FRANCIA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

FRANCIA

Giuseppe CARACI
Massimo BRUZIO
Raymond LANTIER
Mario DONATI
Armando SAITTA
Amedeo TOSTI
Luigi SUSANI
Corrado MALTESE
Pierre LAVEDAN
Vittorio STELLA

(XV, p. 876 e App. I, p. 620).

Sommario. - Geografia: Francia occupata (p. 969); Popolazione (p. 969); Condizioni economiche (p. 971); Comunicazioni (p. 971); Commercio estero (p. 971); Ordinamento dello stato (p. 971); Finanze (p. 972). - Preistoria e archeologia: Preistoria (p. 973); Archeologia (p. 975). - Storia (p. 977); Operazioni militari durante la seconda Guerra mondiale (p. 985). - Arti figurative: Pittura e scultura (p. 993); Architettura (p. 995); Danni di guerra ai monumenti e opere d'arte (p. 996). - Musica (p. 1001). - Letteratura (p. 1001).

Francia occupata. - Con gli armistizî di Compiègne (22 giugno) e di Villa Incisa (24 giugno), la Francia accettò l'occupazione tedesca e italiana secondo una linea che dal confine svizzero presso Ginevra per Gale, Paray-Le Monial, Bourges giungeva fino a 20 km. da Tours, e di qui scendeva fino al confine spagnolo tenendosi a 20 km. ad est della ferrovia Tours-Augoulême-Libourne, attraverso Mont-de Marsan ed Orthez. Nell'agosto successivo Alsazia e Lorena vennero sottoposte all'amministrazione civile del Reich come parte del Westmark (14,522 kmq. con 1.915.700 ab.). Il territorio d'occupazione germanica misurava così 289.880 kmq. con 25 milioni di ab. Il resto, cioè 246.000 kmq. con 14.208.000 ab., costituiva la Francia non occupata, o Francia di Vichy. La zona di occupazione italiana comprendeva circa 600 kmq.

Popolazione (XV, p. 888 e App. I, p. 620). - Le perdite di uomini subìte dalla Francia durante la seconda Guerra mondiale sono calcolate in 1.450.000 uomini (così distribuite, in migliaia: militari uccisi, o morti in seguito a ferite, 200; vittime civili 160; prigionieri deportati e deceduti 240; eccedenza dei decessi sulle nascite e supermortalità di guerra 530, stranieri partiti 300; francesi stabiliti in Germania 20), ossia il 3,50% della sua popolazione.

Per effetto del trattato di pace con l'Italia (Parigi, 10 febbraio 1947), veniva operata a favore della Francia una rettifica lungo la nostra frontiera alpina, interessante i settori del Piccolo S. Bernardo (kmq. 2,8) della conca del Moncenisio (kmq. 84), della Valle Stretta e del M. Chaberton (kmq. 47); del M. Tabor con la valle del Rio Secco (kmq. 17), nonché della valle superiore del Roja (kmq. 567); in tutto kmq. 718 con circa 4.000 abitanti.

Il 10 marzo 1946 fu tenuto un censimento generale della popolazione, i risultati dal quale sono riportati nella tabella precedente. Il censimento accusa una diminuzione di 1.383.133 ab. (606.375 francesi e 782.278 stranieri) rispetto a quello del 1936. Il regresso, che è del 3,3%, interessa 58 dipartimenti, nella metà orientale della Francia, con le coste della Manica e quelle del Mediterraneo (il dipartimento delle Bocche del Rodano ha perduto un quarto della sua popolazione), mentre 32 dipartimenti, per lo più nella metà occidentale, hanno registrato qualche aumento (massimo nella Haute-Garonne col 10%). I centri urbani con popolazione superiore ai 100.000 abitanti sono ora 23 (contro 17 nel 1936; vanno aggiunti a questi ultimi Rennes, Limoges, Nîmes, Grenoble, Digione e Le Mans); 30 quelli superiori ai 50.000; ve ne sono poi 56 con più di 30.000, 75 con più di 20 e 221 con più di 10.000 ab. La maggior parte delle città registra tuttavia anch'essa una diminuzione di popolazione: 277.968 unità a Marsiglia, equivalenti al 30% della popolazione nel 1936 (i suoi abitanti sono scesi da 914.232 a 636.264), 109.874 (circa 1/5) a Lione, 104.372 a Parigi, 57.149 (oltre 1/3) a Le Havre, ecc.

Durante il periodo 1939-46 si ebbe in Francia una media annua di 622.800 nascite contro 663.604 decessi, ciò che corrisponde a un deficit medio di 40.805 (0,97%). Tuttavia, il passivo demografico si ridusse nel 1945 a sole 17.164 unità e anzi nel 1946 si ebbe addirittura un'eccedenza attiva di ben 294.350 unità; non solo, dunque, la guerra non ha ridotto la fecondità della Francia ma l'ha accresciuta, rivelando un'insospettata vitalità in un organismo caratterizzato finora, nel movimento della popolazione, da una progressiva estinzione, da un grave invecchiamento e da una forte immigrazione straniera. Gli stranieri erano al 10 marzo 1946 in numero di 1-670-729 (contro 2.453.507 nel 1936); le cifre più alte interessano i dipartimenti della Senna (194.122), del Nord (120.747) e del Pas-de-Calais (110.178), le più basse quella del Lozère (866) e del Morbihan (837). I cittadini italiani erano, in pari data, circa 650.000.

Condizioni economiche (XV, p. 895 e App. I, p. 620). - La guerra non ha profondamente alterato, per quel che si può finora giudicare, la struttura economica della Francia, o, meglio, i rapporti fra le diverse attività che la caratterizzano. Nel settore agricolo, tuttavia, non stupisce la generale contrazione della popolazione, accompagnata - non sempre però in misura proporzionale - da riduzione di superfici coltivate. Nel 1945 si aveva, del totale territoriale: 32,6% ad arativo; 22,4% a prati naturali e pascoli; 2,7% a colture arboree ed arborescenti; 19,7% a foresta; 12,3% a lande brughiere; il resto era improduttivo. La metà dell'arativo era tenuta a cereali. -Alcune cifre relative alla superficie coltivata e alla produzione delle principali colture sono raccolte in questo specchio:

Nello specchio che segue è riassunta la consistenza del patrimonio zootecnico.

La produzione di carni, latte, burro e formaggio è fortemente diminuita, quasi dimezzata quella del burro, più che dimezzata quella del formaggio.

Quanto alla produzione industriale, la Francia ha ormai già raggiunto, e in qualche settore superato, le posizioni d'anteguerra (fatto 100 il totale del 1938, si è avuto 84 nel 1946 e 98 nel 1947):

Si aggiunga a questi la produzione di energia elettrica che fu di 22,2 miliardi di kWh. nel 1946 e di 25,3 miliardi nel 1947, dei quali rispettivamente 11,4 e 12,6 miliardi di origine termica. Si prevede tra qualche anno di poter salire a 37 miliardi, di cui 13 di origine idraulica, per oltre la metà forniti dalla regione alpina. In buona ripresa anche le industrie chimiche, con questa produzione (rispettivamente per il 1946 e per il 1947): acido solforico 840 e 1.069 t.; carbonato solido 481 e 592 t.; superfosfati 1.080 e 1.416 t.; concimi 110 e 134 t.; sapone 43 e 73 t. La produzione di automobili si è elevata da 96,1 a 137,2 migliaia di unità, tra il 1946 e il 1947.

Comunicazioni (XV, p. 903; App. I, p. 622). - Nel 1938 la Francia possedeva 631.000 km. di strade, delle quali 80.000 nazionali, 545.000 vicinali e circa 600 dipartimentali. Dal gennaio 1938 tutte le reti ferroviarie furono riunite nella Société Nationale des Chemins de Fer Français, del cui capitale azionario lo stato detiene il 51%. Nel 1947 la lunghezza totale delle ferrovie raggiungeva 42.500 km., di cui solo 3.531 elettrificate, e 20.000 circa di ferrovie locali. Nel 1946 si contarono 696,8 milioni di viaggiatori e 125,8 milioni di t. trasportate. Le vie d'acqua misurano (1945) 8.955 km.; il traffico relativo si aggira sui 15-16 milioni di tonnellate.

La marina mercantile conta oltre 500 navi (di cui 50 transatlantici) per 2,1 milioni di t. di stazza (451.000 t. ai transatlantici).

Commercio estero (XV, p. 906; App. I, p. 622). - Le variazioni prodotte dalla crisi bellica appaiono chiare dal seguente prospetto, nel quale i valori del commercio estero sono riportati a quelli del 1938 (indice 100).

Nel 1947 le importazioni hanno segnato 38,5 milioni di t. per un valore di 346,7 miliardi di franchi, contro 13,9 milioni di t. per 212,9 miliardi di franchi all'esportazione; il deficit della bilancia commerciale ammonta perciò a 132,8 miliardi di franchi. La ripartizione di questo commercio dava (1947) i seguenti valori percentuali:

Nelle importazioni i prodotti alimentari e le materie prime destinate alle industrie tendono a diminuire, mentre aumenta la proporzione dei prodotti finiti (macchinario americano e macchine agricole americane ed inglesi); nelle esportazioni si ha un lieve accrescimento (121% rispetto al 1938) dei manufatti, ed una diminuzione dei prodotti alimentari e soprattutto delle materie prime (43%; i minerali di ferro e la bauxite non vanno più in Germania).

Il primo posto nel commercio estero è tenuto nel 1947 dal complesso dell'Unione francese (39% delle importazioni e 24% delle esportazioni). I principali fornitori sono gli Stati Uniti (36,8%), l'Unione belga-lussemburghese (6,9), la Germania (5,6) e l'Argentina (4,6); i principali clienti, l'Unione belga-lussemburghese (19%) la Gran Bretagna (11), la Svizzera (11) e i Paesi bassi (6). L'intercambio italo-francese è ancora molto modesto (3.222 milioni di lire alle importazioni dall'Italia, contro 994 alle esportazioni nel 1946, secondo nostri dati).

Ordinamento dello stato (XV, p. 909; App. I, p. 623). - La nuova costituzione francese, elaborata dalla seconda Assemblea costituente (eletta il 2 giugno 1946) fu resa valida per effetto del referendum popolare del 13 ottobre 1946 ed entrò in vigore il 24 dicembre 1946. L'art. 60 di essa determina la figura di un nuovo ente internazionale: l'Unione francese, che comprende da un lato la repubblica francese, dall'altro i territorî e gli stati associati.

La repubblica francese consta a sua volta della Francia metropolitana e dei dipartimenti e territorî d'oltremare, ossia: il governo generale dell'Algeria (Dipartimenti di Algeri, Orano e Costantina, e Territorî del Sud), i Dipartimenti d'oltremare (Martinica, Guadalupa, Riunione e Guiana), i Territorî d'oltremare (Africa Occidentale Francese, Africa Equatoriale francese, Madagascar e dipendenze, Arcipelago della Comore, Somalia francese, Stabilimenti francesi dell'India, Nuova Caledonia e dipendenze, Stabilimenti francesi dell'Oceania, S. Pierre e Miquelon), i due Territorî di mandato (Togo e Camerun) ed il Condominio anglofrancese delle Ebridi. In totale una superficie di 11,1 milioni di kmq. con 76-80 milioni di ab. (senza il Condominio anglo-francese che è di 12.000 kmq. con 42.000 ab.). I territorî e stati associati comprendono: i due protettorati del Marocco e della Tunisia, e la Federazione indocinese che risulta a sua volta composta della repubblica del Vietnam (Tonchino ed Annam settentrionale), dei regni di Cambogia e del Laos, della repubblica autonoma della Cocincina, e della regione autonoma dell'Indocina meridionale. In complesso territorî e stati associati abbracciano una superficie di 1,3 milioni di kmq. con 35,6 milioni di ab. In tal modo l'Union française, con un'area di 12,4 milioni di kmq., occupa il terzo posto (dopo il Commonwealth britannico e l'URSS) e con la sua popolazione di 115,6 milioni di ab. il quinto posto (dopo la Cina, l'Indostan, l'URSS e gli S. U.) fra i grandi stati (v. unione francese).

La repubblica francese - definita indivisibile, laica, democratica e sociale - è impersonata dal suo popolo, la cui sovranità si esprime per mezzo del parlamento e di referendum popolari. Il parlamento consta dell'Assemblea nazionale e del Consiglio della repubblica. La prima, eletta con suffragio universale diretto e segreto da tutti i cittadini di vent'anni compiuti, comprende 619 deputati, dei quali 30 spettano all'Algeria e agli altri dipartimenti e territorî d'oltremare. Il designato alla presidenza del Consiglio dei ministri deve ottenere il voto di fiducia prima di formare il Gabinetto. Il Consiglio della repubblica comprende non meno di 250 e non più di 320 membri; attualmente è di 315, dei quali 200 eletti con suffragio indiretto a base dipartimentale e comunale, 50 nominati dall'Assemblea nazionale tenuto conto dell'importanza dei partiti che sono in questa rappresentati, 14 eletti dall'Africa Settentrionale e 51 dagli altri territorî d'oltremare. Il Consiglio esamina e dà parere sulle proposte e i progetti di legge votati in prima lettura dall'Assemblea nazionale, cui spetta però la decisione definitiva. Vi è inoltre un Consiglio economico di 144 membri rappresentanti le organizzazioni di classe, le camere di commercio, le professioni libere e gli altri gruppi economici e sociali. Il parlamento elegge il presidente, che dura in carica 7 anni e può essere rieletto una volta; è anche presidente dell'Unione.

Il territorio metropolitano è diviso amministrativamente (1946) in 37.989 comuni (il 90% dei quali ha una popolazione inferiore ai 1500 ab. e 10 sono totalmente disabitati), riuniti in 3.028 cantoni 311 circondari e 90 dipartimenti.

Bibl.: E. De Martonne, La France Physique, Parigi 1947; A. Demangeon, La France Économique et Humaine, Parigi 1946.

Finanze (XV, p. 912; App. I, p. 624). - Mentre le favorevoli ripercussioni della politica di risanamento finanziario, iniziata dal governo a fine 1938, avevano determinato tra l'altro un notevole rimpatrio di capitali francesi dall'estero (le riserve auree della Banca di Francia e del Fondo di stabilizzazione dei cambî erano aumentate in poco più di un anno di 37 miliardi di franchi), controllo dei cambî e divieto del commercio di oro e divise, introdotti il 10 settembre 1939, impedirono l'espatrio di capitali. La liquidità del mercato monetario ne risultò accentuata, i tassi di interesse declinarono e lo stato poté beneficiare d'importanti sottoscrizioni ai buoni del tesoro e ai buoni di armamento di nuova creazione. La grande liquidità, il sostanziale ricorso dello stato al credito a breve termine, la politica del denaro a buon mercato furono anzi i tratti caratteristici del mercato monetario fino a tutto il 1944. Nel settembre 1939 il franco fu svalutato e il suo cambio con il dollaro fissato a 43,80.

L'occupazione nemica ha gravato notevolmente sull'economia francese; l'onere finanziario sostenuto per essa dallo stato può esser valutato in circa 950 miliardi di franchi e di questi per lo meno l'ammontare delle anticipazioni della Banca di Francia allo stato per spese di occupazione (426 miliardi) fu finanziato con l'inflazione diretta (la circolazione di biglietti aumentò, da fine maggio 1940 al 17 agosto 1944, di 435 miliardi). La politica del circuito monetario, attuata dal governo, fu favorita dalla incapacità dell'organizzazione produttiva, che lavorava a ritmo ridotto, ad assorbire le disponibilità formatesi sul mercato a seguito dell'inflazione; nonostante ciò per gli anni di occupazione il totale delle spese statali fu coperto soltanto per il 40% con prestiti e per il 32% con le imposte mentre per il resto fu necessario il ricorso all'inflazione. Il principale strumento di questa politica furono i buoni a breve termine (buoni del tesoro e buoni di risparmio) e le tratte del tesoro, rimesse obbligatoriamente ai fornitori dello stato in regolamento dei loro crediti. Meno intenso fu invece il ricorso dello stato al credito a lungo termine; la proporzione del debito fluttuante rispetto al debito totale salì in conseguenza dal 25% nel 1939, al 58% a fine guerra. I danni di guerra imputabili alla Germania e all'Italia sono stati valutati, ai fini delle riparazioni, a circa 1299 miliardi di franchi 1938.

Nel 1941 fu attuata la riforma del sistema creditizio che venne sottoposto al controllo della Commissione di controllo delle banche, del Comitato permanente di organizzazione bancaria e della Banca di Francia; nel 1942 furono riorganizzate le borse che vennero sottoposte al Comitato di controllo per le borse; dall'ottobre 1940 fu vietato il mercato a termine. Fin dalla liberazione (1944), la situazione economica e finanziaria del paese fu caratterizzata dall'apparire di alcuni squilibrî fondamentali, tra cui quello economico generale tra domanda di beni e produzione (scarto inflazionistico), e quelli di ordine finanziario tra spese ed entrate dello stato, tra d0manda e offerta di capitali, tra poste attive e passive della bilancia dei pagamenti. Le spese statali sono aumentate in parte per circostanze di fatto (deprezzamento del franco, conseguenze della guerra, ecc.), in parte per l'affermarsi di nuovi indirizzi di politica economica (estensione delle funzioni dello stato, sovvenzioni economiche, copertura dei disavanzi delle imprese pubbliche e nazionalizzate, assistenza e assicurazioni sociali). Superata la prima breve fase di acuta disorganizzazione, già negli ultimi mesi del 1944 il governo riuscì, profittando della liquidità del mercato, a lanciare il prestito della liberazione, che diede un gettito di 165 miliardi; la situazione si protrasse immutata nei primi mesi del 1945, durante i quali i nuovi buoni della liberazione poterono essere facilmente collocati. Il franco era stato nel frattempo nuovamente svalutato (2 novembre 1944) e il suo cambio rispetto al dollaro S. U. era stato fissato a 49,625.

Il 30 maggio fu deciso il cambio alla pari dei biglietti in circolazione; in connessione con questa operazione i depositi bancarî e le sottoscrizioni di buoni del Tesoro registrarono un aumento sensibile. La circolazione dei biglietti si contrasse così da 589 miliardi il 17 maggio a 444 miliardi il 2 agosto. Nei mesi successivi però l'attività economica, in fase di ripresa, cominciò ad esercitare una pressione sul mercato: a fine 1945 il saldo creditore del conto corrente del resoro presso la Banca di Francia, che il 2 agosto ammontava a 102 miliarili, era sceso a 11 miliardi e la circolazione dei biglietti era risalita a 570 miliardi; nel dicembre il franco fu ancora una volta svalutato (119,10 franchi = 1 dollaro). Dall'inizio del 1946 la nuova tendenza si andò accentuando, mentre le fonti del risparmio volontario cominciavano ad esaurirsi; le banche, sotto la pressione crescente delle richieste dell'economia, furono costrette a ricorrere all'Istituto di emissione e alla liquidazione di buoni del tesoro in scadenza. All'inflazione per conto dello stato (che già aveva dovuto ricorrere all'aumento della pressione fiscale, introducendo, tra l'altro, nell'agosto 1945 un'imposta straordinaria sul patrimonio) si è aggiunta, a partire dal 1946, quella a favore dell'economia. Le nazionalizzazioni delle industrie del carbone, del gas e dell'elettricità, decise nell'aprile-maggio 1946, hanno posto a carico del Tesoro il provvedere in misura crescente agli investimenti delle imprese nazionalizzate e alla copertura dei loro disavanzi di gestione.

Quanto ai rapporti finanziarî con l'estero, la forte riduzione delle entrate invisibili, la contrazione delle esportazioni (dovuta sia alla diminuita produzione, sia all'alto costo delle merci francesi) l'aumento dei bisogni di importazione, a causa della deficienza interna di derrate alimentari (il raccolto è stato, particolarmente nel 1947, assai scarso) e della cresciuta domanda di materie prime e di beni strumentali, hanno causato larghi disavanzi della bilancia dei pagamenti, soprattutto nei confronti dell'area del dollaro. L'arresto delle importazioni essenziali è stato evitato soltanto con la liquidazione di averi francesi sull'estero requisiti dallo stato (tra il gennaio 1945 e il maggio 1948 il disinvestimento viene valutato a 970 milioni di dollari circa), con sostanziali esportazioni di oro (le sole riserve della Banca di Francia sono scese da 1777 t. di oro fino nell'agosto 1944 a 411,7 t. nel novembre 1947) e con l'indebitamento verso l'estero (tra gennaio 1945 e maggio 1948 circa 2800 milioni di dollari di prestiti e 530 milioni di dollari di anticipazioni in base ad accordi di pagamento). Per l'operare contemporaneo degli squilibrî cui si è accennato, i prezzi hanno registrato, fino a tutto il 1947, un movimento fortemente ascendente e i salarî sono stati aumentati a più riprese; il loro livello tuttavia è rimasto assai al di sotto di quello dei prezzi.

Le basi della nuova organizzazione economica del paese furono poste nei primi due anni dalla liberazione: alle nazionalizzazioni di attività industriali seguì quella della Banca di Francia e di quattro grandi banche; furono accentrate nella Sécurité sociale l'attività assistenziale e le assicurazioni sociali; fu riorganizzato il sistema di controllo del credito, con l'istituzione del Consiglio nazionale del credito e con l'estensione delle funzioni della Banca di Francia, che è ora in grado di esercitare un controllo diretto ed efficace su tutto il sistema bancario. Si è infine elaborato un "piano di modernizzazione e di equipaggiamento" (piano Monuet), nel quale è stato fissato il programma per la ricostruzione economica del paese, e una serie di organi è stata creata per la sua attuazione.

Non si può dire tuttavia che nel 1945 e 1946 si sia fatto qualcosa per risolvere concretamente i problemi immediati dell'economia francese e il risultato fu che all'inizio del 1947 lo squilibrio economico e finanziario si era acutizzato; i prezzi (particolarmente quelli agricoli e di mercato nero) continuavano a salire e il franco a svalutarsi. Le fonti di risparmio produttivo minacciavano di inaridirsi, mentre si diffondevano il tesoreggiamento e gli investimenti improduttivi in beni reali. Si rese così imperiosa la necessità di arrestare il corso dell'inflazione e di stabilizzare il potere d'acquisto del franco. Falliti sostanzialmente i tentativi parziali fatti in questo senso da L. Blum (gennaio 1947) e da R. Schuman (giugno 1947), un piano di soluzione organica dei problemi di fondo dell'economia francese, aggravati dalla crisi politica e sociale che il paese stava attraversando, si è avuto soltanto nell'inverno 1947-48 con l'approvazione del piano Mayer che prevedeva un'azione contemporanea in più direzioni. Fu deciso infatti l'aumento dei prezzi industriali con l'intento di ristabilirne l'equilibrio coi prezzi agricoli e coi costi di produzione e, in conseguenza, di ridurre anche le sovvenzioni del Tesoro alle imprese pubbliche e nazionalizzate, mentre contemporaneamente vennero liberati i prezzi di numerosi prodotti, allo scopo di permettere un riassestamento naturale del sistema. Per ridurre lo scarto inflazionistico venne approvato un "prelevamento fiscale eccezionale", da cui il contribuente poteva liberarsi sottoscrivendo a un prestito forzoso alternativo; con ciò si mirava a ridurre la domanda sul mercato di consumo, assorbendo il potere di acquisto eccedente; a realizzare l'equilibrio tra domanda e offerta di capitali per investimenti, destinando per legge i proventi del prestito alla ricostruzione e all'equipaggiamento; e, infine, a ridurre gli oneri dello stato per investimenti. Effetti questi che furono però in buona parte neutralizzati dalla concessione di nuovi aumenti salariali. Fu riordinato inoltre il bilancio dello stato stabilendo che le spese ordinarie avrebbero dovuto essere integralmente coperte con le entrate ordinarie, mentre quelle straordinarie avrebbero dovuto essere fronteggiate con prestiti, prelevamenti eccezionali e autofinanziamento senza ricorrere ad inflazione. Divenuta ormai evidente la sopravvalutazione ufficiale del franco, il 27 gennaio se ne decise la svalutazione (del 44%: 214 franchi = 1 dollaro), stabilendo anche che per talune divise (dollaro S. U., scudo portoghese, franco svizzero) si applicassero cambî diversi a seconda delle operazioni da effettuare e che cioè accanto al cambio ufficiale vi fosse un cambio libero (che ha finora registrato quotazioni superiori a quello ufficiale: il cambio libero col dollaro ha oscillato, per es., sui 306 franchi) e un cambio medio. L'apertura di questo mercato parzialmente libero, primo passo verso il ristabilimento della normalità dei cambî, avrebbe dovuto sia favorire il detesoreggiamento e il rimpatrio di averi francesi sull'estero e le esportazioni verso i paesi a valuta forte, sia permettere la formazione di un cambio esprimente, meglio di quello ufficiale e di quello di mercato nero, le variazioni del potere d'acquisto esterno del franco. A scopi analoghi rispondeva il ristabilimento della libertà di commercio interno dell'oro. Fu disposto infine il cambio dei biglietti da 5000 franchi e il volume della circolazione, dato che il rimborso fu scaglionato nel tempo secondo l'ammontare delle somme versate, si contrasse notevolmente; gli ammontari temporaneamente bloccati poterono intanto essere impiegati dal Tesoro per far fronte ai suoi bisogni più urgenti.

Questo complesso di misure permise di superare agevolmente il primo semestre del 1948, durante il quale la Tesoreria presentò una situazione di grande liquidità, le anticipazioni della Banca di Francia allo stato si contrassero, la circolazione si mantenne a livelli sensibilmente inferiori a quelli di principio d'anno, nei prezzi si registrò una netta tendenza alla stabilità, i depositi bancarî e le sottoscrizioni di titoli pubblici ripresero il movimento ascendente. Con la produzione industriale in aumento (nel 1948 è stato superato il livello del 1938) e le buone previsioni per il raccolto, la stabilizzazione dell'economia francese sembrava prossima. In realtà il piano mancava però ancora di alcuni elementi essenziali: le spese dello stato erano state solo formalmente stabilizzate, la riforma fiscale era rinviata, instabile restava la situazione sociale e politica, né si era posto il dovuto accento sulla necessità di sviluppare la produzione. Queste deficienze, cumulandosi con gli effetti naturali delle misure previste nel piano (aumenti dei prezzi conseguenti alla svalutazione esterna del franco, sfiducia nella moneta conseguente al cambio dei biglietti da 5000, ecc.) e con altre circostanze (crescenti disavanzi della bilancia commerciale, rimpatrio e detesoreggiamento di divise in misura inferiore al previsto, speculazione, ecc.) hanno condotto alla rottura dell'equilibrio temporaneamente realizzato. Su questioni di politica economica si è aperta quindi la crisi che ha determinato la caduta di tre governi. Nel settembre il nuovo presidente del consiglio Queuille ha formulato un piano di risanamento delle finanze statali. Contemporaneamente sono stati concessi aumenti salariali ed è stato ulteriormente rafforzato il sistema di controllo e di restrizioni del credito. Il 18 ottobre, infine, il franco è stato allineato nei confronti delle divise non ammesse sul mercato libero, per le quali sono stati introdotti, in sostituzione dei cambî fissi ufficiali, rapportati al cambio ufficiale del dollaro (214 franchi), dei cambî variabili in funzione del corso medio del dollaro stesso (in ottobre circa 264 franchi).

Il bilancio dello stato è così variato a partire dal 1939.

Si espongono qui di seguito alcuni dati statistici di maggior interesse:

L'indice dei prezzi all'ingrosso (1938 = 100) è passato da 264 nel 1944 a 1791 nel settembre 1948. I depositi presso il sistema bancario ammontavano al 31 dicembre 1947 a 621 miliardi di franchi.

Per l'anno 1948-49 gli aiuti ERP alla Francia sono stati fissati in 989 milioni di dollari di aiuti diretti e in 323 milioni di aiuti in base agli accordi intereuropei. La Francia partecipa al Fondo monetario e alla Banca internazionali con una quota di 525 milioni di dollari per ciascuno dei due istituti.

