Francia

Atlante Geopolitico 2013 (2013)

Vedi Francia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016

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Dati geografici

La Francia, seconda potenza economica europea dietro la Germania, è membro di primo piano delle maggiori organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite – è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza – il G8, l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e la Nato. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, la Francia ha intrattenuto un rapporto privilegiato, sebbene non privo di tensioni, tanto con la Germania quanto, sull’altra sponda dell’Atlantico, con gli Stati Uniti. Negli ultimi anni la politica estera francese ha parzialmente riequilibrato il proprio assodato europeismo con una maggiore attenzione ai legami transatlantici, fermi restando forti interessi in Africa e Medio Oriente, regioni nelle quali Parigi mostra con più evidenza la sua autonomia. L’asse dei rapporti con l’Africa e le sponde sud-orientali del Mediterraneo riflette la condizione storica di alcuni di questi territori come ex colonie francesi e, a tutt’oggi, Parigi nutre un forte interesse nel mantenere la propria influenza in tali aree. Ciò è dimostrato, ad esempio, dalla creazione nel 2008 dell’Unione per il Mediterraneo, organo che riunisce i paesi dell’Unione Europea, del Nord Africa e del Medio Oriente, fortemente voluto dal presidente Nicolas Sarkozy e finalizzato al rilancio dei rapporti euro-mediterranei, o dall’attivismo mostrato durante la crisi libica del 2011. Più in generale, il passato coloniale francese mantiene perduranti implicazioni sulla proiezione internazionale del paese, sia per quanto riguarda il rapporto privilegiato con le ex colonie e i mandati (come mostra la cosiddetta Françafrique) che per la sovranità sui territori d’oltremare. Tale eredità storica influenza le scelte strategiche della Francia (basti pensare ai teatri in cui ha inviato missioni di pace), ma offre anche al paese la possibilità di giocare un ruolo importante nelle dinamiche regionali e sub-regionali in diversi teatri extraeuropei.

Traumatizzata dall’esperienza della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione nazista, Parigi ha avuto un ruolo di primo piano nella definizione dell’ordine regionale e globale post-bellico, affermandosi come uno degli attori principali dei nuovi organismi internazionali preposti a mantenere tale ordine. La preoccupazione per la creazione di condizioni di stabilità e pace durature si estrinsecava soprattutto nel contesto europeo, dove l’esigenza di costruire una pace stabile si saldava alla volontà di mettere in atto misure volte a contenere il vicino tedesco. È in questo contesto che va letto il decisivo impegno francese, in particolare con Jean Monnet e Robert Schuman, a favore di un progetto di integrazione europea. Motore e a tratti anche argine al processo di integrazione sul continente (si pensi allo storico fallimento della Comunità europea di difesa o alle tensioni dell’era de Gaulle), la Francia è stata senza dubbio un pilastro del nuovo ordine europeo, un ruolo che per molto tempo ha condiviso con la vicina Germania. Con la fine della Guerra fredda, la Francia ha sostenuto un rilancio del processo di integrazione, anche nella direzione di una maggior autonomia dell’Europa rispetto al tradizionale partner statunitense, come emerso con evidenza nell’opposizione franco-tedesca alla guerra in Iraq del 2003. Negli ultimi anni il sentimento europeista sembra aver subìto qualche arresto, la solidarietà intra-comunitaria è stata meno evidente – si pensi al fallimento del referendum del 2005 relativo al progetto di Costituzione europea – e la Francia, in particolare sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, si è riavvicinata maggiormente agli Stati Uniti. Tale processo, che è passato anche attraverso il reintegro della Francia nel comando congiunto della Nato (dopo l’uscita voluta da Charles de Gaulle nel 1966), non è tuttavia andato a scapito dei rapporti bilaterali con la Germania, tanto che la crisi economica europea sembra piuttosto segnalare un rafforzamento dell’‘asse’ franco-tedesco.

