TRUFFAUT, François

Enciclopedia del Cinema (2004)

Truffaut, François

Vittorio Giacci

Regista e critico cinematografico francese, nato a Parigi il 6 febbraio 1932 e morto a Neuilly-sur-Seine (Parigi) il 21 ottobre 1984. Cinema e vita furono per T. una sola cosa, poiché sempre il cinema fu vissuto come rifugio e salvezza fisica, prima ancora che come professione. Nel corso di una molteplice attività, sviluppò un percorso lucido e coerente, forte come il suo amore di cinéphile e rigoroso come la sua militanza di critico, in un continuo confronto con i classici, riletti e reinventati in una personalissima poetica fondata su quattro grandi amori: i libri, le donne, i bambini, il cinema. Vinse al Festival di Cannes il premio per la regia con Les 400 coups (1959; I quattrocento colpi) e nel 1974 l'Oscar per il miglior film straniero con La nuit américaine (1973; Effetto notte).

Da bambino, durante gli anni dell'occupazione tedesca, si rifugiava nelle sale cinematografiche di Montmartre, trovando sollievo all'infantile disadattamento nelle vicende noir o nelle storie d'amore. Adolescente, venne 'adottato' dal grande critico André Bazin, che lo fece uscire dal riformatorio di Villejuif trovandogli un lavoro nella sezione cinema di "Travail et culture". Dopo un periodo trascorso in carcere per diserzione (nel 1951 era stato arruolato per la guerra in Indocina), fu sempre Bazin a farlo assumere al Service cinématografique del Ministero dell'agricoltura (1953) e a farlo entrare come critico nella redazione delle riviste "Arts" e "Cahiers du cinéma". Animatore di cineclub, iniziò a collaborare assiduamente ai due periodici e diede vita, insieme ad amici come Eric Rohmer, Jacques Rivette, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Jacques Doniol-Valcroze, a quel gruppo di tendenza che sarebbe sfociato nella Nouvelle vague.

Nel 1954 un suo articolo pubblicato sui "Cahiers du cinéma" (nr. 31, pp. 15-29) e intitolato Une certaine tendence du cinéma français produsse enorme scalpore e T. si segnalò, a soli ventidue anni, come uno dei più aspri e intransigenti critici, contraddistinto da slanci di totale ammirazione per taluni registi (Jean Renoir, Orson Welles, Jean Vigo, Roberto Rossellini, Ingmar Bergman, Charlie Chaplin, Ernst Lubitsch, Carl Theodor Dreyer, Max Ophuls, Jean Becker), come da odio altrettanto assoluto per altri (Jean Delannoy, André Cayatte, Claude Autant-Lara). Dopo essere passato dalla critica militante alla regia con alcuni cortometraggi, come Une visite (1954), Les mistons (1957; L'età difficile), che già anticipava alcuni temi chiave del suo cinema, e Histoire d'eau (1958) diretto con Godard, esordì nel lungometraggio con un'opera di forte sapore autobiografico, intensa e sofferta, Les 400 coups, dedicata alla memoria del suo 'salvatore', Bazin, morto alla vigilia del primo ciak, ma anche alla propria memoria infantile, dato che in questo film prendono avvio le avventure del personaggio Antoine Doinel (alter ego del regista, accompagnato fino all'età matura nei successivi film), incarnato dall'attore-feticcio Jean-Pierre Léaud.

Grazie all'inatteso successo del primo film e forte della sua attività critica, T. penetrò nell'universo poetico dei grandi maestri che amava e se ne appropriò, servendosene come di un laboratorio prezioso di conoscenze, di mestiere e di tecnica. Da Rossellini imparò il gusto della chiarezza e della logica; da Lubitsch l'arte della comunicazione indiretta; da Renoir che l'attore è più importante del personaggio; da Alfred Hitchcock (su cui avrebbe scritto uno dei libri di cinema più famosi e più letti al mondo, Le cinéma selon Hitchcock, 1966; trad. it. 1977) che il cinema va considerato non come un'esperienza a due ma a tre (autore-opera-spettatore).

