MINISSI, Franco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MINISSI, Franco. –

Raffaella Catini

Nacque a Viterbo il 12 apr. 1919 da Ettore, tipografo, e da Lucia Mercati.

Pochi anni dopo la sua nascita la famiglia si trasferì a Roma in una casa nei pressi di Castel Sant’Angelo. Le modeste condizioni economiche fecero sì che all’età di dodici anni il M. dovesse iniziare a lavorare in un laboratorio di orafo per sostenere gli studi. Con notevole determinazione riuscì a ultimare il percorso scolastico: conseguita la maturità artistica, si iscrisse alla facoltà di architettura dell’Università di Roma, dove si laureò brillantemente nel 1941. Durante il conflitto mondiale combatté nel corpo del genio minatori con il grado di tenente. Il 1° febbr. 1943 sposò Lidia Grazzini.

Al termine della guerra fu chiamato, con B. Zevi, al sottosegretariato alle Belle arti e spettacolo, a capo del quale era allora, nel ministero Parri (giugno-dicembre 1945), sottosegretario C.L. Ragghianti. Alla fine degli anni Quaranta prese a lavorare presso l’Istituto centrale del restauro presieduto da C. Brandi.

Con Brandi il M. iniziò l’attività vera e propria nell’ambito del restauro e dell’allestimento museografico, secondo finalità ancora eminentemente di protezione, dei complessi monumentali archeologici. A questa prima fase risalgono l’intervento sulle porte scolpite della città hittita di Karatepe (Turchia) e il restauro delle mura difensive greche sulla costa di Gela presso Capo Soprano (1950-52).

La principale questione da risolvere al fine di assicurare la salvaguardia di quelle antiche mura, realizzate con mattoni crudi e ormai prive di coesione, fu quella di impedirne il deterioramento, dal quale erano state fino ad allora preservate perché completamente sepolte dalla sabbia. Il M. studiò una soluzione di musealizzazione in loco risultata efficace per quanto grandemente innovativa per l’epoca, anticipatrice in certo qual modo di quel principio della conservazione attiva del monumento cui sempre tenne fede nelle sue opere. La «gabbia», costituita da spesse lastre di cristallo poste su entrambe le facce della compagine muraria, collegate tra loro per mezzo di tiranti metallici passanti, andava a costituire una sorta di involucro trasparente per mezzo del quale l’antica struttura risultava completamente visibile e, al tempo stesso, consolidata e protetta dall’erosione dovuta agli agenti atmosferici.

Tra il 1953 e il 1960, nell’ambito delle numerose iniziative in atto per la valorizzazione del patrimonio artistico italiano, il M. intraprese, per incarico di G. De Angelis d’Ossat e in collaborazione con il soprintendente alle Antichità e belle arti dell’Etruria meridionale R. Bartoccini, il rinnovo degli allestimenti del Museo nazionale archeologico di Villa Giulia.

L’incarico, il primo di un certo prestigio, pose il M. dinanzi a una delle problematiche progettuali da lui più sentite sia come progettista sia, in seguito, come docente. Se, come ebbe a scrivere, «la definizione dello spazio museografico risulterà più o meno facilitata o ostacolata a seconda della minore o maggiore “qualità museale” propria della preesistenza da riutilizzare», nel caso di Villa Giulia l’architetto si trovò di fronte a una sede di livello qualitativamente molto elevato e quindi a due distinte tipologie di musealità, «quella della raccolta delle opere d’arte e quella della preesistenza architettonica ospitante» (Bernini, p. 11). Il M. vi operò in primo luogo una riorganizzazione degli spazi, studiando nuove soluzioni che ne consentissero la visione ottimale, e aumentandone la consistenza attraverso una serie di ballatoi realizzati lungo le pareti degli ambienti più moderni della villa. Gli espositori preesistenti furono eliminati: l’elemento vetrina fu totalmente ripensato dal M. a livello semantico con il tentativo di ridurne all’essenziale la valenza formale privilegiandone l’aspetto meramente funzionale. La ricerca portò alla definizione di differenti tipologie di contenitore, tutte caratterizzate dall’assoluta trasparenza degli elementi costitutivi, non esclusi i ripiani, così che gli oggetti potessero apparirvi come sospesi. Il M. seppe inoltre conferire loro un’ulteriore valenza spaziale, articolandone opportunamente la conformazione in modo da permettere al visitatore di introdurvisi per avere una visione dell’oggetto sotto tutte le angolazioni: è la cosiddetta vetrina «a camera», cui il M. fece ricorso per la prima volta nel Museo di Villa Giulia. Altra soluzione di grande efficacia fu quella escogitata per il Sarcofago degli sposi, il quale necessitava di una collocazione a distanza dai visitatori. Il M. non volle ricorrere all’uso di schermature, sia pure trasparenti, proprio in virtù dell’esistenza di una tale zona di rispetto: dispose pertanto il sarcofago al centro di un largo basamento ottagonale irregolare, situato entro un ambiente anch’esso poligonale. Realizzò quindi, in asse con questo, un’apertura sul solaio soprastante, una sorta di ballatoio il quale, avendo la medesima forma del basamento, delimitava un vuoto virtualmente prismatico da cui sarebbe stata possibile la visione dall’alto dell’opera d’arte.

