativa che privilegia un cinema intellettuale, letterario, riflessivo. Lo stesso orientamento viene seguito dalla televisione, sempre più presente nelle coproduzioni e sostenitrice in proprio, soprattutto tramite l'INA (Institut National de l'Audiovisuel) di progetti d'autore che coinvolgono registi come Ruiz, Téchiné, Jacquot, Zucca, Kané.

Con gli anni Ottanta nuove figure di autori giungono ad alimentare un panorama già molto variegato.

S'impone innanzitutto J.-J. Beinex (Diva, 1980; La lune dans le caniveau, Lo specchio del desiderio, 1983; 37° 2 le matin, Betty Blue, 1986), con opere ricche di effetti visivi ed esaltazioni formali. Sulla stessa linea di un cinema manierista, volto alla contaminazione di materiali ibridi, in parte suggestionato dall'estetica dello spot pubblicitario, si collocano L. Besson (Le dernier combat, 1983; Subway, 1985; Le grand bleu, 1988; cui seguono il ''giallo brillante'' Nikita, 1990, e il documentario ecologico Atlantis, 1991) e L. Carax (Boy Meets Girl, 1985; Mauvais sang, Rosso sangue, 1987; Les amants du Pont Neuf, Gli amanti del Pont Neuf, 1991). Tra gli altri nomi spiccano quelli di registi come P. Chéreau, J.-J. Annaud (affermatosi con Il nome della rosa, 1986; L'Ours, L'Orso, 1988; L'amant, L'amante, 1991), R. Depardon, C. Serreau, B. Schroeder, tutti attivi fin dagli anni Settanta. Tra gli autori che hanno esordito nell'ultimo decennio rimangono infine da citare R. Goupil, J.-C. Brisseau, E. Niermans, C. Devers, O. Assayas, J.-P. Denis, nonché J.-P. Rappeneau, al quale si deve un'ottima trasposizione del Cyrano de Bergerac (1990).

Bibl.: Il cinema francese dopo il maggio '68, a cura di A. Farassino, numero monografico di Bianco e Nero, Roma 1972; AA.VV., Situation du cinéma français, in Cahiers du Cinéma, Parigi, numeri speciali 323/24 e 325, maggio e giugno 1981; AA.VV., Le cinéma français, in Cinématographe, 85, ivi, gennaio 1983; Il gergo inquieto. Trent'anni di cinema sperimentale francese (1950-1980), a cura di E. De Miro, D. Noguez, Genova 1983; M. Martin, Le cinéma français depuis la guerre, Parigi 1984; R. Predal, Le cinéma français contemporain, ivi 1984; G. De Vincenti, Cahiers du Cinéma, Indici ragionati 1951-69, Venezia 1984; Nouvelle Vague, a cura di R. Turigliatto, Torino 1985; AA.VV., Il rosa e il nero. Cinema francese 1970-1985, Firenze 1985.

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