Bibl.: Oltre alle pubblicazioni ufficiali dell'Institut national de la statistique (Bulletin de la Statistique générale de la France; Études et conjoncture: Union Française; Annuaire statistique 1940-1945, Parigi 1947), del Ministero delle finanze (Inventaire de la situation financière 1931-1946, ivi 1946; Bulletin statistique), del Conseil national du crédit (Rapports 1946-1947, ivi 1947 e 1948), della Commission de contrôle des banques (Rapports 1946-1947, ivi 1947 e 1948), del Commissariat général du plan de modernisation et d'équipement (Perspectives des ressources et des besoins de l'économie française, 2 voll., ivi, dicembre 1947; Deuxième Rapport semestriel sur la réalisation du plan de modernisation et d'équipement, Résultats au 31 décembre 1947, ivi 1948); vedi: H. Laufenburger, Les banques françaises, ivi 1940; id., Finances comparées, ivi 1947; id., Les finances de 1939 à 1945, i°, La France, ivi 1947; G. Polliet, Inventaire économique de la France 1946, ivi 1947; L. Baudin, L'économie française sous l'occupation allemande, ivi 1947; La France économique de 1939 à 1945, in Revue d'économie politique, settembre-ottobre, novembre-dicembre 1947; La fiscalité en France et à l'étranger, in Bulletin de législation comparée, 2° trimestre 1947; e, in particolare per i problemi demografici e sociali, la rivista Population dell'Institut national d'études démographiques di Parigi.

Preistoria e archeologia.

I numerosi scavi condotti in questi ultimi anni nelle varie regioni francesi hanno permesso di arricchire le nostre conoscenze sulla preistoria e l'archeologia della regione, quali si trovano esposte nelle voci francia: Archeologia (XV, p. 913); gallia (XVI, p. 305) e gallica, civiltà (XVI, p. 322). Nel 1942 si è data una nuova organizzazione a tutti i servizî archeologici.

Il territorio metropolitano, compresa la Corsica, è stato diviso in 19 circoscrizioni per il periodo storico e in 12 per il periodo preistorico. Gli scavi, irregolari e dispersi fino al 1939, sono ora amministrati dal Service des monuments historiques, studiati e pubblicati nella rivista Gallia, fondata nel 1943 dal comitato tecnico per le ricerche archeologiche in Francia, organo del Centre national de la recherche scientifique. Sebbene molte scoperte importanti siano state fatte dopo il 1932, soprattutto dal 1945 gli scavi sono divenuti numerosi.

Preistoria. - Durante il Clactoniano (v. mousteriana, civiltà, XXIII, p. 989) la vicinanza delle sorgenti ha già molta importanza per lo stabilirsi di abitati: le stazioni clactoniane situate nell'estuario della Senna, al Bec-de-Caux e sulle spiagge dei Régates, a Le Havre, Saint-Adresse, sono sparse su cinque chilometri in prossimità di sorgenti d'acqua.

La parte centro-occidentale della Francia, zona di transito e largamente aperta sull'Oceano Atlantico, è stata popolata fino dai tempi quaternarî. Poche stazioni peraltro possono riportarsi al Clactoniano e all'Abbevilliano. Mentre l'Acheuléano è raro nei massicci della Vandea e del Limousin, è invece molto abbondante nelle pianure della Charente, della Claise, della Creuse. Il Levalloisiano appare principalmente nei bassipiani, in contatto con l'Acheuléano, e sugli altipiani della Vienna. La sua ultima fase si confonde con il Mousteriano, conosciuto dagl'importanti giacimenti in caverne o ripari sotto rocce, in stazioni poste ai piedi di rocce (La Quina, Petit-Puymoyen, Châteauneuf-sur-Charente, Charente), e sugli altipiani della Vienna. Sotto il Mousteriano si sono scoperte tracce d'un abitato taiaziano nella Charente (grotta di Fontéchevade) con strumenti rozzi, insieme con una calotta cranica di un individuo che aveva affinità con gli uomini di Pittdown e di Swanscombe in Inghilterra, a contatto con i resti di una fauna calda (Rhinoceros Merckii, Testudo graeca) contemporanea dell'interglaciale Riss-Würm.

Il Paleolitico superiore è ben rappresentato in certe regioni privilegiate: Nontronnais, paesi di La Rochefoucauld, di Montmorillon, Boischaut. L'Aurignaciano è abbondante nella Charente, nella Vienna, nell'Indre e, in superficie, nei Deux-Sèvres; è assente nell'Alta Vienna e nella Charente marittima.

Il Solutréano è ben caratterizzato nelle stazioni della Combe-à-Rolland, di Placard, di Roc-de-Sers, di Monthiers; il Magdaleniano a Chaffaud e a La Marche, a Saint-Marcel (Indre), a Montgaudier e al Placard (Charente). Durante il Magdaleniano sono state abitate grotte nelle vallate della Gartempe, della Tardoire e della Charente.

Il Mesolitico è quasi sconosciuto in questi territori.

La Dordogna è sempre uno dei centri più importanti di scoperte paleolitiche. All'infuori di questi celebri giacimenti, alcune stazioni con industrie di schegge occupano le parti meridionali della zona, verso Saint-Cyprien, in depressioni bene esposte e a contatto con affioramenti di selce e di sorgenti d'acqua. I giacimenti abbondano a sud-ovest di Mayrals; i più diffusi sono quelli appartenenti al Mousteriano di tradizione acheuléana. Nella stazione di Roc de Combe-Capelle si possono seguire le varie fasi dell'occupazione: vi si stabilirono prima i Perigordiani I, poi gli Aurignaciani II, infine i Perigordiani IV e V assorbiti dai Solutréani. Nel Périgord l'Aurignaciano II è stato testimone di un movimento sismico che ebbe disastrose conseguenze sull'abitato quando si produsse l'affondamento dei ripari Blanchard e Castanet a Sergeac, e Cellier a Le Ruth. Nella Laugerie-Haute le testimonianze di questo terremoto riposano sul livello del Perigordiano III, contemporaneo all'Aurignaciano delle precedenti stazioni. Il riparo Cellier era stato occupato dapprima dai Mousteriani, istallati a mezzo declivio sulla più larga delle terrazze. Gli Aurignaciani e i Perigordiani, che succedettero sul medesimo posto, preferirono la più alta delle terrazze.

Nel Corrèze l'inondazione Würmiana aveva scacciato dai loro abitati (Pech de Bourré e Pech-de-l'Azé) i Mousteriani. In questa regione gli Abbevilliani frequentarono le vallate di Maumont (Le Griffolet), della Corrèze (Montmort), del Vézère (Le Saillant) e le alture (Les Pigeonnies).

Nel Paleolitico medio si riscontrano Acheuleo-Mousteriani su ambedue le rive della Corrèze, nei giacimenti all'aria aperta verso il Périgord. Selci rotolate sono state raccolte così sulle terrazze alluviali di 30 e di 25 m. come nei fiumi.

Il clima era allora poco rigido, ma i fondovalle non erano praticabili; con il freddo del periodo würmiano l'uomo s'installa nelle grotte ("Chez Pourré", "Chez Comte", "Chapelle-aux-Saints").

Nel Paleolitico superiore le stazioni sono generalmente aggruppate lungo i ruscelli discendenti da Montplaisir, La Planche-Torte e i suoi affluenti, la Couze, e nelle caverne a sud di Brive.

L'Aurignaciano tipico è molto ben caratterizzato a la Coumba del Bouitou e a Chanlat, la transizione fra questa industria e il Solutréano, a Font-Yves, Bas del Sert, "Chez Serre" a Noailles, la Font-Robert, alla Grotte des Morts; il Solutréano a Pré-Aubert, a Basdegoule, al Puy-de-Lacan; il Magdaleniano a Terrasson e nella vallata di Planche-Torte. Nel Mesolitico, le cui industrie tendono ad avvicinarsi a quelle dell'alto Limosino, l'uomo stabilisce accampamenti all'aria aperta sulle basse terrazze delle vallate. Nel Neolitico si installa sugli altipiani; le tracce ne esistono presso le località moderne più importanti, nelle regioni più fertili, ma gli abitati sono sparsi. L'occupazione più densa della Corrèze è contemporanea al Mousteriano e al Perigordiano.

Partendo dalla Charente e dalla Dordogna, dove la sua complessità è più grande, il Magdaleniano può suddividersi in sei livelli, di cui è possibile precisare la ripartizione attraverso la Francia: il Magdaleniano I appare in Dordogna dal Solutréano di Jean-Blancs; il Magdaleniano II si riscontra dal Poitou ai Pirenei; il Magdaleniano III dal Giura ai Cantabri; il centro di sviluppo del Magdaleniano IV pare che debba porsi nella catena dei Pirenei, da Bédeilhac e da Montesquieu-Avantès (Ariège) a Isturitz (bassi Pirenei), attraverso il Mas d'Azil e Arudy. Nel Tarn-et-Garonne e in Dordogna si sovrappone direttamente al Magdaleniano III. Manca nella Charente; il Magdaleniano V ha un'area di ripartizione molto estesa, dai Pirenei alla Loira e all'Ardèche; su questi stessi territorî si stende il Magdaleniano VI che ne è lo sviluppo diretto.

Durante queste epoche, e particolarmente nel Magdaleniano IV, si intravede l'esistenza di gruppi artistici corrispondenti a territorî di caccia più o meno già strettamente delimitati.

La scoperta nella caverna del Mas d'Azil di un lembo dello strato aziliano reca la conferma dell'assenza di ogni ceramica e di ogni strumento che abbia subìto una levigatura. La lama, il raschiatoio, il rettangolo, raccolti in questo orizzonte, non si ritrovano più nelle altre civiltà mesolitiche. Il problema che allora si pone è quello della cronologia mesolitica. Gli scavi di Martinet, di Roc Allan (Lot-et-Garonne) e di Cuzoul de Gramat (Lot) hanno permesso di precisare la stratigrafia generale di questo periodo: fra i livelli magdaleniani-aziliani e tardenoisiani s'intercala un orizzonte sauvetelriano. Le industrie sauveterriane e tardenoisiane, che coprivano quasi tutto il vecchio mondo, sono state segnalate nelle grotte orientali dei sub-Pirenei (La Crouzade, Bize, Aude), nel centro (regione di Sauveterre-la-Lémance, Gramat), in Dordogna (Roc du Barbeau), nel bacino parigino (Piscop, nella foresta di Montmorency) e nel Tardenois (Fère-en-Tardenois). Nel nord della Francia, come in Belgio e in Olanda, le stazioni tardenoisiane si trovano su suoli sabbiosi evitando accuratamente gli strati del löss.

Nel gruppo tardenoisiano di Piscop si trovano varî laboratorî di grès quarzitico tagliato i cui strumenti molto voluminosi presentano un aspetto molto differente. Altri giacimenti analoghi sono sparsi sulle alture della foresta di Montmorency là dove si riscontra il grès di Fontainebleau. Non sono certamente tutti della stessa epoca; vi si riscontrano talvolta in superficie delle asce di aspetto neolitico. Altri giacimenti hanno dato dei tranchets di aspetto precampignano. Ma tutti presentano una industria caratterizzata principalmente da strumenti a triedro con estremità allungate, ma che appaiono usati solo negli angoli laterali.

Questo Montmorenciano, industria di uomini della foresta, sembra appartenere, per l'assenza di ogni ceramica e di ogni forma espressamente neolitica, a un Mesolitico post-tardenoisiano. Non è ancora possibile definire la sua estensione fuori dei dintorni di Parigi e le sue relazioni con le altre culture contemporanee.

Sul litorale atlantico popolazioni di cacciatori e di pescatori si erano stabilite nelle piccole isole della costa del Morbihan a Téviec e a Hoëdic, a mezzo cammino fra gli ammassi di cucina di Muge (Portogallo) e i Kjöekkenmöddings danesi

L'Aquitania, poco occupata durante il Paleolitico, ha ospitato una popolazione tardenoisiana nell'estuario della Gironda e sulle rive del fiume. Durante il Neolitico due grandi gruppi si dividono la provincia: sulle terre buone, nei punti elevati della pianura e sui bordi settentrionali e occidentali dell'altipiano della Chalosse si trovano degli agricoltori. Verso nord non c'è soluzione di continuità con le civiltà contemporanee della Gironda, del Lot e del Gers. Dal Bigorre irradia una civiltà di pastori i cui elementi caratteristici si rarefanno in relazione con il loro allontanarsi dal punto di partenza.

Questa civiltà del sud-ovest oltrepassa i confini della Guascogna, la cui frontiera è rappresentata dalla linea di foreste dell'alta terrazza della Garonna. Dall'Eneolitico appaiono rapporti con la penisola iberica attraverso la via della Ténarèze, nelle stazioni in superficie, continuazione di quelle della Chalosse, che hanno egualmente relazioni con il centro della Gallia (selce del Grand-Pressigny). L'Agenais appare allora come una regione di transizione, mentre i megalitici del Bas-Armagnac restano a parte. I gruppi di Condomois e quello dei tumuli dell'altipiano di Gers si riattaccano alla cultura del sud-ovest.

È da notare che gli elementi della civiltà del sud-est circondano il bacino aquitano senza discendervi, seguendo il calcare dei Causses ed evitando le molasse aquitane. A sud si stabiliscono contatti con la costa cantabrica, e con il commercio i gruppi ricevono tecniche e oggetti nuovi. Nelle lande torbose e sugli altipiani della zona sotto i Pirenei domina l'economia pastorale. I Pirenei non costituiscono una frontiera, e una circolazione molto attiva attraverso i colli e le strade mulattiere unisce le popolazioni dei due versanti della catena. Agli inumatori, la cui cultura richiama quella delle grotte, succedono i nuovi venuti imparentati con gli abitanti degli Alti Pirenei, dell'Alta Garonna e dell'Ariège, megalitici la cui cultura è diversa da quella delle genti a est della Garonna, ma ha grandi analogie con quelle della Spagna e della Gran Bretagna.

Nel sud-est della Gallia, i gruppi di allevatori di montoni al principio del Neolitico sono installati nelle lande (Fontbouïsse, Vacquères, Gard) e mantengono relazioni di scambî con i laboratorî di taglio della selce di Salenelles. Nei dipartimenti delle Alte e Basse Alpi, come in quello della Drôme, si distingue l'esistenza di gruppi di stabilimenti fortificati (gruppi di Vachères, Reilhannette, Cabestaing) situati nella vicinanza delle colline facili a valicarsi, delle vallate pericolosamente aperte, delle chiuse particolarmente favorevoli all'organizzazione di posizioni difensive. Sembra che l'Alta Provenza abbia esercitato la sua influenza sui gruppi neolitici di Tricastin, che ricercavano i terreni sabbiosi e trascuravano invece le terre pesanti e impermeabili, quali i declivi ciottolosi. La parte occidentale del paese, in contatto con il Rodano, sembra aver costituito una zona disertata dagli occupanti.

Come seguito della provincia artistica che, a partire dall'Aurignaciano, si costituisce nel Gard (La Baume-Ladrone), nell'Hérault, nell'Ardèche e che presenta affinità con l'arte rupestre della Spagna settentrionale, si sviluppa, dai Pirenei fino in Provenza e in Liguria, durante l'Eneolitico e il I periodo del bronzo, un complesso di manifestazioni pittoriche e di incisioni, strettamente imparentate all'arte schematica della penisola Iberica. Essa è localizzata nelle grotte dell'alto Ariège e della Linguadoca, nella valle dell'Alto Caramy, nella gola di Ollioulles e di Evenos, nel massiccio di Croupatier (Var), nella vallata di Destel, Roquepertuse, e Castelet d'Arles (Bocche del Rodano).

Nel centro della Gallia le ultime scoperte mesolitiche nel Périgord apportano alcuni schiarimenti sulle condizioni dell'ingresso dei Neolitici nella provincia.

Si assiste prima all'espansione progressiva degli Aziliani che a poco a poco si installano nei ripari. Peraltro il loro soggiorno deve essere stato assai breve nelle vallate della Vézère, della Dordogna e dell'Isle, mentre in quelle della Dronne, a Rocheraillé, hanno lasciato depositi importanti. I Tardenoisiani, che hanno cacciato gli Aziliani dal centro della Dordogna, hanno sopravvissuto all'invasione dei Neolitici, che sembra piuttosto tarda (La Roque-Saint-Christophe, Les Marseilles, Laugerie-Haute).

Nel bacino parigino, il corridoio del Loing è stato la via seguita dai Neolitici per penetrare nei territorî compresi fra Loira e Senna. Durante il Campignano, le stazioni-officine e gli accampamenti sono numerosi. Nel Neolitico medio si assiste alla fortificazione degli orli degli altipiani e nel Neolitico recente alla discesa di gruppi umani nelle vallate. Il problema dell'acqua, l'esistenza di terre leggere, facili a coltivarsi, spiegano come si è svolto questo popolamento.

Durante il periodo del bronzo, i fonditori e i mercanti ambulanti hanno seguito la via naturale che tracciava loro la valle della Loira; alcuni Megalitici si sono installati nella Beauce.

Bibl.: Abbé J. Bouyssonie, La préhistorie en Corrèze, in Bulletin de la société scientifique, historique et archéologique de la Corrèze, LXV, 1944, pp. 37-55; H. Breuil, Les industries à éclats. I, Le Clactonien, in Préhistorie, I, 1932, pp. 125-190; L. Coulonges, Les gisements préhistoriques de Souveterre-la-Lémance, in Archives de l'Institut de Paléontologie Humaine, n. 14, Parigi 1935; A. Glory, J. Sanz Martinez, H. Neukirch, P. Georgeot, Les peintures rupestres de l'âge du métal en France méridionale, in Préhistoire, X (1948), pp. 7-35; id., Les gravures préhistoriques de la grotte d'Ebou, à Vallon (Ardèche), in La Nature, 1947, pp. 257-262, 283-285; G. Fabre, Contribution à l'étude du protohistorique du Sud-ouest de la France, in Gallia, I (1943), pp. 43-79; IV (1946), p. 1-15; R. Lacam, A. Niederlander, H.V. Vallois, Le gisement mésolithique du Cuzoul de Gramat, in Archives de l'Institut de Paléontologie Humaine, n. 21, Parigi 1944; R. Lantier, Recherches archéologiques en Gaule, in Gallia, II (1943), p. 228 segg.; III (1944), p. 263 segg.; IV (1946), p. 320 segg.; V (1948); Abbé A. Nouël, État des études préhistoriques dans le département du Loiret, Orléans 1946; L. Passemard, La caverne d'Isturitz en Pays Basque, in Préhistoire, IX (1944); E. Patte, Le Paléolithique dans le Centre-Ouest de la France, Parigi 1941; M. Saint Just Péquart, M. Boule, H. V. Vallois, Téviec, station-nécropole mésolithique du Morbihan, in Archives de l'Institut de Paléontologie Humaine, n. 18, Parigi 1937; M. Saint Just Péquart, Nouvelles fouilles au Mas d'Azil, in Préhistoire, VIII (1941), pp. 7-42; D. Peyrony, Les gisements préhistoriques du bassin superieur de l'Allier, in Gallia, IV (1946), p. 291 segg.; id., Le Néolithique en Périgord, in Bulletin de la Société historique et archéologique du Périgord, 1944; R. de Saint-Perier, La grotte d'Isturitz. Le Magdalénien de la Grande Salle, in Archives de l'Institut de Paléontologie Humaine, n. 17, Parigi 1936.

Archeologia. - 1. Epoca preromana. - a) Gallia greca. - A Marsiglia le distruzioni belliche operate dai Tedeschi hanno reso possibile dopo il 1945 l'esplorazione della colonia greca nel quartiere del vecchio porto. Si è ritrovata la spiaggia greca e si sono messi in luce i gradini di un teatro ellenistico e la pavimentazione di una agorà. Il litorale antico era meno avanzato che ai nostri giorni poiché il Lacydon si è insabbiato, sembra, a partire dall'epoca romana. La ceramica appare abbondante dal principio del VI sec. a. C., il che conferma la data tradizionale della fondazione della colonia da parte dei Focesi: ceramica ionica, eolica, attica, statuette arcaiche, insieme con imitazioni locali. Si deve ancora rintracciare la cinta di mura greche e l'acropoli primitiva. (Per l'epoca romana vedi oltre).

Nel delta del Rodano, a Saint-Blaise, uno stabilimento marsigliese è stato scoperto nel 1935 su un promontorio roccioso fra due stagni, protetto dalla parte di terra da una poderosa cinta in pietre tagliate che risale al V o al IV sec. a. C.; gli scavi sono terminati nel 1947. La fondazioue pare che risalga agli inizî della colonizzazione marsigliese e la costruzione della cinta rivela degli influssi greco-punici, venuti probabilmente dalla Sicilia.

A Saint-Remy in Provenza è stato scavato completamente un quartiere della città ellenistica di Glanum (v., in questa App.).

A Hyères è stato riconosciuto il luogo della colonia greca di Olbia ed è stata messa in luce nel 1946 la cinta greca di grandi blocchi. Si va perciò sempre più affermando la convinzione che le colonie greche in Gallia abbiano avuto una vita difficile, sempre minacciata dagli indigeni saldamente installati nei loro oppida.

b) Gallia indipendente. - Oppidum di Ensérune: lo scavo che era stato iniziato nel 1914 è stato ripreso soprattutto dal 1943 e ha restituito un abbondante materiale funerario in cui predominano successivamente gli influssi iberici (IV sec. a. C.) e celtici (III sec. a. C.). Sono state riconosciute diverse cinte successive di cui la più antica risale al V sec. a. C. Si sono scavate delle abitazioni di pietra dall'architettura povera: semplici case contenenti ciascuna il suo silos o il suo dolium. L'influenza greca è ivi molto debole (solo alcuni vasi del IV sec. a. C.), e la scoperta è interessante soprattutto per la cronologia della ceramica iberica.

Oppidum di Entremont vicino ad Aix in Provenza: gli scavi della capitale indigena dei Salî, distrutta nel 122 dai Romani, che nelle vicinanze fondarono Aquae Sextiae, hanno messo in luce nel 1943 una cinta gallica guarnita di torri, alcune abitazioni raggruppate in insulae e sculture in pietra. Queste ultime costituiscono il primo complesso che si conosca di scultura gallica; raffigurano un guerriero accovacciato, frammenti di una statua equestre, numerose teste di statue e "teste tagliate" dagli occhi chiusi, alcune delle quali con una mano sui capelli; i volti sono stretti e allungati, dagli zigomi salienti. Queste sculture fanno supporre la presenza di un edificio di culto o funerario. Lo stile è una mescolanza di influssi diversi: greci, iberici, forse etruschi, comunque più mediterranei che propriamente celtici.

Oppidum di Alesia: l'esplorazione dell'altipiano di Alise SainteReine continua; si sono trovate alcune vie pavimentate, sottosuoli di abitazioni, monete galliche.

Oppidum di Gergovia: anche qui gli scavi continuano e si sono trovate tre cinte successive, la prima delle quali risale all'epoca gallica; alcune abitazioni e monete sono le sole tracce della città preromana.

2. Epoca romana. - Le grandi città gallo-romane sono state oggetto di scavi anche quando vi si è sovrapposta una città moderna, e spesso le tristi distruzioni dovute alla guerra hanno dato origine a nuove ricerche.

a) Gallia meridionale. - A Orange, vicino al teatro si è scavato un gran tempio su podio in fondo a un emiciclo che doveva far parte di un immenso complesso architettonico. Si sono ritrovate le sculture della scena, raffiguranti un fregio con soggetti dionisiaci, e alcune sono state ricollocate a posto.

A Vaison si sono messi in luce due grandi quartieri della città con numerose insulae che permettono di studiare dettagliatamente il tipo della casa greco-romana. I muri di queste case sono decorati di pitture di cui alcune raffigurano scene di caccia. Nel corso degli scavi sono venute alla luce anche numerose statue.

A La Turbie si è proceduto al restauro del trofeo delle Alpi; esso è stato terminato nel 1934. Si è pure costruito un museo per gli elementi della decorazione del monumento che non si sono potuti ricollocare a posto.

A Marsiglia sono state scoperte, dal 1945, delle opere portuali romane; la città romana si stendeva più della città greca verso il Lacydon; la ceramica italica è risultata abbondante. Le opere portuali sono costituite, come quelle di ostia, da file di dolia (diam. m. 1,75, alt. massima m. 2); se ne sono recuperati una cinquantina, alcuni completamente interrati, altri rotti e restaurati dai Romani stessi. Questi dolia occupavano il pianoterra di un edificio di cui si è scavato il basamento e che doveva avere un piano superiore.

A Saint-Rémy in Provenza si è messo in luce un quartiere della città romana di Glanum (v., in questa App.).

A Cimiez (Nizza) sono stati ripresi gli scavi nel 1943, mettendo in luce delle terme e precisando la pianta dell'anfiteatro, uno dei più piccoli del mondo romano e costruito in due epoche diverse: l'arena primitiva si data al I o II sec. d. C., le gradinate e i corridoi sono in muratura del III sec. d. C.

Ad Arles si è scavato in parte il criptoportico, vasto complesso di magazzini sotterranei in pietra da taglio. Si è anche continuato con successo lo scavo del cimitero cristiano di Aliscamps.

A Vienne si è completamente scavato un grandissimo teatro che pare avere un santuario al sommo della cavea; si è inoltre identificato un odeon nelle vicinanze e sono stati scavati dei terrazzamenti a più piani che vanno messi probabilmente in relazione con il foro.

A Lione si è pure scavato un grande teatro insieme a un odeon sulla collina di Fourvières, complesso finora unico in Gallia.

A Saint-Bertrand-de-Comminges sono state scoperte le sculture di un trofeo unito al tempio del foro: ai due lati di un motivo marino, con prora di nave sormontata da un globo e da un'aquila, sono due gruppi di prigionieri e di prigioniere simboleggianti la Gallia e la Spagna; il monumento è attribuito ad Augusto. Sono stati messi in luce due edifici termali, di cui uno molto importante, e inoltre una basilica cristiana e uno spiazzo che sembra essere stato un mercato.

A Tolosa, nell'Istituto cattolico, è stata scoperta (1940) un'importante parte della cinta del basso impero: il muro è tutto di mattoni e le fondazioni su m. 75 di lunghezza, sono costituite da frammenti architettonici di età più antica: bassorilievi, capitelli, parti di statue, mensole, cornici.

A Narbona è stato scavato un criptoportico molto più piccolo di quello di Arles, costruito di piccoli elementi di pietra tenera. A fianco della chiesa di San Paolo è stata scoperta (1943) una necropoli paleocristiana sorta sul luogo di un monumento funerario pagano: sono ancora in posto sei bellissimi sarcofagi, uno dei quali reca insieme con l'immagine del Buon Pastore i simboli pagani del sole e della luna.

b) Gallia centrale e settentrionale. - Le città romane di Gergovia e di Alesia hanno rivelato resti antichi maggiori degli oppida gallici.

Ad Alesia sono venute in luce numerose abitazioni; a Gergovia, oltre alle abitazioni, due cinte successive attestanti che queste località hanno continuato ad essere abitate dopo la conquista romana.

Alle Fontaines-Salées vicino a Vézelay si è scoperto e scavato dopo il 1935 un importante edificio termale che utilizzava delle sorgenti captate con pozzi di legno fino dall'epoca celtica. Le terme, costruite nel I sec. d. C., presentano nel II sec. d. C. dei bagni per gli uomini, ai quali furono poi aggiunti bagni per le donne. A lato delle terme una grande area cintata con un portico indica forse un luogo di culto, ma lo scavo non è ancora terminato.

A Parigi gli scavi del Palazzo delle Terme (Museo di Cluny), iniziati nel 1947, hanno precisato la pianta del monumento di cui è stata scavata la facciata dal lato della Senna con un ingresso principale. Pare che questo edificio, il solo ben conservato di Lutetia, risalga al più tardi al III sec. d. C. e, almeno nella parte centrale, sia stato destinato a terme.

A Senlis si è scavato un anfiteatro e, nel punto più alto della città, entro la cinta del basso impero, sono stati messi in luce i resti di una fortificazione della prima epoca dell'occupazione romana.

Nel nord della Francia non si conoscevano resti romani importanti fino alla scoperta, avvenuta nel 1942 in seguito ai bombardamenti, di un immenso criptoportico a Bavai: forse un insieme di magazzini sotterranei conservati con la loro foresta di pilastri di blocchetti di pietra locale bluastra e bianca alternati a mattoni, per una lunghezza di circa m. 140. Questo edificio ha determinato un allungamento della cinta di mura del basso impero che vi si addossa e costituisce una delle più belle rovine romane della Francia. Si è trovata un'abbondante ceramica, prodotto di una fabbrica locale.

A Strasburgo, nel cuore della città, sono stati fatti scavi che hanno permesso di ricavare la pianta del castrum primitivo e di conoscere anche la topografia della città imperiale.

3. Epoca barbarica. - Gli scavi delle necropoli e le ricerche di laboratorio hanno consentito un gran progresso in questo campo grazie all'analisi degli oggetti di metallo, che, sottoposti a un adeguato restauro, vengono a riacquistare quasi completamente il loro aspetto primitivo. Le ricerche principali hanno avuto luogo nell'est della Francia dove le necropoli barbariche sono molto numerose e specialmente a Varangéville, dove le armi e la suppellettile funeraria rivelano influssi orientali pronunciati. Nel sud della Francia, si è scavata una necropoli visigota a Estagel.

