DELLA SCALA, Fregnano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA SCALA, Fregnano

Antonio Menniti Ippolito

Nacque a Verona, figlio naturale di Mastino (II) Della Scala signore di quella città sin dal 1329. Fu, con tutta probabilità, il maggiore tra i dodici figli di Mastino (sei legittimi avuti dalla moglie Taddea da Carrara e sei naturali, a questo nati "ex pluribus mulieribus": Paride de Cereta). Mancano dati certi sulla sua data di nascita, che dovette comunque essere antecedente al 1332, anno in cui nacque il fratellastro Cangrande (II), il futuro signore di Verona.

Il primo documento che riguarda il D. risale al 1º febbr. 1340. Si tratta della donazione di una casa con loggia, corte e orto, situata in contrada S. Andrea di Verona, fatta "nobili viro Fregnano filio domini Mastini de la Scala" da Bartolomeo Verità del fu Iacopo, eminente personalità della corte scaligera. Il 4 giugno 1342, il D., a mezzo del suo fattore generale Oliviero del fu Benedetto da Ponton, rilasciò una quietanza per 800 lire a tal Garello del fu Bachino Boncristiani, banchiere, per l'affitto della decima di Malo in territorio vicentino.

Tutte le fonti sono concordi nel considerarlo uomo di particolari virtù, preferito dal padre Mastino. Matteo Villani lo definisce "uomo pro' e ardito d'arme e dì grande animo", e Pietro Azario lo ricorda come uomo di grande eloquenza, "probum et expertum et inter nobiles gratiosum qui, quamvis de legitimo thoro natus non esset, tamen virtutibus instructus esset et uxoratus".Secondo una notizia riportata soltanto da A. Carli, Mastino avrebbe affidato temporaneamente al D., tra il 1344 e il '46, il comando delle truppe veronesi nella spedizione inviata in soccorso di Modena, contro Milano e Mantova. È invece certo che nell'agosto 1345 Mastino fece insignire il figlio del cingolo militare da Obizzo d'Este, suo stretto alleato in quella occasione. Nel 1347 il D. divenne podestà di Vicenza (lo fu di nuovo nel '51-'53) e il 3 dicembre di quell'anno accolse in quella città Luigi I il Grande, re d'Ungheria. Nel 1350 lo Scaligero venne posto a capo degli 800 (o 1000) uomini, spediti da Verona in aiuto del legato pontificio di Romagna, Astorgio di Durifort, contro i figli di Taddeo Pepoli, giovani quanto inesperti signori di Bologna. Il Chronicon Estense, a data 14 sett. 1350, ricorda un'azione militare condotta dal D.; in merito a questa M. Villani racconta che egli avrebbe fatto respingere un accordo negoziato dai Fiorentini e già accettato da Bologna, con il risultato di spingere Giacomo e Giovanni Pepoli a vendere la signoria di Bologna all'arcivescovo Giovanni Visconti. Il Villani sostiene che il D.stesso avrebbe aspirato al potere su Bologna; il che spiegherebbe il motivo della massiccia partecipazione scaligera in aiuto del papa.

Il 3 giugno 1351 morì, di febbre, Mastino (II) e in quello stesso giorno suo fratello Alberto cedette i propri diritti sulla signoria di Verona ai tre figli legittimi del defunto. Cangrande (II), nota l'Azario, cominciò a governare senza curarsi dei due fratelli, che non erano in ogni caso che fanciulli "et pocius de isto domino Frignano", il quale, nel 1352-53, fu assoldato da Venezia insieme con Federico Gonzaga nella guerra per la riconquista della Dalmazia, invasa dal re d'Ungheria. Nel gennaio 1353, il D. era comunque ospite del marchese di Brandeburgo, a Trento, dove vinse un torneo. Nel febbraio 1354 si recò a Mantova per le nozze di Filippo Gonzaga; fu qui che, secondo il Platina, egli cominciò a tramare con i Gonzaga per scalzare Cangrande dalla signoria.

La rivolta del D. scoppiò nello stesso mese di febbraio 1354, nel momento cruciale della preparazione politica e militare di una lega antiviscontea di cui Verona faceva parte insieme con i Veneziani, i Carraresi e gli Estensi. Il D. approfittò dell'assenza di Cangrande, il quale all'inizio del mese si era recato a Bolzano dal marchese di Brandeburgo suo cognato alla ricerca di aiuti militari. Il signore di Verona era partito recando con sé il fratello Cansignorio, che doveva avere allora quattordici anni, e il fratello naturale Tebaldo; aveva invitato ad accompagnarlo anche il D., il quale aveva rifiutato, sostenendo di non essere in grado di cavalcare. Cangrande aveva allora affidato la città allo stesso D. e ad Azzo da Correggio e aveva lasciato a Verona sua moglie, sua madre e il fratello legittimo Paolo Alboino.

