GUALDO PRIORATO, Galeazzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUALDO PRIORATO, Galeazzo

Giuseppe Gullino

Nacque a Vicenza il 23 luglio 1606 da Niccolò, conte di Comazzo, e Antonia Roma. Il mestiere delle armi era tradizionale in famiglia, per cui, appena quindicenne, il G. seguì nelle Fiandre il padre, che militava sotto le bandiere dello statolder, il principe Maurizio di Nassau-Orange.

Rimase nelle Fiandre anche dopo che il genitore era tornato in patria per servire la Repubblica veneziana: in una lettera scrittagli dall'Aja il 18 luglio 1624, lo ringraziò dell'assegnamento di 1000 ducati, promettendo di ben figurare nel corso dell'imminente campagna militare. Il G. si trovava allora alle dipendenze del conte Peter Ernst (II) di Mansfeld, con cui fu l'anno successivo alla difesa di Breda, conclusasi con la resa al comandante spagnolo, Ambrogio Spinola, nel giugno 1625. Passò quindi per breve tempo nel reggimento di fanteria del conte di Hauterive, ma quando questi fu richiamato in Francia, il G. preferì ritornare al servizio del Mansfeld, con il grado di capitano di cavalleria. Fu così coinvolto nella sconfitta che A.W.E. Wallenstein inflisse alle forze protestanti a Dessau (25 apr. 1626); riparò pertanto in Inghilterra, dove si arruolavano nuove truppe contro gli Imperiali. Il 6 dic. 1626 scriveva al padre da Londra, informandolo che, trovandosi privo di tutto, l'ambasciatore veneziano "m'ha fatto contare mille fiorini di questa moneta". Pur nella consapevolezza del difficile momento, dallo scritto trapela un animo risoluto: "la supplico, et la prego inviarmi un bon cavallo ben amaestrato, giovine, perché qui non se ne trovano di tanto boni. Et quelli vagliono delle volte la vita d'un homo" (Toso Rodinis, pp. 21 s.).

Sopravvenuta la notizia della scomparsa (fine 1626) del Mansfeld a Sarajevo, il G. si imbarcò alla volta del continente su di una nave olandese, che però fece naufragio: il G. fu tra i pochissimi superstiti e ancora una volta trovò aiuto nel rappresentante della Serenissima all'Aja, Giovanni Soranzo, che gli fornì i mezzi per raggiungere, impegnati nell'assedio regio dell'ugonotta La Rochelle, i reparti del suo antico comandante, l'Hauterive. Nel 1629 il G. rimase ferito a un fianco da un colpo di picca a Bois-le-Duc. Preso congedo dal servizio del re di Francia, s'imbarcò con il conte Giovanni Maurizio di Nassau alla volta del Brasile, per combattervi i Portoghesi; giunto però alle coste dell'Africa, decise di abbandonare l'impresa, "e così ebbe la fortuna di conoscere e considerare la corte del re di Fez, d'ammirare la città d'Algeri ed altre di quel barbaro clima" (Zorzi, p. 289).

Il biografo tace forse su incarichi di altra natura; in ogni caso, la vicenda sa di romanzesco, e, a ben guardare, l'intera vita del G. presenta i connotati di un'interminabile avventura: gran guerriero, gran viaggiatore, gran scrittore, perennemente inquieto e curioso, bramoso di onori e riconoscimenti pur nella consapevolezza della loro inanità, il G. fu conosciuto nelle corti di tutta Europa non meno che sui campi di battaglia e nelle accademie letterarie, premiato dal successo in quasi tutte le sue iniziative, capace di accumulare tesori con le armi e con la penna, sì da essere blandito da principi e repubbliche che ne temevano possibili denunce, rivelazioni di grandi e piccoli segreti, quasi si trattasse di una riproposizione, in minori, dell'Aretino. La vita di quest'uomo singolare fu tutta proiettata all'esterno, su scenografie sempre diverse: sicché viene da chiedersi come abbia potuto, nelle pieghe di un'esistenza insofferente di riposo, trovare il modo di scrivere decine di libri, per di più destinati a incontrare successo di pubblico.

