PALLONI, Gaetano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PALLONI, Gaetano

Alesandro Volpi

PALLONI, Gaetano. – Nacque a Montevarchi (Arezzo) il 5 settembre 1766 da Alessandro, funzionario degli uffici finanziari granducali, e da Caterina Carbonai.

Provenendo da una famiglia della piccola borghesia valdarnese che non disponeva di grandi risorse finanziarie, si formò da autodidatta, dedicandosi in particolare allo studio della filosofia. Si iscrisse poi alla facoltà di medicina dell’Università di Pisa (prima della riforma napoleonica denominata Collegio medico-filosofico). Le ristrettezze economiche lo spinsero a indirizzare una supplica al granduca Ferdinando III per ottenere uno dei 40 posti gratuiti al Collegio della Sapienza ed essere mantenuto agli studi. Nel 1787, ancora studente, ricevette il ruolo di lettore straordinario e due anni più tardi, il 4 giugno, si laureò. Trascorse poi a Firenze i due anni di pratica obbligatori per accedere all’esame di abilitazione all’esercizio della professione.

Già nei primi anni della sua carriera, dopo aver conseguito la matricola medica, Palloni si dichiarò seguace dell’eclettismo, non accettando l’impianto dei ‘medici sistemi’ e ispirandosi ad alcuni grandi nomi toscani come Antonio Cocchi e Francesco Vaccà. Grazie alle sue qualità scientifiche, che non si limitavano soltanto all’ambito medico, nel 1795 venne ammesso come socio all’Accademia dei Georgofili di Firenze dove, nello stesso anno, lesse due memorie su tematiche legate al clima (Sulle cause più generali che dimuiscono o distruggono la reperibilità dell’aria atmosferica e dei mezzi per restituirgliela mediante la vegetazione, 8 luglio; Sopra il cangiamento di clima nelle parti meridionali d’Europa, 5 agosto).

Entrambe le memorie, che furono pubblicate nel terzo volume degli Atti dell’Accademia, mostravano una grande attenzione alle testimonianze storiche, soprattutto quelle sui cambiamenti climatici, tratte da decine di citazioni letterarie del mondo classico e medievale e utilizzate per raccogliere informazioni sulle caratteristiche delle stagioni.

Fin dal 1796, Palloni era divenuto membro della Reale Accademia fiorentina, di fronte alla quale recitò nel maggio 1797 l’elogio funebre di Michelangelo Giannetti, professore di anatomia presso il Regio Spedale di S. Maria Nuova.

In virtù di questi studi, e soprattutto della sua crescente attenzione per i temi dell’epidemiologia, l’autorità granducale lo incaricò delle azioni di contrasto a una grave epizoozia che aveva colpito il bestiame del Valdarno e che fu efficacemente debellata proprio grazie alla profilassi concepita dallo stesso Palloni. Ferdinando III gli affidò allora la titolarità dell’ambulatorio epidemiologico dello Spedale Bonifazio a Firenze, diretto da Vincenzo Chiarugi. In tale veste Palloni si occupò dei controlli sulla macellazione in città e nelle campagne, mentre in qualità di medico perito della comunità di Firenze seguì l’epizoozia bovina che colpì la capitale granducale dal novembre 1800 al marzo 1802.

Fin dal 1798, inoltre, sulla scorta degli studi di Edward Jenner sulla vaccinazione contro il vaiolo – che si adoperò a diffondere negli ambienti scientifici toscani – compì una serie di indagini in Mugello e nel Casentino con l’obiettivo di verificare lo stato di salute degli armenti e fornire ai proprietari indicazioni precise in merito ai trattamenti veterinari necessari in caso di malattia del bestiame. Risultato delle indagini fu la memoria Sopra l’inoculazione della vaccina in Toscana, letta ai Georgofili e pubblicata dalla stamperia fiorentina di Giuseppe Luchi nel 1801, in cui veniva descritta la pratica della vaccinazione, operata utilizzando il contenuto di pustole infette prelevate da vacche presenti nella pianura pisana.