Tra il 1954 e il 1955, a Viterbo, il M. lavorò all’allestimento del Museo civico e della Pinacoteca nel convento dei cappuccini presso la chiesa di S. Maria della Verità.

Il convento medievale aveva subito gravi danni durante il secondo conflitto mondiale ed era stato interessato da un importante intervento di restauro. Il M. scelse di disporre nell’ambiente del refettorio, fortemente connotato dalle pareti di blocchi di peperino a faccia vista e dagli arconi a sesto ribassato, pure in pietra, i corredi e le suppellettili funerarie provenienti dalle principali necropoli del Viterbese e altri reperti di Età romana: le grandi teche di cristallo, illuminate dall’interno, furono collocate su basamenti realizzati con la medesima pietra in blocchi. Nella sala superiore, un vasto spazio ritmato dalle capriate lignee della copertura, furono esposte le opere dei principali artisti viterbesi del periodo rinascimentale, mentre il chiostro fu destinato alla collocazione dei sarcofagi etruschi. Ancora tra il 1990 e il 1994 il M. rinnovò l’illuminazione dei quadri della pinacoteca e l’allestimento del chiostro.

Tra il 1955 e il 1958, in Ancona, il M. lavorò all’allestimento del Museo archeologico nel palazzo Ferretti per conto della Soprintendenza archeologica regionale. Gli anni Cinquanta e la prima metà del decennio successivo lo videro impegnato soprattutto in Sicilia, dove curò la sistemazione di numerosi siti archeologici e l’allestimento di strutture museali per conto delle istituzioni locali: oltre al già ricordato intervento a Capo Soprano, si rammentano il Museo nazionale archeologico di Gela (1955-57), oggetto di un ampliamento nel 1979 ancora a opera del M., il museo presso la chiesa di S. Nicola nella Valle dei templi (1954-67) e il Museo diocesano (1958-63) ad Agrigento, il restauro della chiesa del Ss. Salvatore a Palermo, il cui progetto di adattamento ad Auditorium gli valse, nel 1969, il premio nazionale Inarch.

Tra il 1957 e il 1963 a Piazza Armerina il M., nuovamente in collaborazione con Brandi, curò l’intervento di protezione e musealizzazione delle splendide pavimentazioni musive in marmi policromi della villa romana del Casale.

Se le strutture murarie della villa erano ridotte a pochi resti, i mosaici pavimentali erano stati rinvenuti in stato di eccellente conservazione. Dinanzi a questo ulteriore progetto di musealizzazione in loco, il M. ideò una ricostruzione dei volumi originari mediante lastre di perspex intelaiate su una struttura metallica e dotate di una camera d’aria termoisolante; queste furono collocate ben al di sopra dei mosaici, i quali in tal modo risultavano protetti dal calpestio come dagli agenti atmosferici, e assolutamente visibili in ogni loro parte attraverso una serie di percorsi a ballatoio situati sulla sommità dei resti delle murature.

Di grande interesse è il progetto per il teatro greco di Eraclea Minoa, realizzato tra il 1960 e il 1963, analogo al precedente in relazione alla necessità di proteggere il monumento senza comprometterne la visibilità: il M. scelse in questo caso di riprodurre integralmente la struttura della cavea avvalendosi di un materiale trasparente che, preservandone adeguatamente i resti, fornisse nel contempo al visitatore l’esatta percezione del luogo architettonico nella sua fisionomia originaria.

