CIANO, Galeazzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 25 (1981)

CIANO, Galeazzo

Gianpasquale Santomassimo

Nacque a Livorno il 18 marzo 1903 da Costanzo e Carolina Pini. Durante la prima guerra mondiale si trasferì con la famiglia a Venezia, dove frequentò il ginnasio "Foscarini". Conseguì la maturità classica a Genova. Di, qui la famiglia Ciano raggiunse poi definitivamente Roma nel 1921, in coincidenza con le fortune politiche del padre, eletto deputato e l'anno successivo presente come sottosegretario nel primo governo Mussolini. Durante gli studi universitari il C. fece pratica di giornalismo presso il Nuovo Paese, la Tribuna e, nel 1924, l'Impero, organo fascista intransigente.

Peraltro appariva privo di interessi politici, e si occupò prevalentemente di critica teatrale. Scrisse anche un dramma, Felicità d'Amleto, e un atto unico, Fondo d'oro, che, rappresentati, non ottennero un successo apprezzabile. Frequentava in quel tempo ambienti artistici, giornalistici e mondani.Laureatosi in legge presso l'università di Roma nel 1925, non mostrò alcuna predisposizione per la professione di avvocato. Il padre lo indusse ad afflontare un concorso per l'ammissione nella carriera diplomatica, dove giunse ventisettesimo su trentacinque posti in graduatoria.

Iniziò la carriera come viceconsole a Rio de Janeiro, da dove fu poi trasferito a Buenos Aires. Nel maggio 1927 venne destinato a Pechino come segretario di legazione, alle dipendenze del ministro plenipotenziario D aniele Varè. Solo alla fine del 1929 tornò a Roma, come addetto all'ambasciata italiana presso la S. Sede, istituita dopo il concordato e affidata, al quadrumviro Cesare Maria De Vecchi.

Le posizioni politiche e ideologiche del C. erano In quest'epoca, nelle linee di fondo, già definite, se pure non esplicitate (non lo sarebbero state mai, peraltro, in maniera sistematica); al pari del padre, era, più ancora che un fascista, un conservatore autoritario, di sicura osservanza monarchica, e assolutamente alieno da simpatie, e persino da curiosità intellettuali, nei confronti degli aspetti dell'ideologia e della propaganda fascista di più spiccata demagogia sociale e "antiborghese". Nei primi mesi del 1930 maturò l'episodio che avrebbe costituito una svolta nella sua vita e il presupposto della sua rapidissima carriera politica: il fidanzamento, nel febbraio, e il matrimonio, il 24 aprile, con Edda Mussolini, figlia del dittatore fascista. Negli ultimi giorni di maggio il C. raggiunse Shanghai come console generale; un anno dopo fu trasferito a Pechino con credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario. Il suo rientro in Italia avvenne nel giugno del 1933; nello stesso mese fu tra i componenti della delegazione italiana alla Conferenza economica di Londra.

Il 1° ag. 1933 prese avvio la sua carriera politica vera e propria all'interno del regime fascista, con la nomina a capo ufficio stampa di Mussolini, con sede presso il ministero degli Esteri. Prese inizio allora un'attività che consentì al C. di riprendere contatto con l'ambiente giornalistico dal quale non si era mai del tutto staccato e di operare in rapporto diretto con Mussolini, fino a divenire in qualche misura suo confidente; ma, soprattutto, attraverso l'ampliamento di compiti e di prerogative che l'Ufficio stampa progressivamente assunse, il C. poté concentrare sotto il suo controllo ogni forma di trasmissione di notizie, dalla stampa alla radio, all'editoria, al cinema, allo spettacolo, confermando la sensibilità e l'attenzione ai risvolti politici dei moderni mezzi di comunicazioni che erano state proprie di suo padre come ministro delle Comunicazioni, e ponendo altresì le basi per una sua influenza all'interno del regime e presso il potentissimo suocero.

Il perfezionamento e la centralizzazione degli strumenti di organizzazione del consenso da parte del governo fascista ricevettero un decisivo influsso dagli sviluppi del nuovo regime nazista in Germanià e dall'opera avviata da Goebbels, sia perché offrì un modello al quale il fascismo italiano avrebbe guardato con.attenzione, sia perché, con la sua efficacia propagandistica, stimolò timori, concorrenziali da parte del fascismo italiano.

Nel maggio 1933 il C. incontrò Goebbels durante la sua visita a Roma e l'anno successivo approntò uno studio particolareggiato della struttura del Reichsministertum für Volksaufklärung und Propaganda, da cui trasse spunto per suggerire la ristrutturazione dell'Ufficio stampa (Cannistraro, pp. 102-104). Il 10 sett. 1934 l'Ufficio stampa venne trasformato in sottosegretariato per la Stampa e Propaganda, e il C. entrò a far parte dunque del governoril 25 giugno 1935 il sottosegretariato divenne un vero e proprio ministero., modellato sull'esempio tedesco, e il C., grazie alla rilevanza politica dei suoi poteri e alla dimestichezza personale con Mussolini, divenne qualcosa di più che un ministro. Cominciò allora a prender corpo la diceria della sua designazione a "delfino" del dittatore fascista, che avrebbe trovato appigli ben più sostanziosi negli anni seguenti.

Il C. partecipò alle operazioni militari contro l'Etiopia dell'agosto 1935, e venne sostituito nelle funzioni di ministro dal .sottosegretario Dino Affieri. All'Asmara assunse il comando della 155 squadriglia da bombardamento, poi battezzata la "Disperata", in ricordo di una vecchia squadra dazione fascista di Firenze. Alla fine del '35 dovette recarsi in Italia per sottoporsi a una lieve operazione chirurgica; a metà febbraio del '36 fece ritorno all'Asmara per poi rientrare definitivamente in Italia alla fine di maggio. Come a quasi tutti i gerarchi fascisti mobilitati per la campagna d'Etiopia, anche al C. vennero conferite onorificenze (due medaglie d'argento al valore).