Ordinamento istituzionale e politica interna

Ordinamento
Assemblea Nazionale

L’organo legislativo è costituito da un Parlamento bicamerale: accanto all’Assemblea nazionale (577 membri eletti per cinque anni), vi è il Senato, formato da 321 membri, nominati su base territoriale e in carica per nove anni, rinnovati dei due terzi ogni tre anni. All’epoca del settennato, le elezioni legislative si tenevano separatamente da quelle presidenziali e, di conseguenza, poteva accadere che vi fossero periodi in cui la maggioranza parlamentare non fosse espressione del partito del presidente. In questi casi si ha la cosiddetta ‘coabitazione’, in cui il presidente è costretto a nominare un primo ministro della parte politica opposta, per ottenere la fiducia in parlamento. Questo è avvenuto tre volte: tra il 1986 e il 1988, tra 1993 e il 1995 e tra il 1997 e il 2002. Nell’ultima tornata elettorale per le presidenziali del maggio del 2012 François Hollande, leader del Parti Socialiste, ha vinto con il 51,6% dei voti il ballottaggio contro Nicolas Sarkozy, presidente uscente ed esponente del partito neo-gaullista Ump (Union pour un mouvement populaire). Le successive elezioni legislative del giugno 2012 hanno ulteriormente rafforzato tale risultato, conferendo alla coalizione di centro-sinistra una cospicua maggioranza parlamentare. Hollande si trova quindi nella condizione di poter attuare l’ambizioso programma di stampo progressista anticipato nel corso della campagna elettorale, e volto a mettere fine all’‘era Sarkozy’ attraverso la creazione di nuovi impieghi pubblici, la riduzione dell’età di pensionamento, la maggiore tassazione delle fasce più ricche della popolazione.

Popolazione e società

Popolazione

La Francia è, dopo la Germania, il paese demograficamente più rilevante all’interno dell’Unione Europea (Eu), con un tasso di crescita demografica (0,6%) al di sotto della media mondiale (1,1%), ma comunque più alto della maggior parte dei paesi europei.

Piramide età
Proiezione demografica

La lenta ma costante crescita demografica francese è dovuta sia a un tasso di natalità notevole, sostenuto da politiche sociali volte al sostegno della famiglia, sia a ingenti flussi migratori. Dalle ex colonie nel sud-est asiatico e nell’Africa settentrionale è giunta in Francia negli anni Sessanta una massiccia ondata di immigrati, in particolar modo provenienti da Algeria, Marocco, Tunisia e Vietnam; fenomeno di rilievo a partire dal 1962, anno dell’indipendenza dell’ex colonia algerina, è stato il rimpatrio dei cosiddetti ‘Pieds Noirs’, i francesi nati in Algeria. Ad oggi, il numero di persone provenienti dall’estero, soprattutto dall’area del Maghreb, è di circa 5 milioni.

Immigrazione

Tuttavia, va fatta una differenziazione tra le cosiddette prime generazioni, persone arrivate in Francia da altri paesi, e la seconda e terza generazione, figli di immigrati nati in Francia e, quindi, francesi a tutti gli effetti. In particolare l’acquisizione della cittadinanza, compiuti i 18 anni, da parte dei soggetti nati nel territorio francese da genitori non francesi è stata resa automatica nel 1997 grazie alla legge sulla nazionalità. La politica di assimilazione di questa variegata comunità si è basata su un forte richiamo all’identità e ai valori nazionali. Ciò non ha però risolto tensioni legate soprattutto alla scarsa integrazione di queste comunità nel sistema socioeconomico francese. Tali problematiche, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, hanno riguardato in particolare la comunità musulmana francese, la più numerosa d’Europa e pari a circa il 10% della popolazione. Il disagio degli abitanti di alcuni quartieri periferici dei centri urbani, in gran parte di origine africana, è più volte sfociato in atti di violenza e guerriglia contro le forze dell’ordine. L’approccio dell’ex presidente Sarkozy, che legava strettamente sicurezza e immigrazione, lo ha posto talvolta in contrasto con l’Eu, come nel caso delle espulsioni della minoranza Rom nel 2010. Sul versante della coabitazione interna, l’attenzione del dibattito pubblico francese ed europeo è stata attratta dalla questione del rapporto tra laicità dello stato e uso di simboli religiosi in luoghi pubblici. Se in Italia l’evento attorno al quale si è scatenato il dibattito è stato quello relativo all’esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche, in Francia è stato l’uso del velo islamico a generare un animato dibattito pubblico e controverse scelte legislative.

