MARIO, Gaio

Enciclopedia Italiana (1934)

MARIO, Gaio (C. Marius)

Mario Attilio Levi

Capitano e uomo politico romano. D'origine volsca, nato ad Arpino da famiglia di contadini, non ebbe vera e propria educazione culturale, ma si formò soprattutto alla scuola dell'esercito e con l'esempio di Scipione Emiliano in Spagna. Alla morte di Scipione, M. trovò simpatie e appoggi nella potentissima e nobile famiglia dei Cecilî Metelli, e grazie a questi patroni, e particolarmente a L. Cecilio Metello (console nel 119), nel 119 questore. Aveva, quando assunse tale carica, 39 anni: si era all'indomani della sconfitta di C. Gracco, e di tale sua magistratura M. lasciò memoria per una legge, vivamente contrastata dal senato, circa il modo di votare, legge con la quale, per evitare lo sconcio spettacolo del commercio dei voti fatto dinnanzi alle urne, si stabiliva che le passerelle che portavano alle urne stesse dovessero essere strettissime. Nello stesso anno si oppose a una legge per una distribuzione di grano: e forse appunto per questo si alienò parte della cittadinanza, tanto che fu respinto come candidato alla edilità nel 117, pur essendo console Metello Dalmatico. L'anno successivo (116) fu eletto pretore, ma attraversò qualche grave difficoltà, perché fu accusato di brogli per tale elezione; nel 115 quale propretore, ebbe un comando provinciale in Spagna, e poi contrasse matrimonio con una giovane appartenente alla gente Giulia. La carriera ulteriore gli sarebbe stata difficile; e soltanto la guerra giugurtina gli diede occasione di far ricordare il suo nome e di dar prova delle sue qualità. Il comandante romano in Africa, Q. Cecilio Metello, lo assunse al suo fianco quale legato. Nella battaglia del Muthul (109) ebbe occasione di distinguersi al comando della cavalleria; a Sicca Veneria (108) venne con successo a conflitto con Giugurta. Durante questa campagna M. si credette maturo per ambire al consolato, ma incontrò però difficoltà e contrasti nel suo stesso comandante che esitava a concedergli il necessario permesso. La sua candidatura fu posta, soprattutto, con l'appoggio di tutti gli ambienti romani di Numidia e con quelli della capitale comunque interessati a che la guerra di conquista fosse, in questa regione, condotta con la massima energia e rapidità: Con questi aiuti egli sostenne la sua candidatura a Roma, e, fra vivissimi contrasti, riuscì a farla trionfare, ottenendo subito il comando in Numidia, in sostituzione di Metello, per il 107. Preparandosi l'esercito, M. riformò sostanzialmente gli ordinamenti di coscrizione, non arruolando più secondo un certo censo, ma accettando nell'esercito anche i proletarî (capitecensi), cioè uomini che facevano del servizio militare un mestiere da esercitarsi in quanto erano pagati. Con questa riforma veniva mutata la natura dell'esercito romano, da quella di esercito cittadino a quella di esercito mercenario; introducendo così nella vita pubblica di Roma una classe che doveva finire col vivere della guerra e per la guerra, disposta a tutto e asservita a chi poteva garantirle maggiori guadagni. Sotto il comando di M. (107), la guerra non assunse carattere molto differente dalla tattica usata dal suo predecessore, ma ebbe fin dagl'inizî caratteristiche di maggiore energia e rapidità. Non volle entrare in serie trattative con Bocco, re di Mauritania, il quale aveva subito fatto proposte d'accordo al nuovo comandante romano; rinnovò invece tosto le ostilità contro Giugurta, il quale aveva tratto qualche vantaggio dalla sospensione della campagna conseguente al cambio di comandante, e faceva incursioni attorno a Cirta e a Sicca Veneria. Riprese la tattica di Metello, cioè le lunghe azioni dimostrative dirette alle regioni semidesertiche dell'interno, nelle cui località abitabili Giugurta aveva i suoi centri di resistenza, e diresse una spedizione su Capsa, nel sud presahariano, città forte ed assai importante per le sue possibilità di difesa. M., che aveva affrontato la traversata di terre desertiche portando grandi provviste d'acqua per il corpo di spedizione, riuscì (107) a impadronirsi quasi di sorpresa della città, che distrusse, uccidendo o vendendo schiavi tutti gli abitanti. Nel 106 M., dopo aver compiute varie incursioni per devastazione, iniziò un'altra spedizione diretta verso la Mauritania, culminante in contrastate operazioni sul fiume Mulucca (Oued Moulouya) fra le quali l'ardita cattura d'una isolata fortezza posta in elevata posizione rupestre. Anche questa spedizione, per la consueta deficienza di cavalleria da parte romana, non poté essere conclusiva; e, quando il questore L. Cornelio Silla gli portò dall'Italia rinforzi di cavalleria, era già stato necessario modificare i piani e iniziare la ritirata dalla Numidia occidentale, ritirata che fu gravemente contrastata da diversi attacchi di Bocco e di Giugurta. Le gravi difficoltà del ritorno compromisero moltissimo l'effetto morale della spedizione, mai tentata prima dai Romani, nella Numidia occidentale. Giunto a Cirta, ove si fortificò, iniziò subito nuove trattative con Bocco, trattative di cui fu direttamente incaricato Silla. Le trattative, per l'abilità diplomatica del negoziatore, si conclusero col tradimento di Bocco e con la consegna di Giugurta ai Romani (105). La parte occidentale della Numidia venne annessa alla Mauritania; nel resto venne ristabilito un regno numidico, in apparenza, come prima, autonomo, e ai Numidi fu tolta solo Leptis Magna che durante la guerra s'era data ai Romani, e che da allora con tutta la Tripolitania fu unita alla provincia romana di Africa. Al 1° gennaio del 104, M., eletto nuovamente console, trionfava per la guerra giugurtina, conducendo Giugurta con due figli dinnanzi al suo carro.