Quel che è certo è che nel 1630 il G. si era separato dal Nassau e, dopo avere toccato le principali città del Magreb, si reimbarcò per l'Olanda, donde poi si portò a Vicenza dietro richiesta del padre, destinato al comando della cavalleria nell'isola di Creta. Probabilmente il G. sperava di ottenere a sua volta un ingaggio nel conflitto per la seconda guerra del Monferrato, ma la pace di Ratisbona (13 ott. 1630) lo indusse a cercare impiego altrove, nella Germania sconvolta dalle vittorie dal re di Svezia Gustavo Adolfo. Qui, nel dicembre 1631, l'imperatore Ferdinando II aveva richiamato in servizio il Wallenstein, ai cui ordini militò il Gualdo Priorato. Nell'estate del 1632 si trovava al campo presso Norimberga, quando si rese protagonista di un alterco con alcuni ufficiali tedeschi che avevano denigrato la Repubblica veneta: il G. reagì e, sguainate le spade, riuscì a cavarsela con la fuga. Così, il 14 ag. 1632, il residente veneziano a Vienna riferiva l'avvenimento: "Non ho potuto sapere dove [il G.] si sia trasferito, ma se ritornasse alla patria è degno di essere abbracciato dalla pubblica munificenza, et perché è cavaliere di esperienza et di valore, et perché con questa attione ha ben dimostrato quale sia la sua fede verso il suo Serenissimo Principe"; pertanto il 10 febbr. 1633 il Senato lo assunse al proprio servizio.

La Repubblica appoggiava allora il tentativo del cancelliere svedese A. Oxenstierna, volto a ricomporre le forze protestanti tedesche in funzione antiasburgica; si inquadra in tale contesto l'invio del G. in Germania, ove prese parte all'assedio di Costanza con i reparti di G. Horn. La sconfitta di Nördlingen (6 sett. 1634) costrinse la Svezia a cercare nuovi aiuti tra i nemici dell'Impero; donde l'incarico al G. di procurare soccorsi da parte della Repubblica. Evidentemente il G. aveva dimostrato di essere qualcosa di più di un coraggioso soldato; sapeva trattare con gli uomini, disponeva di mezzi e conoscenze adeguate, era in possesso di una buona cultura e di apprezzabili qualità diplomatiche. Il contatto con gli emissari svedesi avvenne nell'ottobre 1634; agli inizi del mese, infatti, il G. scortò l'ambasciatore veneto a Londra Angelo Correr nel suo passaggio attraverso la Svizzera; dopodiché prese la via di Nancy e da lì passò in Germania. Munito delle commissioni dell'Oxenstierna, si recò a Venezia e il 3 genn. 1635 si presentò in Collegio per caldeggiare la causa della Lega protestante. Fu, il suo, un abile discorso, come prova l'ampio spazio accordato al suo intervento dal Romanin (VII, pp. 325-328), e tuttavia rimasto privo di effetti pratici.

Gli anni che seguirono (1635-52) costituirono una lunga pausa - forse l'unica - nella frenetica vita del G., che li spese nella sua Vicenza, tranne, forse, qualche breve permanenza nella Valtellina, allora interessata dal conflitto, e in Francia. Cade in questo periodo (sicuramente prima del 1644) il matrimonio con Maria Cogolo, che gli diede una femmina, Bianca, e tre figli maschi: Niccolò, a sua volta scrittore, ma di assai minor levatura rispetto al padre, Ferdinando e Gualdo, che scelse la carriera ecclesiastica.

Fu proprio in questo stesso periodo che maturò nel G. la vocazione di storiografo, i cui primi esiti furono la pubblicazione della Historia delle guerre di Ferdinando II e di Ferdinando III e de Il guerriero prudente, edite entrambe a Venezia nel 1640, entrambe dedicate al re di Francia e al cardinale Richelieu.