Queste ricerche permettono di precisare l'estensione della popolazione barbarica, dei costumi pagani nel paese gallo-romano cristianizzato e aprono un nuovo orizzonte all'archeologia e alla storia.

Bibl.: Tutte le relazioni degli scavi si trovano nella rivista Gallia, Fouilles et Monuments Archéologiques en France métropolitaine, Ministère de l'education nationale (Centre national de la recherche scientifique), I e II (1943), III (1944), IV (1946), V (1947).

Storia (XV, p. 960; App. I, p. 625).

1. Il ministero Daladier. - L'unanimità, che aveva accolto il 10 aprile 1938 il gabinetto Daladier, non durò a lungo: già il 22 agosto la decisione governativa di abrogare una delle conquiste del Fronte popolare, la settimana lavorativa di 40 ore, provocò le dimissioni dei due ministri socialisti, che facevano parte del gabinetto a titolo personale, P. Ramadier e L. O. Frossard.

Ciò era, a un tempo, causa ed effetto della profonda divisione dello spirito pubblico, nel quale il problema economico-sociale e il problema internazionale, implicante questo il riarmo e una politica più decisa della Francia, venivano ad intersecarsi in un inestricabile e contraddittorio viluppo, facendo sì che, di fronte all'acuirsi della situazione diplomatica, la Francia restasse ancora ferma ad una polemica retrospettiva, schiava degli stati d'animo suscitati dalle elezioni del 1936 e - in larghe zone della sua opinione pubblica - subisse il fascino del miraggio onde era presa tanta parte del conservatorismo europeo, che vedeva in Hitler la sentinella avanzata contro il pericolo bolscevico. Non v'è, dunque, da meravigliarsi se, dopo aver richiamato alcune classi della riserva (24 settembre 1938), Daladier, a Monaco, abbia totalmente capitolato sulla questione sudetica e se Parigi gli abbia, al suo ritorno, tributato un'accoglienza trionfale.

Il convegno di Monaco aggrava la scissione dell'opinione pubblica ma, nello stesso tempo, racchiude in sé, a causa del contrasto fra i difensori e i critici dell'accordo, al di fuori e al disopra delle tradizionali divisioni, la possibilità di una nuova classificazione e di un nuovo orientamento dell'opinione pubblica. Tuttavia né la frazione della Destra né quella della Sinistra furono capaci di raggiungere un accordo, contribuendo non poco al mantenimento della scissione la politica economico-finanziaria intrapresa, subito dopo Monaco, da Daladier e realizzata dal ministro delle Finanze P. Reynaud in senso nettamente deflazionistico, volta ad annullare la precedente politica blumiana dell'aumento del potere di acquisto della classe operaia. Lo sciopero generale ordinato il 30 novembre dalla CGT per protestare contro tale politica e, nello stesso tempo, contro Monaco, fallì completamente ma aggiunse un nuovo turbamento nell'opinione pubblica, rafforzando la tendenza anticomunista e antisindacale del governo.

Sul piano internazionale, intanto, il gabinetto Daladier, pur iniziando, ma fiaccamente, il riarmo della Francia, cerca di costruire sull'accordo di Monaco, considerandolo come definitivo per l'assetto europeo e trasportando tutta la propria attenzione al settore metropolitano e coloniale (politica di repli impérial). Così, mentre una dichiarazione Bonnet-von Ribbentrop (Parigi, 6 dicembre 1938) basata sull'impegno di sviluppare le relazioni pacifiche e sul riconoscimento della definitività della frontiera franco-tedesca realizza una notevole distensione nei rapporti con la Germania, la manifestazione antifrancese del 30 novembre alla Camera italiana e la successiva denuncia dell'accordo concluso con P. Laval il 7 gennaio 1935 determinano nel governo francese un netto irrigidimento, che ha il suo culmine nella tournée dimostrativa fatta dal presidente Daladier ai primi del 1939 in Corsica e nell'Africa del Nord.

Questa energia, forse solo apparente perché ai suoi jamais Daladier accoppia pure, o non riesce a frenare, l'attività del suo ministro degli Esteri che vuole una distensione con l'Italia (già preparata fin dall'arrivo a Roma, nell'ottobre 1938, del nuovo ambasciatore François Poncet), valse a far guadagnare al governo una certa popolarità, di cui esso approfittò per sostenere apertamente e far trionfare la rielezione a presidente della repubblica di Albert Lebrun (5 aprile 1939), facendo così fallire le manovre di P. Laval intese a far eleggere all'alta carica Fernand Bouisson, che certamente avrebbe riaperto a lui le porte della presidenza del consiglio.

La situazione intermazionale, tuttavia, precipita: il 15 marzo 1939 Hitler proclama il proprio protettorato sulla Boemia e, al tempo stesso, pone sul tappeto la questione polacca, mentre alla Wilhelmstrasse un oscuro funzionario confuta la nota di protesta dell'ambasciatore R. Coulondre, arguendo dalla dichiarazione del 6 dicembre un impegno della Francia a disinteressarsi della restante Europa. Senonché il mutato atteggiamento dei conservatori inglesi facilita il governo francese nel suo tentativo di reazione: il 21 marzo Lebrun restituisce a Londra la visita compiuta dai sovrani inglesi l'anno precedente e l'indomani uno scambio di note dei due governi afferma l'impegno di reciproca assistenza in caso di aggressione. Tutta una serie di atti diplomatici ora si svolge: già il 25 febbraio, con l'accordo Bérard-Jordana, seguìto dall'invio a Madrid di Ph. Pétain come ambasciatore, il governo francese ha liquidato gli strascichi dell'affare spagnolo; il 13 aprile dà unilateralmente la propria garanzia alla Romania e alla Grecia e riafferma la validità dell'alleanza polacca; il 23 giugno è la volta di una dichiarazione francoturca di mutua assistenza nel caso di una aggressione che porti la guerra nel Mediterraneo: più tardi, essa è seguita da un protocollo implicante il ritorno del sangiaccato di Alessandretta alla Turchia.

Tutti questi patti però, per essere veramente efficienti, hanno bisogno di un corollario: la resurrezione, con l'inclusione dell'Inghilterra, del patto franco-sovietico del 1935 nato morto: su richiesta inglese, alcuni passi sono fatti fin dal marzo, e il 15 giugno si aprono ufficialmente le conversazioni a Mosca, ove l'11 agosto giungono le missioni militari franco-inglesi. Questa volta, la diplomazia franco-britannica - mal servita al Quai d'Orsay dallo stesso Bonnet e dal segretario generale A. Léger - fallisce in pieno: il 19 agosto l'URSS sottoscrive, invece, un accordo commerciale con la Germania e, quattro giorni dopo, un patto di non aggressione per la durata di dieci anni.

2. La "drôle de guerre", la sconfitta, l'armistizio. - Facendo seguito alla mobilitazione generale ordinata dal governo, il parlamento francese vota, il 2 settembre, 69 miliardi di crediti (implicita autorizzazione a dichiarare la guerra) e il 3, alle ore 17, col ritardo di qualche ora rispetto all'Inghilterra, la Francia scende in campo accanto all'alleata Polonia.

Non è però ancora la guerra guerreggiata; è semplicemente quella che, con efficace espressione, è stata chiamata la drôle de guerre.

Lo strano di questa guerra, infatti, è che essa, anziché esplicarsi subito sul piano militare, ripiega all'inizio su quello interno, risolvendosi quasi in una larvata guerra civile. Si è già detto del contrasto fra il governo Daladier e i comunisti; ora il patto di non aggressione russo-tedesco ha immediatamente il suo contraccolpo sulla politica interna francese, ponendo i comunisti di fronte alla necessità di una scelta fra la Francia e l'URSS: sciaguratamente gli avvenimenti vollero che l'ora della decisione suonasse in un momento in cui in Francia gli uomini al potere avevano fatto tutto per allontanare da sé le forze comuniste. Queste, così, ritornano alla tesi tradizionale della guerra imperialistica alla quale il proletariato resta estraneo e, da parte governativa, la reazione è immediata: già il 27 agosto l'Humanité e Le soir vengono sospesi per aver fatto l'apologia del patto russo-tedesco, il 26 settembre le organizzazioni comuniste vengono disciolte e il 20 febbraio 1940, ad eccezione di sette transfughi che hanno dato vita al Gruppo operaio e contadino francese, è revocato il mandato parlamentare agli eletti comunisti. Il fossato ormai è incolmabile e, mentre 27 ex-deputati vengono rinchiusi nei campi di concentramento algerini, i comunisti spingono la loro azione fno al più aperto disfattismo e al sabotaggio della produzione di guerra.

Al nefasto effetto psicologico della drôle de guerre si aggiungono gli avvenimenti esterni (spartizione della Polonia, guerra russo-finlandese, ecc.): il gabinetto Daladier, già rimaneggiato il 13 settembre 1939, ebbe i giorni contati: il crollo della Finlandia diede il colpo di grazia e il 20 marzo 1940, dopo una tempestosa seduta alla Camera riunita in comitato segreto, Daladier si dimise.

La crisi venne risolta l'indomani con la costituzione del gabinetto Reynaud (106° della Terza Repubblica). L'eliminazione di Georges Bonnet, l'atteggiamento di Reynaud durante la crisi di Monaco erano tutti elementi in favore di un'intensificazione dello sforzo bellico e si esplicarono subito nella creazione - sul modello inglese - di un ristretto gabinetto di guerra e nell'accordo del 28 marzo col governo inglese che sanciva l'impegno reciproco di non fare mai un armistizio o una pace separata. Tuttavia, non poteva non riflettersi nel governo la scissione che era nel parlamento e nel paese: esso non era di unione nazionale (questa, a destra, verrà raggiunta solo il 10 maggio con la nomina a ministri di stato di L. Marin e di J. Ybarnegaray; a sinistra resterà sempre il vuoto dei comunisti ormai nell'illegalità); continuava a parteciparvi un filofascista come A. De Monzie e, più tardi, vi entrava anche P. Baudouin: scotto questo pagato all'idea fissa, durata in molti ambienti governativi francesi fino ai primi del giugno, di fermare Mussolini alla non-belligeranza. In realtà, il gabinetto Reynaud sembrava nato morto: difatti, il 23 marzo, la Camera votava la fiducia con un solo voto di maggioranza effettiva e si dovette all'intervento di E. Herriot e al leale appoggio dei socialisti se Reynaud non si dimise. L'azione governativa era anche intralciata dal contrasto fra lo stesso Reynaud, già dal 1935 conquistato alle idee di Ch. De Gaulle sull'uso delle forze motorizzate, e il ministro della Difesa Daladier, ostinato patrono del generalissimo M. Gamelin.

Fallita la battaglia per il Belgio e profilandosi già quella per la Francia (il 15 maggio la rottura del fronte tra Namur e Sedan è completa), P. Reynaud cerca di por riparo alla situazione con un profondo rimaneggiamento delle alte cariche: assunto personalmente il Ministero della difesa nazionale, sostituisce M. Gamelin con M. Weygand, richiamato dalla Siria; al governo - nel tentativo di scontare un sicuro effetto psicologico - fa entrare come vicepresidente il maresciallo Pétain richiamato da Madrid e, all'Interno, sostituisce lo scialbo H. Roy con l'energico G. Mandel, l'antico collaboratore di G. Clemenceau (18 maggio). A Daladier, che passa agli Esteri, fa trovare il Quai d'Orsay sbarazzato dal briandista in ritardo Alexis Léger, che viene sostituito da F. Charles-Roux.

Iniziatasi il 5 giugno la battaglia vera e propria della Francia, si assiste nella stessa giornata ad un nuovo rimaneggiamento ministeriale, con la defenestrazione di E. Daladier e di A. De Monzie e con l'ingresso di De Gaulle come sottosegretario di stato alla Guerra. Ma, sfondata dai Tedeschi il 6 la linea della Somme e il 7 quella dell'Aisne, la battaglia si trasforma in una rotta, della quale il 10 giugno approfitta Mussolini - rimasto sordo, come alle altre, a tutte le ouvertures provocate dall'ambasciatore François-Poncet e all'appello che il cardinale E. Suhard, su desiderio di Reynaud, aveva trasmesso il 17 maggio a Pio XII - per entrare in guerra, e questo stesso giorno la minaccia tedesca su Parigi costringe il governo ad abbandonare la capitale e a ripiegare su Tours. Di pari passo con la fulminea avanzata tedesca si presenta ora, in alcune sfere dirigenti, la volontà di chiedere un armistizio.

Di esso fin dal 12 giugno si fanno accaniti sostenitori M. Weygand e Ph. Pétain e - buon terzo dietro le quinte - Pierre Laval, allora semplice parlamentare. Costoro riescono, il 14, a sfaldare la compagine ministeriale, poiché Weygand ricusa di fare una semplice capitolazione militare sul modello di quella olandese, mentre Pétain ottiene alla tesi armistiziale - insidiosamente riproposta da C. Chautemps - l'adesione di ben 13 ministri su 18. Respinte dal presidente Lebrun le dimissioni di P. Reynaud, questi, che ha già rinunziato all'idea di un ridotto brettone ma pensa di continuare la guerra in Africa, deve farsi interprete della volontà della maggioranza del consiglio presso il governo inglese e chiedere di essere sciolto dall'impegno del 28 marzo. La risposta affermativa (a patto che la flotta ripari subito in porti britannici) non è ancora comunicata da Reynaud al consiglio dei ministri, che essa, a mezzo dell'ambasciatore R. Campbell, è già annullata e sostituita dalla proposta - partita da Churchill ma psicologicamente inopportuna nell'ondata d'anglofobia scatenata dall'episodio di Dunkerque - di un'unione fra i due paesi (16 maggio). Il gabinetto francese, riunitosi alle ore 17, decide però di non tener conto del divieto inglese: questa volta le dimissioni di Reynaud vengono accettate e - grazie alla scelta fra le due politiche possibili operata da Lebrun - l'incarico di costituire il nuovo governo passa a Pétain, che accetta subito avendo già pronta la lista (la ripugnanza di Lebrun però a concedere gli Esteri a Laval impedì a questo di parteciparvi). È un ministero di armistizio: alla mezzanotte già entra in funzione la mediazione dell'ambasciatore spagnuolo Lequerica presso Hitler e, qualche ora dopo, quella del nunzio Valeri presso il governo italiano. Un proclama di Pétain al paese, l'indomani, già precorre i tempi e dichiara che "occorre cessare la lotta". Un valore del tutto accademico assumono dunque le discussioni ancora in atto sulle possibilità della carta africana: d'altronde, ben presto l'azione di Pétain e dei lavaliani sedenti a Bordeaux, spengono ogni volontà di resistenza in Lebrun e nei presidenti delle Camere. Soltanto pochi parlamentari riescono a partire a bordo del Massilia per l'Africa (17 giugno), ma, al loro arrivo, vi saranno internati. Intanto, la delegazione francese, presieduta dal generale Ch. L. C. Huntziger, è giunta a Rethondes e, il 22 a sera, il primo armistizio è firmato. Subito dopo cominciano i negoziati con l'Italia, alla conclusione dei quali è legata l'applicazione dell'armistizio tedesco: essi terminano il 24, quando le truppe italiane sono riuscite a penetrare a Mentone; il 25 giugno alle 0,15 cessa il fuoco.

3. La Francia di Vichy. - Ai termini dell'armistizio, le cui modalità di applicazione sono talmente vaghe che la Francia corre il rischio di restare asfissiata, il governo francese conserva in stato di disarmo la flotta e il territorio coloniale con l'impegno di non porre né l'uno né l'altro al servizio dell'Inghilterra; quanto al territorio metropolitano, esso - esclusa una piccola zona sotto controllo italiano - è nominalmente tagliato in due: una zona libera alle dirette dipendenze del governo Pétain e una zona occupata; ma in realtà quest'ultima è anch'essa tripartita: sulla parte maggiore i Tedeschi esercitano soltanto i "diritti di potenza occupante"; i dipartimenti del nord e del nord-est sono invece una vera e propria zona interdetta, riattaccata amministrativamente alla Kommandatur di Bruxelles; mentre l'Alsazia e la Lorena vengono unilateralmente inglobate nel Reich (l'espulsione dalla Lorena dei Francesi restii a snazionalizzarsi assume nel novembre 1940 un ritmo impressionante). Questa linea di demarcazione segna non solo il temporaneo spezzarsi territoriale della Francia, ma anche una scissione nella sua stessa storia: ormai da un lato vi è quella del regime di Vichy e dell'occupazione nemica, dall'altro quella della dissidenza e della resistenza. Bisogna esaminarle distintamente.

Il panico che invase la maggioranza del popolo francese di fronte ai successi delle truppe tedesche aveva costituito il vero segreto del successo di Pétain: la fama acquistatasi - a torto o a ragione - nella guerra precedente di unico generale parco del sangue del soldato lo presentava ora come il grande risparmiatore di nuove vite francesi. Ma dietro al "mito Pétain" e all'antiparlamentarismo del vecchio maresciallo si celano anche forze attive che dall'armistizio faranno passare all'instaurazione di un nuovo regime. Sono varie e molteplici. È ineluttabile che il popolo, di fronte al disastro, cerchi dei responsabili; ma è pure ineluttabile che gli artefici dell'armistizio, che sono dei militari, abbiano tutto l'interesse a spostare le colpe della sconfitta sul piano politico-istituzionale. La campagna disfattista, instaurata dai comunisti dopo il 23 agosto 1939, è una buona arma per i disfattisti di Destra per scaricare la loro parte di responsabilità sulla Sinistra; e, d'altra parte, il padronato francese vede l'occasione propizia per rendere inefficaci le vecchie conquiste sindacali. I cattolici, già dal 1926, sono divenuti forze attive e leali del regime repubblicano, ma M. Weygand è prediletto dai gesuiti e Pétain parla della vecchia Francia, alla cui origine è Giovanna d'Arco: allora - dove più dove meno - un complesso di sentimenti si agita: ora il senso che i padri provarono dopo il 1870 di distacco ostile verso un regime non voluto, ora la coscienza di una punizione divina per le aberrazioni laiciste, ora il miraggio di arginare il pericolo rosso con le tesi sociali di un P. Le Play. Le infiltrazioni fasciste e nazionalsocialiste poi non mancano; si aggiunga ancora il calcolo di tanti piccoli Machiavelli e la riscossa di tutti gli sconfitti delle precedenti lotte politiche. Groppo di sentimenti, viluppo d'interessi, urto di forze: un mondo variopinto, che, dall'inserzione gioiosa nel nuovo ordine hitleriano, va fino al sogno di una "Francia sola", ma che è concorde su un punto: l'abolizione della Terza Repubblica. E ciò avvenne assai presto.

Il 2 luglio il governo, che da Bordeaux era già ripiegato a ClermontFerrand, si trasferì a Vichy e il 10 ottenne dall'Assemblea nazionale, con 569 voti contro 80 (in prevalenza socialisti) e 17 astensioni, l'accettazione di un testo redatto da Laval, che dava tutti i poteri al governo, sotto la firma e l'autorità di Pétain, allo scopo di promulgare, con uno o più atti, una nuova costituzione dello "Stato francese" che garantisse i diritti del lavoro, della famiglia e della patria. È il certificato di morte della Terza Repubblica; l'indomani tre atti costituzionali fissano i poteri di Pétain, che accentra le funzioni legislativa, esecutiva e costituente, mentre le camere vengono aggiornate sine die. Il 12 un nuovo atto regola la supplenza e la successione del capo dello stato e rende Laval novello "delfino".

La Francia entra, ormai, nel nuovo ordine hitleriano: la "Repubblica francese" dà luogo allo "Stato francese" e tutta una legislazione xenofoba, razziale, antidemocratica e antilaicista viene varata; ma questo nuovo ordine si presenta come filtrato attraverso una vecchia patina di ancien régime e di tradizionalismo d'Action française. La collusione Pétain-Conte di Parigi (un misterioso colloquio si svolse fra i due a Vichy nell'agosto 1942) fu quasi certamente una pia fantasticheria del guardasigilli Alibert, e la nuova Costituzione non vide mai la luce; comunque, varî provvedimenti di struttura costituzionale - come il ridurre la Francia a sole 20 provincie sottoposte a un governatore - cercarono di modellare la zona libera entro una sagoma arcaica. Lo stesso può dirsi sul piano politico: qui la nazificazione fu assai più rapida, ma non meno graduale. Il razzista e totalitario Rassemblement national populaire, creato a Parigi il 1° febbraio 1941 da M. Déat e da J. Fontenoy, fu in zona libera interdetto e subì la concorrenza della Legione, creata il 29 agosto 1940 da Xavier Vallat come strumento d'esaltazione personale di Pétain, e dal Rassemblement pour la révolution nationale, che, ad opera soprattutto di Tixier-Vignancourt e di H. Du Moulin de Labarthète, sposava all'antiparlamentarismo di un F. Larocque il mito pluralista della conservazione sociale. Sul piano della azione governativa, anche dopo il 10 luglio 1940, sono al potere non pochi parlamentari (P. Laval, A. Marquet, F. Pietri, ecc.); si passa poi gradualmente a un regime di notabili, che è rappresentato al governo da P.-E. Flandin (13 dicembre 1940-10 febbraio 1941) e, al di fuori, dalla creazione di un Conseil national (5 gennaio 1941), ben presto scisso in varie commissioni senza legame; infine, con l'avvento di Darlan, al regime del cancelliere della vecchia monarchia. Solo dopo il ritorno di Laval al potere (18 aprile 1942) e ancor più dopo l'occupazione totale della Francia (11 novembre 1942) il governo di Vichy assume una netta sagoma hitleriana, resa ancor più visibile dall'avvento al governo, sull'inizio del 1944, di un J. Darnand, di un Ph. Henriot e di un M. Déat.

L'armistizio ha prodotto non tanto evoluzioni di politica quanto una biforcazione e una-giustapposizione di tesi, che comunemente vengono indicate come collaborazione con la Germania e "attendismo", ma che sarebbe più esatto - giacché la collaborazione era un elemento ineliminabile dell'armistizio - indicare come l'alternativa fra la rapida normalizzazione dei rapporti con l'Asse e la collaborazione più o meno larga, avendo però cura di lasciare ancora fluidi questi rapporti. Schematizzando all'eccesso, e non tenendo conto di momentanee fluttuazioni, si potrebbe dire che per il primo corno del dilemma abbia inclinato tutto il gruppo degli ultracollaborazionisti, che al governo ebbe come portavoci soprattutto J. Benoist-Mechin e P. Marion, e per il secondo P. Baudouin, P. E. Flandin e forse lo stesso Pétain. Laval, troppo signore del giuoco, mescolò sulle prime le due traiettorie, fondamentalmente interessato al trionfo della prima; Darlan mescolò lo stesso, convinto almeno all'inizio dell'esattezza della seconda.

Le prime settimane del governo di Vichy, al quale la flotta inglese ha dato a Mers-el-Kebir un severo ammonimento (3 luglio 1940), sono in certo senso una battuta d' arresto: la sua politica estera continua ad essere - dietro Baudouin - nelle mani di un diplomatico abile, F. Charles-Roux e si ferma all'esatta osservanza della convenzione di armistizio (così è possibile non accettare la richiesta tedesca del 16 luglio per l'uso dei porti della zona libera, della ferrovia Casablanca-Tunisi e della cessione di basi africane). Essa è piuttosto dominata dalla tensione indocinese, che pone capo a un accordo firmato il 30 agosto a Tōkyō, e che riconosce l'importanza privilegiata degli interessi nipponici, seguito dall'accordo più impegnativo del 22 settembre: esso è il primo atto di una serie di capitolazioni francesi che porteranno alla cessione di 69.000 kmq. del Cambogia e del Laos alla Tailandia (9 maggio 1941) e all'ingresso totale dell'Indocina nell'orbita nipponica (29 luglio 1941).

Lo scacco anglo-degollista di Dakar (23 settembre 1940) rafforzò la tesi collaborazionista e il 22 ottobre P. Laval, che in quelle settimane mena un giuoco quanto mai ambiguo e personale con O. Abetz, dal 5 agosto ambasciatore tedesco a Parigi, s'incontra con Hitler e prepara l'incontro successivo con Pétain. Da questo colloquio, avvenuto il 24 a Montoire (Turenna), esce la collaborazione: collaborazione certamente economica, probabilmente anche militare, sotto la finzione di un raid di polizia contro il Ciad degollista, giacché - nell'assenza di un testo - bisogna porre il convegno entro le trattative allora in corso fra l'Asse e la Spagna per un'azione contro Gibilterra e l'Africa. Comunque, il 2 novembre, Pétain risponde in modo secco e tagliente al messaggio inviatogli il 25 ottobre dal re Giorgio VI per richiamarlo ai limiti dell'armistizio.

Ma, abrogato o rimandato il progetto africano, anche Montoire perde la sua punta estrema e s'impone una pausa di attendismo: il 13 dicembre una congiura di palazzo rovescia Laval e si ritorna all'altro polo del pendolo, la conservazione dei rapporti fluttuanti, la quale implica sempre qualche contatto col campo alleato: favorito, fra l'altro, dall'essere Vichy sede di molte rappresentanze diplomatiche. Di questa posizione fluttuante la piattaforma basilare sono i rapporti con gli S. U. la cui chiave di volta risiede nell'attività dell'ammiraglio W. Leahy, accreditato a Vichy da Roosevelt il 23 novembre 1940 e rimastovi fino al 1° maggio 1942. Montoire non aveva fatto dar seguito alla presa di contatto avuta a Londra dal professore L. Rougier sulla base del reciproco rispetto dello statu quo delle colonie francesi; ora le trattative riprendono fra lord Halifax e M. Chevalier e, sotto Flandin, si realizza a Madrid, nel gennaio 1941, la convenzione Marchal-Eccles che sospende praticamente il blocco navale inglese fra l'Africa del Nord e Marsiglia. Con gli S. U. si realizza ben presto l'apertura di nuovi consolati americani in Tunisia e Algeria e (26 febbraio 1941) l'accordo personale Weygand-Murphy sulla consegna di forniture da lasciare in Africa. Rapporti fluttuanti tuttavia e non anti-Asse, giacché la collaborazione sussiste sempre, e la Germania li tollera scontando la sua parte di leone negli arrivi alimentari resi possibili dalla sospensione del blocco inglese. Del resto una stretta di vite è sempre possibile: difatti, il 10 febbraio, Flandin è licenziato e, se Laval non ritorna al potere, si ha però l'ascesa di Darlan che proclama subito l'attualità della politica di Montoire e, dopo un breve periodo d'incertezza (colloquio Pétain-Laval del 19 febbraio a La Ferté-Hauterive), ottiene il riconoscimento tedesco.

Di nuovo, ora, è la corsa alla collaborazione: il 18 aprile 1941 vi è il simbolico ritiro della Francia dalla Società delle Nazioni, l'11 maggio il viaggio di Darlan a Berchtesgaden. È lo scacchiere siriano, ormai, che - dopo le vittorie nei Balcani - preme a Hitler; i "protocolli di maggio", conclusi a Parigi il 28 fra Darlan e W. Warlimont, concedono il controllo di tutta l'economia francese da parte di commissarî del Reich, l'apertura degli aerodromi siriani agli aerei dell'Asse, l'uso alle loro navi dei porti di Biserta, Casablanca e Dakar, e prevedono il riarmo delle colonie in vista di una guerra contro l'Inghilterra. Gli accordi non vengono ratificati forse per l'energica opposizione di Weygand, accorso da Algeri (più tardi, rinforzi per il fronte libico passeranno attraverso la Tunisia) e da questa avventura Vichy esce con la perdita della Siria e del Libano, conquistati dalle forze inglesi e degolliste dall'8 giugno al 14 luglio 1941 (armistizio di S. Giovanni d'Acri). La collaborazione, però, era già scontata soprattutto sul piano interno, ove la nomina di Pucheu al ministero dell'Interno (19 luglio 1941) segna una poliziesca messa al passo con la Germania (creazione di tribunali speciali il 14 agosto, e del tribunale dello stato il 17 settembre). Tale politica è favorita dall'attacco di Hitler contro l'URSS (21 giugno) e dalle sue iniziali vittorie: il 30 giugno Darlan espelle l'ambasciatore sovietico A. Bogomolov, mentre J. Darnand e J. Doriot tentano di costituire una legione antibolscevica, alla quale lo stesso Pétain dà il suo appoggio. Il 12 agosto, poi, un messaggio del maresciallo auspica la fine del provvisorio e la creazione di legami più stabili con la Germania e l'Italia. Intanto il nuovo fronte orientale ha spostato l'interesse dal Mediterraneo, e ciò spiega come Vichy - soprattutto nei mesi d'agosto e settembre 1941 - abbia avuto tempo di darsi alle sue pseudoriforme interne, come la soppressione dei Consigli generali, da tempo ormai designati e non più eletti, la promulgazione, il 27 ottobre, di una Carta del lavoro, dovuta in buona parte a Lucien Romier e che, in antitesi al decreto Belin del 16 agosto 1940 sui comitati d'organizzazione, crea delle corporazioni professionali basate sul sindacato unico e obbligatorio.