Il favore della corte continuò ad arridere a Palloni anche dopo l’avvento di Maria Luisa e di Ludovico di Borbone, che lo nominarono medico di camera e, con motuproprio dell’8 aprile 1802, gli attribuirono la cattedra di malattie infantili presso lo Spedale degli Innocenti di Firenze, la prima in assoluto nella storia europea. L’affidamento di tale insegnamento fu accompagnato dal conferimento della qualità di professore emerito di medicina pratica dell’Università di Pisa, con lo stipendio mensile di 25 scudi fiorentini. Mantenne questa carica fino all’anno accademico 1807-08, mentre la cattedra di malattie infantili fu sospesa già nel 1805, quando Palloni fu nominato medico di sanità del porto di Livorno.

I temi delle sue lezioni, che si tenevano nelle ore pomeridiane per consentire la frequenza degli studenti impegnati in mattinata presso lo Spedale di S. Maria Nuova, erano costituiti in prevalenza dalla questione delle vaccinazioni e da quella, tipicamente settecentesca, della circolazione del sangue nel feto. A Palloni erano assegnati, oltre ai normali compiti didattici, anche quelli assistenziali, dovendo procedere all’‘ispezione’, al ricevimento e alla ‘custodia degli infanti’. Queste funzioni lo spinsero ad approfondire lo studio del pensiero di Benjamin Rumford e delle sue ‘ricette sociali’, a partire da quella della zuppa a base d’orzo, legumi e patate, a cui Palloni dedicò una memoria (Sopra le così detta zuppa alla Rumford, in Atti della Real Società economica di Firenze, V [1804], pp. 353-363), presentandola all’Accademia dei Georgofili come strumento in grado di contribuire all’abbattimento della povertà grazie ai bassissimi costi e all’elevato apporto calorico (Volpi, 1998, pp. 106 s.).

Nel 1805 Palloni fu chiamato a Livorno per fronteggiare l’epidemia di febbre gialla che aveva colpito la città in seguito all’arrivo, nell’agosto dell’anno precedente, di un bastimento proveniente da Veracruz e transitato per il porto di Cadice. Dopo aver individuato la natura vaiolosa del morbo, pur contagiato dalla malattia, Palloni riuscì ad adottare una serie di misure grazie alle quali l’epidemia fu debellata.

Descrisse tali misure in alcuni testi (Osservazioni mediche sulla malattia febbrile dominante in Livorno, Livorno 1804, tradotte in tedesco, francese e spagnolo; Parere medico sulla malattia febbrile che ha dominato la città di Livorno l’anno 1804, Firenze 1805), che fecero da riferimento non solo in Toscana, come dimostra la loro menzione in una lettera di Wilhelm von Humboldt a Giovanni Fabbroni del gennaio 1805 (Costa, 1970, p. 553). Peraltro, lo stesso Fabbroni aveva inizialmente contestato le tesi «contagiosiste» di Palloni, soprattutto perché ne temeva le conseguenze di carattere commerciale e politico; l’ipotesi di una trasmissione del morbo a distanza attraverso le merci rischiava infatti di mettere in ginocchio i traffici del Regno d’Etruria (Pasta, 1989, pp. 481s.).

Sconfitta l’epidemia, Palloni rimase a Livorno, dedicandosi al riordino del sistema dei lazzaretti e alla stesura di un nuovo regolamento di polizia medica, destinato a migliorare le più generali condizioni igieniche urbane. Sempre a Livorno, nel 1806 fronteggiò il rischio di un’epidemia di peste, impedendo lo sbarco dell’equipaggio infetto di un bastimento francese. Con l’arrivo delle truppe napoleoniche, ricevette il titolo di medico delle epidemie e fu nominato membro del Giurì di medicina del dipartimento del Mediterraneo. Nel 1809 entrò a far parte anche del Consiglio di prefettura di Livorno.

Ebbe intanto modo di approfondire le passioni letterarie che coltivava almeno fin dal 1798, quando era stato nominato segretario dell’Accademia Italiana, aperta in origine a Siena, di cui venne eletto nuovamente segretario generale dopo il trasferimento della sua sede a Pisa. In tale veste contribuì a stenderne la costituzione e a promuovere nel 1808 la pubblicazione dei due volumi del Giornale pisano di letteratura, scienze ed arti a essa riconducibili. I dissidi interni al sodalizio, però, lo spinsero, insieme ad altri membri, ad abbandonare l’iniziativa pisana e a dar vita a Livorno a un’Accademia omonima di cui egli stesso fu per breve tempo presidente. A questa istituzione, che dopo la restaurazione lorenese prese il nome di Accademia Labronica, rimase molto legato e le lasciò la propria biblioteca.