Questa attività, destinata a una copiosa produzione protrattasi per un trentennio, presenta caratteristiche ben delineate sin dagli esordi. Oggetto degli scritti del G. non è l'arte militare, bensì la politica; nelle pagine introduttive alla Historia delle guerre… egli scrive: "così tra le armi, come tra le corti dei principi ed altri soggetti grandi, sempre procurai ne' fatti e ne' detti altrui apprendere la cognizione del governo politico e dell'osservanza militare. In ogni occasione, in ogni tempo e in ogni luogo esaminai le ragioni per le quali più ad uno che ad un altro modo si operava. Con diligenza m'affaticai di penetrar li negoziati de' ministri, le difficoltà de' maneggi e le conclusioni de' trattati. Stimai profittevole osservar la condizione de' capi, il consiglio de' prudenti, i concetti de' popoli, i pensieri della nobiltà e gl'interessi de' grandi. Affissai l'occhio a' successi de' tentativi, alla riuscita delle imprese, alla qualità de' paesi, alla varietà de' costumi, alle conseguenze de' siti, all'importanza delle fortezze, al considerabile de' fiumi, al difficoltoso de' passaggi, all'esperienza de' soldati, al tempo, al luogo ed alle cause. E del tutto col lapis e coll'inchiostro ne conservai memoria distinta, nel miglior modo che mi concedeva la mia cognizione e il tempo che ora breve ed or opportuno mi si presentava".

è una naturale insaziabile curiosità la molla del suo scrivere, costantemente rivolto ad avvenimenti dei quali è testimone o che gli vengono riferiti di prima mano; donde l'incessante peregrinare del G. nelle località ove si svolgevano trattative di pace o di guerra, a Venezia, a Roma, nei Pirenei, in Svezia. Da tanto dinamismo non uscirono trattati di scienza politica, ma ampi resoconti, cronache dettagliate di uomini e vicende politico-militari, sempre più inclini - con il trascorrere del tempo - a un pessimismo moraleggiante destinato talvolta a sfociare (già nella Historia della vita d'Alberto Valstein, edita nel 1643), in una profluvie di aforismi e di sentenze. Lo stile presenta caratteri antiletterari, ma non privi di pesantezze barocche - nella Historia delle guerre… egli onestamente confessa la sua scarsa dimestichezza con la retorica -, e tuttavia questi scritti ebbero larga diffusione: al Guerriero prudente si ispirò Raimondo Montecuccoli nei suoi Aforismi d'arte bellica.

Scarse le notizie che abbiamo sul G. negli anni Quaranta del secolo; sappiamo che il 6 marzo 1642 partecipò, in qualità di maestro di campo al torneo organizzato dal podestà di Vicenza; poi, scoppiata la guerra di Castro, il 16 sett. 1643 fu assoldato dal Senato e assegnato alla guarnigione di Verona. Conclusa la pace (25 apr. 1644), il G. si recò a combattere in Baviera per l'elettore Massimiliano (il 5 dicembre di quello stesso anno nominò sua procuratrice la moglie). La battaglia di Nördlingen (3 ag. 1645) e l'aprirsi dei negoziati di Osnabrück spianavano la via alla conclusione della guerra dei Trent'anni, ma mentre si chiudeva il fronte tedesco, per il G. si apriva quello mediterraneo, dal momento che il 23 giugno 1645 i Turchi sbarcavano a Candia, innescando con la Repubblica un conflitto destinato a protrarsi per un quarto di secolo.

Il G. vi prese parte indirettamente, in veste di reclutatore di truppe: nell'estate 1646 la sua città gli affidò infatti l'incarico di provvedere all'arruolamento dei mille fanti da essa promessi alla Serenissima; tuttavia il 15 settembre il G. condusse questi uomini a Verona e di lì non al Lido, per imbarcarli, ma a Mantova, dove il governo marciano da tempo manteneva un presidio in funzione antispagnola. Nominato colonnello, nei cinque anni che seguirono continuò ad assoldare soldati per la Dalmazia, spostandosi tra Verona, Mantova e Venezia; il 26 ag. 1647 ebbe inizio un lungo contenzioso (durava ancora nella primavera del 1660) con gli Esecutori delle deliberazioni del Senato, per via di certi crediti che egli rivendicava risalenti alla guerra di Castro.

