GALASSO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GALASSO

Guido Rebecchini

Non si hanno notizie certe sulla vita di questo pittore attivo a Ferrara nel XV secolo; pochissimi documenti fanno, infatti, riferimento alla sua vita e alla sua attività pittorica.

L'origine stessa del nome appare incerta: Galasso Galassi è il nome dato all'artista dal Vasari che nella prima edizione delle Vite (1550), pur rimanendo assai vago nella descrizione delle opere e omettendo quasi completamente il profilo biografico, dedica al misterioso pittore ferrarese un intero capitolo.

L'identificazione più convincente appare quella che risulta dai documenti estensi consultati dal Campori (1875), nei quali viene più volte menzionato un Galasso di Matteo Piva. Lo studioso registra la tradizione secondo la quale Rogier van der Weyden, presente a Ferrara nel 1449, insegnò a G. l'uso della pittura a olio. Al contempo, negli archivi estensi il Campori poté scoprire che nel 1450 viene versato un pagamento di 10 lire a "Galasso de Matheo caligaro [calzolaio] depintore per parte de quello lui doverà havere de fare verde una camera a Belriguardo" (p. 21). Tale notizia trova conferma in un documento del 1451, nel quale si legge che Antonio Orsini, anch'egli pittore, viene chiamato a giudicare i dipinti di G. in Belriguardo. Allo stesso anno risale la perizia richiesta a G. e a Cosmè Tura su quattro pennoni da tromba dipinti da Iacopo Turola. Nel 1453, infine, G. salda un debito con il fondaco della Camera che gli aveva fornito carta e colori fin dal 1450. Ulteriori notizie si devono al cronista bolognese Girolamo Albertucci de' Borselli (morto nel 1497), il quale riferisce che "Galasius ferrariensis ingeniosus juvenis" nel 1455 aveva dipinto nella chiesa di S. Maria del Monte presso Bologna una cappella per il cardinale Bessarione, legato papale a Bologna. Il dipinto, raffigurante un'Assunzione della Vergine "cum aliis figuris" tra cui un ritratto al naturale del cardinale, e quello del suo segretario Niccolò Perotti, andò perduto intorno al 1810, quando venne demolita l'intera chiesa. Di esso, che dovette essere l'opera più importante di G., conservano memoria il Lamo (1560), il Masini (1650) e l'Oretti (1770), le cui testimonianze consentono di aggiungere qualche ulteriore particolare iconografico a quanto già riferito dal Borselli.

Il Lamo ci informa che sopra la raffigurazione dell'Assunzione della Vergine erano stati dipinti i Dodici apostoli. Il Masini ricorda, invece, come il cardinale fosse vestito in abito "nero monacale" e come tra le altre figure comparisse il giurista Graziano in atto di scrivere. Anche l'Oretti descrive la scena del "Mortorio della Madonna, portata al seppolcro dagli apostoli" e la ricchezza degli "ornamenti rilevati di stucco dorati e una veduta di strada, con belle fabbriche, ed un angelo che con spada aveva tagliato le mani, che erano restate al cataletto, del demonio, che cadeva a terra; e vi era moltitudine di persone".

Il soggiorno di G. a Bologna è testimoniato anche dalla biografia vasariana nella quale si afferma che G. dipinse "a olio una cappella in San Domenico", affrescò la chiesa di S. Maria del Monte, un non meglio precisato edificio "fuor della porta di San Mammolo" e, l'interno di una chiesa "alla Casa di Mezzo per questa medesima strada" con storie del Vecchio Testamento. Quest'ultima attribuzione, accettata dal Filippini (1933), è certamente inesatta in quanto le pitture cui il Vasari fa riferimento, identificabili con quelle già a Mezzaratta, sono da riferire a un "Galam, forse per Galante, all'anno 1390" (Volpe, 1958, p. 35) e quindi cronologicamente incompatibili con l'attività di Galasso. Il Malvasia (1686) testimonia la presenza di un dipinto di G. nella sacrestia della chiesa della Madonna delle Rondini a Bologna. Quest'opera, descritta in un'edizione della medesima guida del 1776 come "tavola colla Madonna, ed il puttino su d'un piedistallo con bellissimi finti bassirilievi, e li Ss. Francesco e Girolamo a destra, e Bernardo e Giorgio a sinistra oltre otto piccoli Santi in due liste laterali", dopo la soppressione della chiesa passò in Francia e, infine, a Berlino, dove, durante il secondo conflitto mondiale, andò perduta.

