Comparative, frasi

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

comparative, frasi

Cristiana De Santis

Struttura e tipi

Le comparative sono frasi subordinate che introducono un paragone rispetto a un termine (detto comparato o primo termine di paragone) della frase reggente o principale. La frase comparativa, normalmente posposta alla principale, contiene o costituisce essa stessa il comparante o secondo termine di paragone.

Dal punto di vista della loro funzione, le comparative sono proposizioni non-completive (➔ completive, frasi), ovvero non strettamente dipendenti dal verbo della principale, solitamente caratterizzate dalla presenza, nella principale, di ➔ quantificatori come tanto, più, meno, ecc. Questo legame strutturale ne fa una struttura subordinata sui generis, per certi aspetti più vicina alla coordinazione che alla subordinazione avverbiale. Nella prospettiva generativa, le comparative sono considerate frasi costruite con il movimento di un elemento quantificatore (ad es. quanto) in posizione iniziale di frase (cfr. Donati 2000).

Con Serianni (1988: 611 segg.) distinguiamo le comparative propriamente dette (o comparative di grado) dalle comparative di analogia: le prime stabiliscono con la principale una relazione quantitativa che, alla stregua della comparazione che verte sull’aggettivo (➔ comparazione; ➔ secondo termine di paragone), prevede tre gradi (uguaglianza, maggioranza e minoranza); le seconde, generalmente introdotte da come, istituiscono una generica relazione qualitativa, di somiglianza reale o ipotetica con la principale.

Queste frasi sono considerate da alcuni grammatici come tipi sintattici autonomi e trattate nel capitolo delle frasi modali (Dardano & Trifone 1997: 415 seg.). Generalmente si includono nella famiglia delle comparative anche i paragoni nominali, ovvero quelle strutture in cui il secondo termine della comparazione non coincide con una frase ma con un sintagma e può essere interpretato come risultato della cancellazione o ellissi del verbo.

Le comparative di grado

Le comparative di uguaglianza sono introdotte dalle congiunzioni come e quanto; nella principale gli elementi correlativi sono rispettivamente così e tanto (variante antica cotanto); il correlativo può tuttavia mancare (cfr. 2 e 4) (➔ correlative, strutture). Meno frequente il nesso tale … quale (5), più spesso usato per i paragoni nominali. Un’ulteriore possibilità è data dalle locuzioni formate con modo (allo / nello stesso modo che):

(1) la febbre suina non è così cattiva come si pensava

(2) mi presi cura di loro come avrei fatto con te

(3) vale tanto oro quanto pesa

(4) arrivare troppo presto è dannoso quanto arrivare troppo tardi

(5) tale è l’uomo qual è la lingua sua (Antonio Brucioli, cit. in GDLI s.v. tale)

(6) le equazioni delle tre rette ceviane si ottengono nel sistema obliquo allo stesso modo che in un sistema ortogonale

Nelle comparative di uguaglianza il verbo è di norma al modo indicativo nel costrutto esplicito; il congiuntivo è escluso; il condizionale può essere usato per esprimere una sfumatura ipotetica (2). L’infinito è usato nel costrutto implicito (più raro) in corrispondenza di un infinito nella principale (4).

Le comparative di maggioranza, che sono le più diffuse nell’uso parlato e quindi le più naturali all’orecchio del parlante, sono introdotte nella forma esplicita dalle locuzioni di quanto, di quel(lo) che, di come (più rara) o dalla congiunzione che (di regola nell’italiano antico, è oggi usata soprattutto nei paragoni nominali, in particolare nelle varietà settentrionali di italiano: ad es. più sete che fame) mentre nella principale è presente il correlativo più o un altro avverbio o aggettivo di forma comparativa (meglio, maggiormente, migliore, maggiore):

(7) all’Europa diamo più di quello che riceviamo

(8) è andata meglio di quanto immaginassi / immaginavo / avrei immaginato

Il modo indicativo, normale nell’italiano antico, è oggi usato solo quando il paragone riguarda due eventi o fatti reali (7). Quando invece il processo principale è paragonato a un’aspettativa irrealistica del parlante (8) è di regola il congiuntivo, che serve proprio a segnalare la frustrazione dell’attesa; l’indicativo è tuttavia attestato nei registri di media e bassa formalità; il condizionale può comparire occasionalmente con valore ipotetico.