Seguitava anche a scrivere, a occuparsi di lettere: nello stesso anno 1647 faceva parte della veneziana Accademia degli Incogniti (G.F. Loredan gli dedicò un elogio con ritratto, salvo poi, nel 1656, stroncare la prima parte di un'opera da cui il G. molto si aspettava, la Scena di huomini illustri, che forse per questo rimase incompiuta). La più autentica vocazione di storiografo e diplomatico, che nel G. faceva tutt'uno, emerse con forza a partire dal sesto decennio del secolo. Nell'estate del 1652 lo troviamo a Parigi, chiamatovi dal Mazzarino per scrivere la storia delle recenti vicende della Fronda. Si fermò poco più di un anno in Francia: il 6 ott. 1653 Luigi XIV lo nominò maresciallo delle sue truppe in Italia e qualche settimana più tardi (10 novembre) lo creò cavaliere dell'Ordine di S. Michele, chiedendogli, quando aveva già lasciato la Francia, di recarsi a Venezia, per ricevere le insegne dal suo rappresentante. Queste notizie sono supportate da documenti ufficiali, ma il silenzio osservato in proposito dall'ambasciatore veneziano a Parigi Giovanni Sagredo consente di ipotizzare che il comando militare affidato al G. non trovasse riscontro pratico e potesse invece servire di copertura per compiti di altra natura.

Di lì a poco, infatti, lo si ritrova a Roma; sin dal 31 genn. 1655 l'ambasciatore francese presso la Santa Sede, H. de Lionne, lo aveva informato del suo arrivo nell'imminenza del conclave; a fine anno (26 dicembre) il G. partecipò ai festeggiamenti per l'arrivo di Cristina di Svezia, e il 16 febbr. 1656 Alessandro VII gli elargì la nobiltà romana. Dopodiché il G. si divise per qualche tempo tra Vicenza, Venezia e Roma; qui infatti era riuscito a entrare nell'entourage di Cristina, di cui aveva tratteggiato una biografia fitta di lodi culminanti nel grande evento della conversione. Il 10 ag. 1657, a Pesaro, l'esule regina lo proclama suo gentiluomo di camera; non è provato che egli si sia recato a Parigi nel 1659 al fine di seguirne gli interessi, mentre il 6 settembre si trovava certamente a Roma, presso il cardinale Rinaldo d'Este, protettore della Corona di Francia, il cui nipote Almerico stava per recarsi a Candia, in soccorso della Repubblica. Nella primavera dell'anno seguente, il G. partì alla volta dei Pirenei, dove il 9 giugno 1660 si sarebbe finalmente conclusa la lunga trattativa per il matrimonio tra Luigi XIV e l'infanta Maria Teresa d'Asburgo.

L'ambasciatore a Roma Nicolò Sagredo, scrivendo al Senato il 1° maggio 1660, dichiarava che il "principal oggetto" del G. consisteva nell'"arricchirsi di ben fondate notizie per ornamento delle historie". Con queste parole si limitava a fornire la motivazione ufficiale di un viaggio che forse serviva di copertura ad altre manovre; non si può escludere, infatti, che nella sua lunga carriera, il G. abbia fatto il mestiere di informatore, magari per più di un principe, seppur mai contro Venezia.

Cristina di Svezia sollecitava l'appoggio francese per ottenere gli emolumenti convenuti con il governo svedese all'atto dell'abdicazione, ma non interamente corrisposti; a complicare le cose era sopravvenuta la morte del cugino Carlo Gustavo, per cui Cristina meditava di riprendersi il trono; onde impedire un atto che avrebbe sconvolto gli equilibri internazionali, Mazzarino si offrì di farsi carico degli interessi della rinunciataria regina.

