CAMPANILE MANCINI, Gaetano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CAMPANILE MANCINI, Gaetano

Sisto Sallusti

Nacque a Napoli il 26 giugno 1868 da Achille e da Elena Mancini. Nel 1892 aveva scritto un bozzetto "napolitano" in un atto, dal titolo N'amica e na mugliera! !... (non venne pubblicato; il manoscritto è oggi conservato nella Biblioteca teatrale del Burcardo di Roma), nulla di più di un'esercitazione drammatica; pure del periodo giovanile fu una raccolta di poesie che attirò su di lui l'attenzione dei circoli mondani e artistici cittadini. Laureatosi in giurisprudenza e in lettere, collaborò dal 1893 a Il Mattino, invitatovi da E. Scarfoglio che gli fu amico e consigliere affettuoso; nel 1895 divenne corrispondente politico da Roma e nei resoconti parlamentari sostenne la politica crispina ingaggiando una dura polemica nei confronti di F. Cavallotti. Dalla fine del 1897, sempre a Roma, ricoprì l'ufficio di redattore, poi di redattore capo del mensile Rivista politica e letteraria dei fratelli Treves (curò, fra l'altro, la rubrica di politica interna), e di corrispondente dell'Unione di Tunisi; quindi passò, con incarichi di natura tecnica e definitivamente come capo dei servizi italiani, a La Tribuna, presso la quale rimase per oltre un ventennio, prima sotto la direzione di L. Roux, poi sotto quella di O. Malagodi. Quando nell'aprile 1905 il principe S. Borghese fondò il settimanale (poi bimensile) Lo spettatore, il C.ne divenne collaboratore e ben presto redattore, fino al dicembre 1908, quando il periodico cessò le pubblicazioni. Legato da amicizia all'avvocato G. Mecheri, che ne apprezzava la instancabile attività giornalistica, nel 1917 il C. fu da questo introdotto come direttore dell'ufficio soggetti presso la Tiber Film, che aveva i suoi teatri di posa alla Pineta Sacchetti e che, grazie alla versatilità di un affiatato gruppo di scenaristi e di direttori artistici e al notevole tenore divistico dei suoi attori, divenne la casa di produzione cinematografica di maggiore spicco nel periodo bellico e nell'immediato dopoguerra. Colse il suo primo successo, nel 1918, ideando il soggetto de La fibra del dolore, diretto da B. Negroni, cui seguì nello stesso anno quello per La fiamma e le ceneri diretto da G. Antamoro.

Nel primo film, che si distinse da ogni altro dell'epoca per l'originalità dell'argomento, il C. immaginava che uno scienziato (T. Carminati) fosse riuscito a trovare nel cervello la fibra che presiede al dolore; estraendola, cessa ogni sofferenza, soprattutto morale; l'entusiasmo per la scoperta, nonostante lo scetticismo dei colleghi gelosi del chirurgo, fa sì che molti si sottopongano all'intervento e si sentano felici o credano di esserlo; presto, però, si avvedono che il dolore è necessario più della stessa felicità e tornano da lui supplicando o reclamando il ritorno alla possibilità di soffrire, che ottengono con un'operazione inversa alla precedente. Il pubblico rimase colpito dalla novità dello spunto e dalle notazioni psicologiche del film, al quale decretò un caloroso successo. Col secondo soggetto il C. riprendeva il motivo erotico-decadente della donna vampiro. La duchessa Maud (D. Karenne), stanca dei suoi flirts mondani, chiede ospitalità nella umile casa di due giovani marinai, l'uno, Giorgio, forte e impetuoso, l'altro, Luciano, delicato e sentimentale; li conquista ambedue, ma preferisce fuggire col primo, che introduce nella sua sontuosa villa; poi, appagata, lo fa gettare dai servi sulla strada; quando Giorgio si ridesta, ritiene d'aver sognato e ritorna al focolare domestico, dove il fratello rimpiange la propria breve e pura esperienza d'amore. Il tema dell'illusorietà delle passioni umane è svolto con finezza d'intuito anche se dietro s'intravvede l'ombra di P. Calderón de la Barca.

Ancora nel 1918 il C. ideò il modesto I due volti di Nanù di A. De Antoni e nel 1919 inserì brani onirici ambientati nella Roma pagana ne La signora delle rose di D. Karenne. Seguirono soggetti più corrivi al gusto della platee, come La vergine folle di G. Righelli (prima riduzione cinematografica del dramma di H. Bataille), Il bacio di Dorina di G. Antamoro, Il tuo rivale di E. Roma, quest'ultimo completato nel 1920 (un film scritto e diretto dal C. nello stesso 1919, Saper amare, non ebbe l'esito sperato dall'autore). Il soggetto più ambizioso fu certamente Il volto di Medusa, parabola in 4 parti diretta dal De Antoni; il 18 dic. 1920 L. D'Ambra pubblicava sul n. 4 del quindicinale Il Romanzo film da lui diretto il "racconto per grandi fanciulli" omonimo, elaborato dal C. sullo scenario del film, consacrandolo così autore di soggetti originali (effettivamente soltanto in qualche occasione aveva adattato drammi, romanzi o novelle non suoi).