Indicatori di governance

Il sistema di protezione sociale francese è fondato sul principio di solidarietà nazionale e su un approccio universalistico al welfare. Tale approccio si traduce nell’allocazione di una quota consistente della spesa pubblica alle misure di protezione sociale, ponendo la Francia tra i primi paesi al mondo per rapporto tra risorse destinate al welfare e pil.

Istruzione e benessere
Corruzione

Nonostante un ricorrente deficit di bilancio, il governo ha deciso di non ridurre questa spesa, che comprende, tra le altre, politiche di sostegno alla maternità, pensioni e sussidi di disoccupazione, e che funge da ammortizzatore sociale e tutela i francesi e il loro potere d’acquisto. In una classifica dell’Organizzazione mondiale della sanità (Who) del 2000, non più stilata, il sistema sanitario francese è stato valutato il migliore al mondo. La totalità della popolazione francese è assicurata tramite un regime di base (Régime général o Régimes spéciaux).

Sanità

Nell’ultimo decennio, la Francia ha speso circa l’11% del pil per la sanità e, nonostante una riforma volta a responsabilizzare maggiormente l’utenza, tale cifra non sembra destinata a ridursi. Il sistema scolastico francese si basa sul principio, sancito dalla Costituzione del 1958, in base al quale l’organizzazione dell’insegnamento pubblico obbligatorio e laico a tutti i livelli è un dovere dello stato. In particolare, la scuola è obbligatoria e gratuita dai 6 ai 16 anni. Per quanto concerne il livello universitario, due istituti superiori francesi rientrano nella classifica stilata dall’Osservatorio internazionale sull’eccellenza e il posizionamento accademico (Ireg): l’École Normale Supérieure de Paris, al 33° posto, e l’École Polytechnique posizionata al 36°.

Libertà e diritti

Partecipazione e libertà

L’accesso a internet è libero e nel 2009 gli utenti internet erano il 71% della popolazione. La legge antiterrorismo permette però di controllare l’accesso di sospetti terroristi. Inoltre dal 2009 è entrata in vigore una legge per la diffusione delle opere dell’ingegno e la tutela dei diritti su internet che prevede la possibilità di sospendere la connessione a internet – per un massimo di un anno, senza un’ordinanza di un giudice – agli utenti che scaricano illegalmente musica o altri materiali protetti da diritto d’autore. I recidivi possono poi andare incontro a sanzioni fino a 43.900 dollari o due anni di detenzione. La riforma costituzionale del 2008 ha istituzionalizzato la parità di genere, sociale ed economica, anche se, per lo stesso lavoro, le donne guadagnano in media ancora il 25% in meno degli uomini. Inoltre sono previste ‘quote rosa’ in alcune consultazioni elettorali, tra cui quelle europee, per effetto di una legge varata nel 1999 ma alle elezioni parlamentari del 2012 solo il 27% dei seggi sono stati conquistati da donne e queste ultime rimangono sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali pubbliche e private. Per quanto riguarda la disuguaglianza economico-sociale, la Francia risulta invece uno dei pochi paesi sviluppati nei quali il rapporto tra la fascia più ricca e quella più povera della popolazione è andato riducendosi nell’ultimo trentennio.