Il complotto del D., che aveva l'appoggio dei Gonzaga (non esistono invece prove di una qualsiasi partecipazione milanese a questi primi avvenimenti, come ritiene il Villani), ebbe inizio nella notte tra il 16 e il 17 febbraio. Il D. convocò Azzo da Correggio (forse con la falsa promessa di un incontro con la sua amante) e i due notai Celestino e Tebaldo, l'uno responsabile delle truppe, l'altro delle porte cittadine e dei castelli del distretto, e li convinse a sostenerlo nel diffondere la falsa notizia della morte di Cangrande in seguito ad un agguato tesogli dai signori di Castelbarco. Ciò avvenne, di fronte al popolo convocato in assemblea, il lunedì 17, e assieme con la notizia della morte del signore, il D. annunciò che Bernabò Visconti marciava su Verona. La falsa emergenza gli permise di farsi nominare signore della città insieme con Paolo Alboino e con l'assente Cansignorio e di inviare la guarnigione cittadina fuori Verona per opporsi all'avanzata milanese (Bernabò si presentò invece, minaccioso di fronte alle mura, solo il giorno 24). Partiti i soldati, il D.prese a scorrazzare per la città a cavallo urlando "viva il popolo di Verona e muoiano le gabelle" (Villani), dopo aver dato ordine di suonare le campane di S. Fermo per mobilitare i congiurati. Fece ardere i libri delle condanne e altri atti di corte, aprì le porte delle carceri e promise al popolo un'elargizione. Si impadronì delle gioie e del tesoro che erano custoditi dalla moglie di Cangrande, nonché delle suppellettili del palazzo di questo. Nei confronti dei propri familiari il D.si comportò con accortezza: lusingò i fratelli e onorò "ultra modum" (Azario) la madre del fratello spodestato. Tentò di coinvolgere Vicenza negli avvenimenti, ma il podestà cittadino, Giovanni Della Scala, si conservò fedele al signore legittimo e anzi, liberatosi dalla breve cattività in cui lo tennero i partigiani del D., mandò messi a Bolzano perché avvertissero Cangrande. Molti castelli del Veronese si schierarono, invece, con la rivolta.

La sera del 17 giunsero a Verona 300 cavalieri mantovani e 200 ferraresi; questi ultimi erano stati sicuramente inviati in buona fede da Aldobrandino d'Este che aveva ritenuto vera la notizia annunciata dal D. nell'assemblea cittadina. Paolo della Mirandola venne nominato (dal D. per alcuni, dai Mantovani per altri) Podestà di Verona. Tuttavia la presenza dei Mantovani, agli occhi dei Veronesi più aspiranti padroni che alleati, pregiudicò il favore del popolo allo Scaligero ribelle.

Il 22 febbraio Cangrande entrò in Vicenza: raggiunto da aiuti militari carraresi e reclutati cavalieri cittadini, il giorno seguente partì per Verona. Frattanto, alla testa di una numerosa schiera, si era effettivamente mosso Bernabò Visconti con chiari propositi di conquista. Il D. inviò incontro a Bernabò Ugolino Gonzaga e suo fratello Francesco, accompagnati da Guglielmo figlio di Feltrino, perche presentassero al Visconti un'offerta di alleanza. Questo li prese invece come ostaggi e marciò su Verona. I Veronesi, tuttavia, informati dell'accaduto da un servo di Ugolino Gonzaga, riuscirono a predisporre in tempo la difesa della città e a resistere alla porta di S. Massimo all'attacco del Visconti. Quest'ultimo si ritirò allora a Bussolengo, da dove tentò, il giorno seguente, un nuovo attacco alla città. La sua azione, già fortemente ostacolata dai Veronesi, dovette interrompersi, per la comparsa, il 25 febbraio, di Cangrande alle porte di Verona. Già la notte precedente il signore veronese, approfittando della secca dell'Adige, aveva mandato per la via fluviale due uomini perché informassero i cittadini; la mattina seguente riuscì a penetrare entro le mura per la male guarnita e fragile porta del Campo Marzio. Lo scontro si accese prima nel centro cittadino, poi si spostò, per la salda resistenza incontrata, sulle sponde del fiume e sulla fragile struttura lignea del ponte Navi. Più volte Cangrande rischiò di essere respinto fuori dalla stessa porta da cui era penetrato, ma il concorso del popolo a suo favore gli assicurò la vittoria.