Le memorie di tutti i testimoni dell'epoca concordano peraltro nel descrivere un C. assai tiepido nei confronti dell'impresa bellica e decisamente critico riguardo alla sua direzione militare e politica, al punto da assumere, secondo molti, atteggiamenti disfattisti. Queste prese di posizione semipubbliche erano in realtà manifestazioni di una campagna personale volta a influire, attraverso i mezzi di orientamento e di pressione di cui il suo ministero disponeva, sugli orientamenti di politica estera del regime, spingendo verso un distacco più netto dall'orbita delle democrazie occidentali e un affiancamento alla Germania.

Principale bersaglio della campagna era Fulvio Suvich, all'epoca sottosegretario agli Esteri e accusato dal C. di tiepidezza verso la Germania; avrebbe preso corpo durante la breve permanenza del C. in Italia fra la fine del '35 e l'inizio del '36 una vera e propria fronda filotedesca all'interno della politica estera italiana, strettamente legata alla persona del C., che avrebbe posto cosi la sua candidatura agli Esteri (Petersen, p. 408).

Il 22 maggio 1936 il C. prese la parola alla Camera per illustrare il primo biIancio del suo ministero. Si soffermò sui nuovi istituti creati in materia di controllo e supervisione sulla stampa, come la direzione generale per la stampa italiana, con compiti non solo di censura ma anche.di orientamento, a volte minuto e specifico, sulla trasmissione delle notizie, e la direzione generale per la stampa estera con compiti di informazione e di propaganda, e alle cui dipendenze avrebbe operato anche una struttura organizzativa parallela a quella diplomatica, costituita dagli addetti stampa; diede conto dei nuovi poteri assunti con il r.d.l. 24 ott. 1935, che. dava facoltà al ministro di "provvedere alla revisione di tutta la pubblicazione libraria". Informò sugli sviluppi della radiofonia, che avrebbe a suo dire colmato il ritardo di partenza rispetto agli altri paesi, sottolineando l'istituzione di trasmissioni in diciotto lingue straniere che diffondevano la propaganda fascista verso l'estero. Parlò inoltre della. creazione della direzione generale per la cinematografia e dei programmi di massiccio intervento statale nel settore, nonché dei piani per la costruzione di una città cinematografica alle porte di Roma (la futura Cinecittà), dell'organizzazione del Centro sperimentale e di apposite sezioni cinematografiche dei Gruppi universitari fascisti (G.U.F.). II discorso fu molto apprezzato e, secondo il resoconto stenografico, Mussolini fu "il primo ad esprimergli plaudendo il suo compiacimento".

A un mese dalla proclamazione dell'Impero, il 9 giugno 1936, Mussolini gli cedette il ministero degli Esteri. Il C. aveva allora appena trentatré anni. Le numerose memorie e le testimonianze di diplomatici italiani e stranieri concordano nel far coincidere con l'avvento del C. agli Esteri una actentuazione del dilettantismo e della faciloneria che già avevano preso piede nella direzione della politica estera italiana in seguito alla progressiva fascistizzazioùe del ministero degli Esteri, che il C. intensificò durante gli anni dei suo ministero. Volubilità, vaghezza di propositi, scadimento del tono e dello stile vengono correntemente addebitati alla stessa personalità del C. nelle sue funzioni di ministro.

Il quadro della politica estera italiana, quale si presentava all'attenzione del nuovo titolare del dicastero, era dominato, fra le scadenze immediate, dagli impegni legati alla chiusura diplomatica della guerra contro l'Etiopia e alla fine delle sanzioni degli Stati societari ai danni dell'Italia, nonché dal riconoscimento dell'Impero (obiettivo per molti anni considerato imprescindibile nei rapporti con le potenze occidentali); sullo sfondo, le questioni legate all'orientamento complessivo della politica italiana, ai rapporti con la Germania e, di contro, con le potenze occidentali.

I primi mesi della gestione della politica estera italiana da parte del C. mostrarono una volontà più marcata di inserire la carta tedesca nello scacchiere della diplomazia italiana, senza che questo comportasse l'abbandono della posizione (tradizionale per la politica estera italiana) di oscillazione tra gli schieramenti che, dopo l'avvento al potere di Hitler, erano venuti configurandosi in Europa. Una netta modifica intervenne però nel luglio 1936 con l'avvio della guerra civile spagnola: nell'appoggio offerto subito dal governo faspista ai ribelli e nel successivo allineamento con la Germania contro le potenze occidentali che da questo derivò, convergevano tanto i motivi di presenza ideologica del fascismo italiano quanto gli interessi collegati alla dimensione mediterranea dell'imperialismo italiano che il C., come Mussolini, affermò sempre con coerenza, e che coàtituì uno dei motivi dominanti della politica estera fascista nella seconda metà degli anni Trenta. Si, aggiungeva, nel motivare il particolare impegno italiano (superiore a quello tedesco) a favore di Franco, anche il timore di un accerchiamento che la presenza di un governo di fronte popolare in Spagna, accanto a quello francese, avrebbe potuto determinare.

Il C. all'interno della svolta oggettivamente intervenuta nella collocazione italiana si adoperò più di ogni altro per costituire le condizioni preliminari per un più marcato ravvicinamento italo-tedesco. Una delle premesse era l'attenuazione dei contrasti attorno alla questione austriaca, e il governo italiano usò la sua influenza per imporre al governo austriaco la ricerca di un modus vivendi con il Terzo Reich, che segnò l'avvio dell'infiltrazione imista in quel paese. A questo riguardo, va notato come uno dei pochi elementi di coerenza riscontrabili nell'azione del C. fu la sua convinzione dell'inevitabilità dell'Anschluss, da cui non derogò tanto nella fase filotedesca quanto in quella antitedesca, nella quale si trovò a dover sanzionare come ministro degli Esteri il fatto compiuto senza possibilità di reazione. Gli unici interventi dal C. frapposti a tale riguardo sarebbero andati più che altro nel senso di procrastinare il più possibile un evento ritenuto comunque inevitabile.

