LATILLA, Gaetano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LATILLA (Attila, L'Attila, La Tilla), Gaetano (Donato Giuseppe Domenico)

Dinko Fabris

Nacque a Bari il 10 genn. 1711 da Nicola, commerciante di libri discendente da una famiglia originaria di Casamassima (presso Bari), e da Rosa Guarino. Gli anni giovanili furono segnati da un ambiente incline alla musica. Sua sorella Silvia sposò il violinista barese Onofrio Piccinno, che aveva studiato al conservatorio napoletano dei Poveri di Gesù Cristo; dai due sarebbe nato nel 1728 il celebre compositore Niccolò Piccinni. Secondo A. Giovine, il L. sarebbe stato cantore della cattedrale di Bari e allievo di Nicola Calatrava, maestro di cappella della basilica di S. Nicola, che a sua volta aveva studiato al conservatorio napoletano della Pietà dei Turchini. In effetti il ragazzo fu inviato a Napoli solo nel 1726, già quindicenne, per completare i suoi studi in un altro dei conservatori di Napoli, quello di S. Maria di Loreto, dove ebbe come insegnanti I. Prota, F. Feo e D. Gizzi.

L'esordio avvenne secondo la tradizione del tempo, con un'opera comica, Li marite a forza, rappresentata al teatro dei Fiorentini di Napoli nel 1732. Nel 1738 colse invece il primo successo nel genere tragico con Demofoonte, rappresentato a Roma e Venezia, e negli anni successivi le sue opere serie furono ben accolte nei principali teatri d'Italia.

Un segnale del successo raggiunto a Roma dal L. è la caricatura che del compositore tracciò Pier Leone Ghezzi nella sua raccolta Il mondo nuovo (Bibl. apost. Vaticana, Ottob. lat., 3117, c. 111) in cui il L. è ritratto al clavicembalo con ai piedi le partiture di una sua opera intitolata Le Amazzoni (in realtà si trattava del Romolo), con la seguente didascalia, che è la prima documentazione biografica diretta sul L.: "L'Atilla compositor dell'opera dell'Amazzoni fatta al Teatro d'Alibert l'anno 1739 il quale è stato fatto maestro di cappella in Santa Maria Maggiore e non vuol più comporre opere per li teatri, fatto da me cav. Ghezzi il dì 15 febbraio 1739" (in basso sulle carte musicali Ghezzi aggiunge: "Parte di soprano dell'opera dell'Amazzoni composta dal signor Atilla 1739").

La grande popolarità che derivò dalle sue opere comiche ed eroiche aprì al L. le porte di una carriera destinata al successo: dal 31 dic. 1738 fu assunto come vicemaestro di cappella in una delle più prestigiose chiese di Roma, la basilica di S. Maria Maggiore, servizio che lasciò il 9 ag. 1741. L'impiego ecclesiastico coincise con la ripresa nei teatri romani delle sue opere, tra cui La finta cameriera. Inoltre, a Roma e a Napoli, continuò a esercitare l'attività privata: nel 1740, come ricorda il libretto del Siroe, risultava "virtuoso del Duca di York".

Il servizio romano finì improvvisamente "per alcune sue indisposizioni" e il L. fu costretto a rientrare a Napoli, dove rimase per oltre un decennio. È probabile che avesse fatto ritorno frequentemente anche nella città natale, dove potrebbe aver seguito gli esordi musicali del nipote N. Piccinni. Nonostante il L. fosse stimato come uno dei più importanti compositori d'opera del suo tempo, pochissime delle sue partiture sono sopravvissute, cosa che ha limitato la possibilità di un riesame critico del suo ruolo nell'ambito della diffusione europea del melodramma italiano. Indubbiamente dal genere comico partì il suo successo, come per molti "napoletani" coevi. Titoli quali Madama Ciana e soprattutto La finta cameriera ebbero un'affermazione duratura e internazionale.