Nella forma implicita, col verbo all’infinito, la comparativa di maggioranza è introdotta dalle sequenze più che, piuttosto che, piuttosto di:

(9) più che parlare, ci piace far parlare di noi

(10) osa creare piuttosto che cercare di imitare

Queste frasi sono state definite pseudocomparative (Belletti 1991: 852) perché non stabiliscono una comparazione in senso stretto, ma una semplice correlazione di tipo avversativo con la principale. Va segnalata al proposito la tendenza (biasimata da molti) nell’uso contemporaneo, specie parlato, a usare piuttosto che in paragoni nominali per proporre un’alternativa di tipo inclusivo anziché esclusivo come nell’uso canonico:

(11) abbiamo inviati dappertutto: negli Stati Uniti e in Pakistan piuttosto che in Medio Oriente (in De Santis 2000: 339)

Le comparative di minoranza hanno le stesse proprietà di quelle di maggioranza. Sono introdotte dalle locuzioni di quanto, di quel(lo) che, di come o dalla congiunzione che; nella principale è presente il correlativo meno (che può essere variato con peggio, minore, peggiore).

(12) mangiare e dormire in Giappone è meno caro di quanto si pensi

(13) governare una famiglia è poco meno difficile che governare un regno (Michel de Montaigne)

Nelle comparative di disuguaglianza (maggioranza e minoranza) si può avere prima del verbo un non pleonastico (detto anche espletivo), che non ha valore negativo ma rafforzativo. La sua presenza, che nell’italiano antico era sistematica, è oggi facoltativa e non prevedibile, ma più frequente nei registri formali (parlati e scritti) e quando la frase sia al congiuntivo o al condizionale. Va comunque sottolineato che, se nella principale c’è un non negativo, nella comparativa non potrà essere usato il non espletivo.

(14) è più calorosa e amichevole di quanto non mi aspettassi

Il non espletivo nelle frasi comparative è usato anche in altre lingue europee (per es., ted. ich bin kränker, als du nicht denkst «sono più malato di quel che tu non pensi», fr. Il est plus riche qu’il ne semble «è più ricco di quanto non sembri»: cit. da Sornicola 2006: 1662) e può essere spiegato sul piano semantico come frutto di una strategia discorsiva che porta a (nascondere) la negazione del contenuto della subordinata (nella frase tedesca il soggetto non è ritenuto malato, in quella francese non sembra ricco; nell’es. 14 l’aspettativa violata corrisponde a un giudizio negativo sul soggetto, ecc.) dietro la struttura comparativa; si tratterebbe insomma di un elemento che segnala una divergenza tra l’opinione o l’aspettativa del parlante e la realtà.

Accanto alle relazioni di uguaglianza e disuguaglianza va citata la relazione di proporzionalità, che presenta il grado, ovvero l’aumento o diminuzione della quantità o qualità espressa dal secondo termine di paragone, non in modo assoluto ma in modo proporzionale rispetto al contenuto della principale. La proporzione può essere diretta; crescente: (tanto) più … (quanto) più …, o decrescente: (tanto) meno … (quanto) meno; oppure inversa: (quanto) più … (tanto) meno, (quanto) meno … (tanto) più. Stabiliscono un rapporto comparativo di tipo proporzionale anche i nessi via via che …, (a) man(o) (a) mano che … e l’abusato nella misura in cui:

(15) Tanto più la poesia s’accosta a perfezione, [...] quanto più agile e franco l’andamento delle idee, evidente lo stile, vivido il metro (Niccolò Tommaseo)

(16) I cervelli mediocri lavorano tanto meno, quanto più il frasario o vocabolario della loro nazione ci mostri lucidi e attraenti [...] gli spiccioli del ragionamento o del pensiero comune (Graziadeo Isaia Ascoli)

(17) È legge fondamentale del romanzo che i personaggi hanno vitalità e “verità” nella misura in cui l’autore riesce a suscitare nel lettore gli stessi affetti dai quali sono mossi (Lorenzo Montano).