Dal 21 al 23 ott. 1936 il C. compì la sua prima visita in Germania; dopo un primo colloquio con il collega tedesco K. von, Neurath, a Berchtesgaden il C. consegnò a Hitler, con una prassi inusitata in diplomazia, un dossier antitedesco preparato da Eden per il gabinetto inglese e inviato a Roma dall'ambasciatore D. Grandi, a riprova della volontà italiana di operare una scelta di campo. Il 22 ottobre, mentre veniva firmato fra Germania e Giappone il patto anti-Comintern, il C. e Neurath concordarono un atteggiamento comune riguardo alla Spagna e agli aiuti ai ribelli. In quella occasione il governo tedesco procedette ufficialmente al riconoscimento dell'Impero italiano. Pochi giorni dopo (1° novembre) Mussolini a Milano annunciava la nascita dell'asse Roma-Berlino.

Il C. e i diplomatici italiani sembrarono spesso ritenere che fosse intervenuta una vera e propria spartizione di sfere di influenza assegnate all'espansione dei due paesi nei colloqui costitutivi dell'asse. Cenni in questo senso erano stati fatti da Funk nel settembre '36. Ma nella raffigurazione abituale dei dirigenti fascisti (mare del Nord e Baltico alla Germania, Mediterraneo all'Italia) vi era una indebita estensione della portata dell'accordo che faceva rientrare anche la penisola balcanica e a volte la stessa area danubiana all'interno della zona pertinente all'Italia. Le vicende successive, e in particolare i conflitti di interesse determinatisi nel corso della seconda guerra mondiale, avrebbero dimostrato chiaramente l'inesistenza di alcuna disponibilità tedesca in questo senso. In altri momenti, gli stessi dirigenti fascisti si mostrarono consapevoli della precarietà di un simile accordo, e dompresero come l'intera Europa centro-sudorientale si presentasse nel nuovo quadro europeo come una zona di incerta appartenenza e nella quale le tensioni concorrenziali fra l'Italia e Germania avrebbero potuto facilmente determinarsi, con Povvia prevalenza della seconda, tanto più in quanto si riteneva difficile procrastinare a lungo l'annessione dell'Austria al Reich. Di qui, nel momento stesso in cui si operava l'accostamento alla Germania, la spinta ad un rilancio della politica italiana nell'area danubiano-balcanica. L'11-12 nov. 1936 ebbe luogo a Vienna la prima conferenza dei ministri degli Esteri di Italia, Austria e Ungheria, che contribuì a consolidare i rapporti con quel paesi, da tempo costituenti il piccolo sistema italiano. Alla fine del settembre 1936 fu firmato un accordo italo-iugoslavo che segnava la ripresa dei rapporti economici dopo le sanzioni, e il 25 marzo 1937 il C. firmava a Belgrado accordi politici ed economici che ponevano fine, provvisoriamente, alla lunga tensione fra i due paesi. Gli accordi di Belgrado, inoltre, sembravano isolare la Grecia, saldamente alleata della Gran Bretagna, e preludettero ad una ripresa della tensione italo-inglese, dopo il breve riavvicinamento seguito al gentlemen's aggreement firmato dal C. e l'ambasciatore britannico Drummond a Roma il 2 genn. 1937, con rimpegno al reciproco rispetto degli interessi mediterranei.

Dopo l'avvento di Neville Chamberlain e l'avvio della politica di appeasemet, i rapporti fra i due Stati conobbero fasi alterne, e il C. fu costantemente impegnato a tenere in piedi negoziati senza volontà precisa di giungere, ad un accordo globale, in quanto la distanza dei punti di vista (e, in particolare, delle pretese italiane) era troppo accentuata, ma i tentativi non vennero mai dimessi del tutto, sia per il loro valore propagandistico presso l'opinione pubblica internazionale, sia perché la diplomazia italiana, come. per converso, quella tedesca, temeva di rimanere isolata se la Gran Bretagna si fosse accordata con l'altro polo dell'asse.

L'andamento controverso dei negoziati italo-britannici, con il mancato riconoscimento dell'Impero, come pure il reale isolamento vissuto in occasione della conferenza.di Nyon (10-14 sett. 1937) sulla pirateria navale nel Mediterraneo (a proposito della quale l'Italia, sotto accusa, dovette in seguito "andare a Canossa") convinsero il C. e Mussolini che le democrazie occidentali potevano accettare solo il linguaggio della forza e dei fatti compiuti, e contribuirono ad orientare maggiormente in senso filotedesco la politica italiana. Il 25 sett. 1937 il C., che aveva accompagnato Mussolini nella sua prima visita in Germania, confermò a Neurath la decisione irrevocabile di non deviare "per nessun motivo" dalla scelta ormai compiuta dell'asse. Il 6 novembre l'Italia aderì quale membro originario al patto anti-Comintern.

Il C. cominciò in questo periodo a manifestare i primi dubbi e le prime oscillazioni che fecero di lui, che era stato l'antesignano dell'asse e il gerarca soggettivamente più propenso all'alleanza italo-tedesca, il più ostile avversario della stessa alleanza, se pure in forme velleitarie e contraddittorie.

Il 29 ott. '37 scriveva sul Diario:"Nessuno può accusarmi di ostilità alla politica filotedesca. L'ho inaugurata io. Ma, mi domando, deve la Germania considerarsi una meta, o piuttosto un terreno di manovra?". Una contemporanea annotazione di Bottai (nota del 30 ott. '37, p. 113) mostra un C. che si spinge fino a prevedere una futura guerra inevitabile fra germanesimo e latinità. In effetti, la politica di avvicinamento nei confronti della Germania era stata intesa dal C. come strumento dì pressione volto a modificare l'atteggiamento delle potenze occidentali e a rafforzare il potere contrattuale dell'Italia fascista; il C. si accorgeva ora che l'alleanza con la Germania, da "carta" di una "manovra" che avrebbe dovuto essere giocata con regole fissate o controllate dagli Italiani, come il C. aveva ipotizzato con furbesco dilettantismo, si avviava fatalmente a divenire una politica irreversibile e a senso unico, e che mai avrebbe potuto svilupparsi su un piano di parità.

La logica delle cose spingeva però sempre di più la politica italiana su un piano inclinato al termine del quale non poteva non esserci la completa soggezione alla Germania. La clamorosa sconfitta dei "volontari" italiani a Guadalaiara, nel marzo 1937, ad opera delle brigate internazionali, spinse il C. ad una accentuazione dell'impegno militare e politico a, favore di Franco, e lo indusse, probabilmente, anche a rendersi responsabile di una infame vendetta nei confronti del fuoruscitismo italiano che combatteva in Spagna: l'11 giugno 1937 furono scoperti i cadaveri dei fratelli Rosselli a Bagnoles-de-l'Orne, e il C. venne comunemente indicato come il mandante di quel delitto, compiuto da sicari francesi.