La finta cameriera (Roma 1738) era in realtà la rielaborazione di una pièce su testo di G.A. Federico che il L. aveva presentato un anno prima a Napoli con il titolo di Il Gismondo. Quest'opera comica cambiò spesso nome (Don Calascione, La giardiniera contessa, ecc.) e fu variamente trasformata negli oltre trent'anni di continua circolazione e fortuna nei teatri di tutta Europa, fino al 1769. Fu inoltre trasformata in intermezzi e inserita tra i titoli italiani rappresentati a Parigi alla fine del 1752 dalla troupe di E. Bambini, nel periodo più acceso della celebre "Querelle des bouffons".

Con La finta cameriera l'opera comica napoletana perde il forte legame con il territorio e la lingua di Napoli, aprendosi alla comprensione di un pubblico internazionale. La struttura in 3 atti rispecchia piuttosto lo schema dell'opera seria, alla quale afferiscono molte arie patetiche o virtuosistiche, come quella di Giocondo: Agitato il mio cor si confonde (atto I, scena 5). La trama si discosta poco dal prototipo del Gismondo ed esplicita le citazioni - anche musicali - del capolavoro del genere comico napoletano, La serva padrona di G.B. Pergolesi. Pancrazio, un anziano benestante fiorentino innamorato della sua cameriera Alessandra, prepara le nozze di sua figlia Erosmina con don Calascione, rozzo e vanaglorioso nobile romano, che giunge nella sua casa con il più avveduto fratello Filindo. Nessuno sa che la cameriera Alessandra è in realtà Giocondo, così travestito per poter stare accanto alla sua innamorata Erosmina, che intende sottrarre all'autorità paterna e sposare. Calascione corre dietro qualsiasi gonnella e commette continue gaffes: scambia per la sua promessa sposa prima la serva Betta, poi la "finta" cameriera, provocando il disgusto di Erosmina e le perplessità di suo padre. Intanto Giocondo è geloso del nobile Filindo così come il cameriere Moschino della sua fidanzata Betta. Dopo varie vicende il tutto si risolve secondo i canoni della commedia: Pancrazio benedice l'unione di sua figlia Erosmina con Giocondo, che ha abbandonato gli abiti della cameriera Alessandra, Betta sposa Moschino e don Calascione si accontenta della giardiniera Dorina (con la quale intona uno spassoso duetto).

Nel dicembre 1753 il L. si trasferì a Venezia come "maestro di coro" dell'ospedale della Pietà, il più celebre dei conservatori femminili veneziani, dove era stato attivo A. Vivaldi: soltanto dopo 13 anni il L. avrebbe perso questo prestigioso incarico (al suo posto nel marzo 1766 fu chiamato G. Sarti). Dal 1762 il L. divenne anche vicemaestro della maggiore istituzione musicale cittadina, la Cappella ducale di S. Marco, allora diretta da B. Galuppi. Sia nell'ospedale che nei teatri veneziani il L. dimostrò di saper scegliere con cura gli interpreti vocali delle sue composizioni (le sole lettere autografe note del L., conservate nella raccolta di p. G.B. Martini al Civico Museo bibliografico musicale di Bologna, riguardano i cantanti di S. Marco nel 1765: Schnoebelen, pp. 320 s.). Intanto il L. aveva sposato a Venezia la cantante Domenica Casarini, interprete di varie sue opere, tra cui Siroe, nel 1753. Giovine riferisce che la cantante, trentenne nel 1752, era stata liberata dal carcere di Torino per intercessione dell'ambasciatore di Napoli e che nel 1758, scritturata per cantare a Madrid, partorì la figlia Maria Barbara Teresa in casa dell'impresario Farinelli.

Il musicofilo e viaggiatore inglese Charles Burney, che aveva incontrato il L. a Venezia nel 1770, nel suo resoconto di viaggio riporta un'impressione personale molto positiva (1979, rispettivamente alle pp. 143 e 149 s.): "Venne a trovarmi il signor Latilla, compositore d'ingegno, in particolare di opere comiche, il quale si mise gentilmente a mia disposizione e mi disse che se avessi desiderato incontrarmi col signor Galuppi mi avrebbe presentato a lui volentieri. Mi promise di ritornare da me entro due o tre giorni e mi disse che durante questo tempo avrebbe riflettuto sul modo migliore per essermi utile per il mio lavoro. Latilla è un uomo cordiale e intelligente di circa sessant'anni: si è dedicato per lunghi anni alla musica, antica e moderna, con meditate letture e il suo contributo è stato considerevole. Apprezzai la sua gentilezza quando mi consigliò di recarmi agli Incurabili per ascoltarvi le fanciulle; aggiunse che avrei goduto molto del loro canto" (7 ag. 1770); "Ebbi stamane una lunga visita del signor Latilla che mi fornì parecchi dettagli importanti relativi sia alle condizioni attuali sia a quelle passate della musica di qui […] Il signor Latilla, che fu lui stesso Maestro presso il famoso ospedale della Pietà, mi offrì la copia originale di un Credo da lui composto per quel Conservatorio" (10 ag. 1770).