Ma ben presto questo scenario di cartapesta crolla: i rapporti con l'Asse si riattivano (incontro di Pétain con H. Goering a Saint FlorentinVerginy il 1° dicembre 1941, colloquio Darlan-Ciano il 10 dicembre a Torino), e finalmente, il 18 aprile 1942, preceduto da un misterioso colloquio col maresciallo nel fitto della foresta di Randan (26 marzo), Laval ritorna al governo: la dignità di "delfino" resta sempre a Darlan, che è nello stesso tempo capo delle forze armate e come tale alle dirette dipendenze del Capo dello stato, ma Laval ha ormai titolo e poteri di "capo del governo".

Dopo il 18 aprile 1942 non vi sono più remore alla collaborazione: nella sua allocuzione del 22 giugno Laval augura la vittoria tedesca, poco dopo col gauleiter F. Sauckel mette a punto la legge del 4 settembre 1942 relativa "all'utilizzazione e all'orientamento della mano d'opera", che il 16 febbraio 1943 si trasforma nella coscrizione obbligatoria dei lavoratori per la Germania e trova i suoi agenti negli sgherri della Milice française (30 gennaio 1943), che, agli ordini di Darnand, nulla ha da invidiare alle sue consorelle. Il trionfo di Laval segna anche il momento d'inizio della crisi interna di Vichy; Stalingrado favorisce le evoluzioni personali e queste precipitano con lo sbarco alleato del novembre 1942 in Africa; caso clamoroso fra tutti quello dello stesso Darlan.

L'8 novembre 1942 è la svolta capitale della storia francese: non solo il regime di Vichy - con il ritorno in guerra dell'Impero e con l'autoaffondamento della flotta a Tolone (27 novembre) - perde le uniche carte del suo giuoco e si svuota di ogni contenuto effettivo (il 17 Pétain delega la propria firma a Laval, ma anche questi è superato dagli ultracollaborazionisti; i Tedeschi non dànno alcun peso alla sua offerta d'entrare in guerra a fianco dell'Asse, come egli proponeva sul finire del novembre in una lettera a Hitler); ma con l'occupazione totale della Francia, compiuta l'11 novembre, si realizza - contrariamente all'intenzione degli attori - la fine della scissione francese. Da questo momento sussiste la possibilità di un fronte unico della resistenza e la storia della Francia si sposta tutta in questo campo.

4. De Gaulle e la "France Libre". La resistenza. - Nata dall'armistizio e sorta a un tempo contro l'occupante e contro lo "Stato francese", la storia della resistenza è coeva alla prima.

Già il 18 giugno 1940 alla radio di Londra il generale De Gaulle lancia il suo primo appello negando ogni legittimità al governo Pétain e incitando la Francia alla resistenza. Realizzato il 28 giugno un primo accordo con Churchill sulla base della costituzione di una "forza francese" volontaria sotto il comando supremo del generale, che dichiara di accettare "le direttive di massima del Comando britannico" (soltanto il 7 agosto sarà riconosciuto come "capo di tutti i Francesi liberi, ovunque essi siano, che aderiscano" a lui), l'azione del generale De Gaulle - destinata non solo a subire tutte le variazioni di umore della diplomazia e del gabinetto inglese, ma anche minata da molteplici contrasti interni nel piccolo gruppo di emigrati a Londra (antitesi fra i due giornali France libre e France, quest'ultimo più riservato verso De Gaulle; urtò con l'ammiraglio E. Muselier, ecc.) - si volse fin dall'inizio ad ottenere la defezione da Vichy dei varî governatori coloniali: prime fra tutte aderirono le Nuove Ebridi (22 luglio), seguite quattro giorni dopo dalla Costa d'Avorio. Il 26 agosto il governatore F. Eboué portò il Ciad, ciò che permise due giorni dopo il colpo di mano sul Camerun e Brazzaville; il 31 aderisce Tahiti, il 9 settembre l'India francese, il 24 la Nuova Caledonia, il 6 novembre il Gabon. Così il 27 ottobre 1940 De Gaulle può, a Brazzaville, insediare il Consiglio di difesa dell'Impero col compito di difendere dal nemico quanto resta del patrimonio nazionale. La penetrazione degollista nel campo coloniale avviene soprattutto là dove essa è favorita dalla lontananza da Vichy o dalla pressione esercitata dall'essere la colonia circondata da territorî inglesi; là dove queste condizioni non esistono, essa fallisce (scacco di Dakar del 23 settembre 1940).

Comunque, per tutto il 1940, a tenere il campo della resistenza (forse sarebbe più esatto parlare di "dissidenza") è solo il degollista Mouvement français libre, il quale si rafforza sempre più, soprattutto dopo un accordo di tesoreria con l'Inghilterra (19 marzo 1941), la campagna siriana, la creazione il 23 settembre 1941 del Comité national français, il riconoscimento sovietico (lettere De Gaulle-Maisky del 24 ottobre), l'ammissione da parte americana alla legge affitti e prestiti (11 novembre), la dichiarazione di guerra al Giappone (9 dicembre) e l'occupazione da parte dell'ammiraglio Muselier di St. Pierre-et-Miquelon (24 dicembre 1941); nel territorio metropolitano la resistenza ancora manca: vi è, tutt'al più, il rifiuto passivo a collaborare con l'occupante o un'opposizione semplicemente morale (notevoli al riguardo i conseils à l'occupé del luglio 1940 di Jean Texier) e, nella zona libera, una certa agitazione politica di origine essenzialmente radicale che ha qualche dubbio sulla durata del sistema maresciallista. Con la primavera 1941 incominciano ad organizzarsi i primi nuclei di resistenza attiva, ai quali, dopo il 21 giugno, vengono ad unirsi le forze comuniste (il primo atto della lotta comunista fu l'uccisione in una stazione métro di un ufficiale tedesco, il 21 agosto 1941). Si ha così, distinto da Londra, un fronte interno della resistenza, nel quale però sussiste sempre una netta demarcazione fra gruppi comunisti e non comunisti. Tuttavia, e sia pure faticosamente, lo sbarco dell'8 novembre 1942 riesce a realizzare l'unità, quantunque, all'inizio, abbia introdotto una maggiore confusione. Avvenuto per volontà americana, al di fuori del degollismo, lo sbarco ebbe come immediato risultato di mettere in contrasto la France combattante (nuovo nome assunto dal 14 luglio dal MFL) con l'ambiente di Algeri, che trovò il proprio portavoce in H. Darlan prima e in F. Giraud poi, e di creare quasi due centrali antagoniste di dissidenza (se il 30 novembre la Réunion, il 14 dicembre il Madagascar e il 26 dicembre la Costa dei somali aderiscono alla FC, il 18 marzo 1943 la Guiana aderisce invece al Consiglio imperiale di Giraud); ma la creazione del Comité français de libération nationale (3 giugno 1943) elimina questo contrasto e, successivamente, l'epurazione intrapresa dalla FC (dimissioni di M. Peyrouton, processo Pucheu, ecc.) permette fra questa e i comunisti una stretta collaborazione che si manifesta praticamente nella creazione dell'Assemblea consultiva (17 settembre 1943) e nell'ingresso dei comunisti L. Misol ed E. Fajon al CFLN (16 novembre). Tale collaborazione segna l'accantonamento di ogni contrasto fra la FC e la resistenza metropolitana.

Ormai quest'ultima, alla quale la lavaliana relève ha apportato un notevole aumento di forze, è riuscita ad unificarsi: diversificata dalla linea di demarcazione (più paramilitare al nord, più politica al sud), essa, all'inizio del 1942, è essenzialmente costituita per il nord dalle formazioni Ceux de la libération (prevalenza radicale ed ex Partito sociale francese), Ceux de la résistance (prevalenza socialista), Front national (prevalenza comunista e con la formazione armata Francs tireurs et partisans), Libèration nord (sindacalisti) e Organisation civile et militaire (tecnici e destra); è costituita per il sud la Libération sud (sindacalisti), Franc tireur (sinistra) e Combat, gruppo questo sorto a Grenoble nel dicembre 1941 dalla fusione della formazione socialisteggiante di H. Frenay con quella cattolica di P. H. Teitgen e di Menthon. Ma, ben presto, tutta la zona sud si unifica nei Mouvements unis de résistance (MUR; questi all'inizio del 1944 diventeranno Mouvement libération nationale per la fusione di alcuni gruppi del nord) e, ad opera di Jean Moulin, il 27 marzo 1943 otto movimenti della resistenza, cinque partiti politici e le due centrali sindacali si subordinano ad un organismo unitario, il Conseil national de la résistance. Questo momento segna anche l'accantonamento di ogni divergenza con De Gaulle: ciò è simboleggiato dall'essere a capo del CNR Jean Moulin, che è nello stesso tempo il delegato del CFLN di Algeri per la metropoli. Con l'arresto di J. Moulin da parte tedesca, le due funzioni si scindono (CNR: G. Bidault; delegazione: E. Bollaert, poi A. Parodi); ma l'accordo resta operante almeno fino all'insurrezione di Parigi (25 agosto 1944) ed è su invito del CNR che il comitato di Algeri si trasforma, il 2 giugno 1944, in governo provvisorio della repubblica francese.

5. La liberazione della Francia e il Governo provvisorio. - Con lo sbarco alleato in Normandia (6 giugno 1944), tutte queste forze entrano in funzione: dal 1° agosto fra le forze alleate prende posto la 2ª divisione blindata degollista agli ordini del generale Ph. Leclerc, mentre i maquis sono già in intensa attività militare; il 19 agosto - su preparazione e con direzione essenzialmente comuniste - scoppia a Parigi l'insurrezione che il 25 dà ai soldati di Leclerc una capitale del tutto liberata dall'occupante. Già gli stessi Tedeschi hanno spazzato via gli ultimi ruderi del regime di Vichy con il trasferimento del governo a Belfort (20 agosto) e poi in Germania, né hanno avuto successo le manovre di Laval (tentata convocazione dell'assemblea nazionale) e di Pétain (tentata trasmissione di poteri a De Gaulle, tramite l'ammiraglio P. Auphan) per far sanzionare il carattere legale del proprio potere, già crollato; il 25 agosto 1944 a sera, De Gaulle giunge a Parigi e il 5 settembre si ha il primo governo provvisorio metropolitano (radicalmente rimaneggiato quattro giorni dopo).

Questo Gouvernement provisoire de la république française, che dura in carica, con successivi rimaneggiamenti limitati, fino alle elezioni del 21 ottobre 1945 ed è costituito sul piano dell'unanimità nazionale, ha di fronte a sé un compito enorme.

La guerra, infatti, continua in direzione dell'Alsazia e la Francia liberata si trova sanguinante di una grave ferita demografica (il bilancio dell'occupazione si chiudeva con 75.000 fucilati, 600.000 deportati politici e 750.000 lavoratori in Germania) e con la propria economia totalmente paralizzata. Se le fabbriche avevano avuto danni non eccessivi, completamente distrutti erano invece i depositi di materie prime, paralizzati i mezzi di trasporto e distrutte le vie di comunicazione, i porti in parte requisiti dagli Alleati e in parte (Dunkerque, Saint Nazaire, La Rochelle) sotto il controllo dei Tedeschi che li conserveranno fino al termine della guerra. Si aggiunga la necessità dell'epurazione e lo stato di disagio creato dall'autonomismo di molti comitati di liberazione, il più delle volte in rotta con i commissari regionali del governo provvisorio. Questo, d'altra parte, non è ancora riconosciuto de iure sul piano internazionale (è, infatti, assente dalla conferenza di Dumbarton Oaks per le N. U. che si svolge proprio in queste settimane).

La posizione del GPRF tuttavia riesce a consolidarsi con un triplice ordine di successi: il riconoscimento avvenuto il 24 ottobre 1944 da parte degli Alleati e l'allacciamento di regolari rapporti diplomatici; la vittoria riportata dal governo nell'urto con i comitati di liberazione, i quali, con lo scioglimento delle guardie patriottiche (28 ottobre), vennero a perdere ogni potere militare autonomo e, successivamente, anche quello politico; l'esito favorevole del prestito della liberazione, deciso dopo un certo contrasto fra la tesi di un semplice prestito e l'opposta di P. Mendès-France e dei socialisti di un cambio della moneta con prelevamento (il cambio della moneta, ma alla pari, verrà effettuato solo nel giugno 1945). A questo rafforzamento tien dietro da parte francese un certo riguadagno dei posti perduti nel ruolo internazionale: reso manifesto dalla visita di Churchill ed Eden a Parigi (10 novembre), esso si concretizza nella partecipazione della Francia come quarto membro permanente alla European advisory commission, come pure alla conferenza aerea di Chicago e a quella del lavoro a Rye (novembre 1944), ma soprattutto nella conclusione col governo sovietico di un patto di alleanza ventennale firmato a Mosca il 10 dicembre 1944 da De Gaulle: arma di pressione sulla diplomazia anglosassone, esso denota pure l'inclinazione del generale De Gaulle verso patti bilaterali piuttosto che verso generali convenzioni societarie. Non è tuttavia senza frizioni questo rientro francese: non ammesso a Jalta, De Gaulle rifiuta il 17 febbraio 1945 d'incontrarsi ad Algeri con Roosevelt; il 27, una dichiarazione di Churchill ai Comuni sulla crisi siro-libanese apertasi sul finire del gennaio, è un grave ammonimento al governo francese; questo il 6 marzo rifiuta il rango di "potenza invitante" alla conferenza di S. Francisco.

La capitolazione della Germania (7 maggio 1945) non diminuisce le difficoltà del governo francese. Se questo, che nei confronti dell'Italia ha già dichiarato (28 febbraio) la decadenza della convenzione del 1896 per la Tunisia, e il 17 maggio ha avanzato la richiesta di rettifiche alla frontiera, può ora nettamente impostare la sua politica tedesca sulla base della sicurezza, del controllo francese della Renania e dell'internazionalizzazione della Ruhr (posizione ufficiale; ma De Gaulle inclina anche verso una soluzione westfalica del problema tedesco) e ottenere una zona di occupazione in Germania (Palatinato, Saar e parte del Baden, del Württemberg e della Renania) e in Austria, e se il viaggio nell'agosto di De Gaulle a Washington e ad Ottawa è un elemento importante di distensione; tuttavia il GPRF deve affrontare i gravi torbidi algerini dell'8-10 maggio e la crisi del Levante, ove il 31 maggio è costretto a subire l'ingiunzione britannica di cessare il fuoco e successivamente - fallito il tentativo di provocare l'intervento della conferenza delle Nazioni Unite - ad entrare in trattative dirette coi governi siriano e libanese ed accettare le loro richieste (9 luglio 1945).

All'interno, invece, la capitolazione della Germania segna una svolta decisiva: finisce infatti ogni intralcio alla libera espansione della lotta politica (già viva, tuttavia, anche se in sordina, con il ritorno alla legalità dei partiti i quali nelle elezioni municipali dell'aprile-maggio hanno avuto una prima occasione di saggiare le proprie forze, con sensibile vantaggio della sinistra marxista) e cessa il precedente accantonamento del problema costituzionale mentre gli stessi gruppi della resistenza si politicizzano totalmente; infatti il 25 giugno il MLN si scinde dando luogo alla socialisteggiante Union démocratique et socialiste de la résistance (UDSR) e al filocomunista Mouvement unifié de la Rénaissance française ("MURF). Questo, una volta non realizzata dopo la liberazione l'ordinanza del CFLN di Algeri (21 aprile 1944) sull'organizzazione dei poteri pubblici, ha come propria piattaforma la Charte de la résistance votata il 15 marzo 1944 dal C N R e successivamente accettata da De Gaulle e da tutti i partiti; ma l'efficienza di questa carta, che tende ad una trasformazione profonda della struttura costituzionale, economica e sociale della Francia, è legata al persistere dell'accordo fra De Gaulle e i comunisti, accordo che, nonostante urti ben chiari al momento della insurrezione di Parigi e dello scioglimento delle guardie patriottiche, continuò a funzionare anche dopo il settembre 1944 ed ha trovato un buon terreno d'intesa nella nazionalizzazione, operata nel dicembre 1944 dal governo a proposito delle miniere, della marina mercantile e delle officine Renault, e nell'epurazione. Quest'accordo viene invece a spezzarsi sul problema della costituente: se gli stati generali delle forze della resistenza prendono il 14 luglio 1945, a Parigi, netta posizione in favore di una costituente sovrana, a Brest il 22 luglio De Gaulle denunzia tale assemblea come "una grande avventura" e, passando sopra al voto negativo dell'Assemblea consultiva (29 luglio) e accettando suggerimenti socialisti espressi da V. Auriol, il 17 agosto fissa con un'ordinanza un referendum popolare e la limitazione dei poteri della futura costituente.

6. La prima assemblea costituente e il gabinetto Gouin. - Il 21 ottobre 1945 il corpo elettorale francese ratifica il progetto del generale De Gaulle ed elegge i deputati all'assemblea costituente: questa entra in funzione il 6 novembre e il 23 accorda ad unanimità la fiducia al nuovo Governo provvisorio diretto sempre da De Gaulle.

I risultati della giornata elettorale del 21 ottobre furono intimamente contraddittorî. Da un lato, il referendum, sconfessando la tesi comunista, diede una chiara indicazione in favore della posizione di De Gaulle per una limitazione dei poteri della costituente (96,4% dei sì per la prima e 66,3% per la seconda domanda del referendum); dall'altro, le elezioni politiche diedero il maggior numero di seggi al PCF. Svoltesi con la proporzionale alla più forte media e con utilizzazione dei resti sul piano dipartimentale, il loro risultato è stato identico a quello di tutte le esperienze elettorali del genere: la costituzione di alcuni grossi blocchi parlamentari in equilibrio fra loro (PCF: 151 seggi e 8 apparentati; MRP: 150; SFIO: 139 con i 31 seggi apparentati dell'UDSR e gli 11 del partito contadino) e il massacro di tutti i partiti non fortemente organizzati (radicali: 29 seggi, varî gruppi di destra fra loro scissi: 53, musulmani: 7). Da ciò una notevole difficoltà per formare il nuovo governo: il risultato del referendum rendeva impossibile il ritorno, desiderato dai comunisti, ad una formazione di fronte popolare: restava quindi soltanto la possibilità di un governo tripartito fra i tre grossi blocchi, al quale la presenza del generale De Gaulle e la partecipazione di altri ministri avrebbero dato un colorito di unanimità nazionale. Fu ciò che avvenne il 23 novembre, dopo il superamento della grave tensione fra De Gaulle e i comunisti per la ripartizione dei portafogli ministeriali. La coesione tuttavia non fu mai il forte di questa formazione: se i tre blocchi basilari erano concordi - almeno programmaticamente - sul piano della politica interna e di quella economica, tuttavia "il programma della delegazione delle sinistre" del 7 novembre e "il programma d'azione del MRP" dell'8 avevano sfumature diverse in politica costituzionale poiché il primo insisteva sulle realizzazioni democratiche e il secondo sulla stabilità governativa, e in politica estera, ove le sinistre poggiavano sulla "sicurezza collettiva" e il MRP, pur accettando ciò, sviava le note esigenze verso la Renania e la Ruhr. Quest'ultima tesi era ben in armonia con la posizione di De Gaulle, già per conto proprio ben deciso non ad arbitrare soltanto ma a governare effettivamente, e faceva sì che, mentre il MRP - vale a dire il nuovo partito sorto sul vecchio tronco democratico popolare dei cattolici francesi - assumeva il ruolo di "partito della fedeltà" al resistente del 18 giugno, la SFIO - abbandonando il proprio atteggiamento al momento del referendum - rafforzasse i suoi legami col partito comunista. La scissione si aggravò di più con la politica finanziaria condotta dal liberista R. Pleven, e ciò nel momento in cui la situazione monetaria subiva un netto peggioramento: quest'ultimo fatto fornì una solida piattaforma alle sinistre marxiste per reclamare il 2 gennaio 1946, in sede di bilancio, una drastica riduzione dei crediti militari, sconfessando implicitamente la politica di prestigio che De Gaulle aveva ostinatamente sostenuto. Un compromesso riuscì a ritardare la crisi; ma la maggioranza acquisita in seno alla commissione costituzionale dai membri socialcomunisti e la decisione di procedere ad un'inchiesta sull'occupazione francese in Austria resero impossibile ogni ulteriore collaborazione. ll 20 gennaio 1946, improvvisamente e con metodo del tutto extraparlamentare, De Gaulle comunicava le proprie dimissioni.

La crisi, carica di pericoli e di conseguenze, venne chiusa il 26 con la costituzione di un governo Gouin, schiettamente tripartito e con la SFIO a proprio asse politico (la costituente accordò la fiducia con 503 voti contro 44 della destra).

Non tutti i punti di dissenso in seno al tripartito sono scomparsi (significativo il fatto che, mentre il repubblicano popolare Bidault nei consessi internazionali imposta il problema tedesco in termini non lontani da quelli di De Gaulle, a Strasburgo, il 24 marzo, il socialista Gouin nega che l'internazionalizzazione della Ruhr debba poggiare su un distacco territoriale); tuttavia questo di Gouin è stato, nonostante lo scacco costituzionale, uno dei governi provvisorî più efficienti che la Francia abbia avuto dopo la liberazione. Nato su un programma di salute pubblica rispetto alle gravi condizioni economico-finanziarie della nazione, esso è dominato dalla dittatura finanziaria di A. Philip, che accentra i due ministeri delle finanze e dell'economia nazionale e pone in atto un rigido programma di deflazione elaborato da P. Mendès-France (compressione delle spese, inasprimento fiscale, graduale soppressione delle sovvenzioni statali): era ciò, come ironizzava l'opposizione di destra, un ritorno ai vecchi sistemi di un Caillaux, ma con questo di profondamente diverso: che esso si esplica entro un più vasto sistema dirigista che trova espressione anche nel piano statistico Monnet per la modernizzazione e la ricostruzione della vita industriale francese. L'attenzione del govemo è rivolta anche al piano imperiale: la capitolazione del Giappone in Estremo Oriente ha sollevato la spinosissima questione dell'Indocina (per la quale v. indocina e viet-nam in questa App.).

Ma l'unità del governo, mantenutasi, anzi rafforzatasi, col voto del 6 aprile, su un testo di legge elettorale rigorosamente proporzionalista, venne a spezzarsi sul progetto costituzionale che dava la pienezza del potere ad una assemblea nazionale eletta a suffragio universale per 5 anni. veniva scartato il sistema bicamerale; veniva, se non scartata, almeno radicalmente compromessa la vecchia concezione della separazione dei poteri: ridotto ad un ruolo puramente onorifico il presidente della repubblica; il potere esecutivo sarebbe stato la diretta emanazione della maggioranza parlamentare, la quale agisce pure sul potere giudiziario mercé il Consiglio superiore della magistratura. Di fronte a questo predominio del potere legislativo il progetto costituzionale realizzava, con una larghissima decentralizzazione sul piano dell'amministrazione locale e su quello dell'Unione francese, il trionfo della tesi associazionistica. Ma a difenderlo davanti alla costituente furono solo i socialcomunisti; il MRP, pur restando al governo, se ne fece critico severo e il 19 aprile aggiunse i suoi voti a quelli degli oppositori del tripartito. Ratificato dalla costituente con 309 voti contro 249, il progetto venne respinto dalla nazione col referendum del 5 maggio 1946 (53% no e 47% sì).

7. - La seconda assemblea costituente. Il gabinetto Bidault. - La nuova campagna elettorale per la seconda costituente segnò due fatti importanti: il ripiegare su un aspro anticomunismo della SFIO e la campagna lanciata il 29 maggio dalla CGT e dai comunisti perché i salarî, fermo restando il blocco dei prezzi, venissero aumentati del 25%. Questa richiesta colpiva alla base l'esperienza dirigista di Gouin e trovò ostile, oltre allo SFIO, anche il MRP. Quest'ultimo partito, a sua volta, uscì vincitore dalle elezioni del 2 giugno 1946, senza peraltro che queste segnassero uno spostamento notevole nello scacchiere parlamentare. L'asse politico governativo restò, infatti, essenzialmente tripartito, nonostante il tentativo dell'opposizione di raggrupparsi per la Destra nel Parti républicain de la liberté e per il centro sinistro nel Rassemblement des gauches républicaines: la funzione di cerniera spettò ancora ai socialist a disnetto delle perdite avute. La sinistra marxista, con il concorso dei sette deputati di colore, costituì la maggioranza e più di una volta, nel corso della legislatura, mise in scacco l'opposizione; ma l'improvviso ritorno del generale De Gaulle nell'arringo politico col discorso di Bayeux del 16 giugno e con la successiva campagna, non solo per un potere esecutivo a tipo presidenziale, ma diretta anche contro l'esistenza stessa dei partiti, venne a rafforzare sul piano parlamentare il MRP, il cui leader assunse l'onere del governo.

Il governo Bidault fu costituito il 23 giugno 1946 su una base tripartita alquanto allargata e il 26 ottenne la fiducia con 516 voti e 57 astensioni (precedentemente, nella designazione di Bidault, anche i comunisti si erano astenuti). Esso segna una notevole attività in seno alla conferenza dei Quattro e a quella di Parigi, col pieno trionfo delle rivendicazioni verso l'Italia ma con scarso successo per quanto riguarda il problema tedesco, trovando il distacco territoriale della Ruhr la concorde opposizione dei tre grandi e, quello della Saar, l'opposizione sovietica. Questo impasse del problema tedesco ha contribuito alla decisiva svolta della politica francese, che - restìa sotto Gouin ad entrare in uno solo dei due blocchi - ora inclina sempre più verso quello occidentale (inserzione reclamata, fra l'altro, da De Gaulle a Bar-le-Duc il 28 luglio), e induce il gabinetto Bidault a misure unilaterali, come la riunione amministrativa dei due distretti renani alla Saar (22 luglio) e la creazione in zona francese di un Land con capitale Magonza (30 agosto). Quanto dll'Estremo oriente la conferenza di Fontainebleau, non riesce a realizzare col Viet-nam più di un semplice modus vivendi (14 settembre), che ben presto verrà spazzato via dall'insurrezione del 19 dicembre.

Il 29 settembre, intanto, la costituente ha adottato, con 440 voti contro 106, il nuovo progetto costituzionale, che è un rimaneggiamento del precedente in quanto riconosce il sistema bicamerale e la separazione dei poteri; il punto ove più se ne scosta è quello dell'Unione francese, riguardo al quale lo stesso Bidault, facendosi forte delle tensioni indocinese e algerina e della dichiarazione fatta da De Gaulle alla stampa il 19 settembre, forzò la mano alla costituente in un campo di esclusiva competenza di quest'ultima e fece sostituire una centralizzazione federale al primitivo federalismo decentralizzato proposto dalla commissione.

Sostenuto dal tripartito, violentemente criticato da De Gaulle, il progetto fu accettato il 13 ottobre dal corpo elettorale ma i risultati del referendum (9.263.416 sì, 8.143.981 no e 8.467.537 astensioni) mostrano quale vasta breccia le critiche di quest'ultimo abbiano operato nella nazione, autorizzando non pochi dubbî sulla vitalità del nuovo organismo costituzionale della quarta Repubblica. Tuttavia, le successive elezioni del 10 novembre per l'assemblea nazionale non hanno spostato la situazione parlamentare (sommando anche gli apparentati, il tripartito ha rispettivamente 182 seggi per i comunisti, 164 per il MRP e 104 per la SFIO su un totale di 614 deputati).

8. - I gabinetti Blum, Ramadier, Schuman, Marie, Queille. - Un governo omogeneo di transizione diretto da Blum (16 dicembre 1946-16 gennaio 1947) - al quale si giunse per la successiva eliminazione delle candidature M. Thorez e G. Bidault e che nel breve mese di vita attuò contro il carovita l'esperienza di una diminuzione legislativa dei prezzi - pose le basi del trattato di alleanza franco-inglese, ebbe da far fronte alla grave insurrezione dell'Indocina, organizzò gli istituti della quarta repubblica con l'elezione dei membri del consiglio della repubblica (24 novembre e 8 dicembre), che all'incirca presenta lo stesso colore politico dell'assemblea nazionale e la riunione (16 gennaio 1947) del primo congresso a Versailles, che affida al primo scrutinio la presidenza della repubblica a Vincent Auriol. Il 18 - dopo il rifiuto di Blum - l'incarico di formare il nuovo governo è dato al socialista P. Ramadier.