Economia

Dati macroeconomici

L’economia francese, la quinta al mondo, è caratterizzata dal fatto che, nonostante le privatizzazioni avviate già negli anni Ottanta, lo stato detiene il controllo di una larga parte delle attività economiche, e la crisi economica ha portato a un ulteriore rafforzamento dell’intervento pubblico, come mostra in particolare il settore energetico. Il settore primario rappresenta meno del 3% del pil ma ha una forte rilevanza politica. Infatti, la Francia rimane il maggiore produttore agricolo dell’Eu, in un contesto in cui il settore agricolo ha perso drasticamente la sua centralità. La Francia ha sempre esercitato grande influenza nella definizione della Politica agricola comune dell’Unione Europea (Cap) e ne è stata storicamente la prima beneficiaria (nel 2006, ad esempio, ha ricevuto circa 10 miliardi di euro – equivalenti al 20% del totale dei fondi Cap). Da tempo in Europa si discute della necessità di riformare questo strumento, elaborando una riforma in grado di promuovere la modernizzazione del sistema agricolo e diminuire i sussidi agli agricoltori. In questo contesto, la Francia mira a mantenere intatti i sussidi esistenti, posponendo ogni tentativo di autentica riforma. Proprio questa necessità interna di sostenere la Cap rende la Francia, assieme al resto dell’Eu, oggetto di critiche da parte dei paesi meno sviluppati, che denunciano gli effetti distorsivi della Cap sui mercati agricoli internazionali. A fronte di tali implicazioni, la portata della cooperazione francese ed europea allo sviluppo ne esce infatti fortemente ridimensionata.

Crescita PIL

Sul piano commerciale la Francia è un attore di primo piano, essendo il sesto esportatore mondiale. Il suo principale partner commerciale è la Germania e tra i maggiori prodotti esportati nel mondo figurano quelli alimentari, aerei Airbus, autoveicoli e attrezzature militari. Tuttavia, la bilancia commerciale francese è peggiorata notevolmente negli ultimi anni. Di rilievo anche l’entità degli investimenti francesi all’estero, che nel 2010 erano diretti per oltre tre quarti ai paesi dell’Eu (di cui oltre la metà verso la zona euro), per il 10% circa a paesi Oecd, quali Stati Uniti e Svizzera, e per il 12% al resto del mondo (di cui il 3% verso il Brasile). Viceversa, nella prima metà del 2012 la Francia è stata la quarta destinazione al mondo per investimenti diretti esteri. La posizione delle maggiori imprese francesi risulta rilevante anche sul piano internazionale, soprattutto nel settore dei servizi. In particolare, Gdf Suez, Électricité de France, Vivendi e Pernod Ricard sono tra le 100 multinazionali al mondo con le maggiori quote di attività all’estero.

Investimenti
Partner commerciali

Energia e ambiente

Infrastrutture

L’industria dell’energia rappresenta il 2,1% del valore aggiunto, il 25% degli investimenti industriali e il 2,8% degli investimenti totali. Il panorama energetico francese è tradizionalmente dominato dall’industria nucleare, che conta 19 centrali e un totale di 58 reattori attivi, a cui si somma un nuovo reattore in costruzione a Flamanville (Bassa Normandia).

Mix energetico

La Francia è largamente dipendente anche per l’approvvigionamento di gas naturale importato soprattutto da Norvegia, Paesi Bassi, Russia e Algeria. Nonostante le potenzialità, la produzione interna di gas da giacimenti non convenzionali è al momento bloccata per preoccupazioni relative all’impatto ambientale.

Il mercato dell’energia francese è solo parzialmente liberalizzato, come dimostrano i richiami dell’Unione Europea e dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), e ancora dominato da campioni nazionali (Edf, Gdf Suez) a controllo statale.