Meno positiva era l'immagine del L. tramandata da Giacomo Gotifredo Ferrari, che ne divenne allievo a Napoli dopo il 1784 (citato con ampia libertà anche da Florimo, p. 228).

Scriveva Ferrari (p. 163): "Latilla sapea profondamente il contrappunto; era un po' lazzarone, ma buono, come sono tutti quei lazzari, purché abbiano il mezzo di procacciarsi un piatto di maccheroni. Prendeva Latilla un carlino per lezione (quattro soldi e mezzo inglesi) dai professori napoletani, due carlini dai forestieri in generale, e tre carlini dagl'inglesi; io gli offersi due carlini, come semplice forestiere, ma egli "no tu sei tirolese, fai rima coll'inglese, ergo devi pagar come il tuo amico" [Th. Attwood]. Mi sommisi a un argomento altrettanto intrepido che buffone, e mi trovai poscia felice d'aver un maestro dotto, che veniva da me quattro volte la settimana, e che restava meco per ore intere".

Una pesante e difficile atmosfera di critiche e contestazioni - sulla sua insufficienza come maestro di canto e come compositore - accompagnò gli anni di servizio del L. presso l'ospedale della Pietà, ed è forse da mettere in relazione al "delirio" mentale che lo colpì secondo una lettera inviata da G.M. Ortes a J.A. Hasse (informazione di Pier Giuseppe Gillio). Simili contestazioni accompagnarono a volte l'attività didattica e artistica di altri maestri napoletani nel Nord dell'Italia e dell'Europa, a rappresentare una differenza di mentalità e di cultura già evidente nel secolo dei Lumi.

D'altra parte, per il L. il soggiorno veneziano fu denso di esperienze professionali decisive, in particolare il rapporto di collaborazione con C. Goldoni, che si concretizzò nella composizione della musica per la commedia L'amore artigiano, rappresentata nel 1761 al teatro veneziano S. Angelo e poi nel 1766 La buona figliola supposta vedova, il seguito della celebre Cecchina goldoniana portata al maggior successo da Piccinni nel 1760. Il rapporto con Goldoni si svolgeva negli stessi anni in cui i conterranei E. Duni, Piccinni e T. Traetta intessevano con il commediografo collaborazioni che avrebbero portato a una nuova concezione della commedia musicale italiana.

La ragguardevole produzione di musica sacra che sopravvive (i manoscritti veneziani sono elencati in Over, pp. 384-389) è esclusivamente in relazione al lungo periodo di insegnamento nell'ospedale della Pietà, dove il contratto imponeva alti ritmi di produzione. Restano infatti oltre un centinaio di brani per voci e archi o solo basso continuo, che recano sui manoscritti i nomi delle giovani esecutrici veneziane (tra gli altri Anna, Gregoria, Gioseffa, Elena, Marina). In alcuni casi, come nel Salve Regina per soprano e alto o nel Miserere a 4 voci, lo stile è ancora legato ai modelli napoletani consolidati al tempo di Pergolesi.

Il Credo autografo consegnato nelle mani di Burney non fu l'unica composizione del L. conosciuta in Inghilterra. A parte le arie dalle sue opere stampate a Londra (per esempio dal Don Calascione), intorno al 1770 furono impressi nella capitale inglese sei quartetti, che risultano tra i primi riusciti esperimenti di un genere destinato in pochi anni a caratterizzare lo "stile classico" europeo. A Parigi furono invece stampati suoi solfeggi.

