Frustrazione

Universo del Corpo (1999)

Frustrazione

Mario Reda
Vittorio Volterra

Il termine frustrazione (che deriva dall'avverbio latino frustra, "invano") è stato introdotto da S. Freud per indicare la situazione psicologica conseguente al mancato od ostacolato appagamento di un bisogno. La frustrazione può essere utile per lo sviluppo dell'Io e per i suoi adattamenti, ma, se eccessiva, può essere nociva in quanto può facilitare la messa in atto di meccanismi aggressivi oppure regressivi e anche di fissazione. Oltre che dalle situazioni oggettive esterne, essa dipende anche dal mondo interno, quando per es. è il Super-Io a porre divieti al raggiungimento di una soddisfazione.

Condizioni di frustrazione

di Mario Reda

Si definisce frustrazione la condizione permanente oppure temporanea nella quale viene a trovarsi l'organismo quando è ostacolato nella soddisfazione dei propri bisogni. La frustrazione costituisce, quindi, una condizione anomala di blocco di una motivazione che, quando non viene superata, dà origine a un comportamento specifico che in taluni casi va a incidere sull'adattamento personale. Il termine designa sia la causa di tale condizione sia lo stato di colui che la subisce. Secondo S. Rosenzweig (1934), il significato del termine può essere riferito tanto alla mancanza dell'incentivo soddisfacente il bisogno, quanto alla presenza di un ostacolo o barriera che ne impedisce il soddisfacimento. È inoltre possibile una terza causa frustrante che deriva da uno stato conflittuale non risolto. Sulla linea di Rosenzweig, C.T. Morgan (1961), in un approfondito studio sulle barriere che determinano la frustrazione, le definisce esterne se generali o sociali, o interne all'organismo se sociopersonali e, inoltre, complete o incomplete in relazione alla possibilità che l'individuo ha di superarle.

Secondo J.C. Colemann e C.L. Hammen (1974, 1991) le più significative condizioni di frustrazione, alcune delle quali chiaramente legate ai contesti sociali ove l'individuo svolge la propria vita, possono essere: 1) la mancanza di risorse, cioè di mezzi atti a soddisfare i bisogni; 2) la perdita, che si può configurare come scomparsa di una persona cara, interruzione di una amicizia, modificazione del ruolo o dello status sociale, e che causa frustrazione quando pone l'individuo in una condizione di impotenza nei confronti di eventi imposti da altri; 3) il ritardo, in un contesto sociale e culturale in cui si enfatizzano la velocità e l'efficienza; 4) il fallimento, cioè la percezione di non essere stati in grado di affrontare e risolvere situazioni; 5) la competizione sociale, quando l'oggetto per cui si compete è irraggiungibile. Al contrario, autori come J.S. Brown e I.E. Farber (1951, 1960), M.H. Marx (1963), R. Lawson (1965), che hanno analizzato e descritto anche la natura e l'origine delle barriere all'interno della frustrazione, sostengono che altre cause, sul piano comportamentale, possono essere responsabili di un blocco nel processo motivazionale. Tra queste vi sono la mancanza o la diminuzione di una ricompensa, un intralcio all'inizio di una relazione, un fallimento accompagnato da punizione. Lo stesso Rosenzweig, dopo aver definito per primo il concetto di frustrazione, ha individuato le modalità con le quali essa si determina costruendo un test proiettivo (Rosenzweig picture-frustration study; Rosenzweig 1978), in grado di costituire delle tipologie attraverso tre variabili considerate determinanti: 1) quanto l'ostacolo o barriera domina il comportamento dell'individuo; 2) con quale e quanta energia quest'ultimo si difende dalla situazione frustrante; 3) con quale persistenza compare il bisogno. La frustrazione si presenta dunque a livello individuale in maniera non omogenea e si differenzia in relazione al peso assunto da ciascuna delle tre variabili.

Frustrazione e comportamento

di Vittorio Volterra

La frustrazione può provocare un aumento del livello di motivazione oppure, al contrario, una reazione di fuga e di allontanamento; più spesso, però, induce aggressività (velata o manifesta). Il comportamento aggressivo risulta, in linea di massima, direttamente legato alla gravità e al tipo di frustrazione (v.aggressività). Molti sostengono che soltanto le frustrazioni ingiuste generano aggressività, anche se poi le presunte frustrazioni giuste possono attivare disposizioni aggressive, in seguito magari giudicate inopportune in quella situazione. A tale proposito C.B. Fester (1957) e L. Berkowitz (1975) affermano che le frustrazioni evocano aggressività a causa più della loro contrarietà che della loro natura, e che i loro effetti si riversano in vari modi sul comportamento, sulla vita emotiva e sulle condotte sociali. La frustrazione può quindi innescare meccanismi ora aggressivi, come nel caso di chi impegna le proprie energie per raggiungere la soddisfazione a tutti i costi indipendentemente dalle regole del contesto e dalle circostanze che la impediscono, ora regressivi, quando provoca il ritiro delle stesse energie fino a generare una condizione di apatia, d'inerzia globale e di rifugio in fantasie sostitutive, ora di fissazione, quando insorge uno stato d'animo di rinuncia e di ritiro per sfiducia in sé stessi.