Su una dichiarazione programmatica che poggia sui principî della solidarietà ministeriale, dell'aumento della produzione, dell'equilibrio del bilancio, della riorganizzazione amministrativa, e sul triplice rifiuto di accettare la scala mobile nel campo dei salarî, di capitolare in Indocina e di entrare in uno dei due blocchi internazionali contrapposti, il 21 gennaio 1947 la designazione di Ramadier è dall'assemblea nazionale ratificata ad unanimità e si concretizza in un gabinetto di coalizione.

In un primo tempo, il gabinetto Ramadier riesce a conservare la coesione della propria maggioranza e continua (con il decreto del 1° marzo) nella politica blumiana di diminuizione legislativa dei prezzi, mentre, in politica estera, esaurite con la firma del trattato di pace del 10 febbraio 1947 le rivendicazioni verso l'Italia, cerca con l'appoggio unanime dell'assemblea nazionale (voto di fiducia del 28 febbraio), sia alla Conferenza dei sostituti dei quattro ministri degli esteri tenutasi a Londra dal 14 gennaio al 25 febbraio, sia alla Conferenza dei ministri degli esteri tenutasi a Mosca dal 10 marzo al 24 aprile 1947 di risolvere il problema tedesco nel senso di far prevalere per il futuro assetto costituzionale della Germania una tesi che non solo si oppone alla tesi centralizzatrice sovietica ma che va ancora più in là di quella anglo-americana dello stato federale per proporre semplicemente una federazione di stati; cerca pure di ottenere la separazione politica della Ruhr dalla Germania con la creazione di un regime politico speciale sotto controllo internazionale (non solo dei quattro grandi) e l'immediato allacciamento economico-monetario alla Francia della Saar, retta con statuto autonomo da un alto commissario francese. Ma nessuna delle richieste riuscì a trionfare e, di fronte allo scacco totale della conferenza di Mosca e col tacito accordo angloamericano, il governo francese anche questa volta preferì seguire la via delle misure unilaterali, realizzando il 6 giugno una nuova modificazione territoriale fra la Saar e il Land renano-palatino, facendo svolgere il 5 ottobre le elezioni nella Saar, cui seguì l'8 novembre una nuova costituzione politica e il 14 novembre l'introduzione del franco francese al posto del marco.

Tuttavia, il trattato di alleanza concluso per la durata di 50 anni con l'Inghilterra e firmato il 4 marzo 1947 a Dunkerque, come pure la dichiarazione di Marshall all'università di Harvard (5 giugno), sono una piattaforma per il sempre più sensibile ingresso della Francia nel blocco occidentale: ben visibile e sempre più rapido, dopo il fallimento della conferenza parigina Bevin-Molotov-Bidault (27 giugno-2 luglio) e l'iniziativa Bidault-Bevin per una conferenza delle sedici nazioni riguardo al piano Marshall. In questo spostamento influisce non poco l'evoluzione della situazione interna, dove l'aggravarsi della crisi indocinese ha portato alla fine della coesione ministeriale (astensione comunista all'assemblea nazionale il 19 marzo nel voto di fiducia sulla politica governativa in Indocina e il 22 sui crediti militari) e ciò nel momento in cui De Gaulle col suo discorso di Strasburgo (7 aprile), lancia la campagna per un Rassemblement populaire français in funzione nettamente antidemocratica. Una causa accidentale - un improvvisato sciopero alle officine Renault - fece evolvere la tensione nel senso che il 4 maggio un decreto presidenziale dichiarò decaduti dalle proprie funzioni i ministri comunisti. Posto ora fra la duplice opposizione di De Gaulle da un lato (discorsi di Bordeaux del 15 maggio, Lilla del 29 giugno, Rennes del 27 agosto) e comunista dall'altro, ostacolato da un continuo susseguirsi di scioperi, il gabinetto Ramadier diede prova di grande energia (il 25 maggio, p. es., riuscì a far fallire il progettato sciopero dell'elettricità e del gas) ma fu costretto ad abbandonare la precedente politica della diminuizione dei prezzi (aumento salariale dell'11% del 22 agosto e primo aumento legislativo dei prezzi del 30 agosto) e ad abusare sempre più della questione di fiducia per spezzare gli ostacoli (ben 7 volte in 10 mesi).

Sempre più logorato dalla lotta su due fronti, divenuta ancora più acuta dopo il notevole successo riportato alle elezioni municipali del 19 ottobre dal giovane RPF (successo che autorizza il 27 De Gaulle a reclamare la dissoluzione dell'assemblea nazionale), Ramadier rimaneggia il 22 ottobre il proprio gabinetto sacrificando i dirigisti F. Gouin e A. Philip, mentre nell'assemblea nazionale il segretario della SFIO M. Guy-Mollet lancia un appello per un raggruppamento di tutti "i democratici sinceri e i partigiani autentici dell'indipendenza nazionale", vale a dire per l'inserzione fra la corrente prosovietica e quella proamericana di una "terza forza". Ma il 30 tale nuovo ministero ottiene la fiducia con appena 20 voti di maggioranza (300 contro 280): troppo poco perché possa resistere, tanto più che l'11 novembre sanguinosi incidenti a Marsiglia sono il prodromo di una nuova, vigorosa ondata di scioperi; così il 19 novembre il governo Ramadier rassegna le dimissioni.

Si cercò di risolvere la crisi sulla piattasorma indicata da GuyMollet, ma la rigida posizione di lotta su due fronti e di dirigismo per tutti i settori economici ancora deficitarî fece - per il difetto di 9 voti - fallire la candidatura Blum (21 novembre 1947); invece l'indomani ebbe 412 voti contro 184 R. Schuman. Il suo gabinetto rapidamente costituito è solo nelle linee generali di terza forza giacché la presenza del radicale René Mayer e l'appoggio datogli anche da zone parlamentari assai vicine al RPF mostrano che il suo asse politico è inclinato sensibilmente verso destra. Tale spostamento è stato favorito dal suo sorgere mentre l'ondata di scioperi toccava il massimo: con un'abile resistenza passiva, non scevra da prudenti misure di sicurezza e dall'elaborazione di una legge "tendente alla difesa della Repubblica e alla protezione della libertà del lavoro", votata dall'assemblea nonostante il fierissimo ostruzionismo comunista, il governo Schuman riuscì ad aver ragione dell'agitazione, il cui fallimento - insieme ad una tensione diplomatica con l'URSS, culminata nell'operazione di polizia nel campo sovietico di Beauregard (Seine-et-Oise) e nell'espulsione dalla Russia della missione francese di rimpatrio (9 dicembre) - portò ad un isolamento del PCF dal complesso nazionale, subito tradottosi nella perdita delle vicepresidenze all'assemblea nazionale e nel distacco alla CGT della corrente di Force ouvrière (19 dicembre). Di conserva con questo indebolimento comunista, è andata la sempre più forte cessione di posizioni da parte del gabinetto Schuman alla Destra (alla fine del gennaio 1948 si temette la rottura fra MRP e SFIO; l'accordo rinsaldato è però alla mercé di un fluttuante gruppetto dell'UDSR capitanato da René Pleven legato al RPF). Ciò è stato ben visibile nel campo economico-finanziario, ove un già attenuato piano Mayer di prelevamento eccezionale fu votato solo perché fu posta (3 gennaio 1948) la questione di fiducia ben 5 volte in una stessa seduta e fu come ricompensato da provvedimenti con cui si accoglievano tesi liberiste (v. sopra: Finanze). Concessioni verso la destra si sono avute anche con l'abbandono delle posizioni ideologiche e nel campo internazionale (riapertura il 10 febbraio 1948 della frontiera spagnola che era stata chiusa il 1° marzo 1946) e in quello della Unione francese (trattative con l'ex-imperatore annamita Bao-Daï).

Su tale evoluzione verso destra non poco ha influito la situazione internazionale. Lo scacco totale della Conferenza dei quattro ministri degli Esteri a Londra (25 novembre-15 dicembre 1947) ancora una volta ha lasciato non accolte le richieste francesi sul problema tedesco; da tale scacco tuttavia uscì un certo ravvicinamento fra la tesi anglo-americana e quella francese, sulla base della rinunzia francese ad un distacco "politico ed economico" della Ruhr e della Renania sottoposte a controllo internazionale e dell'accettazione anglo-americana che permise di ricondurre la Saar nel sistema economico francese. Tale "revirement" non è senza scosse: vivaci, ad esempio, sono le proteste francesi per l'organizzazione della bizona operata alla conferenza di Francoforte nel gennaio-febbraio 1948. Tuttavia, l'evoluzione internazionale fissa sempre più la Francia nel blocco occidentale e ad accordi con la politica americana e inglese: il 21 gennaio 1948 un passo in comune anglo-francese è fatto presso il Benelux per estendere a questo il trattato di alleanza di Dunkerque ed esso si concretizza nella conferenza a cinque apertasi a Bruxelles il 4 marzo; il 23 febbraio a Londra si apre una conferenza tripartita anglo-franco-americana ed alla fine il delegato francese R. Massigli riporta una vittoria di principio sulle due scottanti questioni del controllo internazionale della Ruhr e della forma federale da dare al governo tedesco; il 16 marzo al Quai d'Orsay si apre la seconda conferenza dei sedici.

Con la firma poi del patto di Bruxelles del 17 marzo, che è ad un tempo alleanza militare ed accordo economico fra la Francia, l'Inghilterra e i paesi del Benelux, con la stipulazione del protocollo per la unione doganale con l'Italia e il viaggio di Bidault a Torino (20 marzo 1948), la Francia è divenuta ormai nel complesso del blocco occidentale un elemento diplomatico attivo.

Tuttavia, quel certo margine di situazione ancor fluida, per il quale era possibile alla politica francese di restare ad una posizione intermedia fra l'allineamento totale con Washington (logica conclusione della posizione violentemente anticomunista di un De Gaulle, che il 7 marzo 1948 a Compiègne si è dichiarato pronto ad assumere il potere) e la creazione di una vasta compagine europea sulla piattaforma Bevin (discorso di Bidault del 12 febbraio all'Assemblea nazionale; manifestazione del mese di marzo di molti deputati per la convocazione di una Costituente europea), si è con l'inizio della estate rapidamente logorato. Si è giunti così, sul finire del maggio 1948, all'accettazione di quelle "raccomandazioni" della conferenza dei sei tenutasi a Londra sul problema tedesco, che da quasi tutti i partiti e da vastissime zone dell'opinione pubblica francese furono considerate come tali da compromettere la sicurezza del paese da un risveglio tedesco. Quantunque - dopo un aspro dibattito di sei giorni - una lieve maggioranza abbia all'Assemblea nazionale avallato l'operato di G. Bidault a Londra, il prestigio di questi ne è uscito gravemente compromesso.

Mentre il progressivo rafforzarsi del movimento degollista (elezioni dell'aprile per l'Assemblea algerina; primo congresso del RPF tenutosi a Marsiglia il 16-18 aprile) ha aumentato il turbamento in seno alla nazione francese, sul piano governativo-parlamentare all'aspra polemica sulla politica estera si son venuti aggiungendo dissensi non meno gravi sul piano della difesa della laicità e della politica economico-sociale. In sede di bilancio dei crediti militari si attua il divorzio fra il MRP e la SFIO e il 19 luglio si giunge alle dimissioni del gabinetto Schuman. La crisi venne chiusa il 26 luglio con la costituzione di un gabinetto presieduto dal radicale André Marie e le cui principali caratteristiche sono state la scomparsa agli Esteri di G. Bidault, sostituito ora dall'ex-presidente Schuman, e il ritorno al governo - dopo tanti anni - di P. Reynaud. Il gabinetto Marie, che al suo costituirsi aveva avuto l'opposizione solo dei comunisti, ha avuto però vita breve: i socialisti, agitati sempre più all'interno da una grave crisi, ben presto trovarono inaccettabile il complesso dei progetti economici e finanziarî patrocinati da Reynaud e il 27 agosto assunsero la responsabilità di aprire una nuova crisi governativa. Avendo Ramadier declinato l'incarico di costituire il nuovo gabinetto (29 agosto) ed essendo un nuovo esperimento Schuman - sulla piattaforma della terza forza - durato appena 64 ore (5-7 settembre 1948), il radicale Henri Queille è riuscito a costituire il nuovo governo solo l'11 settembre 1948, cedendo all'opposizione degollista sul punto delle elezioni entro l'anno per il consiglio della repubblica. Quantunque sia riuscito a realizzare all'assemblea nazionale una larga maggioranza (335 voti contro 229) ed abbia già riportato una prima vittoria in materia finanziaria, tuttavia la sorte del gabinetto Queille è ancora incerta, tanto più che anche i comunisti reclamano ora nuove elezioni generali. D'altra parte, l'agitazione degollista si fa sempre più intensa e a Grenoble il 19 settembre 1948 ha già provocato uno scontro cruento.

Tutta una sequela di scioperi, inaugurata nei primi giorni di settembre e poi via via rincrudita, nelle zone minerarie, specialmente a Bethune, St. Etienne e Gard, nei giorni fra il 18 e 28 ottobre, ha messo a dura prova il gabinetto Queille, che tuttavia l'ha superata abbastanza bene, soprattutto per l'energia del ministro dell'Interno Moch. Ma le agitazioni, anche se per il momento superate, hanno, nondimeno, lavorato, oltre che contro gl'ispiratori di esse, comunisti specialmente, anche contro i partiti di "terza forza"; ciò che si è visto nelle elezioni di prima e secondo grado per il consiglio della repubblica (17 ottobre e 7 novembre), che hanno costituito un nuovo successo per De Gaulle, un arretramento delle posizioni comuniste e più ancora di quelle del MRP.

Bibl.: I) Fonti documentarie: La Délégation française auprès de la commission allemande d'armistice, recueil de documents publié par le Gouvernement français (a tutt'oggi è uscito solo il primo volume, che va dal 29 giugno al 29 settembre 1940). - II) Fonti memorialistiche: Oltre quanto è indicato alle voci Algeri, Darlan, De Gaulle, Laval, Pétain, Riom, si vedano: le memorie di uomini politici francesi: V. Auriol, Hier... démain, Parigi 1945; L. Blum, À l'échelle humaine, ivi 1945; G. Bonnet, Défense de la paix. De Washington au Quai d'Orsay, Ginevra 1946; F. Charles-Roux, Huit ans au Vatican, Parigi 1947; P. Cot, Le procès de la République, New-York s.-d.; A. De Monzie, Ci-devant, Parigi 1941; E. Daladier (autodifesa nel resoconto parlamentare del 18 luglio 1946, pubblicato dal Journal Officiel); P. Faure, De Munich à la cinquième République, Parigi 1948; P.-E. Flandin, Politique française 1919-1940, ivi 1947; A. François-Poncet, Souvenirs d'une Ambassade à Berlin (septembre 1931-octobre 1938), ivi 1945; M. Gamelin, Servir, ivi 1946-1947, 3 voll.; A. Lebrun, Témoignage, ivi 1945; L. Noël, L'aggression allemande contre la Pologne, ivi 1946; Paul-Boncour, Entre deux guerres. Souvenirs sur la IIIe République, ivi 1945-1946, 3 voll.; P. Reynaud, La France a sauvé l'Europe, ivi 1947; M. Tony-Révillon, Mes carnets, ivi 1945; J. Zay, Souvenirs et solitude, ivi 1947; le memorie di uomini politici stranieri, fra le quali: C. De Acevedo, À notre corps défendant: impressions et vicissitudes d'un diplôme en France (1939-1944), ivi 1945; G. Ciano, Diario, Milano 1946 e Diario 1937-38, Bologna; 1948, R. Guariglia, Diario di un ex, in Nuova Antologia, 1941; W. Langer, Our Vichy gamble, New York 1947; L. Marchal, Vichy, two Years of deception, ivi 1943; W. Stucki, La fin du régime de Vichy, Neuchâtel, 1947; gli scritti di giornalisti: B. De Jouvenel, La dernière année. Choses vues de Munich à la guerre, Ginevra 1947; Pertinax, Les fossoyeurs, New-York 1943 e V. Vinde, La fin d'une grande puissance. La France depuis la déclaration de guerre jusqu'à la révolution nationale, Losanna 1942 (trad. dallo svedese). Per l'armistizio, cfr. fra gli scritti apologetici: C. Reibel, Pourquoi et comment fut décidée la demande d'armistice, Vanves 1940 e fra gli ostili [L. Noël], Le diktat de Rethondes et l'armistice franco-italien de juin 1940, Parigi 1945; A. Kammerer, La vérité sur l'armistice, Parigi 1944; per l'assemblea nazionale di Vichy: J. Castagnez, Précisions oubliées, Sancerre 1945; J. Montigny, De l'Armistice à l'Assemblée Nationale, 15 juin-15 juillet 1940, Clermont-Ferrand 1940 e G. Taurines, Souvenirs de l'Assemblée nationale de Vichy, Tempête, sur la République, Saint-Etienne 1944. Su Vichy si vedano i resistenti: P. Tissier, Le Gouvernement de Vichy, Londra 1941 e R. Aron, De l'armistice à l'insurrection nationale, Parigi 1945; e i collaborazionisti: ammiraglio P. Auphan, Histoire de mes trahisons, in Questiones actuelles, 1946; H. Du Noulin De Labarthète, Le temps des illusions. Souvenirs, Ginevra 1946; M. Martin Du Gard, La chronique de Vichy, Parigi 1948; P. Nicolle, Cinquante mois d'armistice, ivi 1947; per alcuni aspetti della diplomazia di Vichy, si veda: W. Langer-A. Gaudel, l'Indochine française en face du Japon, ivi 1947; L. Rougier, Mission secrèté à Londres, Ginevra 1946 e K. Pendar, Le dilemme France-États Unis. Une aventure diplomatique, Montreal 1946; per l'aspetto finanziario, il libro postumo dell'ex-ministro P. Cathala, Face aux réalités, Parigi, 1948; per i rapporti con la Chiesa cattolica, monsignor E. Guerry, L'Église catholique en France sous l'occupation, Parigi 1947; una fonte notevole sono i processi, dei quali sono stati pubblicati i verbali delle udienze per Pétain, Laval, Maurras, Flandin e Pucheu. Per la Resistenza - oltre quanto citato alla voce de gaulle - si veda la serie di memorie dell'agente segreto Rémy L. Aubrac, La Résistance (naissance et organisation), Parigi 1945 e P. Audiat, Paris pendant la guerre, ivi 1948. Una enzione a parte meritano le memorie del capo del servizio segreto degollista, colonnello A. Passy, 10, Duke Street, Londres, Parigi 1948. Sui movimenti ideologici e le tesi costituenti per la Quarta Repubblica, cfr. - oltre l'opera già citata di V. Auriol e la documentazione riportata dall'italiano Bollettino d'informazione e documentazione del Ministero per la costituente, anno II, fasc. 1-4 - A. Hauriou, Vers une doctrine de la Résistance, le socialisme humaniste, Algeri, 1944; A. Spire, Inventaire des socialismes français, contemporains, Parigi 1946 e R. Capitant, Pour une constitution fédérale, ivi 1946 (degollista), oltre la raccolta di discorsi di De Gaulle e degli scritti comunisti (J. Duclos, Batailles pur la République, Parigi 1945, e M. Thorez, Une politique de grandeur française, ivi 1946). Per il 1945-46 esistono inoltre i due volumi di cronologia dell'Année politique; per il 1946-47 le statistiche elettorali redatte da R. Huson. - III) Studî: A. Dansette, Histoire de la libération de Paris, Parigi 1946; A. Garosci, Storia della Francia moderna (1870-1946), Torino 1947; F. Goguel, La politique des partis sous la IIIe République, Parigi 1946; P. Marabuto, Les partis politiques et les mouvements sociaux sous la IVe République, ivi 1948 (dati statistici); A. Saitta, Francia d'oggi: Quarta Repubblica o Impero plebiscitario?, in Acropoli, 1945; id., La IV Repubblica francese e la sua prima Costituente, Firenze 1947.

Operazioni militari durante la seconda Guerra mondiale.

Preparazione e armamento. - La Francia, memore della duplice invasione subìta, nello spazio di men che mezzo secolo, da parte della Germania, non aveva trascurato, nel ventennio intercorso tra la prima e la seconda Guerra mondiale, la propria preparazione militare. Sull'indirizzo generale di questa, però, aveva soprattutto pesato una specie di reazione contro la dottrina militare fin allora dominante in Francia ed ispirata essenzialmente all'offensiva.

Difensiva, dunque; onde prima conseguenza di tale revisione della dottrina militare francese fu la costruzione di quel formidabile baluardo fortificato al confine orientale che, dal nome del suo ideatore e costruttore prese il nome di "linea Maginot" (v. linea difensiva) e che avrebbe dovuto esser capace, appunto, di contenere l'urto offensivo avversario e di consentire il completamento delle operazioni di mobilitazione e di radunata.

Pur seguitandosi, poi, a proclamare che "l'offensiva soltanto può essere capace di dare risultati positivi" e che "col cuore del fante, soprattutto, si ottiene la vittoria", si dava, tuttavia, molta importanza al fuoco, tanto in senso positivo quanto negativo, e si accoglievano, anche, le nuove idee circa la meccanizzazione e la motorizzazione. A tali idee, in verità, la Francia addivenne piuttosto tardi, e vi ebbe più favorevole accoglienza la motorizzazione anziché la meccanizzazione. La macchina, cioè, veniva concepita ed accolta, soprattutto, sul piano logistico.

Tale dottrina militare si trovava pertanto in assoluto contrasto con quella tedesca, inspirata a concetti di offensiva ad oltranza, rapida e decisiva nel campo strategico, e di massima aggressività nel campo tattico. (Per un più ampio esame delle concezioni strategicotattiche tedesche e francesi, v. guerra mondiale, in questa App.

Di queste idee dominanti nell'esercito tedesco s'erano avute larghe ripercussioni in Francia. Anzi, fin dal maggio 1921, in una conferenza tenuta a Bruxelles, alla presenza del re Alberto del Belgio, il gen. Estienne, ideatore dell'artiglieria d'assalto nella prima Guerra mondiale, aveva già preconizzato che il veicolo col cingolo avrebbbe ben presto sovvertito i fondamenti secolari, non solo della tattica, ma anche della strategia. E con linguaggio profetico dirà, nove anni prima della rottura di Sedan: "io sono stato spesso colpito dalla meravigliosa affinità tecnica e morale delle due armi nuove (carri e aerei) che si completano ammirevolmente".

Contemporaneamente il gen. Maistre scriveva chiare analisi nello stesso senso dell'Estienne, e il col. Ch. De Gaulle, sviluppando in modo nitido e completo le tesi dei due generali, perveniva nella sua Armée de métier a delineare la vera e propria grande unità corazzata, equivalente e forse superiore alla Panzerdivision del 1940. Senonché proprio l'idea di un'armata di mestiere, entro i cui quadri professionali si sarebbero inserite le divisioni del Ch. De Gaulle, turbò profondamente l'opinione dei generali, più ancora degli uomini di stato francesi. Il progetto De Gaulle dell'armata di mestiere, allarmava in sé stesso e per le sue origini, sembrando come una sorta di riedizione della Reichswehr, quale era stata foggiata dal suo grande ideatore, Hans von-Seeckt. I generali francesi temettero che la nazione avrebbe finito col disinteressarsi dell'armata e della difesa nazionale, gli statisti videro in pericolo le istituzioni parlamentari, sotto la minaccia di un nuovo 18 brumaio o di un nuovo 2 dicembre. Perciò non se ne fece nulla.

Tuttavia le polemiche riuscirono, sia pure in superficie, a operare su questa mentalità che rendeva il carro armato tatticamente inserviente alla fanteria, riguardata, insieme con l'artiglieria tradizionale, come l'elemento determinante della battaglia. Fu così che nel 1932 si cominciò a meccanizzare una parte delle divisioni di cavalleria, che nel 1936 ricevettero la loro denominazione definitiva di Divisioni leggere di cavalleria (DLC). Nel 1937 ci si decise anche a formare una prima divisione totalmente motorizzata e cingolata con 260 veicoli di combattimento, dotati di un cannone di 4,7 cm. Era la divisione leggera meccanica (DLM), cioè una sorta di cavalleria pesante strategica, ma non ancora la vera e propria divisione corazzata autonoma e dotata di tutti i mezzi proprî di combattimento, di rottura, d'inseguimento e di rifornimento. Questa divisione corazzata di rottura (DCR) fu introdotta per la prima volta nell'autunno del 1938 nell'esercito francese, che il 10 maggio 1940 disponeva di 3 grandi unità di questo tipo, mentre una quarta era in formazione. Né migliori erano le condizioni della British Expeditionary Force (BEF: gen. J. S. lord Gort), altamente motorizzata, ma non meccanizzata. Solo nel 1938 nasce la divisione meccanizzata, che non era in definitiva se non l'edizione britannica della DLM francese; nell'aprile 1939 l'arma corazzata riceve un'organizzazione autonoma, cui doveva dare risalto la denominazione di Royal Armoured Corps. Ma i materiali di quest'armata corazzata erano eterogenei e, cosa più grave, avevano scarsa efficienza, fatta eccezione di 23 carri, i soli - come afferma lord Gort nel suo rapporto - in grado di misurarsi con i carri della Panzerwaffe. La divisione corazzata tedesca contava 488 carri dei quali il 20% era formato da blindati leggeri (cioè da Mark I e II), il 55% da blindati medî (Mark III), il 25% da blindati pesanti (Mark IV). In definitiva,, il 10 maggio 1940 la Wehrmacht disponeva di 3000 carri in tutto (esattamente 3003), secondo la fonte ritenuta fino ad ora più accreditata, il col. generale H. Guderian; secondo altre fonti (Eddy Bauer), questa cifra può essere elevata fino a 3560 carri. Una tale massa corazzata era ripartita su 10 divisioni, integrate da 4 divisioni dette leggere, abbastanza simili alle DLM francesi. Però, al 10 maggio 1940 quattro delle 10 divisioni blindate erano state trasformate in Panzer solo "abbastanza imperfettamente". Contro i 3500 carri tedeschi, gli Alleati allineavano 6 divisioni, ciascuna su quattro battaglioni blindati (150 carri), con un totale quindi di 900 carri. Inoltre, mentre dei carri tedeschi erano attrezzati per la lotta anticarro i 3/4, di quelli francesi lo era invece solo il 60%. Ma, cosa ancora più grave, una divisione blindata pesante, come quella realizzata dall'OKW e progettata da De Gaulle, non era soltanto un complesso di 500 carri, era soprattutto una dottrina d'impiego, una tattica nuova e quindi una nuova mentalità di guerra quasi del tutto ignota all'alto comando alleato, il quale nemmeno sospettava la dottrina dello Schwerpunkt, cioè il più fecondo risultato dalla tattica tedesca dei blindati. Anzi, il comando francese, lungi dall'assurgere ai problemi dalla tattica, si mostrava ancor tutto preoccupato della logistica in quanto che ci volevano in effetto degli stati maggiori divisionarî particolarmente sperimentati per far camminare su strada, senza gravi inconvenienti, 3000 veicoli, 2500 dei quali in funzione dei 500 carri della divisione. I Tedeschi, invece, avevano fatto appello a numerosi espedienti, alla perfetta istruzione dei pionieri, a una rigorosa disciplina del traffico, riuscendo infine a piegare le esigenze della tecnica alle leggi della tattica.

In fatto d'aviazione, poi, lo squilibrio era ancora più allarmante: contro circa 4500 aerei di Goering, gli Alleati ne opponevano poco più di 1660, dei quali 976 francesi, 310 inglesi, 129 belgi, 248 olandesi. Fatta eccezione per l'aviazione britannica e in particolare per i suoi 150 caccia (sul totale delle 310 macchine dislocate in Francia), quasi tutti gli altri apparecchi non erano in grado d'impegnare il nemico. I bombardieri francesi che dovevano opporsi ai 3.500 tedeschi ammontavano a circa 100, dei quali solo 31 erano in grado di essere impiegati anche di giorno. I 51 apparecchi belgi, considerati "impegnabili", si trovarono in condizione d'insanabile inferiorità rispetto ai Messerschmitt M E 109. L'aviazione olandese, decisamente inferiore al livello qualitativo e d'addestramento della belga, fu del tutto spazzata via al terzo giorno di combattimento.

