HÖLDERLIN, Friedrich

Enciclopedia Italiana (1933)

HÖLDERLIN, Friedrich

Giuseppe GABETTI

Poeta tedesco, nato a Lauffen sul Neckar il 20 marzo 1770, morto a Tubinga il 7 giugno 1843: vissuto per quasi quarant'anni in stato di pazzia; noto per oltre un secolo soltanto per la sua prima opera come poeta di una delicata sensitività sognante; poi, dopo la pubblicazione degl'inni e frammenti scoperti da N. v. Hellingrath (1916), divenuto per comune consenso il poeta lirico di più grandiosa ispirazione che la Germania abbia avuto fra Goethe e Nietzsche.

Studente a Tubinga (1788-1793), vi si trovò accanto a Hegel e a Schelling; entusiasmandosi insieme con loro per i "diritti dell'umanità" quando scoppiò la rivoluzione; e soprattutto leggendo insieme con loro Kant, Spinoza e Platone e rneditando e fantasticando alla ricerca di una nuova filosofia, che scoprisse nella realtà i simboli dell'universo mistero. L'interferenza reciproca della partecipazione spirituale di Hegel, Schelling e H. fu così intensa che resta fino a oggi in discussione a quale dei tre debba essere attribuito un importante manoscritto di mano hegeliana, che nel 1913 fu pubblicato da Fr. Rosenzweig col titolo Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus.

Un posto d'istitutore in casa di Charlotte von Kalb a Waltershausen (1793-94) e un successivo soggiorno a Jena (1794-95), dove H. poté udire anche le lezioni di Fichte, portavano, in seguito, H. nel mondo vicino a Schiller e a Goethe. Goethe lo accolse con benevolenza, ma si limitò a dargli dei consigli, perché non perdesse contatto con la realtà e mirasse nella poesia a rappresentare concrete figure di uomini. Schiller invece gli pubblicò fin dal 1793 tre liriche - An den Genius der Kühnheit, Griechenland, An das Schicksal - nella Neue Thalia; e poiché, superato un iniziale momento klopstockiano e un successivo momento idillico alla Matthisson, H. era stato affascinato dallo slancio oratorio della sua lirica, lo assisté con attenzione e interesse. E tutti schilleriani - nell'entusiasmo - per le idee di umanità, di libertà, di bellezza, di amore, come nel melodioso impeto - furono gl'Inni - An die Menschheit, An die Schönheit, An die Freiheit, An die Liebe, An die Freundschaft, ecc., che diedero a H. allora la prima fama. Ma di rado accadde a un poeta quel che accadde a H.: che, ritrovando il suo naturale genio, ne sia stato spinto verso un tono di poesia così profondamente nuovo e diverso da tutto ciò che egli aveva prima tentato. Il supremo decisivo valore che i successivi anni di Francoforte (1796-98), ebbero riello sviluppo spirituale di H., consistette nel fatto che attraverso la passione per Susetta Gontard - la madre dei bimbi di cui egli era divenuto precettore - H. fu ricondotto a quell'interiorità assorta, estatica, che era la sostanza vera della sua natura.

Quando per l'influenza di forze esterne l'idillio sarà spezzato, H., nella elegia Menons Klage um Diotima (1798), paragonerà la vita sua e dell'amica nei giorni felici a uno scivolar calmo di cigni sopra le acque di un lago: e veramente si creò nello spirito di H. una disposizione d'animo quale la similitudine suggerisce. Il mondo è non più che "ombra di nuvola dinnanzi alla fuggente luna". La vita è divenuta interiorità pura: armonia compiuta in sé medesima. Tutte le brevi liriche del ciclo che intorno alla figura di Diotima si raccoglie sono così "groppi di angoscia", che dolcemente si sciolgono, "tumulti di affanno" che dolcemente si placano, finché l'anima riposa, beata, nella propria pace.

Tutto il grande H. nasce da questa estasi. Prima di tutto gli si schiude, in questo stato d'animo, una poesia nuova della sua terra nativa, dove gli è dato di vivere "come fra Genî amici, fra gli alberi in fiore" (Der Neckar, Der Mam, Heidelberg ecc.). E contemporaneamente riesce a prendere forma definitiva nel suo spirito il romanzo Hyperion.

Concepito su una lettura del Graf Donamar di Bouterwek ed elaborato sotto l'influenza di idee schilleriane (1794); rinnovato poi in un tentativo di stilizzazione in versi (1794); ripreso ancora in tono di racconto (1795) e poi sviluppato sotto l'influenza del Lovell di Tieck (1796), con una posizione spirituale, in cui riecheggiano, con uno sforzo di. personale interpretazione, i grandi motivi della nascente filosofia idealistica da Fichte a Schelling; condotto a termine finalmente in forma epistolare (Hyperion oder der Eremit in Griechenland, 1797-1799) in una poesia di tono delicato, etereo, nella quale l'azione si risolve in un succedersi di momenti lirici e i problemi di idee delle redazioni anteriori, pur mantenendosi ancor sempre presenti, si disciolgono in una unità di stato d'animo assorto e sognante.