Nonostante quasi la metà della domanda di energia venga ancora soddisfatta dal petrolio, il livello di emissioni di CO2 pro capite derivanti dall’utilizzo di elettricità è diminuito, grazie allo sviluppo del nucleare e dell’energia idroelettrica,

tradizionalmente la principale fonte rinnovabile francese, che sfrutta gli invasi montani delle Alpi e dei Pirenei. La Francia è infatti ottava nella classifica dei paesi con minori livelli di emissioni in Europa e settima nella classifica internazionale della performance ambientale. Il governo ha avviato inoltre un ambizioso programma ambientale, denominato ‘Grenelle de l’Environnement’, e ha recentemente adottato alcune leggi volte ad aumentare il risparmio energetico e la percentuale di energia rinnovabile. In base alla suddivisione tra i paesi dell’Eu impegnati a rispettare il Protocollo di Kyoto, nel periodo 2008-12 la Francia dovrebbe mantenere le sue emissioni al livello di quelle del 1990.

Energia e ambiente
Il nucleare

Difesa e sicurezza

Difesa

La Francia è una delle potenze nucleari e possiede circa 300 testate atomiche. Tali armamenti rientrano nella dottrina strategica francese, basata sul concetto di indipendenza nazionale, autosufficienza militare e deterrenza nucleare. Sebbene Parigi inizialmente non abbia firmato il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty), lo ha ratificato nel 1996 e ha firmato il Trattato di non-proliferazione nucleare (Npt), ratificandolo nel 1992. All’interno dell’Eu, il paese è un sostenitore convinto dello sviluppo della Politica europea e di sicurezza e difesa comune (Esdp), progetto all’interno del quale si sono svolte le prime missioni di peacekeeping dell’Unione, come quelle nei Balcani, nella Repubblica Democratica del Congo, nel teatro caucasico e in quello mediorientale. L’aumento dell’influenza francese nel continente africano e nell’area del Medio Oriente allargato è testimoniato proprio dalla partecipazione alle più importanti missioni in questi territori. In Africa, la Francia partecipa tra le altre all’operazione ‘Liocorno’ in Costa d’Avorio (presenza massima di 4000militari) e a Minurcat (missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Centrafricana e in Ciad); in Afghanistan contribuisce alla missione Isaf della Nato (con un apice di 4000 soldati dispiegati) e in Libano alla missione delle Nazioni Unite Unifil II. L’operazione Liocorno, ora sotto l’egida delle Nazioni Unite e rinominata Unoci (missione Un in Costa d’Avorio), ha una rilevanza particolare rispetto alle altre in quanto nel 2002 la Francia ha dato il via a tale missione in maniera autonoma, senza l’intervento delle Nazioni Unite, arrivato solo in un secondo momento; ciò a testimonianza di quanto siano importanti gli interessi francesi in quell’area. Importanza riemersa durante la crisi ivoriana del 2010-11, a seguito delle contestate elezioni presidenziali, in cui l’esercito francese ha avuto un ruolo di primaria importanza per la cattura e la destinazione dell’ex presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo. Analogamente, la Francia ha assunto la leadership delle operazioni militari contro il regime libico di Mu‘ammar Gheddafi a fine marzo 2011, poi passate sotto comando Nato, dopo che – su iniziativa della stessa Francia – le Nazioni Unite (attraverso la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza) avevano autorizzato l’intervento aereo con la finalità di prendere le misure necessarie alla protezione della popolazione civile. La Francia ha inoltre una serie di basi militari all’estero, soprattutto nei territori delle ex colonie come Costa d’Avorio, Ciad, Gabon, Senegal e Gibuti, ed ha inaugurato da poco una propria base militare negli Emirati Arabi Uniti (Eau): si tratta della prima base francese permanente nel Golfo Persico, che lascia presagire una presenza di lungo periodo nell’area. Le relazioni con il Medio Oriente e l’Africa si estendono anche alla cooperazione al settore della difesa. Il principale mercato di esportazione dell’industria francese della difesa sono proprio gli Emirati Arabi Uniti (al primo posto) e rilevanti sono le esportazioni verso Arabia Saudita Marocco, Libia, Egitto e Israele. La Francia coopera intensamente in materia di sicurezza con i paesi della sponda sud del Mediterraneo per fini di anti-terrorismo, diretti in particolar modo contro il terrorismo di matrice islamica. In tale prospettiva, di fronte alla minaccia costituita dall’espansione di al-Qaida nel nord del Mali, nell’ottobre del 2012 la Francia si è fatta promotrice di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che autorizza l’intervento di una forza multinazionale africana, alla quale il paese offrirebbe il proprio supporto logistico e di intelligence.