Se, infine, si tiene presente la lunghezza d'una divisione corazzata in marcia, e pertanto la necessità d'avere il dominio dei cieli o almeno l'equilibrio aereo, si comprenderà l'irreparabile inferiorità anglo-francese. Oltre l'intervento diuturno e massiccio della Luftwaffe, che realizzava coi Panzer le terribili proprietà della combinazione aereo-carri, i Tedeschi avevano attribuito all'organico di ogni divisione corazzata una compagnia divisionaria antiarea, dotata di 12 cannoni automatici di 2 cm.

Quanto ai complessi armati tradizionali, le distanze fra gli avversarî non erano eccessive: alle 115 divisioni di fanteria tedesca, gli Alleati ne opponevano 81 (di cui però 11 di fortezza, cioè di truppe "statiche", inadatte pertanto alla guerra di movimento), alle quali potevano essere aggiunte le 18 divisioni belghe e le 8 olandesi. Senonché, dato il valore decisivo delle nuove armi e della combinazione Panzer-Stuka, contrariamente all'opinione prevalente in tutti i circoli militari del mondo (fatta eccezione, naturalmente, per quelli tedeschi), Hitler il 10 maggio 1940 disponeva di un numero di macchine belliche, sufficiente ad assicurargli il successo contro tutti gli eserciti del tempo.

La prima fase delle operazioni. - La Francia e l'Inghilterra si erano dichiarate in stato di guerra con la Germania fin dal 3 settembre 1939. Dato il carattere essenziale della fronte occidentale, ove erano state erette, l'una contro l'altra, due formidabili linee difensive, la "Maginot" e la "Siegfried", non erano da attendersi colà operazioni di rilievo, almeno fino a quando non si fossero completate, da una parte e dall'altra, le operazioni di mobilitazione e di radunata; tanto più che da parte dell'esercito francese solo non era possibile che fossero intraprese operazioni di così vasta portata, quali avrebbe richiesto l'attacco alla "linea Siegfried" prima che fosse giunto in territorio francese il grosso delle forze britanniche.

Da parte dei Tedeschi, parimenti, non erano prevedibili azioni offensive più o meno imminenti sul fronte occidentale, anzitutto perché era evidente che non poteva convenir loro, almeno fino a quando fosse stato possibile, di combattere su due fronti, contemporaneamente; anche dopo la fine delle operazioni in Polonia, poi, essi avrebbero dovuto provvedere a riordinare le unità, colmare i vuoti, effettuare gli ingenti trasporti di truppe e di materiali, adottare quei provvedimenti che avrebbero potuto esser suggeriti dal mutare della situazione politica. Non può sorprendere, quindi, che da parte tedesca si andasse ripetendo in quei mesi dell'autunno-inverno del 1939-40: "non esiste per noi un fronte occidentale".

Non si ebbero, difatti, in quei mesi, che azioni locali a scopo, più che altro, esplorativo, condotte per lo più dai Francesi, nello spazio compreso tra le due linee difensive; azioni alle quali i Tedeschi si limitarono ad opporre reazioni quasi soltanto di artiglierie.

Solo dopo aver concentrato in occidente dalle 60 alle 70 divisioni, l'OKW decise il 16 e il 17 ottobre di lanciare due attacchi nella Sarre per disimpegnare Sarrebrück e per rioccupare il territorio momentaneamente perduto. Senza accettare il combattimento, le armate francesi tornarono a stabilirsi nelle opere della Maginot e nelle posizioni a tergo della grande linea di difesa.

Nei mesi successivi, non si ebbero più azioni degne di nota, né da una parte né dall'altra. Il comando francese, però, sempre più preoccupato di rinsaldare il proprio sistema difensivo, attese a dare una migliore e più efficiente organizzazione al tratto di frontiera compreso tra il Lussemburgo ed il mare del Nord, e cioè lungo quel tratto che non era protetto dalla Maginot, arrestandosi questa, com'è noto, a Montmédy, poco oltre la Mosella. Allo scopo, quindi, di sbarrare le vie eventuali di invasione per le valli della Sambre e dell'Oise, si provvide, nell'impossibilità di prolungare la Maginot, a disseminare quella zona di opere di fortificazioni campali tali da costituire, nel loro insieme, un sistema difensivo, ch'era ritenuto capace di resistere abbastanza a lungo, così da dar tempo alle unità mobili di accorrere e di far massa là dove la minaccia avversaria si fosse maggiormente pronunziata.

La battaglia del maggio-giugno 1940. - Alla vigilia del 10 maggio 1940, l'esercito tedesco nel suo schieramento offensivo contro gli Alleati era ripartito su tre gruppi di armate. Le forze di gran lunga più efficienti erano naturalmente mobilitate nei settori dove l'OKW aveva stabilito di combattere la sua decisiva battaglia di manovra. Pertanto, siccome contro la Maginot, dove il nemico era temibilmente asserragliato, nulla si poteva conseguire di conclusivo, Hitler aveva stabilito che a fronteggiare, per il momento, in modo statico la catena delle fortificazioni della Maginot fosse preposto il gruppo di armate "C", agli ordini del col. gen. Von Leeb. Siccome da questa parte per lungo tempo non si sarebbero perseguite azioni d'urto, il corpo d'esercito di von Leeb mancava completamente di forze sia corazzate, sia motorizzate. Infatti, von Leeb disponeva solo di 10 divisioni di fanteria della 16ª armata, di 20 divisioni di fanteria della 1ª armata e infine di altre 10 divisioni di fanteria della 7ª armata. Le 10 divisioni corazzate e le 4 motorizzate della Wehrmacht si trovavano invece concentrate presso i due gruppi di armate "A" e "B". Più in particolare, siccome Hitler aveva escogitato un ardito e geniale piano d'attacco, rovesciando il tradizionale schema del piano Schlieffen col rafforzare molto più la sinistra anziché la destra del suo schieramento (v. guerra mondiale: Campagna di Francia, in questa App.), i blindati furono dislocati al completo presso i due gruppi d'armate "A" e "B". E siccome l'armata "A" formava la sinistra del dispositivo d'attacco, a quest'armata, alle dipendenze del col. gen. von Rundstedt, furono assegnate ben 7 divisioni Panzer, articolate in tre armate (armate dei gen. di truppe corazzate Hoth, Reinhardt, Guderian) e 3 divisioni motorizzate, costituenti l'armata del gen. Wittersheim. L'armata "B", alle dipendenze del col. gen. von Bock, aveva una missione più modesta: quella di occupare l'Olanda, di disorientare il comando alleato e di assecondare dal nord, sulla destra dello schieramento germanico, l'azione risolutiva dell'armata "A"; pertanto a questo gruppo d'armate furono assegnate solo 3 divisioni corazzate e 1 motorizzata (la 3ª e 4ª Panzer con la 20ª motorizzata costituivano l'armata blindata di Hoeppner). Il terzo gruppo di armate "C", alle dipendenze di von Leeb, dovendo disimpegnare, come abbiamo visto, una funzione prevalentemente statica, mancava di corpi corazzati e motorizzati, non disponeva di una Luftflotte, di cui invece erano dotati gli altri due gruppi: la 2ª Luftflotte (A. von Kesselring) al gruppo "B"), la 3ª Luftflotte (gen. Sperrle) al gruppo "A"; von Leeb, inoltre, non aveva riserve di manovra, mentre gli altri due gruppi erano seguìti dalle riserve generali dell'OKW, formate da 15 divisioni di fanteria.

A parte la dotazione dei materiali, non paragonabili con quelli del nemico, lo schieramento francese lasciò molto a desiderare anche dal punto di vista tattico-strategico. Le truppe alleate furono divise ai fini operativi, in tre grandi gruppi d'armate: 1° gruppo d'armate, agli ordini del gen. Billotte, 2° gruppo d'armate (gen. Prételat), 3° gruppo (gen. Besson). Il primo gruppo, più importante, doveva coprire il territorio posto fra le foci della Mosa e Longuyon; al secondo gruppo era affidata la copertura della Maginot, fra Longuyon e Sélestat (esclusa quindi la breve sezione Montmédy-Longuyon, pertinente al 1° gruppo); al terzo, il rimanente della Maginot e tutta la frontiera franco-elvetica. Il primo gruppo d'armate doveva sostenere, secondo ogni verosimiglianza, il peso maggiore della lotta, fra Breda e Namur. Ebbene, a questo primo gruppo furono attribuite, comprese 6 di riserva, 45 divisioni; ai gruppi secondo e terzo, insieme, 54. Le truppe più efficienti, dal punto di vista della meccanizzazione, furono però distaccate presso il 1° gruppo armate del Billotte, che disponeva di 3 divisioni leggere meccanizzate e di 4 divisioni di fanteria motorizzata in linea, e di 3 divisioni di fanteria motorizzata in riserva; i gruppi Prételat e Besson non disponevano invece di nessuna corrispondente unità meccanizzata. Peraltro, quanto alle 37 grandi unità di fanteria attiva, al momento dell'attacco tedesco, solo 15 vennero assegnate al 1° gruppo, 9 al 2° gruppo, 1 al 3° gruppo; 11 rimasero a disposizione nella riserva generale di Gamelin e Georges. Cosicché al momento decisivo dell'attacco tedesco, circa il 40% soltanto delle migliori fanterie di Francia parteciparono ai risolutivi combattimenti iniziali. Il quadro s'aggrava se si riflette che delle tre divisioni corazzate vere e proprie, nessuna si trovava in linea il 10 maggio 1940. Queste tre grandi unità erano inserite nella riserva generale, presso Châlons-sur-Marne, a disposizione del comando supremo. Una simile decisione imponeva di contare sul dominio, o, per lo meno sull'equilibrio aereo, perché le tre unità avessero modo di poter partecipare alla battaglia al momento del bisogno. Senonché, dato il netto squilibrio, il comando francese fu rovinosamente ostacolato nel suo proposito di alimentare le operazioni servendosi delle strade e delle ferrovie, le quali furono rese impraticabili dagli attacchi aerei tedeschi nei primi tre giorni dell'offensiva. L'alto comando francese, pertanto, non poté ottenere l'intervento organico nella lotta delle tre divisioni corazzate e delle 11 divisioni di fanteria attiva.

La guerra vera e propria sulla fronte occidentale, si accese alle ore 5 e 35 minuti del 10 maggio del 1940. Quasi contemporaneamente all'inizio delle operazioni da parte delle forze armate tedesche, venivano invasi l'Olanda e il Belgio. I capi militari francese e inglese - rispettivamente gen. Gamelin e lord Gort - si riunivano per determinare la comune condotta delle operazioni.

Due soluzioni si presentavano agli Alleati: attendere l'attacco avversario sul territorio francese, in posizioni prestabilite e fortificate, oppure entrare nel territorio belga, col duplice scopo di evitare la distruzione delle venti divisioni belghe e di proteggere la costa prospiciente la Gran Bretagna. A questa seconda soluzione preferì attenersi il generalissimo francese. (Per le operazioni nei territorî belga e olandese, v. belgio; olanda, in questa App.).

In seguito al rapido successo ottenuto dai Tedeschi nei territorî olandese e belga, e al grave scacco subìto dalla 9ª armata francese (gen. Corap), sulla media Mosa, nelle giornate dal 12 al 15 maggio, scacco che apriva ai Tedeschi la via verso il cuore della Francia, la situazione dell'esercito francese risultò rapidamente e gravemente pregiudicata, tanto più che la breccia aperta nella linea della Mosa, davanti a Sedan, veniva, con un ulteriore sforzo di formazioni blindate tedesche, molto validamente assecondato dall'aviazione, allargata per circa un centinaio di chilometri, estendendosi verso nord, fin poco più a sud di Maubeuge.

Il comando tedesco, insomma, dopo esser riuscito ad attrarre ingenti forze alleate verso nord-est, avendo individuato il punto debole della corazzatura avversaria in corrispondenza del tratto ove la linea Maginot si saldava alle linee di dubbia resistenza che la prolungavano fino al mare, aveva vibrato colà il suo colpo d'ariete, riuscendo a travolgere la difesa francese ed ottenendo in tal modo che in poco più di una settimana dalla "battaglia delle frontiere", si passasse alla "battaglia di Francia".

La Mosa, che già era stata varcata nella notte dal 12 al 13 maggio, dalle divisioni corazzate del generale Rommel, nel tratto tra Dinant e Namur, così da interporre un cuneo tra la 1ª e la 9ª armata francesi, veniva superata successivamente anche dall'armata del gen. Reinhardt, tra Fumay e Charleville, e dall'armata del gen. Guderian nella zona di Sedan, cosicché tutto il fronte francese, da Namur a Sedan, era ormai sfondato, e le divisioni blindate tedesche potevano proseguire velocemente la loro avanzata verso i porti della Manica, lungo due direttrici parallele: Sedan-Amiens-Abbeville e Hirson-Cambrai-Arras-Le Touquet. Della sorpresa subìta e del rovescio derivatone fu ritenuto principale responsabile il gen. Gamelin, il quale pertanto veniva sostituito, il giorno 19, dal gen. Weygand, che era stato già, nell'altra guerra, il collaboratore più immediato e fedele di Foch.

Le armate francesi tentavano intanto di arrestare, con disperati contrattacchi, l'irresistibile marcia avversaria, ma solo uno di tali contrattacchi - quello sferrato da un raggruppamento corazzato, al comando del colonnello Ch. De Gaulle sul fianco dell'armata von Rundstedt, nella regione di Moncornet - riusciva ad ottenere un parziale successo. Ma era, ormai, troppo tardi. Attraverso le ampie brecce aperte nella fronte francese, le armate tedesche proseguivano rapidamente nella loro avanzata, varcando l'Oise, impadronendosi di Laon e dello Chemin des Dames ed accennando a scendere, per l'Aisne e l'Oise, in direzione di Parigi.

Mentre pareva che quest'ultima mossa tedesca in direzione della capitale fosse la più importante, ecco che, invece, il comando tedesco concentra il suo massimo sforzo in direzione di Amiens e di Arras, raggiungendo, nella giornata del 20, la strada Cambrai-Péronne. Quest'ultima località dista poche decine di chilometri appena da Amiens, importantissimo nodo di comunicazioni stradali e ferroviarie tra la Francia e la costa prospiciente l'Inghilterra. Nella giornata del 21 la manovra tedesca era coronata da pieno successo: Arras ed Amiens erano entrambe occupate ed il mare, con la sfrecciata di una colonna celere, raggiunto ad Abbeville. Tutte le superstiti truppe del Belgio, le armate francesi del nord e le forze britanniche rimanevano chiuse, così, entro una vasta sacca che da Abbeville, presso le foci della Somme, per Arras ed il corso della Scarpe, Valenciennes e parte del corso della Schelda, andava al confine olandese. Il fronte alleato era, praticamente, diviso in due tronchi.

Il nuovo comandante francese avrebbe voluto tentare un contrattacco contro quella specie di sbarra vivente che i Tedeschi avevano audacemente proteso attraverso la Francia settentrionale, agendo, tra Bapaume e Chaulnes, contro le forze tedesche spintesi al mare, ma dovette arrestarsi dinanzi alla constatata inferiorità di forze corazzate ed alla stanchezza evidente delle truppe.

D'altra parte, in seguito agli avvenimenti svoltisi in Belgio, veniva a delinearsi, nei giorni seguenti, un altrettanto evidente contrasto tra gli intenti del comando francese e quelli del comando inglese: preoccupato, l'uno, di provvedere il più efficacemente possibile al resto del proprio territorio; disperante ormai della riscossa l'altro e, non potendo escludere neppure, in quei frangenti, di dovere quanto prima provvedere alla difesa diretta delle isole britanniche, anelante a riguadagnare il suolo inglese ed a tenersi, quindi, aperta la via del mare. Inoltre la superiorità tedesca si andava sempre più chiaramente affermando sia in Belgio, ove l'esercito di re Leopoldo deponeva, il giorno 27, le armi, sia in Francia, ove i Tedeschi andavano rafforzando ed allargando di giorno in giorno la loro occupazione del corridoio, in modo da serrare sempre più verso la costa le forze alleate.

Ogni idea di controffensiva, quindi, veniva abbandonata. Oltre un milione di uomini - 9 divisioni inglesi, 15 francesi, l'intero esercito belga ed i loro servizî - erano ormai serrati entro una specie di triangolo con la base appoggiata al mare, ove un solo porto - quello di Dunkerque - consentiva di tentare il reimbarco di una così ingente massa umana, ed il vertice verso Douai, ad un centinaio di chilometri dalla costa. L'operazione, quanto mai ardua, mediante la quale dovevano esser tratti in salvo sulla costa britannica alcune centinaia di migliaia di uomini, si svolse con pieno successo tra il 28 maggio ed il 3 giugno.

Le perdite alleate nella battaglia del nord si potevano calcolare in 24 divisioni di fanteria, 2 di cavalleria, 3 divisioni leggere meccanizzate ed una corazzata: circa un milione di uomini, complessivamente. Nove divisioni inglesi, inoltre, non avrebbero più ripreso la lotta in Francia; indubbiamente gravi, infine, le perdite subìte dagli Alleati in navi da guerra, navi mercantili, aeroplani e materiali d'ogni sorta.

Le forze francesi, frattanto, si disponevano a difendere il resto del territorio nazionale, ma esse erano ridotte a ben poco: 43 divisioni di fanteria, 3 corazzate e 3 di cavalleria. A queste divisioni, peraltro molto impoverite di materiali, erano da aggiungersi 17 divisioni dette "di fortezza", e cioè composte di vecchi riservisti, e qualche altra unità in via di costituzione.

Il nuovo attacco tedesco fu sferrato il mattino del 5 giugno, contro la cosiddetta "linea Weygand" o "dei tre fiumi"; la nuova linea cioè, che il generalissimo francese aveva dovuto in pochi giorni imbastire lungo la Somme, l'Oise e l'Aisne. Le direttrici principali del nuovo attacco erano: l'una sulla media Somme e cioè nella regione di Amiens e di Péronne (dove i Tedeschi avevano conservato due teste di ponte sulle sponde meridionali del fiume), e l'altra ad oriente dell'Oise, sul canale l'Ailette, presso il famoso Chemin des Dames. La manovra tedesca era predisposta in tre tempi. Nel primo tempo, il gruppo d'armate von Bock avrebbe cercato di rompere il dispositivo francese sulla sinistra e di raggiungere e superare la Senna, isolando Parigi da occidente; nel secondo, il gruppo von Rundstedt, avrebbe puntato decisamente verso sud per raggiungere e battere il grosso dell'esercito francese; finalmente, nel terzo, sarebbe entrato in azione il gruppo von Leeb, attaccando frontalmente la linea Maginot, alle spalle della quale sarebbero venute a trovarsi forze del gruppo von Rundstedt.

Fin dai primi due giorni, l'attacco tedesco guadagnò rapidamente terreno, specialmente alle ali: ad occidente, da una parte e dall'altra di Amiens, il passaggio della Mosa veniva forzato in più punti, e le divisioni corazzate tedesche procedevano celermente attraverso l'organizzazione difensiva francese, travolgendone o aggirandone i varî capisaldi; varcata, quindi, la Bresle, le formazioni tedesche procedevano verso sud e sud-est. Ad oriente, superato il canale dell'Ailette e forzate le difese dello Chemin des Dames, i Tedeschi si affacciavano alle alture dominanti da nord il corso dell'Aisne, che veniva anch'essa varcata verso Soissons. Anche al centro venivano conseguiti progressi notevoli, per quanto più validamente contenuti dai Francesi.

Nelle giornate del 7 e dell'8 giugno i progressi tedeschi alle ali si estendevano ancora, così da costringere anche le forze francesi del centro a ripiegare sull'Oise, tra Compiègne e Chantilly, non senza rilevanti perdite di materiali. Tutto il vasto quadrilatero tra la linea fluviale Somme-Oise-Aisne e quella Senna-Marna era diventato, ormai, un solo vasto campo di battaglia, ove le superstiti forze francesi non potevano non subire la schiacciante superiorità dell'avversario in numero, in mezzi corazzati, in aviazione.

Dal giorno 9 in poi, altri rilevanti progressi venivano compiuti dai Tedeschi. Le colonne dell'ovest, continuando nella loro avanzata, si spingevano fino alla Senna, da Vernon a Rouen, stabilendo perfino qualche testa di ponte sulla sponda sinistra del fiume, a non più di un centinaio di chilometri, in linea d'aria, da Parigi. Al centro, superata Clermont, le formazioni tedesche, all'alba di martedì 11, erano a Creil, e nella giornata stessa occupavano Compiègne e Chantilly, a poche decine di chilometri dalla capitale. Altrettanto rapida proseguiva l'avanzata tedesca nel settore orientale, ove, varcato l'Aisne su larga fronte, i Tedeschi dilagavano a sud di Soissons, passavano anche l'Ourcq e, superata Reims raggiungevano alfine - per la terza volta in venticinque anni - la Marna, tra Château-Thierry e Dormans.

Il giorno 11, la situazione generale appariva ormai disperata. Le armate tedesche convergevano su Parigi (dichiarata città aperta il 13) da ovest, da nord e da nord-est, travolgendo le ultime resistenze delle armate francesi, ridotte ormai in brandelli; il mattino del 14, alfine, le avanguardie dell'armata di von Kuchler entravano nella capitale francese, occupandone i punti più importanti.

Il giorno 17, mentre la manovra germanica seguitava a svilupparsi, ad ovest, a sud e ad est della capitale, il maresciallo Pétain, che il giorno innanzi era stato chiamato a succedere a Reynaud nella carica di presidente del consiglio, si metteva in relazione, tramite il governo spagnolo, con il comando tedesco, per ottenere da questo un'immediata tregua d'armi.

I Tedeschi, frattanto, avevano proseguito nella loro avanzata, discendendo, da un lato, lungo la Senna inferiore, in direzione di Caen e di Chartres, e passando, dall'altro, su largo fronte, la Marna. Investivano quindi, dopo un bombardamento aereo e terrestre d'inaudita intensità, tutta l'estrema destra del superstite schieramento francese dalla Marna al tratto superiore della Maginot, tra Montmédy e Thionville. Il grande rettangolo delle Argonne, sulla cui resistenza tanto aveva contato Weygand, veniva sconvolto e superato nel giro di poche ore; il cardine della Maginot, il famoso pilastro di Montmédy, cadeva rapidamente in mano dei Tedeschi, e la stessa linea Maginot veniva attaccata da potenti colonne corazzate, sia direttamente, dalle linee della Sarre, sia sul rovescio, dalle posizioni di Vitry e di Sainte Menehould. Nelle giornate del 15 e del 16, l'attacco tedesco raggiungeva un duplice successo, inconcepibile prima del 5 giugno, cioè prima della conclusione della battaglia della Manica: lo sfondamento della linea fortificata, su entrambe le sponde della Mosa, con la conseguente occupazione di Verdun, la città eroica del 1916, e l'espugnazione di un intero tratto della linea Maginot. Il Reno era, altresì, passato in forze, ad est di Colmar.

Dopo che era stato irrimediabilmente rotto il fronte anche nella Champagne, le divisioni celeri tedesche si erano rapidamente dirette verso la frontiera svizzera, in modo da precludere ogni scampo alle armate dell'est: il 15 esse erano a Langres ed a Digione, il 16 a Besançon, ed il 17 toccavano la frontiera svizzera a Pontarlier.

Anche all'ovest ed al centro l'invasione tedesca dilagava di ora in ora, senza che nulla potesse farsi per arrestarla, poiché ogni posizione sulla quale da parte francese si tentasse di improvvisare una qualsiasi resistenza, veniva rapidamente aggirata e sorpassata.

Ricorderemo, anche, che fin dal 10 giugno il governo italiano si era dichiarato in "stato di guerra" con la Francia e l'Inghilterra. Dopo aver compiuto, quindi, alcuni colpi di mano contro la fronte alpina occidentale, il gruppo d'armate (1ª e 4ª), al comando del principe di Piemonte, il mattino del 20 giugno - quando già si erano iniziate le trattative d'armistizio tra Francia e Germania - passava all'attacco su quel fronte (v. alpi, in questa Appendice, p. 144).

In queste condizioni, quindi, non si vedeva come, su quale linea e con quale disponibilità di forze, il comando francese avrebbe potuto tentare di riannodare una qualsiasi difesa.

Il 21 giugno alle ore 15 e 30 minuti la delegazione francese per l'armistizio, composta dai generali Huntziger e Parisot, dal gen. d'aeronautica Bergeret, dal vice-ammiraglio Leluc e dall'ambasciatore Noël, veniva ricevuta a Compiègne da Hitler, nello stesso storico vagone ferroviario ove era stato firmato l'armistizio del 1918. Ed il giorno seguente l'armistizio veniva firmato dai capi delle due delegazioni, ossia il capo di stato maggiore tedesco gen. von Keitel ed il gen. Huntziger, rimanendo stabilito che esso sarebbe entrato in vigore sei ore dopo che sarebbe stato firmato l'armistizio con l'Italia; il che avvenne la sera del 24 giugno, nella villa Incisa all'Olgiata, nei dintorni di Roma, e pertanto nella notte stessa entrava in vigore l'armistizio franco-tedesco.

L'invasione alleata della Francia. - Gli studî per un eventuale sbarco sul continente, furono iniziati presso l'alto comando britannico fin dal dicembre 1940, ma fu soltanto nell'autunno del 1943 che il piano d'invasione fu nuovamente posto allo studio, e, questa volta, con intenti di attuazione più o meno prossima. Le esperienze di Dieppe, di Salerno, di Anzio avevano dimostrato come, per la riuscita di un'operazione così vasta e complessa, si richiedessero soprattutto una preparazione minuziosa, l'appoggio di una formidabile squadra aerea ed una densità di truppe tale da assicurare una certa superiorità iniziale.

Quale zona di sbarco in Europa, da tempo era stata prescelta la penisola normanna; anzitutto perché essa era dotata di un grande porto - quello di Cherbourg - che per la sua ampiezza e per la sua moderna attrezzatura era adatto per un'operazione di così vasta portata; la prossimità della costa britannica, poi, avrebbe consentito di appoggiare efficacemente le truppe sbarcate, dal mare e dall'aria; infine, la forma di rettangolo allungato di quella penisola ne avrebbe agevolato la difesa, quando si fosse giunti ad impadronirsi della strozzatura tra Isigny e Lessay.

Le forze da sbarcare inizialmente furono limitate a 5 divisioni: il comando supremo fu assunto dal gen. americano Dwight Eisenhower, cui si affiancava il maresciallo dell'aria sir Arthur Tedder; le forze navali erano poste sotto il comando dell'ammiraglio inglese Ramsay; quelle terrestri: due armate, la 1ª americana (Bradley) e la 2ª inglese (Dempsey), sotto quello di Montgomery.

L'invasione fu preceduta e preparata da una grande offensiva aerea, che si protrasse dai primi giorni di gennaio fino al 6 giugno del 1944, giorno in cui ebbe inizio lo sbarco (v. normandia, in questa App.). Aspra e tenace fu la resistenza tedesca, così che solo dopo due mesi - il 7 di agosto - la Bretagna poté essere considerata come interamente sgombera da forze avversarie, e l'offensiva alleata poté volgersi risolutamente verso l'est ed il sud-est. In effetto, i Tedeschi, duramente provati dalle perdite, che avevano logorato ben 13 delle loro divisioni, non avevano più un tratto di fronte efficiente se non tra Caen e la grande strada Mayenne-Chartres-Parigi: a sud, tra questa strada e la Loira si apriva una vasta breccia, nella quale le divisioni corazzate alleate si disponevano a gettarsi, per aprirsi la via verso la Senna e la capitale francese.

Le forze alleate erano ordinate, ora, su due gruppi d'armate: il gruppo Montgomery, con la 1ª armata canadese (Crerar) e la 2ª inglese (Dempsey), ed il gruppo Bradley, con la 1ª e la 3ª armata americana (gen. Courtney e Patton). Fu quest'ultima armata, schierata all'ala destra alleata, che, lanciandosi con le sue divisioni blindate sulla via di Parigi, raggiunse, il 9 agosto, Le Mans, minacciando in pari tempo, mediante l'azione di una sua colonna celere in direzione di Alençon, di avvolgere le forze tedesche ancora attardantisi nella zona tra Falaise e Mortain. Rommel, allora, si decise alla ritirata, ma questa, soprattutto per l'azione implacabile dell'aviazione alleata, non poté compiersi senza gravi perdite di uomini e di materiali. Frattanto gli Americani, proseguendo nella loro marcia vittoriosa verso est, giungevano il giorno 10 a Chartres, l'11 a Châteaudun, il 17 a Dreux e ad Orléans. Nella giornata del 19, infine, le avanguardie statunitensi raggiungevano la Senna.