Spesso si tende a combinare frustrazione e gratificazione e a definirle come le condizioni di un organismo di fronte all'assenza o alla presenza di una risposta piacevole attesa in relazione a uno stimolo, a una domanda, o a un'esigenza. Questa combinazione si riallaccia al punto di vista di S. Freud, che connette la frustrazione all'assenza di un oggetto capace di soddisfare le pulsioni, da lui distinte in due categorie: quelle di autoconservazione, che richiedono per il loro soddisfacimento un oggetto esterno e sono sempre suscettibili di frustrazione, e in quelle sessuali, che si possono soddisfare anche in forme sostitutive autoerotiche o fantasmatiche. In genere le persone si difendono dai contenuti frustranti cercando di allontanarli dalla coscienza, ricorrendo più o meno frequentemente a quella forma impropria di scotomizzazione dei pensieri, dei ricordi spiacevoli e degli impulsi bloccati e insoddisfatti, che consiste nel non prendere atto di determinati accadimenti e delle loro conseguenze. Questi atteggiamenti possono avvenire in maniera cosciente e intenzionale - tramite repressione - oppure in forma inconscia e automatica, secondo il meccanismo della rimozione, che può dare origine a sintomi nevrotici di vario tipo o all'angoscia. Alcune persone persistono in un determinato comportamento anche dopo aver subito frustrazioni e in presenza di persistenti aspetti frustranti se, in precedenza, sensazioni gratificanti si alternavano ad altre non gratificanti. Esistono poche indagini adeguate in merito alle relazioni tra le esperienze frustranti subite durante l'infanzia e le caratteristiche di personalità e l'assetto psichico dell'età adulta. Ciò è dovuto, in larga misura, al fatto che le ricerche su questo tema richiedono studi longitudinali, non soltanto costosi, ma anche difficilmente realizzabili. Al contrario, vi sono molti studi sugli effetti a breve termine della frustrazione e vari esperimenti tesi a illuminarne gli aspetti. S. Rosenzweig (1978), in base all'osservazione che alcune persone sono quasi indifferenti alle esperienze di insuccesso, mentre altre reagiscono a esse fortemente, così come alcune sono propense ad attribuirsene la responsabilità, mentre altre ne imputano la colpa alle circostanze esterne o ad altri, ha accertato che il più significativo metodo atto a studiare le reazioni alla frustrazione è quello di valutare le risposte a disegni e schizzi rappresentanti una situazione frustrante. Questa procedura (Rosenzweig picture-frustration study; v. sopra), ancora oggi in uso come strumento sia di ricerca sia di misura della personalità, permette di differenziare le reazioni extrapunitive, che si verificano quando la persona contrastata reputa la frustrazione dovuta a cause esterne, da quelle intrapunitive, che si evidenziano quando chi risponde si autoaccusa, e da altre ancora, non punitive, che neutralizzano o minimizzano i problemi.

Per indicare le reazioni alla frustrazione sono nate così coppie di termini quali frustrazione-aggressività, frustrazione-regressione e frustrazione-fissazione. Rosenzweig e la maggior parte degli psicologi affermano che l'aggressività è il comportamento più frequente, anche se non esclusivo, di fronte alla frustrazione; che l'autopunitività all'occasione può essere costruttiva, in quanto può stimolare la creatività e attivare l'ingegno per nuove soluzioni e che la tolleranza di fronte alla frustrazione, ovvero la capacità di mantenere un sereno distacco, è in genere più proficua per il frustrato che il soffermarsi sulla propria sconfitta. Indagini sulla frustrazione sono state compiute dopo il primo lavoro di Rosenzweig sull'argomento (1934) sia per sostenerlo sia per criticarlo. J. Dollard e i suoi collaboratori (1939), nel confermare che l'aggressività è la reazione più frequente alla frustrazione, hanno accertato che la modulazione della sua intensità è determinata dall'intensità del desiderio di ritorsione. Altre ricerche (Barker-Dembo-Lewin 1941), riguardanti la relazione tra frustrazione e regressione, hanno invece messo in evidenza che, nella maggior parte dei casi, la frustrazione per impossibilità o incapacità di ottenere cose desiderate incrementa gli sforzi volti a superare le barriere, e soltanto in un numero ristretto di persone determina un comportamento regressivo. A tale proposito I.L. Child e I.K. Waterhouse (1952, 1953) hanno studiato i meccanismi d'interferenza dei comportamenti di base dai quali può derivare l'aggressività e quelli da cui invece può scaturire la regressione. Infine, ricerche condotte da N.R.F. Maier (1949) hanno identificato nella fissazione il culmine della reazione a una sequenza di condizioni frustranti a cui la persona non può sottrarsi e che non gli lasciano alternative. In questi casi la frustrazione determina un comportamento stereotipato e rigido che si assimila, per gli aspetti di rassegnazione, con il sentimento di perdita e la cessazione di ogni sforzo di reazione.

Bibliografia

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