Nel 105 Q. Cepione e Cn. Manlio avevano subito una severa sconfitta dai Cimbri e dai Teutoni nella valle del Rodano, e M., tornato allora vincitore di Giugurta, parve l'uomo necessario per salvare l'Italia da un'invasione. Intanto i Cimbri si separarono dai Teutoni per fare incursioni attraverso la Gallia e la Spagna, e M. poté preparare con minuziosa cura la difesa d'Italia, introducendo innovazioni nell'armamento delle truppe e nel loro equipaggiamento e allestendo opere di fortificazione attorno al Rodano. Nel 103, nel 102, nel 101 e nel 100 ebbe successivamente il consolato per la terza, quarta, quinta e sesta volta, impiegando ancora il 103 in preparativi di guerra, mentre L. Appuleio Saturnino, d'accordo con M., proponeva, con evidente spirito antioligarchico, la legge per la quale, in nome della maestà del popolo romano, si colpivano gravemente i frequenti scandali politici, e la legge per la deduzione di colonie in Africa a favore dei veterani di M. Nel 102, essendo ancora divisi i Teutoni dai Cimbri, M. vinse i primi in due battaglie presso Aquae Sextiae e, l'anno successivo, con Q. Catulo proconsole e Silla legato, vinse a Vercelli anche i Cimbri, che, per il Norico e per il Brennero, erano scesi in Italia dallaVal d'Adige. Sul campo di battaglia, con atto del tutto irregolare, M. concesse i diritti di cittadinanza romana a due coorti di Camertini, fatto che prova la sua sicurezza nel potere personale confermatogli dai successivi consolati e dal prestigio che aveva sulle truppe.

Tornato a Roma, pur avendo diritto a due trionfi, ne volle uno solo: e durante il 100, essendo per la seconda volta tribuno della plebe Appuleio Saturnino, e pretore Servilio Glaucia, egli dovette far valere la sua personale influenza per poter sistemare i suoi veterani e per tentare di rinnovare la vita pubblica romana, liberandola in parte dall'oppressione oligarchica. Le leggi Appuleie disponevano distribuzioni di terre e di grano e deduzioni di colonie, soprattutto a favore di veterani di M., i quali erano in gran parte, data la riforma dell'esercito, dei capitecensi, e che, all'atto del congedo, richiedevano un compenso per il servizio prestato. La legge agraria imponeva al senato il vincolo di un giuramento, per il quale M., che avrebbe avuto l'incarico di limitare e dividere la terra per l'assegnazione, veniva a ottenere un riconoscimento sacrosanctus della sua potestà, acquistando quindi una particolare posizione di autorità nello stato romano. Il potere di eccezione, che aveva permesso a M. di rivestire per sei volte la carica di console e di governare a suo talento nei comizî, grazie alla forza politica rappresentata dal voto dei veterani, sarebbe venuto ad assumere a questo modo una parvenza di stabilità e un riconoscimento de iure pienamente contraddittorio con la costituzione repubblicana. Dati i torbidi intervenuti, l'esilio da cui era stato colpito Metello Numidico e la sanguinosa opposizione di Saturnino alla candidatura di G. Memmio, il senato emanò il senatusconsultum ultimum, deferendo ai consoli, M. e L. Valerio, la suprema difesa dell'integrità statale. A questo momento, nell'alternativa fra la piena ribellione diretta al crollo della repubblica e il rispetto alle tradizioni e alle leggi di Roma, M. preferì cedere dinnanzi all'oligarchia piuttosto che affrontare la pericolosa incognita di una rivoluzione senza prevedibile sbocco e via d'uscita. Il rispetto della tradizione, la prudenza e la preveggenza, quel senso dell'intangibilità delle forme repubblicane che fu poi alla base del pensiero politico fondamentale di Cesare Augusto, lo consigliarono ad abbandonare, almeno temporaneamente, la lotta e ad allontanarsi da Roma; ma, mentre le leggi Appuleie venivano annullate, restavano la pesante eredità dell'esempio politico lasciato da M. e le palesi modificazioni nell'equilibrio costituzionale repubblicano conturbato dagli avvenimenti occorsi lungo i sei consolati di M. stesso. Ristabilitosi l'ordine e finito l'anno del consolato, M. si allontanò da Roma facendo un lungo viaggio in Cappadocia, in Galazia, con la giustificazione apparente di un voto alla madre degli dei, ma probabilmente per studiare la situazione politica in Asia Minore, ove la minaccia di Mitridate destava già serie preoccupazioni a Roma. Tornato, visse privatamente nella casa che aveva accanto al Foro, o nella villa di Baia. Malgrado la sopravvenuta reazione oligarchica, durante la sua assenza fu nominato augure. Al tempo della guerra sociale anche M. ebbe un comando e collaborò al grande sforzo dei Romani contro la coalizione degl'Italici: e ambì al comando contro Mitridate, col quale avrebbe avuto occasione di procurare nuovi allori e nuovo prestigio alla sua fortuna politica così gravemente oscurata.