Mentre così rapide e fortunate proseguivano le operazioni alleate nel nord-ovest della Francia, veniva compiuta un'altra importante azione di sbarco nella Francia meridionale - prevista, del resto, nel piano generale d'operazioni - allo scopo di sventare una minaccia potenziale da parte delle divisioni tedesche dislocate in quelle regioni, e per impadronirsi dei grandi porti di Tolone e di Marsiglia e completare di là la grande manovra di avvolgimento delle armate tedesche d'occupazione. Tale operazione fu affidata ad un complesso di truppe preventivamente ammassate nell'Africa del nord, in Sardegna e Corsica; queste forze, al comando del generale Patch, erano costituite da truppe francesi, in parte prelevate dal fronte italiano e costituenti la cosiddetta armata B, al comando del generale de Lattre, e da un corpo d'armata americano, al comando del generale Truscott. Le forze tedesche dislocate sul litorale francese, tra Sète e Cannes, comprendevano sette divigioni, oltre le guarnigioni dei porti, ed erano sotto il comando del generale Blaskovitz.

Dopo una conveniente preparazione aerea, iniziata il 6 agosto, e proseguita vigorosanente per più giorni, lo sbarco fu eseguito all'alba del 15 nella penisola di Cap Nègre, una ventina di miglia circa ad est di Tolone. Le forze alleate scese a terra avanzavano rapidamente verso l'interno, con l'aiuto di partigiani francesi ed italiani che sabotavano le linee di comunicazione tra Francia ed Italia ed impedivano l'aflusso di rinforzi; reparti aerotrasportati e paracadutisti, inoltre, provvedevano ad eliminare le successive resistenze avversarie, le quali apparivano, del resto, fiacche e disordinate.

Costituita, quindi, fin dal giorno 18 agosto, una testa di ponte abbastanza estesa e salda, le forze alleate sviluppavano una duplice manovra: mentre, cioè, il grosso delle forze americane puntava, per la strada napoleonica, su Grenoble e Lione, quelle francesi, invece, concentravano il massimo del loro sforzo contro Tolone e Marsiglia, ove la resistenza avversaria si mostrava particolarmente forte e decisa. Infatti, anche quando gli Alleati, dopo circa una settimana, giunsero ad accerchiare pressoché completamente Tolone, la guarnigione tedesca seguitò a battersi ostinatamente nei sobborghi immediati della città, nell'arsenale e fin nell'interno della città stessa; solo il giorno 26 l'ammiraglio Ruhfus, comandante la piazza, si arrendeva, con i suoi 2000 marinai, al comandante francese. Due giorni dopo, anche il generale Schaeffer, comandante la piazza di Marsiglia, faceva altrettanto.

Grandi eventi, nel frattempo, si erano compiuti nel nord della Francia, ove fin dal 21 agosto le truppe alleate erano riuscite a stabilire una testa di ponte oltre la Senna. Ormai da Parigi si sentiva tuonare il cannone, e da quella voce i patrioti francesi si sentivano animati a trarre nuovo incentivo alle loro iniziative.

Così, mentre nella Francia meridionale e centrale erano, essenzialmente, le FFI (Forces françaises de l'intérieur) a liberare successivamente Lione, Grenoble, Limoges, Montélimar, Larche, a Parigi, dove il Consiglio nazionale della resistenza aveva dato, fin dal giorno 19, l'ordine di insurrezione, si erigevano le barricate e per cinque giorni si combatteva per le strade. La sera del 24 agosto, infine, le truppe della 3ª armata americana giungevano alle porte della capitale francese. Cavallerescamente, il comandante di essa, gen. Patton, si arrestò, desiderando che primi ad entrare in città fossero i carri armati francesi al comando del gen. Leclerc. Il comandante la guarnigione tedesca, gen. von Choltitz, tentò di opporre ancora qualche resistenza, ma resosi alfine conto dell'ormai palese sconfitta, si risolse, il giorno dopo, ad offrire la resa senza condizioni, che veniva firmata, alle ore 18 del 25 agosto.

Tra gli ultimi giorni di agosto ed i primi di settembre, si compiva la ritirata dei resti delle truppe tedesche, già dislocate in Francia, verso la linea Siegfried. Mentre venivano rastrellate le superstiti sacche esistenti in Normandia, con la cattura di alcune altre decine di migliaia di prigionieri, le armate alleate acceleravano ovunque la loro avanzata. La 1ª armata canadese, così, proseguendo nella sua avanzata lungo la costa, liberava Rouen il 30 agosto e Dieppe il 1° settembre. Alla sua destra, l'armata Dempsey varcava la Somme, liberando Amiens il 31 agosto ed Arras il 1° settembre. Più a sud, la 1ª e la 3ª armata americane passavano la Marna, l'Aisne ed infine, il 31 agosto, la Mosa, liberando, il 28, Château-Thierry, Vitry-le François e Soissons il 29, Reims il 30, e Verdun il 1° settembre. In pari tempo, la 1e armata americana - quella stessa ch'era stata la prima a sbarcare in Normandia, varcava la frontiera del Belgio, e la 2ª armata inglese, dopo aver superato la Somme ad Abbeville, si addentrava anch'essa in territorio belga, più a nord-ovest, entrando, il 3 settembre, a Lilla ed a Bruxelles. Qualche resistenza opponevano ancora i Tedeschi davanti Anversa e sul canale Alberto. In territorio francese, verso il 10 settembre, l'inseguimento delle forze tedesche in ritirata poteva dirsi compiuto e veniva stabilita una linea di fronte provvisoria lungo la Mosella (Nancy-Metz-Thionville-Trèves) davanti le prime difese della linea Siegfried e nel massiccio dell'Eifel.

In sessantaquattro giorni, la Francia ed il Belgio avevano raggiunto, pressoché interamente, la loro liberazione. Per il seguito delle operazioni v. germania, in questa App.

Bibl.: R. Altmayer, La Xe Armée, Parigi 1947; Gén. Arlabosse, La division de fer dans la bataille de France, Parigi 1946; R. L. Bindschädler, La fanteria germanica nella campagna di Francia, in Gazzetta militare svizzera, nov. 1940; G. Blond, Memoriale Blond. Ricordi inglesi dopo Dunkerque, Milano 1942; Gén. Bourret, La tragédie de l'Armée française, Parigi 1947; H. C. Butcher, Three years with Eisenhower, Londra 1946; A. Dausette, Histoire de la libération de Paris, Parigi 1946; C. De Cossebrissac, Combien de chars français contre combien de chars allemands le 10 mai 1940?, in Revue de defence nationale, luglio 1947; F. De Guingand, Operation Victory, Londra 1947; T. Draper, The six weeks war, France: May 10-June 25, 1940, New York 1944; D. Eisenhower, Diario di guerra, Milano 1947; K. Frowein, Festung Frankreich fiel, Berlino 1940; Gén. Gamelin, Servir: I, Les Armées françaises de 1940, II, Le prologue du drame (1930-août 1939), Parigi 1946; E. Kennets, L'invasione dell'Europa, 1946; M. Lerecouvreux, Huit mois d'attente, un mois de guerre (1939-40), Parigi 1946; P. Lyet, La bataille de Belgique et du Nord, in Revue historique de l'Armée, aprile 1946; Gen. Marshall, Amm. King e Gen. Arnold, Relazione del Comando Supremo Americano, New York (in ed. ital.) 1945; B. L. Montgomery of Alamein, From Normandy to the Baltic, Londra 1946; N. N., L'ultima offensiva tedesca in occidente, in Rivista Militare, marzo 1945; W. Picht, La campagna di Francia su documenti ufficiali, Roma 1941; M. Shulman, Defeat in the West, Londra 1947; C. P. Stacey, Canada's battle in Normandy, Ottawa 1946; Supreme commander Expeditionary Force, Reports buy the Supreme Commander to the combined Chieff of Staff on the operations in Europe of the Allied Expedit. Force, 6 June 1944 to 8 May 1945, Washington 1945.

Arti figurative (XV, p. 974).

Pittura e scultura. - Quali continuatori dell'impressionismo e della grande tradizione colorista francese sono oggi tenuti in grande considerazione due pittori morti di recente: Pierre Bonnard (1867-1947) e Èdouard Vuillard (1868-1940). Essi sono infatti considerati dei post-impressionisti benché abbiano operato con una coscienza nuova del colore, che in essi non è tonale, e della forma, che è inseparabile da certe esperienze cubiste ed espressioniste.

Il movimento dei fauves nacque nel 1905 e ad esso aderirono con Matisse, Raoul Dufy (nato nel 1877), Albert Marquet (1875-1947), Maurice de Vlaminck (nato nel 1876), G. Rouault, Kees van Dongen (nato nel 1877), André Derain (nato nel 1880), Othon Friesz (nato nel 1879) e altri. Nostalgico di un ordre classique Derain passò però ben presto a forme volumetriche geometriche, per l'apporto di Picasso e di Braque, si svilupparono immediatamente nel cubismo vero e proprio. Il vasto e complicato movimento cubista fu continuato e svolto, oltre che da Braque e Picasso, da Robert Delaunay, da J. Gris, R. de La Fresnaye, ecc. e, sebbene più tardi con tendenze surrealisteggianti, da F. Léger. Il ramo del "purismo" è rappresentato da A. Ozenfant e C. E. Jeanneret (Le Corbusier).

Tra i cubisti che operarono in Francia può essere annoverato Gino Severini (nato nel 1883), che fu tramite con i futuristi italiani, al cui movimento si possono rannodare, oltre le prime opere del Severini stesso, quelle di Marcel Duchamp (nato nel 1887) e talune sculture di Raymond Duchamp-Villon.

Nel 1919 Francis Picabia e Marcel Duchamp trasferirono in Francia il movimento del dadaismo, che aveva avuto origine ufficiale a Zurigo (nel 1916) per opera di artisti e letterati di varia provenienza, come lo scultore H. Arp e lo scrittore Tristan Tzara. Tale movimento ponendo in ridicolo e deformando le concezioni artistiche tradizionali mirava ad attuare ed esprimere uno scetticismo e un anarchismo totali.

Attraverso la breccia operata da questo movimento passò il surrealismo, il cui primo manifesto fu scritto da André Breton nel 1924 e nel cui giro entrarono in gran parte i poeti (Aragon, Èluard, ecc.) e altri artisti che avevano precedentemente appartenuto al dadaismo. Nel surrealismo, a differenza del dadaismo, gli impulsi istintivi ricevevano tuttavia una sistematizzazione: venivano considerati forze autonome della coscienza e il compito del pittore o del poeta era soltanto quello di registrarle automaticamente ("scrittura automatica"). Tale atteggiamento, però, doveva necessariamente portare a una schiavitù del fatto pittorico o plastico verso le immagini nascenti dall'inconscio ed è per questo che, in generale, tranne poche eccezioni (per es. Mirò), il surrealismo non ha dato vere e proprie opere d'arte. Il surrealismo ebbe un nuovo manifesto nel 1930 e dopo di allora dominò ancora per qualche anno la scena artistica parigina. Tuttavia il suo centro di gravità si è spostato, dopo lo scoppio della seconda Guerra mondiale, negli Stati Uniti, dove il surrealista più in voga, Salvador Dali, si è andato a stabilire e dove, assieme a Max Ernst e Yves Tanguy, opera tuttora. Il principale surrealista ancora attivo in Francia è André Masson (nato nel 1896).

Dal cubismo e dal fauvismo si era frattanto sviluppata tutta una pittura a caratteri intermedî che va da quella di H. De Waroquier, D. De Segonzac, C. Dufresne (1876-1938) a quella di espressionisti come E. Goerg (nato nel 1893), Yves Alix, M. Gromaire (nato nel 1892), A. de La Patellière, A. Marchand ecc., tra i quali si possono includere i naturalizzati Jules Pascin (1885-1930), Mosè Kisling (nato nel 1891), A. Modigliani e Chaim Soutine (1894-1943), che è considerato l'espressionista tipico. A una forma di naturalismo assai dozzinale si sono avvicinati invece artisti come Picart Le Doux o Chapelain-Midy. Tali ritorni alla "realtà" hanno avuto il loro culmine attorno agli anni 1930-35.

A forme che si avvalgono di elementi surrealisti e che si possono paragonare alla pittura metafisica italiana si sono ravvicinati i "neoumanisti" Christian Bérard (nato nel 1902) e, per un certo tempo, Eugène Berman (nato nel 1899), rivelatisi in una esposizione alla Galleria Drouet nel 1924. A questo tipo di "realismo magico" si ricollega Pierre Roy (nato nel 1919).

Tra i cosiddetti pittori "istintivi" o pittori popolari continuatori di Rousseau il Doganiere, vanno ricordati Camille Bombois (nato nel 1883), e - con una pittura a carattere quasi onirico - Séraphine de Senlis, detta "Séraphine" (1864-1934). Una posizione particolare hanno mantenuto Maurice Utrillo (nato nel 1883) e Marc Chagall (nato nel 1887), classificato tra i "fantastici".

Negli anni più rivoluzionarî (1905-25) l'astrattismo come ricerca di purezza assoluta ha avuto poca presa tra i Francesi. Jacques Villon è stato uno dei pochi a condurre per lungo tempo simili ricerche, approdando da un astrattismo completo a una scomposizione in elementi astratti del dato naturalistico, che gli è servita a infondere un tono di raffinatissimo distacco poetico alle sue pitture. In tal modo egli ha segnato una via che, con il termine di "astratto-concreta", si può dire seguìta oggi, grosso modo, con varianti più o meno accentuate, da molti dei più giovani pittori francesi, come J. Bazaine, M. Estève, Ch. Lapicque, E. De Kermadec (nato nel 1899) e, dietro a questi, J. Le Moal (nato nel 1909), A. Manessier (nato nel 1911), G. Singier, E. Pignon e, recentemente, P. Tal Coat (nato nel 1905). Tutti questi artisti tendono oggi a forme naturalisticamente pressoché illeggibili e si vanno spostando verso l'astratto completo o non-figuratif (cioè astrattismo senza intenti di ricerca), al quale, di recente, ha aderito una pleiade di pittori già surrealisti. Altri artisti, pur con uguale consapevolezza dei mezzi pittorici, tendono invece a una evidenza plastica e a una semplicità e leggibilità maggiori, e tra essi vanno ricordati Léon Gischia (nato nel 1904) e André Fougeron (nato nel 1913); che ha utilizzato soprattutto gli insegnamenti lineari dell'ultimo Picasso. Va ricordato ancora Jean Hélion (nato nel 1904), passato, dopo un periodo astratto, tra i "figurativi". La nascita di queste due ultime tendenze, ora antitetiche ma dotate di eguale livello di cultura e ambedue richiamantisi alla tradizione francese, si aggira attorno al 1941.

Dopo Duchamp-Villon la scultura ha seguito i varî movimenti pittorici generali e ha avuto talune personalità d'eccezione in Henri Laurens e in qualche straniero naturalizzato come Brancusi, Lipchitz, A. Archipenko, O. Zadkine, I. Gonzales e A. Giacometti, tutti più o meno legati al cubismo, all'astrattismo e al dadaismo. Fenomeno tipicamente francese è la cosiddetta "scultura dei pittori", che costituisce tutta una tradizione, a cominciare da Degas, e nella quale rientrano gli agili bozzetti di Matisse, i pezzi, dal 1908 a oggi, di Picasso, talune teste di Modigliani e di Braque fino a opere sporadiche dei più giovani (Fougeron, Le Moal) ed è innegabile, in tutti, una particolare e costante sensibilità e vivacità nel trattare il materiale plastico. Recentemente ha assunto una certa importanza lo scultore Henri Adam (nato nel 1904).

Bibl.: J. Thrall Soby, After Picasso, New York 1935; C. Giedion-Welker, Moderne Plastik, Zurigo 1937; A. M. Brizio, Ottocento Novecento, Torino 1939; R. Huyghe, Les contemporains, Parigi 1939; id., La peinture actuelle, Parigi 1945; L. Gischia, N. Védrès, La sculpture en France depuis Rodin, Parigi 1945; G. Di S. Lazzaro, Cinquant'anni di pittura moderna in Francia, Roma 1945; B. Dorival, Les étapes de la peinture française contemporaine, voll. 3, Parigi 1946; P. Francastel, Nouveau dessins, nouvelle peinture, Parigi 1946; L. Venturi, Pittura contemporanea, Milano 1947.

Architettura. - L'architettura contemporanea in Francia è imperniata sul nome di Le Corbusier. Dopo il passaggio dallo "stile liberty" a quello che fu poi chiamato razionale, avvenuto principalmente ad opera di Tony Garnier, François Le Coeur, Auguste Perret, Henri Sauvage, l'architetto Le Corbusier, di origine svizzera, ha condotto con gli scritti e con le opere quella battaglia in favore di un'architettura funzionale che doveva restare il fatto più notevole dell'architettura francese contemporanea, il più vicino alle tendenze generali dell'architettura europea. Il primo dei numerosi volumi di Le Corbusier è Vers une architecture, del 1923; la prima delle sue opere ardite è il Padiglione dell'Esprit Nouveau alla Mostra delle arti decorative di Parigi, del 1925. Le ragioni ideali della sua architettura erano umane, ma in senso fisico: la gioia di vivere doveva trovarsi in una casa sana e funzionale, quindi anche di chiare forme. Però i suoi edifici furono, più che un fatto razionale, un fatto plastico importante; e in esso si ricollegavano da un lato a quelli di Tony Garnier, cioè alle premesse francesi dell'architettura contemporanea, dall'altro a quelli degli architetti d'avanguardia dei più moderni paesi europei. Oltre che nell'amore della semplicità stilistica e nel ripensamento della "grecità" architettonica, l'influenza di Tony Garnier su Le Corbusier è nell'intelligenza nuova dell'architettura come risoluzione essenzialmente urbanistica, cioè sociale, della scienza della costruzione; nel suo celebre "piano di una città industriale" Tony Garmer aveva esattamente impostato, fin dal 1904, il problema dell'architettura moderna.

Dal 1920 in poi tutti gli architetti francesi di qualche valore lavorarono su queste linee direttrici. Il successo maggiore toccò a Robert Mallet-Stevens; morto nel 1945, e costruttore, tra l'altro, di tutte le case formanti una via di Parigi che porta il suo nome; del casino di Saint-Jean de Luz, del padiglione della luce alla Esposizione universale di Parigi del 1937, di negozî e di case diverse. Ma più di lui contano André Lurçat e Marcel Lods; del primo sono le grandi scuole di Villejuif, un albergo in Corsica, limpide ville e case; di Lods, in collaborazione con E. Beaudouin, le scuole all'aperto di Suresnes, i quartieri di abitazione a grattacielo di Drancy, quelli di Bagneux e la Casa del popolo di Clichy, costruiti immediatamente prima della guerra del 1940.

Fra le opere maggiori dei vecchi architetti vanno ricordate in primo luogo quelle costruite da Tony Garnier (morto nel 1948) a Lione dal 1900 al 1920: lo stadio, il macello e il mercato del bestiame, la scuola di tessitura, l'ospedale, il monumento ai caduti, case e ville; e il municipio di Boulogne-sur-Seine del 1934 Di Le Coeur gli edifici più interessanti sono la casa di via Bergère a Parigi (1910), e il palazzo della posta a Reims, del 1922; di Sauvage le case a gradoni di via Vavin (1910) e di via des Amiraux (1922) a Parigi; di Perret l'autorimessa Ponthieu, del 1906, il teatro dei Champs Elysées, costruito da lui nel 1911, ma ideato dall'architetto belga Henry van de Velde, la chiesa del Raincy (1923). Architetti importanti e attivi della generazione seguente sono anche Beaudouin, Ch. Siclis, M. Roux-Spitz, G. H. Pingusson, di cui particolarmente originale è un grande albergo a Saint-Tropez costruito nel 1931. Delle opere di Le Corbusier, tutte geniali, le più conosciute sono la villa Savoye a Passy-sur-Seine, del 1928, la sede dell'Esercito della salvezza (1929) e quella del Collegio svizzero alla città universitaria (1930) a Parigi; ville in Francia, edifici diversi a Bordeaux, a Stoccarda, a Mosca; progetti e piani regolatori. Costruttori di aeroporti, ponti, hangars, edifici industriali fra i più grandi e moderni d'Europa sono Le Marec, E. Freyssinet, Labro.

Dopo la seconda Guerra mondiale l'attività degli architetti francesi si è svolta specialmente nel campo dell'urbanistica; tutti si impegnano a piani regolatori prima che a progetti di edifici singoli; e questa è la svolta nuova, di estrema importanza, della architettura francese contemporanea. Fra le opere in corso la più grandiosa è la ricostruzione di Le Havre, affidata a Perret insieme con quella della zona della stazione ad Amiens; la più audace è quella di un quartiere di abitazione a grattacieli a Marsiglia, affidata a Le Corbusier, il quale disegna pure piani diversi di città. Gli altri grandi progetti allo studio sono: la sistemazione di Magonza e di Sotteville, di Marcel Lods; quella di Maubeuge e dei quartieri operai a Haumont, di Lurçat; quella della intera regione della Sarre, di Pingusson; quella della città dei ferrovieri a Tergnier, di Urbain Cassan; altre di Mathon, Lebreton, J. Greber e di giovani architetti, il cui lavoro si propone di rinnovare il volto urbano della Francia e delle sue colonie.

Danni di guerra ai monumenti e opere d'arte.

La guerra del 1939-45 ha inflitto al patrimonio artistico francese perdite considerevoli, soprattutto per quanto riguarda l'architettura e la scultura. Le pitture e le vetrate erano state generalmente messe al sicuro e i danni sofferti sono stati causati piuttosto da furti che da distruzioni. Si è calcolato che di 90 dipartimenti metropolitani 77 sono stati colpiti e che di circa 20.000 edifici classificati come monumenti storici o iscritti all'inventario supplementare dei monumenti storici, quasi 2000, sono stati distrutti o gravemente danneggiati. Varie sono le cause di questi danni; e le loro vicende si possono dividere cronologicamente in tre parti:

a) Campagna del 1940. L'armata tedesca, operando frequenti sfondamenti, ha incendiato con l'aviazione città e villaggi siti all'incontro di strade importanti. Le città che costituiscono teste di ponte hanno quindi più o meno sofferto. A questo periodo risalgono: 1) sulla Senna, i danni commessi a Vernon e a Rouen. A Rouen i danni sono stati resi più gravi dal fatto che i Tedeschi non permisero di spegnere l'incendio; in tal modo tutto il quartiere compreso tra la Senna e la cattedrale, con le sue antiche case e chiese, è andato distrutto; 2) sulla Loira i danni causati a Gien, Orleans, Elois, Tours.

b) Dal 1940 al 1944 i danni causati dai bombardamenti aerei inglesi ed americani. Sono stati colpiti soprattutto gli impianti industriali delle grandi città ed i porti della costa atlantica: Le Havre, Brest, Saint-Nazaire, Nantes, Bordeaux. Di queste città Bordeaux era la più ricca di monumenti.

c) Campagne di liberazione, 1944-45. In questo periodo le distruzioni sono dovute ai bombardamenti aerei delle due parti, effettuati quale preparazione al combattimento terrestre (Rouen viene di nuovo gravemente colpita) e, soprattutto, allo stesso combattimento terrestre (distruzioni per opera di cannoneggiamenti). Le due regioni che hanno maggiormente sofferto sono quelle in cui i combattimenti hanno durato più a lungo: la Normandia e l'Alsazia.

Da queste vicende risulta che le regioni più gravemente provate sono state l'est, il nord e l'ovest della Francia.

Nella Normandia due città soprattutto hanno subìto perdite irreparabili: Rouen e Caen. A Rouen tutte le vecchie case nei pressi della cattedrale, alla quale formavano uno sfondo veramente unico, sono state abbattute. La cattedrale stessa ha avuto ferite molto gravi. Sono state sfondate le vòlte del coro e del deambulatorio; danno che è riparabile. Più grave è la distruzione delle cappelle fiancheggianti la navata laterale di destra; da questo lato, verso sud, tutta la facciata dell'edificio è stata sventrata. I danni più gravi ha subìto la facciata principale; se la Tour de Beurre non ha avuto che danni minimi, la Tour Saint-Romain, la più antica, è stata incendiata interiormente; la pietra scalcinata si sgretola e tutto è da ricostruire. La chiesa di Saint-Ouen, che è stata solo lievemente danneggiata, ha potuto essere rapidamente restituita al culto. Ma la chiesa di Saint-Maclou è una grande vittima della guerra. Come in tutte le grandi chiese normanne, una delle sue parti più belle era la torre-lanterna costruita sulla crociera del transetto su quattro pilastri di laterizio. Uno dei pilastri era stato colpito e la torre-lanterna cominciò a cedere lentamente minacciando di travolgere nella sua caduta tutta la chiesa e le case vicine. S'ingaggiò allora una gara di velocità tra l'architetto e il crollo imminente: un intervento rapido ed abile salvò Saint-Maclou dalla distruzione completa. Maggiori sono i danni che hanno sofferto le piccole chiese. Della chiesa di S. Vincenzo, una delle più antiche della città, non rimane che qualche lembo di muro. Le vetrate erano state fortunatamente smontate e messe al sicuro sin dall'inizio della guerra. La chiesa di San Stefano des Tonneliers, uno dei gioielli del sec. XVI, è pure interamente distrutta. Fra gli edifici civili, il palazzo delle società erudite, l'antica sede dei primi presidenti del parlamento della Normandia, è stato completamente incendiato, prima della loro ritirata, dai Tedeschi che vi avevano installato la loro centrale telefonica. Il Palazzo di giustizia, che era forse il monumento più popolare di Rouen, non è più che un cumulo di rovine. Il palazzo di Bourgthéroulde, costruzione elegantissima del primo Rinascimento, ha gravemente sofferto.

A Caen, dove la battaglia infuriò dal 6 giugno al 15 agosto 1944, le perdite non sono meno sensibili. Tuttavia la guerra ha risparmiato le due grandi abbazie romaniche dovute a Guglielmo il Conquistatore e sua moglie Matilde, l'Abbazia aux Hommes e l'Abbazia aux Dames. Ma tutto intorno non vi sono che devastazioni e rovine. Nel cuore della città l'alto campanile di S. Pietro è stato abbattuto da un obice di marina che sfondò anche il tetto e le finestre superiori dell'edificio. La chiesa di San Giovanni, costruita nel sec. XV in stile fiammeggiante, è stata gravemente mutilata. La chiesa di S. Salvatore, notevole per le sue due navate di uguale dimensioni e le due absidi, ha sofferto meno, ma S. Stefano vecchio ha avuto la navata sventrata e l'intiera facciata demolita. Del palazzo Escoville, che era considerato come uno degli esempi più significativi di abitazioni cittadine in Francia del tempo del Rinascimento, non resta che qualche tratto di mura rovinato e qualche scultura malconcia. Del palazzo Than, quasi contemporaneo ma d'uno stile meno sviluppato, non si è salvato che il muro della facciata, e completamente scomparso è il palazzo della Monnaie: erano questi i tre capolavori dell'architettura civile del Rinascimento a Caen. Del palazzo comunale (sec. XVII) che conteneva la biblioteca molto ricca della città, non è rimasto nulla. (Sul luogo ove sorge il castello risalente al tempo di Guglielmo il Conquistatore, si estende ora un campo di rovine. E sono anche scomparse le vecchie case di legno e muratura delle strade Saint-Pierre, Saint-Jean, Montoir Poissonnerie.

Rouen e Caen non sono state tra le città normanne le sole vittime della guerra. Nel Cotentin Saint-Lo e Valognes, nel Calvados Lisieux e Pont l'Evêque, sull'Orne Argentan e Alençon, sulla Senna inferiore le Havre e Dieppe, hanno perduto le loro chiese e le vecchie case. Particolarmente dolorosa è la quasi totale demolizione della chiesa abbaziale di Lessay (Manica), che era probabilmente il più antico edificio francese con crociere ogivali (fine del sec. XI).

La Bretagna, limitrofa della Normandia ma meno ricca di monumenti storici, ha meno sofferto. Tuttavia una perdita irreparabile è quella della città di Saint-Malo, tra le più pittoresche della Francia con i suoi bastioni e le vecchie case agglomerate nelle strette strade. Anche la cattedrale e il castello sono stati assai danneggiati. Rennes, Faugères, Hennebont sono rimaste gravemente colpite. Persino il celebre calvario di PlougastelDaoulas ha subìto dei danni. A Brest il cumulo di rovine costituisce una piattaforma alta 25 metri, sulla quale i progetti urbanistici prevedono la ricostruzione della città.