Presenza militare

Françafrique

Il termine ‘Françafrique’ riflette lo stretto legame tra la Francia e le ex colonie africane. Il capo di stato francese e i capi di stato africani si incontrano regolarmente al summit Francia-Africa che offre un foro di discussione su temi politici ed economici. Inoltre, la Francia continua a svolgere un ruolo importante nell’evoluzione politica della regione, come testimonia il cospicuo numero di militari francesi coinvolto nelle principali missioni internazionali sul territorio africano. Di rilievo anche i rapporti economici. Oltre ai legami commerciali privilegiati con il gruppo di paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp Group) nell’ambito della politica commerciale comune dell’Unione Europea, in Africa si registra la forte presenza di multinazionali francesi interessate alle materie prime, soprattutto in ambito energetico, e che in alcuni paesi giocano un ruolo di primo piano in settori strategici quali trasporti e telecomunicazioni. Nono-stante la maggior parte degli investimenti diretti esteri francesi siano infatti diretti ai paesi Oecd, a partire dal 2008 i flussi di investimenti verso il continente africano sono aumentati in modo significativo e rappresentano in termini assoluti una quota non trascurabile. L’influenza francese è infine visibile nella ‘zona franco’, cui partecipano 14 ex colonie dell’Africa centrale e occidentale che utilizzano una moneta, il franco Cfa (da ‘Communauté Financière Africaine’), legata un tempo al franco francese e oggi ancorata all’euro.

Territori d’Oltremare

La proiezione della Francia a livello internazionale, oltre che per i rapporti diplomatici ed economici, è anche data dal possesso, oltre al cosiddetto territorio metropolitano e alle sue 22 regioni, di altri 13 territori, a loro volta divisi in: • Regioni d’oltremare (Guadalupa, Guyana francese, Martinica e Riunione) • Collettività d’oltremare (Mayotte, Polinesia francese, Saint-Barthélemy, Saint-Pierre e Miquelon, Saint-Martin, Wallis e Futuna) • Nuova Caledonia • Territori australi e antartici francesi • Atollo di Clipperton. In totale, tali territori comprendono circa 3 milioni di abitanti e quello più popoloso risulta essere l’isola della Riunione, situata nell’Oceano Indiano, a circa 650 km ad est del Madagascar.