Le comparative di analogia

Le comparative di analogia, che stabiliscono la conformità del contenuto della subordinata rispetto a quello della principale, sono generalmente introdotte da come o, più di rado, da locuzioni costruite con modo (nel modo in cui e sim.).

(18) E caddi come corpo morto cade (Dante, Inf. V, 142)

Come si vede chiaramente da quest’esempio, l’ellissi del verbo nella subordinata (cade, qui mantenuto per esigenze metriche e retoriche) dà facilmente luogo a un paragone nominale.

In presenza di un elemento correlativo nella principale (così, tale o il meno comune anche) la comparativa può essere anteposta alla principale, come nel tipo letterario come (variante antica sì come) … così (più raro ) …, che struttura molte similitudini dantesche:

(19) Come fa l’onda là sovra Cariddi

[…]

così convien che qui la gente riddi (Dante, Inf. VII, 22 segg.)

Nei testi della nostra tradizione letteraria è diffusa anche la correlazione tale … quale …, anch’essa capace di strutturare comparazioni di ampio respiro:

(20) Quali fioretti dal notturno gelo

[…]

si drizzan tutti aperti in loro stelo

tal mi fec’io di mia virtude stanca (Dante, Inf. II, 127 segg.)

Si noti che, in assenza dell’elemento correlativo e del conseguente parallelismo tra principale e subordinata, l’interpretazione di quest’ultima può più facilmente scivolare su un valore modale.

Prive di elementi correlativi sono le comparative incidentali parentetiche, che inseriscono un commento nel discorso, spesso con valore probante (ad es., come vedi, come sai, come è stato detto, ecc.).

Il modo tipico delle comparative di analogia è l’indicativo per il costrutto esplicito. Il condizionale può essere usato con sfumatura eventuale:

(21) ha diviso, come si direbbe in gergo teatrale, il pubblico

Il congiuntivo può essere usato quando la comparativa, introdotta da secondo (che) o a seconda che, contiene un’alternativa:

(22) i pronomi di alcune persone variano di forma a seconda che l’oggetto sia diretto o indiretto.

Nel costrutto implicito si usa invece l’infinito (che presuppone un infinito nella principale).

Raro il gerundio, usato quando la comparativa ha una connotazione ipotetica:

(23) se, mentre cercate di raggiungere la verticale, sentite che vi state ribaltando, dovete prontamente curvare la schiena, come facendo una capriola

Hanno interpretazione ipotetica anche le comparative introdotte da come se e quasi (che) con il congiuntivo, che presentano il contenuto della subordinata come un’ipotesi:

(24) la voce bassa di Edward si incupì all’improvviso, come se stesse per perdere le staffe

Le frasi comparative possono del resto risolversi anche in subordinate di diversa natura, come relative (come chi …), finali (come per …), temporali (come quando …).

Fonti

GDLI 1961-2008 = Grande dizionario della lingua italiana, a cura di S. Battaglia, Torino, UTET.

Studi

Belletti, Adriana (1991), Le frasi comparative, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2º (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), pp. 832-853.

Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.

De Santis, Cristiana (2000), L’uso di ‘piuttosto che’ con valore disgiuntivo, «Studi di grammatica italiana» 20, pp. 339-350.

Donati, Caterina (2000), La sintassi della comparazione, Padova, Unipress.

Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.

Sornicola, Rosanna (2006), Un problema di linguistica generale: la definizione e la giustificazione degli espletivi, in Studi linguistici in onore di Roberto Gusmani, a cura di R. Bombi et al., Alessandria, Edizioni dell’Orso, 3 voll., vol. 3°, pp. 1651-1671.

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