Nella valle della Loira, alle distruzioni causate dall'avanzata tedesca del 1940 si aggiungono quelle causate dalla ritirata tedesca del 1944. I segni della guerra si susseguono da Nantes a Nevers. Come è stato detto, le città teste di ponte sono tutte gravemente provate dalla guerra. Ad Angers la cappella del castello è praticamente distrutta, mentre la cattedrale e le case Berrault non hanno subìto che danni minimi. A Tours l'antico museo, l'antico palazzo comunale, il palazzo della Crouzille sono radicalmente distrutti. Se la cattedrale è stata poco danneggiata, altre chiese e cappelle, altri palazzi e case sono profondameme deteriorati. Ad Orleans le torri della cattedrale sono in parte distrutte, nonché parecchie chiese; molte vecchie case sono in rovina; specialmente uno stupendo complesso urbanistico del sec. XVIII, la Rue Royale e il ponte della Loira, che ne continuava la prospettiva, è completamente scomparso. A Gien, 13 case, classificate tra i monumenti d'interesse storico, sono a terra. A Nevers, la cattedrale ha subìto i danni più gravi.

Sulla Garonna a Bordeaux, un altro complesso urbanistico di primo ordine, l'antica Piazza reale col Palazzo della Borsa, è stato incendiato. La regione della media Garonna e quella dei Pirenei hanno relativamente poco sofferto; ricordiamo tuttavia le perdite delle chiese dei Carmelitani a Perpignano. Ma la lista nera ricomincia colle città mediterranee. A Marsiglia il magnifico insieme del vecchio porto è stato freddamente distrutto dai Tedeschi. Nel Varo, i danni sono enormi a Tolone; il celebre palazzo comunale è tra le vittime; tuttavia le cariatidi del Puget hanno potuto essere salvate. A Fréjus la cattedrale non è indenne. Antibes, Nizza, Sospel, hanno sofferto, benché meno gravemente, avendo il nemico, colto di sorpresa, opposto scarsa resistenza.

Per la stessa ragione i danni sono relativamente lievi nella valle del Rodano e nelle Alpi. Essi si accentuano sensibilmente verso il nord-ovest, dove la resistenza tedesca si era irrigidita. Con la Lorena e l'Alsazia il martirologio ricomincia. Le perdite sono così grandi che non se ne possono menzionare che le principali. A Strasburgo la cattedrale è stata relativamente risparmiata; due bombe d'un aeroplano hanno sfondato il tetto della navata, ma non hanno colpito alcuna parte vitale dell'edificio; le vetrate che, trasportate nella Dordogna, erano state in seguito riprese e nascoste dai Tedeschi in una salina, sono state trovate intatte. Ma il palazzo dei Rohan, l'antico vescovado, un capolavoro di Roberto de Cotte, e uno dei più belli edifici francesi del principio del sec. XVII, ha subìto gravi danni. Nei quartieri più pittoreschi della vecchia Strasburgo, le bombe hanno creato dei vuoti dolorosi; la vecchia dogana, la chiesa di S. Stefano che è la più antica della città, la chiesa della Maddalena, ed altre ancora sono state le une quasi interamente distrutte, le altre gravemente danneggiate. Quasi tutte le piccole città, piene di fascino, nella zona dei vigneti, sono in rovina. Se Riquewihr, che è una delle più celebri, è quasi intatta, Mittelwihr, Benwihr, con le loro antiche chiese non sono più che cumuli di rovine. Ammerschwihr, che possedeva un bellissimo palazzo comunale, case antiche e fontane, è stata vittima dei bombardamenti che hanno preparato la liberazione di Colmar. Kientzheim, Sigolsheim, hanno subìto dolorose mutilazioni. Colmar stessa ha fortunatamente poco sofferto; ma i Tedeschi, per ragioni politiche, l'hanno privata di parecchie delle sue statue.

Nella Lorena i danni più gravi sono a Saint-Dié (distruzione completa della città e danni gravi alla bella cattedrale romanica), a Épinal, a Pontà-Mousson (collegio; piazza Duroc) per non ricordare che i più importanti.

Anche nei dipartimenti del nord della Francia, che avevano già tanto sofferto nel 1914-18, i danni sono assai cospicui, sebbene nessuna grande cattedrale abbia subìto la sorte di quella di Reims. Va rilevata soprattutto la perdita di due chiese di prim'ordine, celebri nella storia dell'architettura per ragioni diverse; quella di Saint-Leu-d'Esserent, che apparteneva alla prima serie degli edifici gotici del sec. XII con matronei; quella di Gisors, che era forse la costruzione più fastosa del primo Rinascimento. Pur non essendo totale la loro distruzione, il loro restauro costituirà certamente un lavoro assai lungo e difficile.

Chiudiamo questo bilancio delle perdite di edifici causate dalla guerra col segnalare una conseguenza felice, ma certamente del tutto involontaria, di una di tali distruzioni. A Vincennes, alle porte di Parigi, dove Mazzarino aveva aggiunto, verso la metà del sec. XVII, al vecchio castello medioevale di San Luigi e di Carlo V un altro castello dovuto a Le Vau, l'architetto di Versailles, le costruzioni di Le Vau erano in parte occultate da orribili casermette edificate un secolo fa dal Genio militare. I Tedeschi, alla loro partenza, decisero di far saltare il castello e riempirono le casermette di esplosivi. Ma la carica era male calcolata e l'esplosione, se anche scosse gravemente le parti antiche rimaste visibili, vale a dire il padiglione del re e il padiglione della regina, rimise alla luce il magnifico portico di Le Vau con l'arco di trionfo che congiunge i due padiglioni e che si credeva definitivamente perduto. È stato iniziato subito il loro restauro, facilitato dalle numerose incisioni del sec. XVII, riproducenti il castello di Le Vau.

Bibl.: Report of the American Commission for the protection and salvage of artistic and historic monuments in War Areas, Washington 1946, pp. 97-100; L'art français dans la guerre (questa collezione, in corso di pubblicazione, comprende tre volumi: Rouen, 1946, con introduzione di M. Aubert; Caen, 1946, con introduzione di L. Réau; Alsace, 1947, con introduzione di M. Betz; le fotografie di Jean Roubier riproducono lo stato dei monumenti prima e dopo la guerra); J. Verrier, Les dommages de guerre aux edifices classés parmi les monuments historiques et inscrits à l'inventaire supplémentaire, Parigi 1947 (elenco, per dipartimenti e località, dei monumenti danneggiati suddivisi in cinque categorie secondo l'entità dei danni).

Musica (XV, p. 993).

Negli anni intercorsi tra il 1932 e il 1939 la vita musicale francese continuava a svolgersi con l'abituale intensità e ricchezza di manifestazioni pratiche e culturali, senza però che, in fatto di composizione, ne emergessero nuove figure di gran rilievo. L'interessamento più fervido e più largo si portava dunque pur sempre alla attività dei maestri già da tempo autorevoli, quali il grande M. Ravel (che però dopo i due mirabili concerti per pianoforte del 1932 non poté dare che alcune liriche, estinguendosi poi nell'atonia fino alla morte) e A. Roussel (che negli ultimi cinque anni di lavoro, fino cioè al 1937, arricchiva il patrimonio musicale francese di molte pagine di alto valore) e dei meno anziani A. Honegger, D. Milhaud, F. Poulenc, G. Auric (i migliori tra i cosiddetti Sei), I. Ibert, Roland-Manuel e altri esponenti delle tarde e ultime generazioni ottocentesche.

Attività, quella di Honegger, Milhaud, Poulenc, Auric, che, senza perdere ogni virtù di ardimento e di personale evidenza, veniva intanto a superare certe giovanili posizioni d'indole polemica avviandosi a più largo e considerato impegno. Seguìta del resto (più che percorsa) in codesto spirituale orientamento, dall'attività di quei giovani che, come H. Zauguet, M. Jacob, H. Cliquet-Pleyel, R. Desormières (la cosiddetta École d'Arcueil, richiamantesi alle ultime poetiche di E. Satie) e come l'isolato J. Françaix, i giovanissimi P. Capdeville, A. Jolivet, M. Jaubert, J. Alain, J. Vuillermoz, T. Aubin, R. Bernard, Hugon, Challine, Martinon, Pascal, Desenclos, Landowski, Hubeau, Chailley, Audoui, David, Friboulet ed altri, sottentravano allora quali nuove forze d'avanguardia: un'avanguardia ben diversa dalla precedente, come quella cui sembrava convenirsi non tanto la qualifica di audace e baldanzosa, quanto quella (che di fatto le fu attribuita) di "benpensante", ossia di conformista.

Il che era vero per molti, non per tutti cotesti giovani; tra i quali il tempo, pur breve ma travahlioso, ha già compiuto una prima cernita; e nuovi nomi ha inoltre proposto all'attenzione.

Caduti sul campo alcuni dei migliori, quali J. Alain, J. Vuillermoz e M. Jaubert, stretti altri in prigionia e altri in esilio o in deportazione, non molti poterono durante la guerra attendere a un proficuo lavoro. Si segnalarono pur tuttavia fin d'allora (oltre al già noto J. Françaix) A. Jolivet, T. Aubin e specialmente R. Bernard e P. Capdeville, mentre il Desenclos, il Pascal e il Nigg ottenevano il Prix de Rome. Però, con la fine della guerra, un nuovo nome conquistava rapidamente un singolare prestigio: il nome di Olivier Messiaen, un giovane che, da poco ritornato dalla prigionia, già attraeva con le sue musiche e con le sue mistiche dottrine molti discepoli entusiasti. Nella quale fortuna si può vedere una nuova prova del mutamento di spiriti, dalle posizioni cosiddette "oggettivistiche" e "neoclassiche" preferite dai giovani francesi del primo dopoguerra a una rinnovata ricerca di interiorità celebrantesi, sotto il segno del misticismo cristiano (Messiaen) o dell'esistenzialismo generalmente caro ai seguaci francesi della scuola dodecafonica, guidati oggi teoricamente da R. Leibowitz e artisticamente giustificati soprattutto dalla musica di S. Nigg, proveniente anche egli dalla scuola del Messiaen.

Bibl.: Per gli anni tra il 1932 e il 1939, v. R. Dumesnil, La musique en France entre les deux guerres, Ginevra 1946. Per gli anni dal 1940 al 1942, v. "Spectator", Francia, in Musica, II, Firenze 1942.

Letteratura.

In letteratura e nelle arti la Francia è stata ancora una volta il maggior centro di propulsione delle tendenze di avanguardia. Alle soglie della seconda Guerra mondiale e durante gli anni di guerra, si delinea la dissoluzione del surrealismo, l'inflazione esistenzialistica, il potenziamento del marxismo e del cattolicesimo che polarizzano la loro tensione ideale, mentre non manca chi avverte come necesgaria una loro reciproca integrazione. Solo la grande tradizione del pensiero democratico-liberale languisce.

Istruttiva la parabola finale del surrealismo. Il surrealismo si è posto come espressione totale di vita abolendo, almeno in programma, ogni intenzionalità di poetica e di scuola, ma con la sistematica distruzione polemica della realtà del proprio contenuto ha, naturalmente, finito per distruggere sé stesso, risolvendosi in un atto pratico che non è surrealistico più di quanto sia romantico o simbolistico. Il più delle volte ciò ha significato l'abiura, come nell'ortodossia marxistica di L. Aragon e di P. Èluard, e le defezioni hanno superato di gran lunga le nuove adesioni.

Così alcune presenze, come quelle di A. Artaud, F. Picabia, J. Baron, P. Naville, R. Vitrac, R. Desnos, G. Ribemont-Dessaignes, S. Dali, Fr. Péret, Ph. Soupault, di cui sono gremite le origini, scompaiono dal 1926 al 1929. Altri, quali R. Crevel e G. Rosey e i belgi E. L. T. Mezens e P. Nougé, importatori della tendenza nel loro paese, si limitano a un'attività meccanica di riecheggiamento che è la sola consentita alla loro sostanziale mediocrità. Altri ancora come T. Tzara e G. Hugnet e il giovane Maurice Nadeau, che è anche il più recente storico del movimento, si aggiungono tardi alla schiera, ma alcuni di essi per staccarsene poco dopo; e vi è anche chi, come R. Queneau, non manca di rinnegare ancor di recente la sua antica apostasia. Il negro Aimé Césaire ha dato alla poesia surrealistica l'apporto di una intatta sincerità di voce, rara in un'accolta disordinata di velleitarî. Ma la tecnica del surreale, con la sua riduzione dell'espressione alla casualità automatica e a una pratica psicologico-evocatoria che vuol prescindere dalle ragioni linguistiche, ha impresso, specie nei meno dotati tra quanti l'hanno seguita, le tracce di un'estrema indifferenza formale. Per i migliori invece, fra cui, a non dire di Éluard, non mancano personalità di un certo rilievo (Ribemont-Dessaignes, P. Reverdy, J. Prévert), il surrealismo è stato o un'esperienza fra altre che ha contribuito a maturare la loro coscienza di scrittori che poi si sarebbe diversamente orientata, o, come nel caso fra tutti gli altri notevole di Queneau, una fase iniziale che ha mosso a ricerche poetiche una cultura di formazione particolarmente complessa.

La data dunque del 1938, anno in cui si celebrò a Parigi, per cura di A. Breton, una specie di sagra internazionale del surrealismo, segna un raggiungimento che è una fine e non un abbrivo per il futuro. Breton oggi è rimasto solo: ed è qui la sua sincerità. Però né la sua costanza né le nostalgie e le resipiscenze di chi ormai ha percorso tanta strada diversa, valgono a ristabilire le sorti di una sedizione artistica e letteraria definitivamente esaurita.

Tuttavia, se si prescinde dai lirici surrealisti, il paesaggio della recente poesia francese non appare straordinariamente ricco. Morti P. Valérv, L. Fargue e M. Jacob (né questi ultimi due hanno raggiunto il prestigio di maestri), spento anche il singolare e solitario canto di W. de Milosz, la cui musica verbale dava voce a una sensibilità mistico-simbolista e presentava una concezione della vita da romanticismo nordico, in cui la preoccupazione cattolica faceva da contraltare al suo esotismo di studioso delle civiltà orientali; confinati ormai i più anziani da Claudel a Supervielle nella funzione accademica di ripetersi; leggermente patinata dal tempo la ispirazione già piena di slancio di un Saint-John Perse, quale ci si manifesta in Exil (1942); nessuna indiscussa personalità poetica si è rivelata in questi ultimi tempi. La lirica francese sembra vivere sul patrimonio di un glorioso passato; onde, se della generazione che ora sta intorno ai 50 anni il belga Henri Michaux è assai attivo anche in questi anni e fra i più indicativi d'un clima, per la sua eloquenza turgida e le sprezzature discorsive che reagiscono sia al controllo simbolistico, sia alla abolizione surrealistica del senso logico, le forze giovani rimangono per lo più, come è stato detto, nell'ambito d'un ritorno letterario che non mancano di riferirsi, ora al filone esoterico che da Valéry risale a Mallarmé, avvalendosi dei diversi apporti culturali dell'uno e dell'altro, per insistere, in toni educati e pallidi e ormai démodés, sugli effetti di una concentrazione di immagini che l'accurata rifinitura stilistica riesce solo ad eludere continuamente in una degradazione quasi crepuscolare (Roland de Rénéville, Pius Servien, Jean Tardieu, Louis Emié), ora, trascurando le immediatezze surrealiste, a una derivazione istituibile dai parnassiani a Claudel, attraverso e il futurismo d'un Verhaeren, e Apollinaire, e Péguy. Darà, questo, figura ai tentativi di Jean Follain, di Roger Lannes, dell'assai discusso e dispersivo Patrice de la Tour du Pin e del cattolico Jean Massin, vero e proprio imitatore di Claudel nella Nuit de la Saint-Jean.

Gli atteggiamenti si ripetono, eccetto quel tanto di inconfondibilmente nuovo che è in ogni momento del reale, a distanza di generazioni e, se ad un esito crepuscolare può dar luogo l'ultima lettura di Mallarmé e di Valéry, alla reazione degli inizî del secolo contro il poeticismo simbolista sembra farsi vicina l'odierna ripresa, nel verso, della parola non scelta, o se mai orientata in senso gergale, parallelamente a quel guadagno di spazialità linguistica che fa assumere a certa narrativa (F. Carco, L.-F. Céline, R. Queneau, Audiberti) una caratteristica oratorietà composita. Così, ad esempio, in Léon Gabrile Gros, in Loys Masson, nel più giovane Pierre Emmanuel. Coi quali siamo venuti a enunciare alcuni dei nomi più ricorrenti nella letteratura della "resistenza".

Una vera questione critica della letteratura della resistenza non esiste poiché non si ebbe, né si poteva avere, con l'insorgere di essa, la rottura di una tradizione, ma semplicemente una continuazione o al più un richiamo alla responsabilità etica individuale e sociale, trascurata nell'esercizio delle facoltà più esteriori. Documentarî, racconti, drammi, versi, testimonianze di vita non trascesero per solito la funzionalità della loro origine e il tempo non ha esitato a collocarli ai margini dell'interesse letterario. Resta il chiarirsi di qualche vocazione ancora ignota o poco distinta: d'Astier, Masson con le sue Chroniques de la Grande Nuit, i Poèmes impurs 1939-44 di Léon Moussinac, i 33 Sonnets secrets di Jean Cassou, e soprattutto l'ardore religioso ed eroico di Pierre Emmanuel da Orphique (1942) a La Liberté guide nos pas (1943), da Jour de colère a Colombe e alla Prière d'Abraham.

La narrativa ha continuato in questo decennio a far la parte del leone nella produzione letteraria. Qui l'esempio dei maggiori contemporanei, già consacrati dalla fama, è tuttora attivo e vitale, chi badi a ciò che è stato negli anni di guerra la saggezza smagata di un Gide e il lavoro coerente e saldo di G. Duhamel, J. de Lacretelle, A. Malraux, R. Martin du Gard, G. Bernanos, Fr. Niauriac, J. Romains, con la strenua analisi psicologica che, unita ad una fervida problematica morale, individua la situazione ambientale e strutturale dei loro personaggi. Un po' in ombra, la civetteria libertina di Colette, la cui fortuna non sapremmo ancor dire quanto sia dovuta al nitore della pagina e quanto a un costume mondano ormai tramontato; lasciati in disparte, per il loro passato politico, a tacere dello Chateaubriant e del sensuale P. Drieu La Rochelle, torbido ideologo oscillante fra comunismo e fascismo, anche i quasi classicamente esemplari J. Chardonne e H. de Montherlant, P. Morand e J. Giono; ma le varie tradizioni del racconto e del romanzo si continuano o si ritrovano nell'appassionato cattolicesimo di Daniel-Rops, nella lucida e ironica intelligenza del rapporto umano che è nella pagina di Jouhandeau, nei vasti interessi culturali e sociali di Schlumberger e di Hamp, negli intensi drammi di Chamson e di Cassou, nella vigorosa plasticità di Malaquais con le sue descrizioni di ribelli, delinquenti, profughi e avventurieri e nella fruizione gergale di Audiberti non sorta da un equivoco naturalistico, ma intesa a una figurazione ferma e risentita che prende le mosse da una recisa volontà di stile. Né si dimentichino le doti minori di Plisnier, di Kessel, di Elsa Triolet, del poligrafo J. Prévost morto coi maquis del Vercors, la più pensosa attitudine di Mazeline e le nuove presenze suggerite dalla guerra, o comunque espresse dagli anni di guerra, dal semplice dono di Vercors alla Éducation Européenne di Gary, dal non meno divulgato Mon Village à l'heure allemande di Bory al solido realismo di Bosco e alle riprese intimistiche del Peyrefitte.

Con la scomparsa del surrealismo coincide l'affermazione letteraria dell'esistenzialismo francese d'ispirazione heideggeriana e immanentistica.

È vero che l'esistenzialismo cattolico aveva iniziato le sue prove letterarie col teatro di Gabriel Marcel, ma altra cosa è l'esistenzialismo trascendentistico dalla filosofia sartriana e perciò ben diverse le poetiche e l'accento intenzionale della parola. La ragione letteraria dell'esistenzialismo è stata ravvisata in un'esigenza di rinnovamemo verbale denunciata dall'instabilità semantica di una terminologia colta all'atto del suo costituirsi, e perciò non ancora scientificamente tecnicizzata, ma tale da avvalersi della deformazione dell'uso comune. Indubbiamente però l'impulso ai tentativi artistici risiede in una situazione sentimentale che vuole intuirsi e venire alla luce: è il sentimento dell'angoscia e del nulla che cerca una liberazione nella realtà della parola esprimendo ogni contenuto, anche il meno confessabile. La dottrina ha un suo organo in Les Temps modernes. Dal 1° ottobre 1945 Sartre, dotato anche di un forte temperamento polemico, ne è l'anima. Fanno parte del comitato di redazione e assiduamente vi collaborano. Simone de Beauvoir, molto legata al pensiero sartriano, Raymond Aron e Maurice Merleau-Ponty che posseggono, specialmente quest'ultimo, una spiccata individualità teoretica e perciò manifestano vivacemente la loro indipendenza, reagendo alla moda dell'esistenzialismo, mentre anche altri giovanissimi accedono a questa filosofia che è la più aspramente combattuta dai cattolici, dai marxisti e dalla conservazione borghese. Solo Simone de Beauvoir, accanto a Sartre, s'è dedicata al romanzo e dal teatro enunciando una netta professione di fede, là dove Camus proclama la propria autonomia di convinzioni e di gusto.

Il teatro di J. Anouilh, sulla cui limpida eleganza poetica agisce il ricordo di Giraudoux, e quello di A. Salacrou sono, accanto ai limacciosi drammi di Sartre, le punte avanzate di un repertorio abbondante e pieno di vitalità mentre il vigore rappresentativo di Paul Raynal non è posto in oblio e si affermano Stève Passeur, il Brasseur e molti altri che qui non è il caso di ricordare.

La letteratura di pensiero (critica, politica, saggi biografici) si impernia sulla polemica fra gli esistenzialisti, i cattolici (J. Maritain, H. Massis, ecc.) e i marxisti (H. Lefebvre, Navelle ecc.). Non del tutto spenta è l'eco del generico socialismo radicale di Alain e del razionalismo democratico di Benda. E. Mounier, nella rivista Esprit che si pubblica dalla fine del 1944, si è fatto promotore di un dinamico comunismo cristiano (personalismo) di cui aveva posto le basi in alcuni scritti del 1936. È ancora prematuro formularne un giudizio, mentre par chiaro, da un punto di vista politico, che non si tratta di una mediazione o d'un superamento, ma di una adesione al marxismo.

In genere l'orientamento della giovane critica francese persiste nel gusto "saggistico" della pagina e dell'analisi psicologica ma, ad opera delle più recenti correnti di pensiero, viene acquistando una maggior consapevolezza teorica, specie se non intervenga il dogmatismo ideologico ad inceppare la libertà della ricerca, con l'accentuazione delle proprie tesi. È questo il caso delle pseudoestetiche ispirate al marxismo. Non meno incauta, a volte, certa critica cattolica che si tiene sulla falsariga di Rivière e di Du Bos ma la conduce agli estremi. L'annullamento moralistico della distinzione tra persona empirica e opera, l'elusione del giudizio nel concepire i testi quali meri stimoli dell'autobiografia sentimentale del critico, la tendenza ad assimilare ognuno nella medesima professione di fede, un impressionismo acuto ma spesso isolato e generico sono i limiti e le deviazioni più gravi di una letteratura saggistica che svaria da toni di falsa intimità lirica a un procedimento capzioso da comparsa giuridica. Una vera e propria indagine filosofica che porga i mezzi alla valutazione estetica è attualmente in Francia, per gli scrittori contemporanei, quanto mai rara ed episodica, in contrasto con la severa disciplina di studî che si continua, negli ambienti universitarî, verso gli scrittori del passato. Fra i critici letterarî ingegno sottile e un'accorta preparazione teoretica unita a grande sensibilità psicologica, mostra Georges Blin, benché alquanto difetti in lui un'adeguata educazione filologica.

Bibl.: Volumi di saggi e studî generali: R. Lalou, Histoire de la littérature française contemporaine, 3ª ed., Parigi 1946-47; M. Raymond, De Baudelaire au Surréalisme, 2ª ed., Parigi 1947 (trad. it., Torino 1948); H. Peyre, Hommes et oeuvres du XXe siècle, Parigi 1938; G. E. Lemaître, From Cubism to Surrealism in French Literature, 1941; P. Brodin, les écrivains français de l'entre-deux-guerres, Parigi 1942; id., Maîtres et témoins de l'entre-deux-guerres, ivi 1943; J. Ehrard, Le Roman français depuis M. Proust, Parigi 1943; M. E. Coindreau, La force est jouée, Parigi 1942; S. A. Rhodes, The Contemporany French Theater, 1942; Aspects du théâtre français contemporain (a cura di autori varî), nel quaderno III di Théâtre, Parigi 1945; D. Valeri, Saggi e note. Letteratura francese moderna, Firenze 1941; C. Bo, Saggi di letteratura francese, 2ª ed., Brescia 1946; id., In margine a un vecchio libro, Milano 1945; A. Rousseaux, Âmes et visages du XXe Siècle, Parigi 1939; Du Surréalisme a J.-P. Sartre, in Labyrinthe, 1944-45, n. 10; P. Courthion, La poésie en france, in Lettres, III, 1945, n. 3; F. Grillparzer, La Conception française de la littérature, in Lettres, III, 1945, n. 4; G. Cattaui, Notes sur la nouvelle poésie française, in Nova et vetera, 1942, n. 1; J.-R. Bloch, Les écrivains français dans la lutte, in La Nef, 1944, n. 1; K. haedens, Poésie française, in Confluences, 1941, nn. 3-4; E. Jaloux, L'évolution du roman français, in Confluences, 1941, nn. 3-4; M. Simone, Cronaca letteraria della Francia 1945, in Il Ponte, 1946, nn. 7-8; R. Bertelé, Panorama de la jeune poésie française, Marsiglia 1942. Sull'esistenzialismo: J. Beaufret, A propos de l'existentialisme, in Confluences, 1945, nn. 2 segg.; R. Troisfontaines, Existentialisme et pensée chrétienne, Parigi 1946; A. Foulquié, L'Existentialisme, Parigi 1946; H. Lefebvre, L'Existentialisme, Parigi 1946; E. Mounier, Introduction aux existentialismes, Parigi 1947; G. Blin, Roman et métaphysique, in Fontaine, febbraio 1946, nn. 48-49. Sul surrealismo: C. Bo, Bilancio del surrealismo, Padova 1944; M. Nadeau, Histoire du Surréalisme, Parigi 1945; M. Blanchot, Quelques réflexions sur le Surréalisme, in L'Arche, 1945, n. 8; A. Hoog, La chute de la maison noire, in Esprit, 1945, n. 8; A. Rolland de Renéville, Aspects du Surréalisme, in La Nef, II, 1945, n. 10; J. Paulhan, Querelle de l'image, in Confluences, 1944, fasc. 31; L. Pierre-Quint, Le surréalisme fut-il un échec?, in Confluences, 1945, n. 5; P. Mabille, Message de l'étranger, in Confluences, 1945, n. 5. Sulla lett. della resistenza: L. Parrot, L'Intelligence en guerre, Parigi 1945.

Riviste: Le Divan, Parigi, riprende le pubblicazioni dopo la liberazione: La Nef, Algeri, poi Parigi, diretta da R. Aron e E. Faure, fondata nel 1944; L'Arche, Algeri, poi Parigi, a cura di J. Amrouche e J. Lassaigne, fondata nel 1944; Confluences, Lione: la nuova serie ha inizio nel dicembre 1941 sotto la direzione di J. Aubenque; vi si aggiunse il sottotitolo di: Revue de la Renaissance Française diretta da R. Tavernier; Fontaine, Algeri, poi Parigi, diretta da M.-P. Fouchet; Paru, Parigi, dal 1945; Les Nouvelles littéraires: interrotta la pubblicazione l'8 giugno 1940, la riprendono il 5 aprile 1945; Les lettres françaises, marxista; ne uscirono 20 numeri clandestini dal 1941 (data della fondazione ad opera di J. Decour, poi fucilato dai Tedeschi, e J. Paulhan) al 1944; attualmente diretta da Cl. Morgan, red. capo G. Adam; Esprit, cattolico-comunista, diretta da E. Mounier e fondata nel 1944; Les Temps modernes, esistenzialista, fondata nel 1946; comitato di direzione: F. Bessaignet, Ch. Bettelhein, G. Martinet, M. Madeau, P. Naville; La Revue Internationale, marxista, inizia le pubblicazioni nel 1945; Les hommes et les livres, Parigi; Homme et Mondes, Parigi, inizia le pubblicazioni nel luglio 1946 diretta da B. Simiot; Poésie (dal 1941) diretta da P. Seghers: nel 1944 pubblica l'Anthologie des poètes prisonniers a cura di Seghers, Claudel e Masson; Gavroche, Parigi.

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