Gli stessi anni di solitudine a Homburg an der Höhe (1798-1800), non furono che un approfondimento dello spirito di H. nella stessa direzione. H. vi prese coscienza della spirituale forza che in quella sua interiorità era latente; e dalla profondità della sua esperienza comprese in una luce nuova l'umanità e la vita: cosicché una nuova concretezza e consistenza ne derivò alla sua poesia; e anche la Grecia, "cercata sempre con l'anima", ma ancora nello stesso Hyperion rimasta evanescente, incorporea, gli si fece presente nella fantasia in evidenza di visione, come "serenità nata dalla passione e bellezza nata dal dolore" e mitica immagine della propria sorte e dell'umano destino (Der Archipelagus). E H. vi prese coscieuza del fondamento mistico della sua natura. E nel sentimento di Dio la sua vita trovò la nuova beatitudine.

Nella loro forma conchiusa, le odi di metrica oraziana di questo tempo (dall'ode Der Prinzessin A. von Homburg, a Mein Eigentum, a Bitte, a Der Winter, a Die Heimath, a Lebenslauf, a Der Abschied, a An Eduard, a Ermunterung, a Das Ahnenbild, a An Landauer, a Der Gefesselte Strom, a Dichtermut, a Unter den Alpen gesungen: 1799-1801, ecc.), sono come la poesia di una religiosa "annunciazione", in cui lo spirito del poeta, cosciente dell'umano dolore, lo supera nella calma di una mistica attesa, dove Iddio è, dappertutto, guida invisibile nelle vie della vita.

L'evoluzione ulteriore di H. nacque da un penetrar più a fondo nell'intuizione della realtà, come un conseguente urto fra la realtà e quel suo così fragile interno equilibrio. H. ne fu trascinato in una tragica situazione spirituale, la quale non aveva più altra soluzione che una mistica esaltazione o la follia. E tutte e due furono il suo destino.

Già in talune odi, come in Der blinde Sänger, l'accento della poesia diventa tragico. E in altre liriche, in parte rifacimenti di odi anteriori (v. Nachtgesänge), è una tensione estrema dello spirito, prossima allo schianto. Combattuta fra la realtà e il sentimento della vicinanza di Dio l'anima del poeta è agitata, e s'esalta o s'accascia: è il dramma che è al centro dell'Empedokles, che, concepito già nel 1797, venne via via accogliendo, in tre successive redazioni (1799, 1800, 1802) le esperienze successive del poeta, senza riuscire a chiarirsi definitivamente. Né si poteva chiarire, perché era un problema ultimo che H. non poteva più superare, né contemplare distaccato da sé in un puro mondo d'immaginazione. Anche questa volta la disposizione spirituale di H. era nel suo ardor mistico sostanzialmente lirica. In forma ancor conchiusa e a vaste ritmiche riprese, le grandi elegie Heimkunft (1801), Die Herbstfeier (1801), Brot und Wein (1801) furono il primo risultato di questa nuova ispirazione, con un tono che ancora richiama allo stato di mistica attesa proprio delle odi, ma con una saturità di colore e con un'intensità di pathos tali che la poesia ne riceve un carattere di allucinata visionarietà. Poi, addestratasi l'arte di H. nella traduzione di Pindaro, la poesia prorompe libera nella forma dell'inno (Der Rhein, Germanien, Die Wanderung, Der Einzige, Patmos, Die Titanen, Wenn wir am Feiertage, Der Mutter Erde, Am Quell der Donau, Der Adler, ecc.: dal 1801 al 1803). Ed è una poesia ditirambica che procede a sbalzi attraverso un succedersi d'improvvise illuminazioni interiori (v. anche i frammenti: Dem Allgenannten, Deutscher Gesang; Tizian; An die Madonna; Indessen lass mich wandeln; Wie Vögel langsam ziehn; Wenn nemlich der Rebe Saft; Der Fürst; Viel tuet die gute Stund; Colomb, ecc.); e non soltanto gli svolgimenti logici del pensiero, divenuti indifferenti ai fini della poesia, restano sommersi nel flusso sotterraneo dell'ispirazione; ma il linguaggio stesso, spogliandosi di ogni schiavitù ai nessi logico-sintattici consuetudinarî, ritrova in nuovi rapporti sintattico-ritmici la sua originaria natura estetica, lirica.