Il G. fu tra i protagonisti della complessa vicenda. Lasciata Andaye, nel giugno del 1660 una caduta da cavallo lo costrinse a fermarsi per qualche tempo a Bordeaux, sicché soltanto il 7 settembre ottenne udienza da Luigi XIV. Nel febbraio 1661 era ad Amburgo, in attesa di raggiungere la regina a Norrköping, in Svezia, e intanto arruolava soldati per la Serenissima, con l'appoggio dell'ambasciatore a Parigi. L'infelice esito del tentativo di Cristina lo costrinse a un nuovo viaggio a Parigi (novembre 1661). Ma la corte di Francia fu larga solo di promesse; sostenuta dalla S. Sede, la regina pensò allora di coinvolgere i principi europei nella "crociata" contro gli Ottomani, ergendosi a protettrice della Cristianità. I suoi personali interessi vennero così a coincidere con quelli della Serenissima, e il G. si presentò come il tramite naturale; il 15 marzo 1662 Cristina lo nominò suo inviato speciale presso le corti d'Europa, incarico che gli rinnovò dopo il ritorno a Roma, il 30 ag. 1662, e che costrinse il G. a portarsi in Savoia e poi a Genova e alla Dieta di Ratisbona, coniugando a un tempo molteplici interessi (il 21 apr. 1662 Luigi XIV gli fornì un lasciapassare in cui il G. ancora una volta è definito "mareschal de nos camps et armées", Toso Rodinis, p. 36).

Ma la vita del G. era a una svolta: nel 1663 fu chiamato a Vienna, con l'incarico di storiografo di corte. Fu probabilmente lui a sollecitare la nomina, onde prendere le distanze dalle velleità di Cristina, dalle ambiguità francesi, dalle irresolutezze romane; ma anche stavolta non si può escludere che, dietro l'improvviso trasferimento, si celassero finalità spionistiche, tanto da parte asburgica quanto veneziana (il rappresentante della Serenissima a Vienna, che non fa parola del nuovo status del G., era quello stesso Giovanni Sagredo che undici anni prima aveva osservato analogo silenzio a Parigi, in circostanze non dissimili). Dagli antichi padroni il G. si distaccò per gradi: il 26 ott. 1663 il re Sole gli confermò il titolo di maresciallo; il 4 dicembre dello stesso anno Cristina di Svezia gli fece pervenire nuove istruzioni. Intanto, nel 1664, il G. pubblicò, a Vicenza, la Vita del cav. Pietro Liberi (ed. a cura di L. Trissino, Vicenza 1818) pittore, viaggiatore e uomo di azione per molti aspetti a lui vicino.

Nel gennaio 1666 lo troviamo a Genova, sorvegliato dagli Inquisitori che ne temevano la penna; due mesi dopo è a Milano per stampare l'Historia di Francia; contemporaneamente pubblicò la nota Relatione della città e Stato di Milano. Dal maggio 1667 risiedette stabilmente a Vienna, dedicandosi tutto all'attività storiografica; nel 1668 stampò la Relatione della città di Fiorenza, due anni dopo fu la volta della Historia di Leopoldo Cesare, vero trattato di storia contemporanea che individua nell'area balcanica il teatro della futura offensiva asburgica contro i Turchi. Nel 1671, infine, pubblicò a Vienna il suo ultimo lavoro: L'huomo chiamato alla memoria di se stesso e della morte, malinconica riflessione sulle vanità della vita e del mondo, dove il G. traccia il bilancio della propria esistenza.

Il 9 marzo 1675 la Repubblica gli conferì - benché assente - la dignità di cavaliere di S. Marco; vi era forse del calcolo dietro l'alto riconoscimento: il desiderio di chiudergli la bocca e, forse, di premiare servigi noti e meno noti. A riprova, due anni dopo il G. lasciò Vienna ricco di onori e regali e pensioni, "acciocché non abbia occasione di straparlare" (Croce, p. 116).

La morte colse il G. a Vicenza nel 1678; è sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Lorenzo.