L'11 dic. 1937 l'Italia usci va dallaiocietà delle Nazioni, rimarcando il suo distacco definitivo non solo da Ginevra. ma da ogni legame con il sistema di Versailles. Nel clima di tensione italo-inglese della fine del '37, il C. giungeva a considerare possibile una vera e propria guerra ("pace se possibile, guerra se necessario": Diario, 30 dic. 1937, p. 79). Mentre si assommavano i segni che lasciavano comprendere l'approssimarsi dell'Anschluss, il C. escludeva ogni possibilità di intervento attivo che contrastasse le mire hitleriane, e si opponeva tanto a una eventuale restaurazione asburgica quanto a una più stretta alleanza fra Vienna e Praga.

Tipico della cinica insipienza italiana:questo passo del Diario del C. (24 nov. 1937): "Ho dato a Ghigi le istruzioni per la sua missione a Vienna ... Gli ho così definito il compito del ministro d'Italia presso il Ballplatz: un medico che deve dare l'ossigeno al moribondo, senza che se ne accorga l'erede. Nel dubbio, ci interessa più l'erede che il moribondo".

Il C. progettava di precostituire un nuovo sistema da sostituire al triangolo RomaVienna-Budapest, un asse orizzontale Roma-Belgrado-Budapest, più periferico, ma secondo il C. più sicuro perché garantito dalla caratterizzazione fascista del nuovo leader iugoslavo M. Stojadinovid. Nell'ultima conferenza dei ministri degli Esteri italo-austro-ungherese (Budapest, 10-12 genn. 1938) prevalse, anche per l'atteggiamento del C., un'atmosfera fredda e piena di riserve, che doveva tradursi anche in una collaborazione economica sempre meno brillante e fiduciosa. Di fronte al fatto compiuto dell'Anschluss, il C. celebrò l'avvenimento come un fattore di semplificazione nella situazione europea e di stabilità continentale. Fu dato avvio alle trattative con il Reich per il rientro dei sudtirolesi che intendevano optare per la cittadinanza tedesca.

Maturò nel clima, generato dall'Anschluss, di accentuata sensibilità verso la concorrenza tedesca nei Balcani il primo esplicito divisamento di occupazione dell'Albania, chiaramente formulata dal C. nella relazione inviata a Mussolini il 2 maggio 1938 in occasione del matrimonio del re Zogu al quale il C. aveva assistito a Tirana. In quell'ampio documento il C. si mostrava preoccupato per l'influenza tedesca, che giudicava in prospettiva inevitabile, nel tradizionale protettorato italiano; enfatizzava le ricchezze naturali del paese e minimizzava i rischi e i contraccolpi che una sua annessione al Regno d'Italia avrebbe comportato.

L'improvvisa crisi interna alla politica inglese, con l'aperto scontro fra Chamberlain e Eden a proposito della questione italiana culminato nelle dimissioni di quest'ultimo (20 febbr. 1938) favorirono, in condizioni vantaggiose per l'Italia, la ripresa dei negoziati fra i due paesi, che sfociarono nei cosiddetti accordi di Pasqua firmati dal C. e da lord Perth il 16 apr. 1938, che ribadirono e perfezionarono gli accordi già intercorsi sul Mediterraneo.

Durante la visita di Hitler in Italia (39 maggio 1938) il C. e Ribbentrop discussero sui primi progetti di alleanza politica e militare, senza risultati concreti a causa delle impostazioni di partena divergenti (mentre Ribbentrop aveva proposto una vera e propria alleanza, il C. aveva ipotizzato un patto di mutuo rispetto).

Le previsioni generali, condivise anche dagli Italiani, avevano individuato nella persistenza dell'autonomia austriaca la condizione che poteva assicurare all'Italia un ruolo di mediazione nelle vicende europee; modificatosi il quadro europeo, era ragionevole temere una brusca caduta di rilievo e di credito per la politica italiana. Tuttavia, poiché la spinta aggressiva del Reich si mostrava immutata e si era rafforzata la propensione all'accordo da parte delle democrazie occidentali, all'Italia venne oggettivamente riconfermato quel ruolo, cui essa non seppe assolvere con la necessaria lucidità.

Nonostante che discorsi e prese di posizione minacciosi da parte del C. e Mussolini recassero nuovi contributi alla tensione europea, l'insorgere della questione cecoslovacca sembrò proiettare e nuovamente la diplomazia fascista sulla ribalta internazionale in veste di mediatrice. Alla fine di settembre, nella fase più acuta della crisi, Mussolini e il C. poterono a Monaco impersonare questo ruolo e presentarsi come salvatori della pace europea, anche se in realtà si erano fatti portavoce delle posizioni tedesche, concordando con i dirigenti nazisti le loro proposte di smembramento territoriale della Cecoslovacchia. Nei mesisuccessivi il C. si occupò degli strascichi di Monaco e arbitrò assieme ai tedeschi le controversie territoriali fra Ungheria e Cecoslovacchia (Vienna. 3 nov. 1938) in modo apertamente favorevole alla prima. Gli ultimi mesi dell'anno videro il C. impegnato soprattutto in un complesso gioco di pressioni verso la Francia allo scopo di giungere a un accordo ancor più vantaggioso di quello conseguito con gli Inglesi; momento eulminante fu il discorso del C. alla Camera del 30 nov. 1938, che i deputati interruppero in maniera preordinata con slogans antifrancesi che rivendicavano la Corsica, Tunisi e Gibuti all'Italia. Partecipò l'11 e 12 genn. 1939 ai colloqui di Mussolini con Chamberlain a Roma, dedicati soprattutto al tentativo di far decrescere la tensione fra Italia e Francia; dal 18 al 23 gennaio fu in Jugoslavia dove incontrò Stojadinović, alla vigilia della sua imprevista destituzione, che fece mancare una pedina importante al gioco italiano nei Balcani; si incontrò inoltre col ministro degli Esteri polacco J. Beck durante la visita in quel. paese (25 febbr.-3 marzo 1938) senza riuscire in alcun modo a inserire un contributo attivo e autonomo della politica italiana nei contrasti che andavano inasprendosi fra Polonia e Germania sulla questione di Danzica.