Il caso ha preservato una delle ultime composizioni del L., presentata al teatro S. Carlo dopo il rientro definitivo a Napoli: l'opera seria Antigono (1775), un dramma eroico che rivela l'ormai netta influenza stilistica della giovane generazione di Piccinni. L'anziano compositore era tornato a Napoli probabilmente nel 1774, anno della scomparsa di N. Jommelli, che ebbe larga eco in città.

Il L. morì a Napoli il 15 genn. 1788; la notizia passò praticamente inosservata, essendo il maestro già inattivo da tempo e le sue opere furono presto dimenticate.

Musica teatrale: Li marite a forza (B. Saddumene, Napoli 1732); L'Ottavio (G.A. Federico, ibid. 1733); Gl'ingannati (Id., ibid. 1734); Angelica ed Orlando (F.A. Tullio, ibid. 1735); Lo sposo senza moglie (I due supposti conti; C. Palma, ibid. 1736); Il Gismondo (Federico, ibid. 1737; rielaborata come La finta cameriera, G. Barlocci, Roma 1738, ed. facsimile a cura di H.M. Brown, New York 1979, "Italian Opera 1640-1770", 37; successivamente rielaborata come Don Calascione, London 1749, Favourite songs, ibid. 1749; ulteriore rielaborazione come La finta cameriera, C. Fabozzi, Napoli 1745 e Parigi 1752; ripresa come La giardiniera contessa); Temistocle (Metastasio, Roma 1737); Demofoonte (Id., Venezia 1738); Madama Ciana (Barlocci, Roma 1738; rielaborata come L'ambizione delusa, Torino 1747; altra rielaborazione come Gli artigiani arricchiti, Parigi 1753); Polipodio e Rocchetta (Roma 1738); Componimento per musica da cantarsi nel giorno natalizio di Maria Amalia Warpurga (ibid. 1738); Componimento per musica da cantarsi nel giorno nataliziodi Carlo Borbone (ibid. 1739); Romolo (ibid. 1739); Siroe (Metastasio, ibid. 1740); Alceste in Ebuda (A. Trabucco, Napoli 1741); La vendetta generosa (ibid. 1742); Zenobia (Metastasio; Torino 1742); La gara per la gloria (B. Vitturi, Venezia 1744); Amare e fingere (Napoli 1745); Il concerto (P. Trinchera, ibid. 1746); Adriano in Siria (Metastasio, ibid. 1747); Catone in Utica (Id., Roma 1747); Ciascheduno ha il suo negozio (Madrid 1747); Il barone di Vignalunga (A. Palomba, Napoli 1747); Il vecchio amante (Barlocci, anche come La commedia in commedia, Torino 1747); La Celia (Palomba, Napoli 1749); Amore in Tarantola (Abate Vaccina, Venezia 1750); Il gioco de' matti (Palomba, Napoli 1750); L'astuzia felice (C. Goldoni, Torino 1750); Gl'impostori (Venezia 1751); Griselda (A. Zeno, ibid. 1751); La pastorella al soglio (G.C. Pagani, ibid. 1751); L'opera in prova alla moda (G. Fiorini, ibid. 1751); Urganostocar (Id., ibid. 1751); L'isola d'amore (A. Rigo, ibid. 1752); Olimpiade (Metastasio, ibid. 1752); Alessandro nell'Indie (Id., ibid. 1753); Antigona (G. Roccaforte, Modena 1753); Il protettor del poeta (Roma 1754); Venceslao (Zeno, Barcellona 1754); La finta sposa (Bologna 1755); Tito Manlio (Roccaforte, Roma 1755); Ezio (Metastasio, Napoli 1758); L'amore artigiano (Goldoni, Venezia 1761); Merope (Zeno, ibid. 1763); La buona figliola supposta vedova (A. Bianchi, ibid. 1766); Gl'inganni amorosi (P. Mililotti, Napoli 1774); Il maritato fra le disgrazie (Palomba, ibid. 1774); Antigono (Metastasio, ibid. 1775); I sposi incogniti (Mililotti, ibid. 1779); inoltre numerose arie tratte da opere per 1 o 2 voci e arie e cantate da camera anche in dialetto napoletano. Musica sacra: L'immaculata Concezione della s.ma Vergine, oratorio a 4 voci (Genova 1739); Sanctorum Patrum in Abrahae sinu exspectatio, cantata (Venezia 1755); Carmina sacra, mottetti (ibid. 1756); Iudith triumphans, oratorio (ibid. 1757); Miserere per coro e orchestra (ibid., circa 1760); Modulamina sacra, mottetti (ibid., ed. 1760); Sacra Esther historia, oratorio (ibid. 1761); Pietas exultans in Natalibus Christi (ibid. 1761, con trad. it. a fronte), cantata (ibid. 1761); La colpa abbattuta, oratorio (Palermo); Omnipotentia e misericordia divina, oratorio a 4 voci; Messa in pastorale per 2 voci e organo; Pastorale per 5 voci e orchestra; Salve, Regina per soprano, alto e archi; inoltre, centinaia di brani sacri destinati alle allieve della Pietà di Venezia conservati presso la Biblioteca del conservatorio B. Marcello di Venezia. Musica strumentale e didattica: fughe per organo; 6 sinfonie; trio per flauto, violino e basso (introduzione a una cantata; ed. moderna a cura di G. Carli Ballola, Roma 2000); 6 quartetti per 2 violini, viola e violoncello (ed. moderna a cura di M. Talbot, in preparazione); Solfeggi (in Solfèges d'Italie, Paris 1772).