Durante la fase livornese dell’Accademia Italiana, Palloni entrò in contatto con Ugo Foscolo, che venne nominato socio corrispondente e che gli inviò alcuni suoi scritti. Nel medesimo periodo strinse amicizia con il barone Herman Schubart, che lo presentò a Karl Viktor von Bonstetten; grazie a simili relazioni divenne membro delle Accademie di Copenaghen, Vilnius, Lund e Berlino. Da Gioacchino Murat ricevette invece l’onorificienza dell’Ordine Reale delle due Sicilie.

Il restaurato governo lorenese di Ferdinando III lo nominò nel gennaio 1817 cavaliere dell’Ordine di S. Giuseppe e gli affidò la direzione dell’ospedale provvisorio del lazzareto livornese di S. Jacopo e l’incarico di medico consultore dell’ufficio di Sanità. In tale veste si trovò ad affrontare la grave epidemia di tipo petecchiale che aveva colpito nel 1817 buona parte dell’Italia centrale. Per gestire l’emergenza, Palloni preparò un breve ‘manuale’ (Sul tifo petecchiale. Osservazioni mediche, Livorno 1817), che costituì l’ossatura di alcuni altri suoi scritti su quell’epidemia. A suo giudizio, il veicolo del contagio erano i poveri e i mendicanti provenienti dall’Appennino, che avrebbero dovuto essere allontanati dalla città, una misura che il dipartimento di Sanità adottò subito, senza tuttavia ottenere i risultati sperati. Per arginare l’epidemia Palloni decise allora di bloccare la pratica dei suffumigi e delle affumicazioni, così come quella dei salassi, che avrebbero indebolito la popolazione. Pur avendo sbagliato la diagnosi e continuando a individuare nei ‘miasmi’ le cause principali della malattia, riuscì a porre in essere alcune misure che contribuirono a frenarla e acquisì così una notevole fama.

Nel 1823 assunse la presidenza dell’Accademia Labronica e l’anno seguente venne invitato dall’intendenza di Sanità di Marsiglia a intervenire in merito a una disputa medica sui criteri di definizione della febbre gialla, tema su cui stese una memoria stampata anche in spagnolo.

I buoni rapporti con il governatore Francesco Spannocchi Piccolomini, di cui avrebbe poi scritto un commosso elogio funebre, ebbero un ruolo importante nel consentire la sua ascrizione alla nobiltà livornese, avvenuta nel 1826. In quello stesso anno fu eletto presidente della locale Società medica, dove presentò alcune memorie (Discorso sullo stato attuale della medicina, 1825; Sulle malattie contagiose, 1827; Istoria di un sonnambulismo, 1829).

Morì a Livorno il 7 febbraio 1830.

Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. storico del Comune, Comunità di Firenze, atti magistrali, f. 21. G. Cordini, Cav. G. P., in Antologia, XXXVIII (1830), 2, pp. 156-164; L. Michelotti, Elogio storico del cav. G. P., s.l., s.d.; A. Cazzaniga, La grande crisi della medicina italiana nel primo Ottocento, Milano 1951; E. Guarnieri - M.A. Mannelli, La cultura medica ed i suoi esponenti nella Firenze del primo Ottocento, Milano 1968, pp. 59-61; G. Costa, Giovanni Fabbroni e i fratelli Humboldt, in Rassegna storica del Risorgimento, LVII (1970), pp. 520-577; A. Timpanaro Morelli, Alcune note sul barone di Schubart, in Critica storica, XVIII (1981), pp. 467-510; R. Pasta, Scienza, politica e rivoluzione. L’opera di Giovanni Fabbroni (1755-1822) intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze 1989; A. Volpi, La filosofia della chimica. Un mito scientista nella Toscana di inizio Ottocento, Firenze 1998; D. Barsanti, Pisa in età napoleonica, Pisa 1999; A. Panaja, Ordine del merito sotto il titolo di S. Giuseppe, Pisa 2000; L. Pepe, Istituti nazionali, accademie e società scientifiche nell’Europa di Napoleone, Firenze 2005; A. Floridi, Questioni sanitarie, riforme istituzionali ed epidemie. Il tifo petecchiale del 1817, inFrancesco Spannocchi governatore a Livorno fra Sette e Ottocento, Livorno 2007, pp. 233-261; E. Spagnesi, Della Labronica e di altre accademie livornesi, ibid., pp. 193-210.

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