Nel 1960, in occasione dei giochi della XVII Olimpiade tenuti a Roma, curò l’allestimento della mostra «Lo sport nella storia e nell’arte» nel palazzo delle Scienze all’EUR; tra il 1960 e il 1962 lavorò alla sistemazione di alcune sale dell’edificio del ministero delle Finanze da destinarsi a sede del Museo nazionale della Zecca italiana. In tale occasione il M. preferì l’orientamento verticale dei supporti delle monete in luogo della più consueta giacitura orizzontale; inoltre conferì loro una particolare curvatura, così da rendere confortevole la visione di ogni punto degli espositori.

Ancora tra il 1960 e il 1965 curò, in provincia di Trapani, l’allestimento del Museo Pepoli nel convento dell’Annunziata presso la cattedrale e l’intervento di ricostruzione dell’abbazia di S. Nicolò Regale a Mazara del Vallo.

In quest’ultima, dall’impianto antico e pregevolissimo per quanto oggetto di modifiche nel corso dei secoli e ridotta a pochi resti delle sole mura perimetrali, il M. attuò la propria ipotesi di ricostruzione dei volumi originari avvalendosi nuovamente di elementi modulari trasparenti, per mezzo dei quali fosse possibile immaginarne la connotazione spaziale e, al tempo stesso, fornire un adeguato riparo alla struttura.

Tra le numerose opere intraprese in quegli anni si rammentano ancora il Museo archeologico di Siracusa a villa Landolina (1961-88), dedicato a P. Orsi, il Museo delle tradizioni popolari di Squinzano e il conservatorio di Lecce (1967-70); nel resto d’Italia sono da citarsi l’allestimento del Museo di Tarquinia (1960-63), la sistemazione dell’antica piazza S. Maria e il Museo etrusco nel palazzo Ruspoli, entrambi a Cerveteri (1964-66), il Museo civico di Spina a Comacchio (1964-70) e il Museo archeologico di Civitavecchia presso l’edificio dell’ex dogana pontificia.

Ottenuto il divorzio dalla moglie, il 19 ag. 1971 si unì in matrimonio con Odoarda Baschieri, sua collaboratrice di sempre, con la quale aveva avuto il figlio Matteo, autore e regista televisivo.

Agli anni Settanta e Ottanta risalgono numerosi altri interventi in Sicilia: tra di essi il restauro della chiesa di S. Maria dei Greci in Agrigento (1973-74), l’Antiquarium di Himera (1978-84), il parco archeologico di Selinunte e i Musei archeologici di Enna e Caltanissetta, l’uno nella sede di palazzo Varisano (1980-85), l’altro in località Santo Spirito (1985-97).

Molti e importanti furono anche, in quel periodo, i lavori effettuati nel resto d’Italia e all’estero, dove il M. operò per conto dell’UNESCO (United Nations Educational Scientific and Cultural Organization).

Si rammentano tra i primi il Museo del Tesoro di S. Pietro presso la sacrestia della basilica Vaticana (1973-75), il restauro e il successivo allestimento del Museo d’arte moderna al palazzo della Penna a Perugia (1980-82), la risistemazione degli antichi locali dello stenditoio nel complesso di S. Michele a Ripa per adibirli a sala congressuale (1985), il Museo delle genti d’Abruzzo a Pescara (1985-88), la Casa-Museo Signorini Corsi a L’Aquila (1986-93) e la villa Ventura a Tuscania (1987) in cui il M., libero dai vincoli progettuali con i quali era solito confrontarsi, espresse la propria individualità stilistica nell’articolata sequenza spaziale delimitata da setti murari ricurvi.

Numerosi e interessanti, infine, gli allestimenti per le mostre temporanee: tra queste si ricordano «Museo perché, museo come» al Palazzo delle Esposizioni (1978-79), «Spes contra Spem», dedicata a R. Guttuso in Castel Sant’Angelo, «Jackson Pollock» a Palazzo Venezia (1983), «Riscoprire Pompei» presso i Musei Capitolini (1993). Tra i suoi ultimi lavori è il progetto di restauro e musealizzazione del complesso delle Sette sale a colle Oppio.