Il semipresidenzialismo e le riforme
di Sofia Ventura

Nel sistema di governo francese il presidente ha assunto, a partire dalla presidenza de Gaulle, un ruolo ben più rilevante di quello attribuitogli dalla carta costituzionale. In particolare, quando la maggioranza presidenziale e quella dell’Assemblea nazionale (unica camera verso la quale l’esecutivo è responsabile) coincidono, il presidente assume, di fatto, il ruolo di vera e propria guida del governo e il primo ministro si trasforma nel suo principale collaboratore (anche se nella storia della Quinta Repubblica non sono mancate tensioni tra presidenti e primi ministri). Il presidente, in altri termini, si ‘impossessa’ dell’esecutivo, dotato dalla Costituzione del 1958 di notevoli poteri in materia d’iniziativa e di dibattito legislativi e ulteriormente rafforzato dall’affermazione della logica maggioritaria. L’adozione per l’Assemblea nazionale di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno con soglia di sbarramento (pari oggi al 12,5% degli aventi diritto al voto) e l’elezione presidenziale a suffragio universale a doppio turno con ballottaggio, infatti, hanno condotto alla bipolarizzazione del sistema partitico e, dunque, alla formazione di solide e coese maggioranze parlamentari. Il fatto che la bipolarizzazione abbia preso forma soprattutto attorno ai due candidati alla presidenza presenti al secondo turno dell’elezione presidenziale ha favorito la sovrapposizione tra maggioranze presidenziali e maggioranze parlamentari e l’assunzione, da parte del presidente, del ruolo di leader effettivo anche delle seconde. La leadership di fatto della maggioranza parlamentare ha dunque consentito al presidente di estendere il suo controllo sull’esecutivo responsabile verso quella stessa maggioranza. Durante le fasi di coabitazione, invece, il presidente è stato costretto ad arretrare e il primo ministro si è riappropriato del ruolo di guida del governo riconosciutogli dalla Costituzione. La centralità del presidente è stata rafforzata dalla riforma della Costituzione introdotta nel 2000 e divenuta operativa per la prima volta nel 2002, quando le elezioni presidenziali e legislative coincisero. Con quella riforma, il mandato presidenziale è stato ridotto a cinque anni (quinquennato), la stessa durata dell’Assemblea nazionale. La coincidenza dei due mandati (ora altamente probabile) ha reso la maggioranza parlamentare (le elezioni presidenziali precedono in ordine di tempo quelle legislative) ancora più dipendente dalla figura del presidente, la cui elezione ha un effetto di trascinamento sulle consultazioni per l’Assemblea nazionale. Una seconda revisione della Costituzione è stata approvata nel luglio 2008 su iniziativa di Nicolas Sarkozy. Il processo di riforma aveva come obiettivi, da un lato, quello di fornire un riconoscimento costituzionale, almeno parziale, alle effettive relazioni tra presidente, primo ministro e membri del governo e legislativo; dall’altro, quello di rivalutare il ruolo di quest’ultimo (pur sempre mantenendosi in una prospettiva maggioritaria, ove l’esecutivo mantiene la preminenza sul legislativo). Il primo obiettivo, in realtà, non è stato raggiunto. Non vi è stata alcuna razionalizzazione esplicita dei rapporti tra il presidente e le altre istituzioni (fatta eccezione per la possibilità per il presidente di presentare ogni anno il proprio programma alle camere riunite, in un discorso al quale segue un dibattito senza voto e in assenza del presidente), e i pochi limiti posti all’esercizio del potere presidenziale hanno riguardato non tanto il ruolo di leader della maggioranza e reale guida del governo, quanto quello di capo dello stato (va segnalata la limitazione dei mandati presidenziali a due). Risultati più significativi, invece, sono stati raggiunti in relazione al ruolo e all’operatività del parlamento. Questo è stato dotato di strumenti che gli dovrebbero consentire con più efficacia di contribuire alla scrittura delle leggi e di esercitare la sua funzione di controllo; l’esecutivo, a sua volta, ha visto una relativa attenuazione delle sue possibilità d’intervento.

La questione del velo

Nel 2004 la Francia ha adottato la legge sulla laicità (n. 228/2004), in base alla quale nelle scuole pubbliche primarie e secondarie è vietato indossare simboli o capi d’abbigliamento tramite i quali gli alunni manifestino in maniera evidente la loro appartenenza religiosa. Nello stesso anno, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul caso di una studentessa turca che, a causa del velo, era stata espulsa dall’università per violazione del principio di laicità sancito dalla Costituzione turca: secondo la Corte non era riscontrabile una violazione della libertà di religione. Il dibattito sul velo si è riacceso in particolare a partire dal 2010, quando il parlamento francese ha approvato una legge che vieta l’uso di veli ‘integrali’, quali burqa e niqab, in qualsiasi luogo pubblico. Tali questioni s’inquadrano nel contesto dell’approccio francese all’integrazione musulmana delle minoranze. La nuova legge è molto criticata dalla comunità musulmana. che vede in essa un potenziale strumento di discriminazione e stigmatizzazione. Più in generale, va osservato come, a differenza dei neo-immigrati, siano propriole generazioni più giovani e nate in Francia a rivendicare maggiormente l’appartenenza ai valori e ai simboli islamici, in risposta a quella che viene talvolta percepita come una condizione di emarginazione nei confronti delle istituzioni e della società.