Cogliendo l'occasione offerta dal nuovo atto di forza compiuto dalla Germania con l'occupazione di Praga, tra la fine di marzo e l'inizio di aprile il C. curò l'esecuzione dell'aggressione all'Albania, già predisposta fin dall'anno precedente. Vincendo iniziali resistenze dello stesso Mussolini, che temeva ripercussioni sfavorevoli in Iugoslavia a favore della Germania, il C. spedì a Tirana uno schema di trattato che imponeva ufficialmente il protettorato italiano, con condizioni di netta limitazione della già precaria sovranità albanese. Di fronte alla riluttanza del re Zogu, il C. e Mussolini fecero presentare un nuovo testo, accompagnandolo con un ultimatum che scadeva il 6 aprile e con lo scoppio di incidenti e provocazioni preordinate.

Il giorno successivo truppe italiane sbarcavano in Albania e procedevano, senza incontrare resistenza, all'occupazione del paese. Il C. aveva sempre considerato questa impresa come suo obiettivo personale, e mostrò di guardare all'Albania quasi come a un feudo. Come sottosegretario per gli Affari albanesi caldeggiò e ottenne la nomina del suo fedele amico Zenone Benini, e fece addirittura ribattezzare il porto di Santi Quaranta in porto Edda, in onore di sua moglie.

In un quadro internazionale che vedeva la tardiva ma ormai ferma volontà delle potenze occidentali di non cedere a nuove sopraffazioni in Europa (assicurazioni date dalla Gran Bretagna e dalla Francia a Polonia e Grecia) maturò, durante i colloqui di Milano fra il C. e Ribbentrop del 6 e 7 maggio, la stipulazione di quella stretta alleanza fra i due paesi dell'asse che era stata rifiutata dalla diplomazia italiana l'anno precedente. Il C. non fu direttamente responsabile delrassénso al Patto d'acciaio, mostrandosi in realtà tiepido verso questa conclusione imprevista, che nacque da una decisione improvvisa e inconsulta di Mussolini; ma non intervenne neppure nella definizione dì un patto di così vasta portata per limitarne i danni, lasciando che la redazione del patto venisse curata esclusivamente dai Tedeschi, e omise addirittura di concordare preventivamente le linee generali del documento, che, preso alla lettera, legava mani e piedi la politica italiana alle decisioni del Reich, prevedendo con automatismo inusitato l'ingresso in guerra di una potenza a fianco dell'altra, qualunque fosse l'origine o la motivazione dell'eventuale conflitto: un vincolo che avrebbe pesato gravemente sui destini del paese, e che fu subito al centro dell'attenzione e della preoccupazione dello stesso governo italiano nei mesi drammatici che seguirono la firma del patto e che portarono allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Il 10 ag. 1939 il C., stimolato dai messaggi sempre più allarmanti che giungevano dall'ambasciatore Attolico, che in tutta questa fase secondò e per certi versi ispirò la politica del C., partì alla volta di Salisburgo, per sincerarsi delle reali intenzioni dell'alleato germanico di fronte all'esplodere della tensione con la Polonia e alla concreta prospettiva di un conflitto ormai non più localizzabile. Fin dal primo incontro con Ribbentrop il C. si convinse che la Germania voleva, e subito, la guerra e che l'avrebbe provocata in ogni modo; lo stesso Hitler confermò a chiare lettere il giorno dopo questi propositi, dando per concluso (contrariamente alla realtà) il patto con l'Unione Sovietica dei quale si era parlato con insistenza negli ultimi giorni e facendo cadere quindi gli ultimi ostacoli che si frapponevano alla guerra. Dai colloqui di Salisburgo e Berchtesgaden il C. tornò deciso ad impedire a Mussolini di subire la politica dei fatti compiuti da parte di Hitler, ma in nessun caso fu prospettata la denuncia dei patto con la Germania, pure ripetutamente infranto nelle clausole che esigevano la consultazione dell'alleato. La, decisione di non intervenire subito, a causa delle condizioni disastrose dell'armamento italiano, fu rapidamente presa; ma, per l'influsso che considerazioni di lealtà formale alla parola data avevano presso Mussolini, la decisione fu sempre prospettata come temporanea, secondo una eventualità già prevista e ammessa da Hitler nel colloquio del 12 agosto, e la questione dell'intervento italiano fu strettamente legata alla capacità di aiuto economico e militare tedesco, per mettere l'Italia in condizione di combattere. La via d'uscita fu, in questo caso, trovata nella convulsa giornata del 25 agosto, quando il C. trasmise una lista incredibilmente sproporzionata di materie prime che l'Italia chiedeva ai Tedeschi, come condizione per l'intervento, all'ambasciatore Attolico, che a sua volta rincarò la dose aggiungendo che la consegna avrebbe dovuto essere immediata. Il 1° sett. 1939, ad ostilità ormai avviate, il Consiglio dei ministri poteva decidere per la non belligeranza (formula significativamente usata al posto di "neutralità") dell'Italia.

Il C. continuò ad assecondare, nonostante non fosse convinto delle concrete possibilità di successo, le illusioni mussoliniane di ripetere il ruolo di mediatore ed arbitro apparentemente rivestito a Monaco, ma le insistenze per una conferenza di pace internazionale, ripetute anche durante il primo mese del conflitto, trovarono scarsa eco presso ibelligeranti. Il C. in questo periodo si adoperò soprattutto per confermare nella decisione di non intervento i volubili umori di Mussolini, e realizzò un allentgmento della tensione con Francia e Gran Bretagna che si rivelò propizio anche per una intensificazione degli scambi commerciali.