Sulla base di queste scarse testimonianze e soprattutto seguendo l'indicazione vasariana di una possibile influenza pierfrancescana, prima il Venturi (1914) e poi dubitativamente il Longhi (1934) attribuirono a G. la Polimnia di Berlino e le due Muse, una con l'arpa e l'altra con il flauto, di Budapest, un tempo facenti parte della decorazione dello studiolo del palazzo di Belfiore, fatto decorare da Leonello d'Este dopo il 1447. Negli Ampliamenti del 1940 lo stesso Longhi riconosceva la scarsa attendibilità dell'attribuzione a G. di queste opere, preferendogli il non meno enigmatico Angelo Maccagnino. Anche il Boskovits (1978) ha escluso la possibilità di convalidare l'attribuzione a G. di tali opere; mentre studi posteriori, corroborati da attente indagini scientifiche, hanno ricondotto l'esecuzione della serie delle Muse di Belfiore al senese Maccagnino, in una prima fase, e a Cosmè Tura e alla sua cerchia, in una seconda (Le muse e il principe, 1991).

Dal XIX secolo è stato ripetutamente attribuito a G. un dipinto raffigurante una Sepoltura di Cristo proveniente dalla chiesa del Corpus Domini di Ferrara e attualmente conservato nella Pinacoteca civica della medesima città. La vicinanza dell'opera alla cultura bolognese ha indotto a pensare a "un artista che, dopo essere stato attivo a Ferrara, si trasferì a Bologna incontrandovi grande favore" (Benati, 1987, p. 631). Un'analisi dell'opera tuttavia non consente di attribuirla con certezza a G. ma a un pittore anonimo padovano-ferrarese attivo intorno alla metà del XV secolo (Mazza, 1985)

In un documento del 1473 si fa riferimento a un "Andreas quondam magistri Galasii de Galasio" (Cittadella, 1866, p. 19); ma il Lamo, scrivendo nel 1560, afferma che G. morì di peste nel 1488. Nulla, tuttavia, conduce a indicare con certezza che si tratti della stessa persona. Secondo il Vasari (1550, 1568), G. sarebbe morto all'età "di anni cinquanta o circa".

Fonti e Bibl.: G. Borselli, Cronica gestorum… civitatis Bononie… ad 1497, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Scriptores, 2ª ed., XXIII, 2, p. 92; G. Vasari, Le vite… (1550, 1568), a cura di P. Barocchi, III, Firenze 1971, p. 389; P. Lamo, Graticola di Bologna (1560), Bologna 1844, p. 16; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1650, p. 461; C.C. Malvasia, Le pitture di Bologna (1686), a cura di A. Emiliani, Bologna 1969, p. 122 (in nota il rimando all'edizione del 1776); Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Mss., B.110: M. Oretti, Le pitture nelli palazzi… (1770), c. 12; L.N. Cittadella, Ricordi e documenti intorno alla vita di Cosimo Tura detto Cosmè…, Ferrara 1866, pp. 18 s.; G. Campori, Artisti degli Estensi. I pittori, Modena 1875, pp. 15, 18-23, 68; A. Venturi, I primordi del Rinascimento artistico a Ferrara, in Rivista storica italiana, I (1884), p. 614; G. Gruyer, L'art ferrarais à l'époque des princes d'Este, II, Paris 1897, pp. 47-55; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VII, 3, Milano 1914, pp. 495-500; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, A history of painting in North Italy, II, London 1923, pp. 222-224; F. Filippini, Pittori ferraresi del Rinascimento a Bologna, in Il Comune di Bologna, 1933, n. 9, pp. 7-11; R. Longhi, Officina ferrarese (1934) e successivi Ampliamenti (1940), in Edizione delle opere…, V, Firenze 1956, pp. 18 s., 178; C. Volpe, Tre vetrate ferraresi e il Rinascimento a Bologna, in Arte antica e moderna, I (1958), pp. 25, 35 n. 9; M. Boskovits, Ferrarese painting about 1450: new arguments, in The Burlington Magazine, CXX (1978), 2, p. 377 n. 24; A. Mazza, Artista padovano-ferrarese attivo alla metà del sec. XV.Sepoltura di Cristo e santi francescani, in S. Giorgio e la principessa di Cosmè Tura. Dipinti restaurati per l'officina ferrarese (catal.), Ferrara 1985, pp. 155-161; D. Benati, La pittura a Ferrara e nei domini estensi nel secondo Quattrocento. Parma e Piacenza, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, Milano 1987, I, p. 257; II, pp. 630 s.; Le muse e il principe. Arte di corte nel Rinascimento padano, I (catal., Milano), a cura di A. Mottola Molfino - M. Natale, Modena 1991, pp. 44 n. 97, 298 s., 383 s., 414 s., 428, 430; G.A. Dell'Acqua, Prefazione, ibid., II (saggi), ibid. 1991, p. 7; G. Biondi, Documenti realativi allo spazio di Belfiore…, ibid., p. 316; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 86 s.

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