Nello scontro il D. morì (25 febb. 1354). Le fonti offrono narrazioni diverse sulla sua morte: per alcune egli annegò per il peso dell'armatura, tentando di passare l'Adige dopo essere stato separato dal grosso dei suoi in seguito al crollo del ponte Navi; per altre, venne sbalzato da cavallo e ucciso da Giovanni Della Scala o da altri. Il suo corpo esanime venne appeso ad un cappio e esposto in piazza Erbe insieme con quello di altri 25 o 34 (anche qui c'è discordanza nelle fonti) compagni di rivolta. Dopo un giorno di esposizione, la moglie di Cangrande ottenne che il corpo del D. continuasse a rimanere sospeso.

Il D. ebbe due figli: Giacomo, ancora vivo nel 1354, che ebbe forse per figlio Anton Maria, e Bartolomeo Michele, morto il 17 sett. 1348.

Fonti e Bibl.: Chronicon Veronense... et continuatio cuiusdam anonimi auctoris, in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., VIII ,Mediolani 1726, coll. 653 ss.; G. et A. Cortusii Historia de novitatibus Paduae et Lombardiae, ibid., XII, ibid. 1728, coll. 939 s.; Chronicon Estense, ibid., XV, ibid. 1729, coll. 461, 479 s.; P. P. Vergerius, Vitae Carrariensium principum, ibid., XVI, ibid. 1730, col. 182; P. Azarius, Chronicon de gestis principum Vicecomitum, ibid., coll. 419 s.; S. et P. Gazata, Chronicon Regiense, ibid., XVIII, ibid. 1731, col. 74; [B. Sacco] Platina, Historia urbis Mantuae, ibid., XX, ibid. 1731, coll. 739 s.; Bartholomeus Ferrariensis Polyhistoria, ibid., XXIV, ibid. 1738, coll. 835-838; Chronicon Mutinense, in Rer. Italic. Script., 2 ed., XV, 4, a cura di T. Casini, p. 154; P. Azarii Liber gestorum in Lombardia, ibid., XVI, 4, a cura di F. Cognasso, pp. 170 ss.; Corpus chronicorum Bononiensium, ibid., XVIII, 1, a cura di A. Sorbelli, p. 540; B. Pagliarino, Croniche di Vicenza, Vicenza 1663, p. 110; M. Villani, Cronaca, Milano-Trieste 1858, pp. 117 ss.; Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, Venezia 1890, pp. 228 s., 258, 267, 312 s.; T. Saraina, Le historie e fatti de' Veronesi, Verona 1542, p. 47; G. Dalla Corte, L'istoria di Verona, Verona 1592, pp. 121, 129; L. Moscardo, Historia di Verona, Verona 1668, pp. 231 ss.; P. Zagata, Cronica della città di Verona, a cura di G. B. Biancolini, I, Verona 1745, pp. 82 s.; G. B. Biancolini, Supplementi alla Cronica di Pier Zagata, Verona 1759, pp. 3111-14; G. B. Verci, Storia della marca trivigiana e veronese, XIII, Venezia 1789, pp. 54, 107, 171-79; A. Carli, Istoria della città di Verona sino all'anno MDXVII, IV, Verona 1796, pp. 125 s., 190-205; S. Romanin, Storia docum. di Venezia, III, Venezia 1913, p. 168; L. Simeoni, La ribellione di F. D. e la politica generale italiana, in Atti dell'Acc. di agricoltura, scienze e lettere di Verona, s. 5, XVI (1938), pp. 27 ss.; E. Rossini, Verona dalla morte di Cangrande alla fuga di Antonio Della Scala, in Verona e il suo territorio, III, 1,Verona 1975, pp. 689, 692, 751 s.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Scaligeri di Verona, tav. II; G. M. Varanini, La classe dirigente veronese e la congiura di F. D. (1354), in Studi storici Luigi Simeoni, XXXIV (1984), pp. 7-63; Gli Scaligeri. 1277-1387, a cura di G. M.Varanini, Verona 1988, ad Ind.

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