Sul piano politico, l'unica prospettiva originale che consentisse un superamento attivo dello status di non belligerante senza coinvolgimento nel conflitto, sembrò essere per il C. e la diplomazia italiana la prefigurazione di un blocco di Stati neutrali dell'area danubiano-balcanica, alla testa del quale l'Italia avrebbe dovuto porsi. Spinte e sollecitazioni in tal senso erano venute tanto dalle potenze occidentali quanto in un primo momento dallo stesso ffitler nell'incontro col C. a Berlino il 1° ott. 1939, e in particolare il ministro degli Esterì romeno G. Gafencu aveva propugnato tale progetto. Il C. non si mosse peraltro con vera e propria determinazione in questo senso, sia perché a Mussolini ripugnava la collocazione di leader di un gruppo di neutrali, sia per le inevitabili implicazioni politiche contenute nel progetto, che ponevano grossi problemi al fascismo italiano: in primo luogo una accentuata equidistanza tra i contendenti e, in secondo luogo, l'impegno di garantire lo statu quo in una zona, quella dei Balcani, dove la diplomazia fascista non rinunciava a velleità di espansione anche in termini ravvicinati (nel gennaio '40, ad esempio, il C. si accordava con il capo degli ustascia A. Pavelić per un futuro protettorato italiano su uno Stato croato autonomo).

Quello dei primi mesi della non belligeranza fu probabilmente il periodo di maggior fortuna dei C. e di massima influenza personale sull'azione di governo, di fronte a un Mussolini incerto e contraddittorio e disposto a fidarsi più che per il passato dei suggerimenti del genero. Il cambio della guardia dell'ottobre del 1939, che coinvolse anche le cariche del Partito nazionale fascista, portò alla ribalta governativa vere e proprie creature del C., o, comunque, uomini strettamente legati a lui e venne perciò definito ufficiosamente "gabinetto Ciano". La scelta della non belligeranza fu confermata dal Gran Consiglio il 7 dic. 1939, in quella che sarebbe stata la penultima riunione nella storia di questo organismo, dove il C. sviluppò le argomentazioni che, in forma piùestesa ma più cauta, ripeté pubblicamente nell'importante discorso del 16dic. 1939 alla Camera dei fasci e delle corporazioni. In questo discorso, che venne pubblicizzato, con grande impegno e che costituì il documento politico più rilevante di questa fase della politica estera italiana, il C. ricostruì le motivazioni che avevano indotto alla scelta compiuta, non tacendo le inadempienze tedesche, in quella parte del discorso che fece maggiore scalpore, ma presentò la non belligeranza come "strettamente conforme all'intenzione germanica di localizzare il conflitto e rigidamente derivante dai Patti nonché dagli impegni collaterali esistenti fra l'Italia e la Germania" (L'Italia di fronte al conflitto, p. 59); inserì punte antisovietiche (rispecchiando l'atteggiamento che sulla guerra russo-finlandese era stato assunto dalla stampa italiana che suonava anch'esso discordante da quello tedesco) e un tono maggiormente disteso verso le potenze occidentali. Sul piano pratico, non veniva però espressa nessun'altra scelta che non fosse quella del proseguimento della non belligeranza connessa sempre con la riaffermata disponibilità a battersi a fianco dell'alleato al momento più opportuno; la fedeltà all'alleanza veniva ribadita con forza, al di là dei sentimenti personali del C., e veniva definitivamente smentito il progetto di blocco balcanico di cui si era parlato nei mesi precedenti. Nei mesi successivi, peraltro, il C. non seppe far valere le sue ragioni e finì per secondare i propositi di Mussolini, assumendo pubblicamente posizioni di rigoroso allineamento.

La decisione dell'intervento maturò nel marzo 1940 e fu definita negli incontri con Ribbentrop a Roma e con HitIer al Brennero ai quali il C. fu presente senza svolgere parte attiva, nonostante che negk incontri con rinviato di Roosevelt, Sumner Welles, in missione di pace in Europa, avesse assunto in maniera più accentuata del solito atteggiamenti antitedeschi. Col passare delle settimane e col susseguirsi dei successi tedeschi, il C., pur non dimettendo la sua germanofobia, sembrò convincersi della inevitabilità della vittoria tedesca.

L'azione del C. sembrò più che altro volta, in seguito, ad orientare i contenuti e le scelte tattiche all'intemo della decisione di intervento e della strategia della "guerra parallela" a quella dei Tedeschi che era stata assunta come connotazione caratterizzante della guerra italiana, curando i presupposti e le modalità dell'espansione italiana nei Balcani.

Accettati passivamente i termini della soluzione armistiziale con la Francia imposti dai Tedeschi, il C. si dedicò alla preparazione dell'aggressione italiana alla Grecia, della quale fu senza dubbio il maggiore responsabile, e che considerò come suo terreno d'azione riservato e personale. Nell'agosto del '40 ebbero inizio i primi piani per un colpo di mano, che servisse a controbilanciare le vittorie tedesche e a consentire, nella logica concorrenziale della guerra parallela, di affermare il controllo italiano in una zona dove la penetrazione politica ed economica del Reich avrebbe facilmente compresso le velleità egemoniche dell'Italia. Dopo aver dato rilievo, a scopo propagandistico, a numerosi incidenti minori e a vere e proprie montature, il C. ebbe buon gioco a convincere Mussolini, con l'aiuto di suoi uomini che dall'Albania offrivano informazioni false e inattendibili, della facilità e dell'opportunità dell'impresa. Nella riunione del 15 ott. '40 il C. assieme a Mussolini, Badoglio, Soddu, Iacomoni, Roatta e Visconti Prasca predispose i particolari dell'aggressione, che fu poi realizzata il 28 ottobre dello stesso anno, per il valore simbolico della data.

L'operazione, presto fallita e tramutatasi in disfatta, con il piccolo esercito greco che inseguì quello italiano in Albania, segnò, con il successivo intervento risolutore delle forze armate tedesche, la fine di ogni illusione di guerra parallela e l'inizio della definitiva e consapevole subalternità italiana alla logica della guerra hitleriana.