Assistente volontario presso la facoltà di architettura di Roma sin dal 1945, il M. non abbandonò mai l’insegnamento. Dal 1964 fu docente di museografia alla scuola di perfezionamento in storia medievale e moderna della facoltà di lettere, quindi dal 1970 fu a Firenze presso l’Università internazionale dell’arte; dal 1974, alla facoltà di architettura di Roma, divenne titolare del corso di restauro dei monumenti e poi, dal 1980, docente del corso di allestimento e museografia, che portò avanti fino agli ultimi giorni di vita.

La sua attività gli valse numerosi riconoscimenti: membro dei consigli direttivi dell’Associazione nazionale dei musei italiani e dell’ICOMOS (International Council of monuments and sites), fece parte della redazione della rivista Musei e gallerie d’Italia.

Pubblicò i suoi studi e progetti in volumi e saggi in riviste del settore; curò per l’Enciclopedia Italiana la redazione delle voci Museo (Appendice III, II, pp. 182-185) e Museografia (in Museo, Appendice V, III, pp. 592-594). Fu autore della voce Museo e Museografia per il Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica (IV, pp. 164-167).

Il contributo del M. in favore della salvaguardia dei beni culturali e della musealizzazione è stato di primaria importanza: la leggibilità e fruibilità di alcune sue opere, in specie siciliane, hanno peraltro fortemente risentito di problemi legati alla gestione dei siti museali, quali la cronica mancanza di manutenzione e i frequenti episodi di vandalismo.

Il M. morì a Bracciano (Roma) il 25 ag. 1996.

Fonti e Bibl.: L’archivio del M. – circa seicento disegni oltre a una cospicua quantità di documenti e fotografie – è conservato a Roma nell’Archivio centrale dello Stato. S. Ranellucci, Raccordo spaziale fra preesistenza ed intervento nell’opera di F. M., in OPUS, 1996, n. 5, p. 364; F. Premoli, F. M.: museologia per l’archeologia e oltre, in A-Letheia, VIII, Firenze 1997, pp. 98-101; D. Bernini, Colloqui con F. M. sul museo, Roma 1998 (con elenco completo degli scritti del M. e ampia bibl.); I. Nigrelli, Agrigento e Piazza Armerina, la malagestione del patrimonio culturale, in Italia nostra, 1999, n. 354, pp. 5 s.; Id., La villa romana del Casale senza difese contro i vandali, ibid., p. 9; S. Ranellucci, L’adattamento a museo di palazzo della Penna: il progetto di F. M., in Il palazzo della Penna a Perugia, a cura di E. Guidoni - F.F. Mancini, Venezia 1999, pp. 77-84; Guida agli archivi privati di architettura a Roma e nel Lazio. Da Roma capitale al secondo dopoguerra, a cura di M. Guccione - D. Pesce - E. Reale, Roma 2002, p. 86; M. Dezzi Bardeschi, Dossier: salviamo M. a Piazza Armerina, in ANANKE, 2004, n. 44, pp. 36-97; B. Vivio, Attività sperimentale alle origini del restauro critico. Primi contributi di F. M., in Arkos, VI (2005), 12, pp. 18-24; M.C. Laurenti, Le coperture delle aree archeologiche. Museo aperto, Roma 2006, ad ind.; G. Carbonara, Restauro del moderno e archeologia a Piazza Armerina. La sistemazione di F. M. della villa romana del Casale, in Paesaggio urbano, 2006, n. 1, pp. 30-39; N. Santopuoli, Il restauro della villa romana del Casale di Piazza Armerina. Struttura e aggiornamento tecnologico, ibid., pp. 40-45; F. M. e il progetto di restauro della villa del Casale a Piazza Armerina, a cura di A.E.K. Sferrazza - I. Gransedonio (catal.), Palermo 2007; F. Tomaselli - A. Alagna, Contro l’oblio del restauro critico: rapporto sull’opera di F. M. nell’ambito del restauro archeologico in Sicilia … per salvare la villa del Casale, Palermo 2007; A. Alagna, F. M.: restauro e musealizzazione dei siti archeologici in Sicilia, diss., Università degli studi di Napoli Federico II, 2008.

R. Catini

TAG

Secondo conflitto mondiale

Musei capitolini

Mazara del vallo

Piazza armerina

Jackson pollock