Il C. vi rappresenta il conflitto tra il sogno e la realtà con una vena di sottile ironia, pervenendo ad una conclusione ottimistica, tra sorridente e malinconica; nel racconto, di stampo dannunziano, sono citati o evocati i luoghi di Roma più cari alla sensibilità decadente dei due protagonisti, il ricco ed elegante George Green (L. Serventi) e la raffinata pittrice Warida Woronska (R. Maggi), dal Palatino al Foro romano, dalla villa Borghese alla piazza di Spagna con le sue spalliere di rose.

Interessante, per le idee estetiche che afferma, la lettera aperta al direttore del C., che informa di aver lasciato il giornalismo (ma vi tace l'incompatibilità di idee politiche col Malagodi che fu alla base dell'abbandono de La Tribuna): "...per chi scrive per l'arte nuovissima - per l'arte così detta - e così ingiustamente detta muta, mentr'essa ha quello che Alfonso Karr definiva il più eloquente dei linguaggi - il linguaggio del silenzio - i segni grafici che nella carta traccia la penna del soggettista... non sono che il mezzo meccanico, inevitabile per fissare le idee, i concetti, le immagini, lo svolgimento dell'azione che dovranno poi esser tradotti in visione, ma che non assumeranno se non sullo schermo forma compiuta. Per l'arte dello schermo non si scrive, in ultima analisi, che sullo schermo, in parole fatte di luce e d'ombra. Quelli che sulla carta traccia l'autore di quello che in cinematografia si chiama scenario e in teatro copione, hanno aspetto di lettere, di parole, di frasi, di periodi, ma non sono, in realtà, fin d'allora, che gesti, atteggiamenti, figure, visioni, maschere di sorriso e di dolore; ma sono veramente pennellate e colpi di pollice nella creta molle; ma sono, già fin d'allora, dissolvenze e sovrimpressioni, primi piani e panoramiche, imbibizioni e viraggi. Il segno grafico, uscendo dalla penna, diventa subito esso stesso figura, visione. Far questo non è più, dunque, scrivere, ma dipingere, plasmare, architettare...".

Per una delle "marche" (la Palatino Film) riunite dall'U.C.I. (che nel 1919 aveva assorbito la Tiber Film) il C. diede, nel 1922, il soggetto e la sceneggiatura de Le braccia aperte di C. Gallone e U. Pittei, alla vigilia della fase acuta della crisi dell'Unione dovuta, come egli stesso scrisse, nonostante il lusinghiero successo dei film prodotti, oltre che alle costose realizzazioni che i mercati italiani e i pochi stranieri ancora a noi accessibili non bastavano a ripagare, anche alla sempre più insostenibile concorrenza americana nel costo del noleggio. In quell'anno, prima della marcia su Roma, il C. si iscrisse al Partito nazionale fascista, dopo aver fatto parte, con D. Oliva, E. Corradini e L. Federzoni, del Consiglio direttivo dell'Associazione nazionalista italiana; dal 1924 al 1927 fece parte dell'ufficio stampa del capo del governo. Dagli stabilimenti di porta Latina della Caesar n. 2 diretta da A. Ambrosio uscì, nel 1928, una seconda versione cinematografica di Assunta Spina dal lavoro drammatico, di S. Di Giacomo, affidata per la regia a R. Roberti e al C. per la sceneggiatura. Dopo il collasso dell'U.C.I., si ebbe un tentativo di riscossa con l'A.D.I.A. (Autori e direttori italiani associati), di cui furono animatori il C., M. Camerini, Gabriellino D'Annunzio, A. De Benedetti, A. Genina e altri: il secondo film del programma, La grazia del De Benedetti (1929), tratto da una novella di G. Deledda, ebbe il C. per sceneggiatore. Il sonoro non lo attrasse (dichiarò, in un'intervista del 1938, che il parlato, per l'abuso che se ne faceva, era stato dannosissimo al cinema che, ormai, tendeva sempre più ad essere teatro "in fotografia" e che in Italia, come altrove, non esisteva una letteratura cinematografica originale) e preferì, eccetto alcune prestazioni non significative, incarichi di ordine amministrativo: fece parte della Commissione ministeriale per la riorganizzazione della cinematografia italiana e della giunta di vigilanza della Scuola nazionale di cinematografia presieduta da G. Bottai. Nel 1940 adattò per lo schermo l'estroso Ecco la felicità di M. L'Herbier da N. N. Evrejnov e la seconda versione cinematografica di Miseria e nobiltà da E. Scarpetta, per la regia di C. D'Errico e l'interpretazione di V. Scarpetta.

Il C. si spese a Roma il 25 luglio 1942.

Fonti e Bibl.: Necr. in Il Giornale d'Italia, 28 luglio 1942; F. Monicelli, Autori cinematografici: G. C., in Film, Roma, I (1938), 33, p. 5; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei - Dizionario bio-bibliografico, Napoli 1922, p. 76; Enc. d. Spett., II, col. 1588; Filmlexicon degli autori e delle opere, I, Roma 1958, coll. 1048 n.

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