Fonti e Bibl.: Ch. Burney, General history of music (1776-89), II, New York 1957, pp. 861, 925; Id., Viaggio musicale in Italia (1773), Torino 1979, pp. 143 s., 149 s.; G.G. Ferrari, Aneddoti piacevoli e interessanti… 1763-1830 (1830), a cura di M. Tatti, Bergamo 1998, pp. 162 s., 170-172; F. Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, Napoli 1881-83, II, pp. 227-229; M. Bellucci La Salandra, Saggio cronologico delle opere teatrali di G. L., in Japigia, V (1934), pp. 310-335; Id., Vita e tempo di G. L. musicista barese del XVIII secolo, in Arch. storico pugliese, VII (1954), pp. 69-122; D. Arnold, Orphans and ladies: the venetian conservatories (1680-1790), in Proceedings of the Royal Music Association, LXXXIX (1962-63), pp. 31-47; A. Giovine, Musicisti e cantanti lirici baresi, Bari 1968, pp. 41-47; G. Ellero, Origini e sviluppo storico della musica nei quattro grandi ospedali veneziani, in Nuova Rivista musicale italiana, XIII (1979), pp. 160-167; A. Schnoebelen, Padre Martini's collection of letters in the Civico Museo bibliografico musicale in Bologna, New York 1979, pp. 78, 177 s., 184, 320 s., 365, 453, 462; M. Marx-Weber, Neapolitanische und venezianische Miserere-Vertonungen des 18. und frühen 19. Jh., in Archiv für Musikforschung, XLIII (1986), pp. 136-163; F. Caffi, Storia della musica sacra nella già Cappella ducale di Venezia dal 1318 al 1797 (1854-55), a cura di E. Surian, Firenze 1987, pp. 40, 355 s., 389; P.G. Gillio, La stagione d'oro degli ospedali veneziani tra i dissesti del 1717 e 1777, in Rivista internazionale di musica sacra, X (1989), pp. 236-238, 241, 267, 301, 306; B.D. Mackenzie, The creation of a genre: comic opera's dissemination in Italy in the 1740s, dissertazione, University of Michigan, 1993, passim; S. Mamy, Les grands castrats napolitains à Venise au XVIIIe siècle, Liège 1994, pp. 61, 118, 151; B. Over, Per la gloria di Dio. Solistische Kirchenmusik an den venezianischen Ospedali im 18. Jahrhundert, Bonn 1998, pp. 384-389 e ad ind.; D. Fabris, Maestri e allievi italiani di Piccinni, in Il tempo di N. Piccinni (catal.), a cura di C. Gelao - M. Sajous, Bari 2000, p. 11; G. Rostirolla, Il "mondo novo" musicale di P.L. Ghezzi, Roma 2001, pp. 171, 370 s.; C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Indici, I, p. 406; The New Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), XIV, pp. 325-327; Die Musik in Geschichte und Gegenwart (ed. 2003), Personenteil, X, coll. 1313-1316.

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