La Francia e la crisi economica

Con un pil di 2.7766 miliardi di dollari, la Francia è la sesta economia mondiale e la seconda a livello europeo. La crisi economica iniziata nel 2008-09 ha condotto a una contrazione del pil reale del 2,5% (attestandosi allo stesso livello dell’area euro) e al rallentamento della produzione industriale (l’indice dell’attività industriale è sceso di circa il 15%), ma già nel 2010 si è registrata una lieve crescita del pil e degli investimenti. Nel breve periodo, il governo ha risposto con misure volte a sostenere gli investimenti e l’occupazione; in particolare, l’allora presidente Sarkozy ha puntato su ricerca, innovazione, energie rinnovabili ed economia digitale. Sul versante finanziario, nonostante lo stato di salute delle banche nazionali sia risultato migliore rispetto alla media europea, si sono resi necessari ingenti prestiti statali per garantire sufficiente liquidità. A livello europeo la Francia ha svolto un importante ruolo di coordinamento nella gestione della crisi economico-finanziaria, incentivandouna politica di risposta comune, coordinata anche con i paesi non appartenenti all’area euro, e mirata a garantire agli istituti finanziari le risorse di capitale necessarie ad arginare i rischi sistemici. Nel corso del 2012 la posizione fiscale della Francia è andata tuttavia deteriorandosi, come evidenziato dal downgrading del debito francese operato dalle agenzie di rating Standard&Poor’s (gennaio) e Moody’s (novembre). Di fronte ad un rapporto deficit su pil pari al 4,5%, ad un debito prossimo al 90% e una previsione di crescita per il 2013 inferiore all’1%, il nuovo presidente Hollande si trova a dover emendare ampiamente il proprio programma, assumendo decisioni che molto probabilmente risulteranno impopolari. Tra queste figura la ratifica del ‘Fiscal Pact’ negoziato a livello Eu da Merkel e Sakozy, e contro il quale Partito socialista si era battuto in campagna elettorale perché ritenuto sinonimo di ulteriore ‘austerity’; tale cambio di rotta, oltre a rappresentare un segnale di debolezza in campo europeo, rischierebbe di alimentare il sostegno per il variegato fronte antieuropeista, che unisce l’estrema destra del Front National di Marine Le Pen al Front de Gauche di Jean-Luc Mélenchon. D’altra parte, i previsti tagli di oltre 10 miliardi di euro alla spesa pubblica e un aumento della pressione fiscale di altri 20 miliardi (concentrati principalmente sui redditi più alti e sulle imprese di grandi dimensioni) rischiano di avere ricadute negative sul tasso di disoccupazione, già prossimo a superare la soglia del 10%.

La scelta del nucleare

Dopo lo shock petrolifero del 1973 la Francia ha promosso la produzione dell’energia nucleare, al fine di rendere il paese meno dipendente dalle importazioni e dalle oscillazioni del prezzo del petrolio. Nel 2007 il nucleare ha fornito il 77% dell’elettricità nel paese, pari al 47% del totale di energia nucleare in Europa, facendo della Francia il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. I carburanti fossili continuano a fornire il 73% dell’energia richiesta mentre il nucleare il 16%. Secondo i dati del Ministero dell’industria, l’indipendenza energetica si attesta intorno al 50%. Gli investimenti del governo in ricerca e sviluppo in questo settore sono stati molto importanti, anche grazie a una gestione non separata dell’energia nucleare a scopi civili e militari. Ad oggi la Francia possiede 59 reattori nucleari gestiti da Électricité de France (Edf), mentre la compagnia francese Areva, in cooperazione con la tedesca Siemens, sta elaborando un nuovo reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata, che dovrebbe divenire il più grande reattore mondiale. La Francia ha creato una Autorità di sicurezza nucleare indipendente che contribuisce all’elaborazione della normativa in materia di sicurezza, alla verifica del rispetto della medesima e alla divulgazione delle informazioni.

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