Il C. in successivi colloqui fra il marzo e l'aprile del '41 prese atto della sistemazione balcanica predisposta dai Tedeschi (annessione di gran parte della Siovenia al Reich, formazione dello Stato croato ufficiosamente inserito nella zona di influenza italiana, come pure il Montenegro, ampliamento delle frontiere albanesi a danno della Grecia, riduzione ai minimi termini della Serbia) e curò in seguito l'esplicazione di una egemonia sempre più formale nelle zone destinate al controllo dell'ùnperialismo italiano. Si adoperò per conto dei Tedeschi nel compito di far pressione sulla Spagna perché intervenisse nel conflitto, ma le lettere a Serrano Sufler dal gennaio al giugno '41 e i colloqui tra Franco e Mussolini, alla presenza dei rispettivi ministri degli Esteri (Bordighera, 12 febbr. 1941) non ebbero esito per l'abile tattica dilatoria degli Spagnoli.

Durante il colloquio veneziano con Ribbentrop del 15 giugno 1941 il C. fu chiaramente edotto dei peggioramento delle relazioni tedesco-sovietiche e della ormai probabile e prossima aggressione all'U.R.S.S.; nonostante ciò, la notizia della nuova gigantesca operazione militare tedesca colse impreparato il governo italiano. Il C. non prese parte alla successiva definizione della politica estera italiana nel nuovo quadro determinato dalla campagna di Russia, in quanto dalla fine di luglio alla seconda decade di settembre si assentò dal ministero per motivi di salute. Ebbe un nuovo colloquio con Hitler il 25 ott. 1941 e poi una lunga serie di incontri, dal 24 al 27 novembre a Berlino con Hitler, Göring, Ribbentrop e i rappresentanti degli altri governi satelliti della Germania: pretesto ufficiale della riunione era la celebrazione del patto antiComintern, ma in realtà il vero scopo era quello di fissare i termini della egemonia nazista sul continente.

Il C. prese atto della situazione e si mostrò soddisfatto perché l'Italia, ufficialmente, "sedeva alla destra" della Germania e veniva collocata su. un gradino superiore a quello degi altri Stati vassalli del Reich. Alla fine di aprile il C. partecipò presso Salisburgo a nuovi colloqui con i dirigenti tedeschi di aggiornamento sulla situazione militare. Il 10 nov. 1942 prese parte a Monaco al colloquiocon Hitler, Göring e Ribbentrop nel quale fu únposto a Laval di accettare l'occupazione dell'intero territorio francese e della Corsica pprmotivi strategici.

L'attività politica e diplomatica del C. apparve, nel corso di tutto il 1942, comprensibilmente ridotta, in quanto rormai ribadita e accentuata subalternità alla politica tedesca aveva posto il governo fascista in una situazione senza vie d'uscita, aggravata dalle nuove sconfitte militari che cominciavano ormai a coinvolgere tutte le forze dell'asse e a rendere quanto. mai prossima e prevedibile la prospettiva di uno sbarco angloamericano nella penisola. Il Diario del C., ormai ricco prevalentemente di cenni a meschine contese fra gerarchi e sterili recriminazioni antitedesche e antimussoliniane, testimonia eloquentemente dell'irreparabile degradamento della situazione politico-militare, e del velleitarismo ormai sempre più rassegnato dello stesso Ciano.

Nel febbraio 1943, all'interno di una situazione militare ormai insostenibile, il governo che era stato definito "gabinetto Ciano" veniva completamente scompaginato, e gerarchi oscuri e incolori venivano promossi al rango di ministri. Mussolini riassumeva il dicastero degli Esteri, e il C. chiedeva di ottenere la nomina di ambasciatore presso il Vaticano ("un posto di riposo, che però può lasciare adito a molte possibilità per l'avvenire" come annotò nel Diario, II, p. 249)che gli consentiva di restare in contatto con la vita politica della capitale e di avere rapporti con i rappresentanti delle potenze occidentali.

Si tenne al corrente in quei mesi di molte delle tensioni che presero a manifestarsi fra i massimi gerarchi fascisti di fronte al precipitare della situazione bellica e volgenti a trovare una soluzione politica, interna al fascismo, alla crisi del paese attraverso la destituzione, più o meno larvata, di Mussolini.

Dopo lo sbarco angloamericano in Sicilia, fu informato da parteAeì promotori dell'o. d. g. Grandi per il Gran Consiglio del fascismo convocato per il 24 luglio della manovra tendente a restituire al sovrano le prerogative militari e politiche che istituzionalmente gli spettavano. Il pomeriggio del 23 aderì all'o.d.g. e collaboro con, Grandi e Bottai alla stesura definitiva del testo. Pensava allora a un possibile "triumvirato "da costituire assieme agli altri due dopo la caduta di Mussolini; anch'egli, come tutti i massimi gerarchi fascisti, riteneva quasi certo il ricorso da parte del re al personale fascista politicamente più qualificato: in realtà il re e il ministro della Real Casa P. Acquarone, che tenne le fila della congiura con i capi dell'esercito e della polizia, avevano elaborato un loro piano, che sarebbe risultato vincente, e che prescindeva tanto dall'impiego di gerarchi fascisti quanto dalle stesse risultanze del Gran Consiglio. In quella seduta il C. intervenne a sostegno dell'o.d.g. Grandi, senza polemizzare direttamente con Mussolini, ma svolgendo. argomentazioni di politica estera che retrospettivamente ricostruivano le inadempienze dei Tedeschi nei confronti delle clausole dell'alleanza, per vincere la riluttanza di molti ad impugnarla. L'o.d.g. Grandi fu approvato con diciannove voti favorevoli (fra cui quello del Ciano).

Durante i quarantacinque giorni badogliani tentò senza successo di ottenere il passaporto per la Spagna, dove gli era stato assicurato asilo politico; spaventato per le misure repressive contro i gerarchi del passato regime annunciate o minacciate dal nuovo governo si risolse a. chiedere, contraddittoriamente, l'aiuto per lo espatrio agli stessi Tedeschi che aveva negli ultimi anni osteggiato. Il 27 agosto il C. e la sua famiglia furono fatti fuggire dal Servizio segreto tedesco e trasportati in Germania, in una villa presso Oberallmannshausen sul lago di Starnberg.