Eletto, nell'88, al consolato il suo antico luogotenente Silla, il comando della guerra, contro Mitridate, veniva affidato al generale patrizio, della cui capacità militare e della cui fermezza si erano avute così splendide prove nella guerra sociale. Silla ebbe un oppositore nel tribuno della plebe P. Sulpicio Rufo, il quale, all'indomani della guerra, riprendeva la lotta contro la oligarchia, appoggiando le aspirazioni di M. Gli avversarî dell'oligarchia avevano capito che per poter mantenere le posizioni conquistate occorreva approfittare del prestigio che avevano sui comizî non ancora riformati per impedire che i nuovi cittadini venissero iscritti soltanto in una minoranza di tribù. Fra i provvedimenti proposti da Sulpicio, vi era anche il trasferimento a M. del comando contro Mitridate, che il senato aveva affidato a Silla. Per ciò si doveva creare per M. un imperium straordinario, atto non illegale, ma che si pretese essere stato votato illegalmente, con violenza. I conflitti provocati dall'azione sulpiciana provocarono l'intervento armato e il ricorso alla forza delle legioni da parte di Silla, il quale, marciando su Roma con le truppe che aveva accantonate a Nola, obbligò M. alla fuga in Africa e lo pose al bando, uccise Sulpicio e restò padrone dello stato (88). Partito Silla per l'Oriente, M. ritornò dall'Africa con un nucleo di forze e si aggiunse al console Cinna (87) nella lotta contro il console Ottavio, esponente e sostenitore della parte oligarchica. La guerra fu condotta, oltre che da M. e da Cinna, da Sertorio e Carbone; M. aveva un contingente di flotta, con il quale operava alle foci del Tevere, mentre gli altri reparti completavano il blocco della città. Gli avversarî dell'oligarchia avevano un prezioso appoggio in quelle regioni, come il Sannio, in cui la ribellione degl'Italici non era ancora stata domata; e l'azione politica di M. e di Cinna si rivolse a grandi concessioni di cittadinanza grazie alle quali, procurandosi sempre maggiori appoggi, avrebbero in seguito potuto procedere a un totale rinnovamento nell'ordinamento dello stato romano. Intanto M. occupava Anzio, Ariccia e Lanuvio; con un attacco di sorpresa veniva occupato lo stesso Gianicolo, mentre il console Ottavio, che difendeva energicamente la città, indebolito dal dissenso con Cn. Pompeo Strabone, non riusciva, pur avendo potuto riprendere il Gianicolo, a liberare la città dal blocco. Una malattia epidemica indebolì anche più la difesa oligarchica; Ottavio fu obbligato a proporre trattative e poi ad arrendersi incondizionatamente. M. fu richiamato in patria con la revoca del bando. Si rinnovava così la sua fortuna politica e si presentava la possibilità di un totale rinnovamento della vita politica romana con la creazione di una forma di governo opposta a quella tradizionale dell'oligarchia senatoria. Al trionfo seguirono gravi massacri, nei quali trovarono la morte fautori illustri dell'oligarchia, fra cui l'oratore M. Antonio, C. e L. Cesare, Sesto Licinio e altri; tutte le leggi costituzionali emanate da Silla prima della sua partenza furono abrogate, e M., eletto console per la settima volta nell'87, stava già preparandosi per la guerra mitridatica quando morì improvvisamente in età di 71 anno, troncando una carriera che, in tarda età, sembrava riaprirglisi luminosamente. Nella sua lotta con Silla vi è l'inizio del contrasto fra la tendenza conservatrice delle istituzioni repubblicane-oligarchiche e quella favorevole al rinnovamento dello stato romano.

Fonti: La vita plutarchea di M. e il primo libro "delle guerre civili" di Appiano sono le fonti principali. Un completo cursus honorum si trova nella iscrizione Corp. Inscr. Lat., I, 33; Dessau, I, n. 59.

Bibl.: A. H. J. Greenidge, A Hist. of Rome, Londra 1907, p. 301 segg.; Drumann-Groebe, Gesch. Roms, II, Lipsia 1902, p. 364 segg.; J. Carcopino, Sylla ou la monarchie manquée, Parigi 1931; Cambridge Ancient Hist, IX, Cambridge 1932, oltre alle storie generali di Roma e del periodo della decadenza repubbl. Per la biogr. di Silla cfr. pure M. A. Levi, Silla, Milano 1924.

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