Sulla base di un'interpretazione radicale della teoria della politique des auteurs che aveva contribuito a formulare negli anni Sessanta (secondo cui un'intera opera viene sussunta e garantita dalla persona del suo autore e ciascun film non è che la realizzazione imperfetta di un più ampio progetto ideale), T. concepì i suoi film come sfide, la più importante delle quali è sottomettersi ai codici, per es. quelli dei generi, e, all'interno di queste costrizioni, trovare la più grande libertà d'azione. Per T. inoltre il cinema è un'arte essenzialmente visiva, dove quello che conta non è ciò che si dice, ma ciò che si vede; pertanto un film deve avere qualcosa che lo riavvicini alla magia del cinema classico, così come ogni film è il riflesso, in meglio o in peggio, del regista che l'ha fatto e non somiglia che a lui. Nella fedeltà a questo codice T. fu molto preciso e perentorio, raro caso di autore-studioso, di regista cioè che riflette sul cinema mentre lo fa (con ognuno dei suoi film che è anche una metafora sul cinema) e si interroga sulle leggi che lo governano. Elaborò così una serie di norme di valore etico e poetico che costruirono nel tempo uno stile inconfondibile. In tal modo la sua opera restò fedele al polo tematico dell'amore, il migliore dei soggetti eterni (La peau douce, 1964, La calda amante), e dell'ideale femminile ("Le donne sono magiche?" è l'interrogativo di Doinel), ruotando spesso intorno al tema dell'educazione sentimentale, con il conflitto fra provvisorio e definitivo (Baisers volés, 1968, Baci rubati) e sentimenti di dolcezza uniti a spinte anticonformiste (come nel racconto struggente del triangolo amoroso di Jules et Jim, 1962, Jules e Jim). Fu quindi capace di restituire quell'inquietudine e quell'instabilità di cui Hitchcock è stato maestro (come nella parabola morale trasferita in un clima fantascientifico di Fahrenheit 451, 1966) e di far vivere la forza del ricordo insieme all'intensità ossessiva degli affetti (La chambre verte, 1978, La camera verde), realizzando un ideale punto d'incontro tra Renoir e Hitchcock, il massimo del cinema di personaggi e insieme di situazioni (si veda l'intrigo geometrico e passionale di La mariée était en noir, 1968, La sposa in nero). Seppe così raccontare storie vere trasformate in finzione (come quella della figlia di V. Hugo in L'histoire d'Adèle H., 1975, Adèle H., una storia d'amore), oppure far affiorare la nostalgia per le storie classiche (il thriller venato di ironia Vivement dimanche!, 1983, Finalmente domenica!), dichiarando esplicitamente la scelta di campo della finzione come premessa di verità (come nel 'film sul film' La nuit americaine) e costruendo film sul confronto dell'attore con la drammaturgia del testo (come soprattutto in quella riflessione sul rapporto teatro-cinema che è Le dernier métro, 1980, L'ultimo metrò). Ritornò più volte sulla storia di un'educazione, descrivendo così la 'linea d'ombra' tra infanzia e adolescenza (L'enfant sauvage, 1969, Il ragazzo selvaggio o L'argent de poche, 1976, Gli anni in tasca). Tale poetica trovò conferma anche nell'affinità elettiva con scrittori quali H. James, H.P. Roché, R. Bradbury, C. Woolrich.

L'aspetto più importante del suo lavoro fu però il concetto di cinema portato 'fino all'estremo', cioè un bisogno di cinema che spinse il regista (per il quale contava solo lo schermo, in quanto realtà autonoma più armoniosa della vita) a rischiare e a lanciare delle sfide, per es. girando negli anni che egli definiva 'del terrorismo ideologico' due film straordinari per libertà intellettuale e anticonformismo come Baisers volés e La sirène du Mississippi (1969; La mia droga si chiama Julie), ma anche evitando i cliché, le idee del momento, le mode e gli sperimentalismi. Estremo fu l'amore di T. per il cinema, ed estremo era stato il suo esordio nella critica militante con un articolo assai aggressivo contro la cinematografia di successo del suo Paese. Ma estremi furono anche i temi e le forme dei suoi film, da Tirez sur le pianiste (1960; Tirate sul pianista) al ciclo centrato sul personaggio di Antoine Doinel (Les 400 coups; Antoine et Colette, episodio del film collettivo L'amour à vingt ans, 1962, L'amore a vent'anni; Baisers volés; Domicile conjugal, 1970, Non drammatizziamo… è solo questione di corna; L'amour en fuite, 1979, L'amore fugge); da Les deux anglaises et le continent (1971; Le due inglesi), storia di un amore reso impossibile da una famiglia e da un continente, ad Adèle H., basato sulla sfida di raccontare una storia d'amore con un solo personaggio; da L'homme qui aimait les femmes (1977; L'uomo che amava le donne), descrizione tenera e impietosa di una nevrosi, a La sirène du Mississippi, che scambia e confonde femminilità e virilità dei personaggi, fino al mélo estremo La femme d'à côté (1981; La signora della porta accanto), storia di un amore assoluto dall'inizio alla sua tragica conclusione.

Giovanissimo cinéphile, aspro polemista, amorevole curatore di libri, tenero regista, autore premiato e attore indimenticabile di alcuni suoi film (L'enfant sauvage, La nuit americaine, La chambre verte) ma anche di Close encounters of the third kind (1977; Incontri ravvicinati del terzo tipo) di Steven Spielberg, dove interpreta lo scienziato Lacombe: le tappe della sua esistenza sono tutte qui, legate al cinema, incomprensibili senza il cinema, quest'arte indiretta, come egli stesso l'ha definita, che nasconde mentre mostra.

Bibliografia

Tra i principali scritti di Truffaut si segnalano:

Les films de ma vie, Paris 1975 (trad. it. Venezia 1978).

Le plaisir des yeux, Paris 1987 (trad. it. Venezia 1992).

Correspondance, éd. G. Jacob, C. de Givray, Paris 1988 (trad. it. Autoritratto, lettere 1945-1984, Torino 1989).

Le cinéma selon François Truffaut, éd. A. Gillain, Paris 1988 (trad. it. Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma 1990).

Sul suo pensiero critico e sul suo cinema, vedi:

D. Fanne, L'univers de François Truffaut, Paris 1972.

J. Collet, Le cinéma de François Truffaut, Paris 1977.

A. Insdorf, François Truffaut, Boston 1978.

V. Giacci; François Truffaut: le corrispondenze segrete, le affinità dichiarate, Roma 1995.

A. de Baeque, S. Toubiana, François Truffaut, Paris 1996.

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