Al poeta null'altro è rimasto fuorché "il suo Iddio e il suo canto, diventati una cosa sola". E nella luce di Dio che d'ogni parte gli si svela, è come se la vita universa gli si faccia trasparente. Ogni limite di spazio e di tempo è annullato: dappertutto la vita è realtà d'Iddio, in cui perennemente si rinnova il mondo. E il poeta vi si concede in totalità d'abbandono. E ora indugia in una delicatezza di aderenze anche sensuali alle immagini della realtà, quale la poesia moderna non conosceva ancora; ora invece si arresta, come impietrito, dinanzi alla fulminea rivelazione delle leggi implacabili a cui soggiace tutto ciò che esiste. Le cose più lontane si fanno vicine; nella parola tremante del poeta è Iddio che parla. Già il Dilthey avvertiva in Hälfte des Lebens l'alba di una poesia nuova. E in verità, la letteratura moderna non ha poesia d'ispirazione cosmica più alta e più pura di quella nata, sulla soglia della follia, dalla candida anima di questo veggente fanciullo.

Anche la vita di H. in questi anni, con quel suo migrar continuo da Homburg a Nürtingen (1799), a Stoccarda (1800), a Hauptwil (1801), a Nürtingen (1801), a Bordeaux (1801-02), ha un carattere quasi di leggenda. Quando nell'aprile del 1802, lasciato il posto di precettore a Bordeaux e attraversata la Francia a piedi, comparve a Stoccarda in casa di Matthisson, la forza di coesione del suo spirito era spezzata. Tenne ancora nominalmente per due anni (1804-1806) un posto di bibliotecario a Homburg: poi, collocato a Tubinga in casa di un falegname che ne ebbe cura, fu "un assente della vita" per quasi quarant'anni, finché morì.

Opere: 1a ed. Sämmtliche Werke, ed. Chr. Th. Schwab, voll. 2, Stoccarda 1846. Fra le molte ediz. moderne, di W. Böhm, di H. Brandenburg, di Fr. Seebass, di U. Schneider, di M. Joachimi-Dege, ecc., le fondamentali sono quelle di N. Hellingrath, continuata da F. Seebass e da L. Pigenot, voll. 6, Berlino 1913-23, e quella di F. Zinkernagel, Lipsia 1922-25. Fra le traduzioni italiane, oltre una traduzione dell'inno Griechenland, fatta dal Carducci, in Rime e Ritmi, v., per l'Hyperion, dopo una vecchia traduz. del Parpagliolo, Milano 1886, e la frammentaria trad. della Martegiani, Lanciano 1911, la nuova traduzione di G. A. Alfero, Torino 1931. Alcune delle liriche sono state tradotte da L. Bianchi, Bologna 1925.

Bibl.: F. Seebass, Hölderlin-Bibliographie, Monaco 1922. Fra le opere anteriori all'ed. Hellingrath, cfr. K. Litzmann, H.s Leben, Berlino 1890, con abbondante epistolario; W. Dilthey, Das Erlebnis und die Dichtung Berlino 1906; F. Zinkernagel, Die Entwiklungsgeschichte von H.s Hyperion, Strasburgo 1907; F. Gundolf, H.s Archipelagus, Heidelberg 1911. Fra le opere posteriori v. particolarmente N. Hellingrath, Pindarübertragungen v. H., Jena 1911: id., Hölderlin, 2 discorsi, Berlino 1916; A. v. Grolman, H.s Hyperion, Karlsruhe 1919; C. Viëtor, Dye Lyrik H.s, Francoforte 1921 e Die Briefe der Diotima, Francoforte 1921; J. Clavérie, La jeunesse de H., Parigi 1921; V. Erdmann, H.s äesthetische Theorie, Jena 1923; H. Brandenburg, F. H., Lipsia 1924; O. Kohlmeyer, Hyperion, Francoforte 1924; W. Michel, F. H., saggi, Weimar 1925; S. Zweig, Der Kampf mit dem Dämon, Lipsia 1925; K. J. Obenauer, H., Novalis, Jena 1925; W. Böhm, F. H., voll. 2, Berlino 1928-30, discutibile in molte affermazioni e valutazioni, ma d'indispensabile consultazione. In Italia, oltre i voll. di G. Amoretti, H., Torino 1926; I. Majone, Torino 1930, v. saggi varî di A. Oberdofer, in Rivista d'Italia, 1915; A. Spaini, in La Rassegna Italiana, 1920; R. Bottacchiari, in La Cultura, 1925; G. Gabetti, in Il Convegno, 1927-28; A. Farinelli, in L'Europa nel secolo XIX, I, Padova 1927.