Dopo l'armistizio di Cassibile e la successiva costituzione, nell'Italia centro-settentrionale, della Repubblica sociale italiana asservita ai Tedeschi, il nome del C. fu incluso nella lista dei traditori che i fascisti intransigenti volevano giustiziare per il voto al Gran Consiglio; anche i Tedeschi fecero pressione in tal senso. Per la verità nel settembre i rapporti fra il C. e Mussolini, liberato dai Tedeschi, erano sembrati, grazie anche alle intercessioni di Edda, molto migliorati se non vicini a una riappacificazione; ma il 19 ottobre il C. fu trasferito da Monaco a Verona, dove fu consegnato alla polizia della Repubblica fascista e rinchiuso nel carcere degli Scalzi.

Fu istituito il 27 ott. 1943 un tribunale straordinario speciale, con il compito specifico di giudicare e condannare i firmatari dell'o.d.g. Grandi e il processo, svoltosi dall'8 al 100 genn. 1944 in condizioni di assoluta illegalità e arbitrio giuridico, si concluse con la condanna a morte del C. e degli altri principali imputati presenti. E C. attraverso la moglie aveva tentato nelle settimane precedenti di scambiare la sua vita con la consegna ai Tedeschi dei Diari, al cui possesso i governanti nazisti tenevano molto, per evitare il contraccolpo negativo sul piano propagandistico che la loro pubblicazione avrebbe Urtamente suscitato, ma le trattative erano fallite ed Edda, con la maggior parte dei documenti del marito, aveva passato la frontiera svizzera la sera del 9 gennaio. Una domanda di grazia dei C. e degli altri condannati non venne neppure inoltrata, dopo la sentenza, a Mussolini. La mattina dell'11 genn. 1944 il C. venne fucilato alla schiena nel poligono di tiro della fortezza di San Procolo, a Verona.

Dall'agosto 1937 datano gli appunti del Diario del C. che sono stati conservati. li suo esordio ("Da oggi intendo riprendere il Diario con regolarità") rivela chiaramente che esistevano altre annotazioni, a carattere non sistematico, che il C. avrebbe cominciato a trecciare fin dalla sua nomina a ministro degli Esteri. Sappiamo dell'esistenza di una serie di appunti dei '36-'37 andata con ogni probabilità distrutta ad opera dei Tedeschi. Sull'autenticità del Diario si è molto discusso, come pure sulla sua attendibilità. Esclusa come inverosimile ogni ipotesi di falsificazione esterna, eccezione fatta per interventi tesi a omettere passi lesivi della onorabilità di persone viventi o scopertamente calunniosi, si fa più complesso il giudizio che occorre dare sulla immediatezza e sulla sincerità dei documento, sui possibili interventi cioè compiuti dall'autore stesso. Con ogni probabilità il, Diario era scritto all'inizio senza alcuna pretesa letteraria o storica e non si ipotizzava una sua pubblicazione, ma doveva servire al C. per suo uso esclusivo come materiale sulla base del quale redigere in seguito le proprie memorie. Con il passare del tempo, mentre la materia trattata si faceva via via più, scottante e le documentazioni ivi contenute di valore sempre maggiore, soprattutto per quanto concerneva i rapporti fra il governo fascista e quello tedesco, agli occhi dei C. il Diario venne ad assumere una importanza sempre più grande, fino a configurarsi come possibile strumento di pressione e come garanzia di incolumità per il futuro, specie nei confronti dei Tedeschi. Le testimonianze su questo significato attribuito dal C. al suo Diario sono numerose, e questo fu l'uso che il C. cercò di farne negli ultimi mesi di vita, nel disperato tentativo di sfuggire all'esecuzione. 2 fondato opinione che siano da ravvisare nel Diario revisioni e omissioni significative, relative al suo operato, e interpolazioni successive operate dal C. sul testo. Non è dei tutto esatto, pertanto, quanto il C. ebbe a scrivere dal carcere di Verona come introduzione da premettere postuma al Diario ("Gli avvenimenti sono fotografati senza ritocco, e le impressioni sono le prime, le più genuine, prima che la critica o il senno di poi abbiano potuto esercitare la loro influenza"). Il Diario resta comunque una testimonianza unica nel suo genere sia dal punto di vista storico (e l'abbondanza di citazioni riscontrabili in tutta la storiografia sul periodo vale a confermarlo) sia per illuminare la personalità. dell'autore. Fra i giudizi più acuti, giova riportare le valutazioni di Bottai (p. 765.): "Nessun saggio del genere è meno "intimo" di questo ... Di pagina in pagina si cerca invano un dato di esperienza, un giudizio politico, un criterio morale, che avviino a unità d'interpretazione storica la cronaca dei fatti vissuti ... Cose guardate, non viste; parole udite, non sentite. Gli è che tale era il suo ingegno. Innegabile ingegno, sostenuto da una memoria minuta e curiosa, vivacissimo, pronto a scattare, tutto impeti e rapidissimi acchiti... l'ingegno rimane al di quà, al di sotto dell'esperienza, in un vago clima di sensazioni, d'impressioni".

I Diari e gli altri documenti del C., ad eccezione di appunti che andavano dal giugno 1936 al luglio 1937, di cui i Tedeschi riuscirono ad impadronirsi e che con ogni probabilità vanno considerati irrimediabilmente distrutti, vennero pubblicati per interessamento della moglie. La parte più sostanziosa dei Diari, riguardante gli anni 1939-1943, fu pubblicata prima negli Stati Uniti (The Ciano Diaries 1939-1943, a cura di H. Gibson, New York 1946) e successivamente in Italia (Diario, I, 1939-1940; II, 1941-1943, a cura di U. D'Andrea, Milano 1946). Gli appunti dal 23 ag. 1937 al 31 dic. 1938 furono pubblicati col titolo 1937-1938. Diario, a Bologna nel 1948. Una nuova edizione italiana, Diario 1937-1943, a cura di R. De Felice, Milano 1980, ha rifuso le precedenti, integrandole a volte con passi tratti dalle edizioni in lingua francese e in lingua inglese, che differiscono in alcuni particolari. Manca una vera e, propria edizione critica del Diario, in quanto gli originali sono rimasti tuttora inaccessibili agli studiosi. Del C. vanno ricordati, oltre a L'Europa verso la catastrofe. Centottantaquattro colloqui..., Milano-Verona 1948, anche L'Italia di fronte al conflitto. Discorso..., Milano 1939; Il Ministero per la Stompa e la propaganda, Roma 1936.

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