CANTONI, Gaetano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)

CANTONI (Cantone), Gaetano

Ennio Poleggi

Figlio di Pietro e di Anna Maria Giannazzi, nacque a Genova nel 1743.

Pietro, nato nel 1710da Marc'Antonio e Angela Caterina Calvi, in una famiglia di costruttori ticinesi originari di Muggio, a cui l'architettura genovese deve non piccola parte della sua storia, operò a Genova, impegnato in opere di ingegneria stradale. Fu uno degli architetti della strada Cambiaso in Val Polcevera e per questa costruì il discusso ponte di Morigallo, che ebbe in seguito cedimenti (il C. dedicherà nel 1773alla Nuova strada Cambiaso un libello che è una difesa teorico-tecnica dei calcoli del padre e dell'armatura da lui impiegata). Negli anni fra il 1740 e il '45 lavorò per Giuseppe M. Brignole ai suoi palazzi di Novi e di Genova; nel 1746 rafforzava un ponte sul Bisagno. Fra il 1765 e il 1773 fu impegnato con il C. a lungo in lavori e restauri nella chiesa e nel convento di S. Andrea. Nel 1780 collaborò alla decorazione del palazzo ducale progettato dal figlio Simone, ma si ammalò di podagra. Morì nell'anno 1785.

Pietro, che nel suo mestiere non era uno sprovveduto, aveva esattamente valutato le possibilità che avevano i figli di affermarsi nella professione, e in conseguenza aveva indirizzato i loro studi: Simone, il maggiore, a Roma, scuola grande e viva di architettura; il C. a continuare la tradizione familiare nello studio genovese e a studiare gli stili e l'ornato all'accademia locale. E di quest'ultimo, infatti, perduti i disegni, ci sono rimaste dissertazioni, relazioni, studi e opere notevoli di ingegneria stradale. Dell'accademico il C. ha il gusto minuzioso per l'ornato, la cultura vasta e un po' pedante, l'ambizione provinciale a teorizzare di architettura e di stili, e anche le gelosie da cui Simone si mantenne schivo. Fra i suoi manoscritti si conservano opere diverse In lode dell'architettura, tra cui un Dialogo tra Vitruvio e Alberti, e lo schema di un trattato sulle funzioni dell'architetto e della sua scienza.

La direzione della fabbrica di palazzo ducale, affidatagli da Simone, fu la sua vera scuola di architettura; vi si prodigò con impegno e competenza dal 1778 all'83, illustrando per lettera al fratello progettista tutte le fasi del lavoro.

Amava ragguagliarlo tempestivamente di tutti gli incarichi ricevuti, sia pure con qualche amplificazione. Ed anche per questo motivo non è facile stabilire, fra tutti i progetti da lui citati, quali furono di qualche consistenza e quali effettivamente portò a compimento. Certamente il più grosso incarico privato assegnato al C. fu la parrocchiale di Porto Maurizio che lo impegnò a lungo a partire dal 1780, con un progetto molto ambizioso, ma non altrettanto sicuro.

Fondata sul letto di un fiume mal prosciugato, la fabbrica fu soggetta a vari cedimenti, il più clamoroso dei quali fu il crollo della cupola nel 1820. Essendo ormai il C. troppo vecchio, intervenne a salvare il suo buon nome con un altro progetto il nipote Pier Luigi Fontana, suo aiuto in quasi tutte le imprese, e alla morte di quest'ultimo (1824), subentrò nell'incarico l'architetto Nicola Laverneda.

Un altro episodio ricordato dagli storici non sembra esaltare la sua originalità di progettista: nel 1791 un progetto suo e del cognato Lorenzo Fontana per la cappella dell'ospedale di Pammatone fu accusato di plagio da Andrea Tagliafichi. Progettò una chiesa a Voltri e una a Mele nei dintorni di Genova durante i suoi primi anni di attività. Ma pare fosse richiesto soprattutto per ampliamenti e decorazioni di sale, nelle quali si mostrava particolarmente abile. Nel 1783 scrive al fratello: "Io e Luiggi [il nipote] lavoriamo indefessamente a disegnar mobili di nuova moda".

Saranno i pubblici incarichi a toglierlo dall'anonimato e ad offrirgli lavoro e soddisfazioni. Dal 1812 al 1818 egli fu architetto di Camera e prima d'allora era stato architetto della prefettura. In tale qualità nel 1810 restaurò quello che era stato il palazzo dei Pubblici Forni adattandolo ad ospitare la Zecca; fu poi incaricato di progetti per un lazzaretto a S. Giuliano e per l'ampliamento del Monte di Pietà. Nel 1817 si dové occupare del porto, dell'acquedotto, della caserma dei carabinieri. E ancora fece parte delle sue mansioni la divisione della città in quartieri, la numerazione delle case, la illuminazione cittadina. Nel 1798 era stato incaricato di dirigere la celebrazione delle feste patriottiche; nel 1801 fu invitato a preparare il disegno di una piazza all'Acquasola dove porre una "colonna nazionale", stese diversi progetti per un palazzo imperiale napoleonico e progettò il collegamento del palazzo Tursi con gli adiacenti Bianco e Podestà.

Con i pubblici incarichi questo probabilmente mediocre architetto doveva rivelarsi un urbanista d'ingegno. Sua è l'ideazione e la sovrintendenza alla costruzione della grande strada che collegava Genova con la Toscana e con la Francia lungo la Riviera, con varie diramazioni interne; insieme con l'architetto G. A. Brusco progettò la strada della Val Polcevera per Milano, e infine costruì il primo tratto di quella che collegava Voltri con Ovada.

Nei suoi manoscritti si conserva un progetto dedicato all'imperatore per creare un naviglio dal Po al porto di Genova con lo schema di sezione geografica del percorso; e ancora un bellissimo disegno per una piazza ellittica da costruirsi alla Cava per le celebrazioni patriottiche, - e infine una dissertazione Della qualità che dovrebbero avere le case dei coltivatori della Liguria, in cui introduce interessanti considerazioni anche storiche sulla casa rustica.

Fu accademico per la scuola di architettura con Ippolito Cremona e per l'"ornato" con C. F. Barabino ed altri, e membro onorario della Société d'émulation pour les arts et l'agriculture du Departement de Gènes. Fu membro, e nel 1801 presidente, dell'Institut national, e socio corrispondente della Società economica di Chiavari.

Sebbene a Genova avesse ottenuto più onori accademici che soddisfazioni professionali - "mi tocca fare più l'avvocato che l'architetto" -, soltanto tardi, quand'era ormai vecchio e malato, seppe staccarsi dalla sua città natale per andare a morire a Muggio, nella terra degli avi, non si sa esattamente in che anno.

Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. univ., manoscritti, E. IX. 8, F. V. 23-24; F. Alizeri, Notizie dei professori di disegno in Liguria dalla fondazione dell'Accademia, Genova 1864-66, I, pp. 72, 107, 181, 186-189, 383; II, pp. 41, 45, 151, 153; III, pp. 41, 54 s., 81, 91, 112, 132, 136; G. Martinola, L'architetto Simone Cantoni (1739-1818), Bellinzona 1950, pp. 12-17, 28-34; 10-12 (per Pietro); Id., La maestranze d'arte del Mendrisiotto in Italia nei secoli XVI-XVIII, Bellinzona 1964, pp. 31-34 (per Pietro).

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