Le opere a stampa e manoscritte del G. sono elencate in G. Toso Rodinis, G. G.P. Un moralista veneto alla corte di Luigi XIV, Firenze 1968, pp. 215-221; quelle a stampa da M. Zorzi, Vita del signor conte G. G.P. cavalier e famoso istoriografo del secolo passato, in A. Calogerà, Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, I, Venezia 1728, pp. 312-320 (l'intero saggio comprende le pp. 281-320) e G. Pellizzari, G. G.P. storico di frontiera, Vicenza 1991, pp. 29-31 (è lo studio più recente e originale sulla personalità e l'attività storiografica del G., tuttora forse non pienamente ricostruibili, essendo privo di catalogazione l'archivio di famiglia, conservato presso il Civico Museo di Vicenza).

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Provveditori sopra feudi, reg. 1147: Aureo libro de' titolati, c. 403r; filza 1047/43; Senato, Dispacci, Germania, filza 76, dispaccio del 14 ag. 1632; Senato, Terra, regg. 108, cc. 553v-554r; 127, cc. 248r-249v, 367v, 464v-465r; 132, cc. 303rv, 323v-324v; 133, cc. 337r, 349v-350r, 351r, 364r, 390rv, 415v, 443r, 452r, 453r, 454r, 467r, 497r; 134, c. 371; 135, cc. 426r, 431v; 136, cc. 20r, 98v-99r, 104v; 137, c. 396r; 138, cc. 11v-12r, 77r, 205v; 141, c. 479v; 142, c. 98r; 143, cc. 395r, 574v; filze 521, cc. 179r-180r; Senato, Dispacci, Roma, ff. 147, dispacci del 27 dic. 1659 e 10 genn. 1660; 148, dispaccio del 3 apr. 1660; Senato, Dispacci, Francia, filze 125, dispacci del 28 giugno e 14 luglio 1660; 126, dispacci del 7 sett. 1660, 11 e 22 febbr. 1661; Inquisitori di Stato, b. 436, sub 14 giugno 1660; Vicenza, Biblioteca civica, Mss., 3391/M: G. Da Schio, I memorabili, cc. 131, 208-218; [G.F. Loredan], Le glorie degli Incogniti, overo Gli huomini illustri dell'Accademia…, Venetia 1647, pp. 173-175; A. Valier, Historia della guerra di Candia, Venetia 1679, p. 506; Calendar of State papers and manuscripts… Venice, a cura di A.B. Hinds, XVIII, XXIII, XXVIII, XXXII, London 1912-31, ad indices; C. De' Dottori, Lettere a Domenico Federici, a cura di G. Cerboni Baiardi, Urbino 1971, p. 118; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, VII, Podestaria e capitanato di Vicenza, a cura dell'Istituto di storia economica dell'Universtà di Trieste, Milano 1976, p. 414; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VII, Venezia 1858, pp. 325-328; B. Morsolin, Il guerriero prudente di G. G.P. e gli Aforismi dell'arte bellica di Raimondo Montecuccoli, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 5, VIII (1881-82), pp. 803-825; B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia. Pensiero, poesia e letteratura, vita morale, Bari 1929, pp. 100-103, 105, 107, 110 s., 116, 118, 140, 144, 230; A. Tamborra, Guerra al Turco e rivolta nobiliare in Ungheria nella seconda metà del Seicento: G. G.P., in Venezia e l'Ungheria nel contesto del barocco europeo, a cura di V. Branca, Firenze 1979, pp. 421-429; C. Donati, L'idea di nobiltà in Italia. Secoli XIV-XVIII, Bari 1988, pp. 279, 288; G. Benzoni, Cronisti e storici del Seicento e del Settecento, in Storia di Vicenza, L'età della Repubblica Veneta (1404-1797), a cura di F. Barbieri - P. Preto, III, 1, Vicenza 1989, pp. 407-410; A. Daniele, Attività letteraria, ibid., III, 2, ibid. 1990, pp. 61 s.; G. Assereto, Inquisitori e libri nella Genova del Seicento, in Per Marino Berengo. Studi degli allievi, a cura di L. Antonielli - C. Capra - M. Infelise, Milano 2000, pp. 331, 336; D. Colombo, Appunti sul "secolo alla Moda", ibid., pp. 357, 363-365; M. Infelise, Prima dei giornali. Alle origini della pubblica informazione (secoli XVI e XVII), Bari 2002, p. 66.

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