MALATESTA, Galeotto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MALATESTA (de Malatestis), Galeotto

Anna Falcioni

Figlio di Pandolfo (I) e di Taddea, nobildonna di origini ignote, nacque, con ogni probabilità, nei primi anni del Trecento, poco dopo Malatesta detto l'Antico, con il quale condivise, in perfetta sintonia, larga parte della propria esistenza.

Entrambi dotati di eccellenti doti diplomatiche e militari, primeggiarono incontrastati sugli altri esponenti del casato, assicurando alla discendenza di Pandolfo autorità assoluta e duratura. Perciò i due adottarono ogni espediente per appagare la brama di potere, assumendo nel tempo atteggiamenti discontinui, talvolta contraddittori, ma sempre dettati da una logica risoluta, connessa ai repentini mutamenti cui andava soggetto il generale clima politico.

Incuranti dei legami parentali, i due fratelli sostennero l'azione del legato Bertrand du Poujet, che nell'aprile 1331 aveva intimato al cugino Ferrantino di consegnare alla Chiesa la città e il contado di Rimini. La scomparsa dalla scena politica di Ferrantino, uno degli eredi legittimi alla guida della signoria, avrebbe facilitato l'ascesa di Malatesta Antico e del M., i quali non esitarono a impugnare le armi contro i parenti. Una nuova congiuntura storica, però, rivelò presto la connaturata precarietà di tali accordi, fortemente influenzati dalle contingenze del momento. La frattura giunse nell'aprile 1333 quando le milizie della Chiesa, al comando del M., furono sbaragliate dagli Estensi, fautori di una vasta lega antipapale sostenuta da Visconti, Scaligeri e Gonzaga. L'esercito pontificio subì gravi danni e l'onta di catture eccellenti, rispetto alle quali, però, il legato mostrò totale disinteresse. Neppure la carcerazione del M. indusse Bertrand a intavolare trattative di liberazione, innescando l'immediata reazione del casato malatestiano che, finalmente pacificato, si volse, compatto, alla riconquista del Riminese. Il M., appena rilasciato, raggiunse Malatesta Antico e Ferrantino con i quali, valicato il Marecchia, nel settembre 1333, fece irruzione in città mettendo in fuga il rappresentante legatizio Brandaligi Gozzadini. Ancora una volta fallimentare fu il tentativo di amministrare i domini malatestiani con una direzione congiunta, che riconfermava Ferrantino alla guida di Rimini e relegava Malatesta Antico nei possedimenti marchigiani. Le carismatiche personalità di Malatesta Antico e del M. erano destinate a imporsi con la forza come uniche protagoniste della scena politica. Il 3 giugno 1334, mentre Ostasio da Polenta si introduceva in città, Malatesta Antico invitò nella propria residenza riminese i cugini che, attirati da falsi pretesti, furono catturati e imprigionati. Il giorno dopo, Malatesta Antico e il M. furono proclamati a furor di popolo signori di Rimini, convertendo il tradimento in legittima presa di potere. La ratifica dell'assoluto predominio giunse a compimento con la riforma degli statuti riminesi che, pur lasciando intatte le istituzioni comunali, attribuì di fatto a Malatesta Antico e al M. la plenitudo potestatis, in perfetto connubio di intenti e azioni.

Il M. e Malatesta Antico non cessarono di sostenere la personale lotta contro i superstiti esponenti del casato in grado di intaccare il predominio raggiunto. La minaccia principale giungeva da Ferrantino Novello che, alleatosi con i Montefeltro, nel dicembre 1335 promosse un attacco contro il contado di Rimini. La disputa si protrasse con alterne vicende fino al maggio 1343, allorché la saggia e abile conduzione militare dei due fratelli pose fine alla vicenda. Dietro pagamento di un'ammenda per i danni causati dall'iniziativa armata, Malatesta Antico e il M., fatto pubblico atto di sottomissione al legato, ottennero dalla Chiesa il riconoscimento ufficiale del proprio dominio che, estendendosi su tutto il distretto riminese, comprendeva gli strategici feudi di Saludecio e Verucchio. La pace, siglata il 25 maggio 1343 presso la corte di Nolfo e Galasso da Montefeltro, sancì l'irreversibile declino di Ferrantino che, confinato a Mondaino, si trasferì a Urbino, dimostrando un progressivo distacco nei confronti delle questioni romagnole.

Intorno alla metà del XIV secolo Malatesta Antico e il M. raggiunsero l'apice della potenza territoriale, per preservare la quale sacrificarono nuovamente il prezioso sodalizio con la S. Sede. La crisi del rapporto si manifestò con pienezza nel 1343, quando i due, per consolidare le personali velleità espansionistiche, non esitarono ad accettare il vicariato imperiale, conferito loro da Ludovico il Bavaro. La solenne investitura estendeva ufficialmente il raggio d'azione malatestiano nella Marca, imponendo il M. alla guida di Fano e Pandolfo (II), figlio di Malatesta Antico, a capo del governo pesarese. Nel biennio successivo, il mestiere delle armi, esercitato con valore e professionalità, apportò ai Malatesta successi insperati, che conferirono al casato romagnolo un eccellente primato territoriale nell'intero panorama italiano, inferiore alla sola potenza viscontea. Assoggettata Osimo a opera di Malatesta Antico (1347), il M. contribuì col fratello e col nipote Galeotto detto Malatesta Ungaro a completare il quadro delle conquiste nella Marca meridionale e ad assicurare il controllo di Ancona, Osimo, Iesi, Cingoli e Ascoli (1348-52). Generale delle milizie ascolane, nel 1348 il M. sconfisse l'esercito di Gentile da Mogliano, con il quale, alla presenza dei plenipotenziari milanesi, stipulò un accordo (21 ott. 1351) per il possesso di alcuni castelli di confine e per l'uso del porto fluviale alla foce del Tronto, che Ascoli rivendicava di sua pertinenza.

Le scelte politiche di Malatesta Antico e gli incarichi militari assunti dal M. continuavano a essere determinati da esigenze contingenti, intestine al casato ed estranee all'ideale guelfo di cui essi rivendicavano rappresentanza e patrocinio. L'avanzata viscontea nell'Italia centrale, tuttavia, distolse il Papato dalle vicende dei signori di Rimini, concedendo ai due fratelli ampi margini di autonomia. Nel 1352 il M. condusse una campagna in Abruzzo al servizio di Luigi d'Angiò, re di Sicilia, in lotta contro fra Moriale e gli Ungari, impegnati a difendere la rocca di Aversa, e, come vicario regio, il M. tentò di estendere l'orbita di influenza malatestiana alla città di Atri. Nel frattempo la posizione dei due Malatesta in ambito familiare si era rafforzata con la morte degli ultimi congiunti, Ferrantino Novello (febbraio 1352) e Ferrantino senior (12 nov. 1353), che sino alla fine avevano contrastato la loro ascesa al potere.

L'innata capacità di adattamento al mutevole quadro storico-politico del tempo consentì a Malatesta Antico e al M. di conservare la conquistata egemonia, nonostante il radicale capovolgimento delle condizioni innescato dalla pace di Sarzana (31 marzo 1353), che pose l'Appennino come limite degli ambiti d'influenza viscontea e fiorentina, e dall'arrivo in Italia del cardinale Egidio de Albornoz.

Il mandato del legato apostolico, incaricato da papa Innocenzo VI di debellare gli autonomismi locali imperversanti nello Stato della Chiesa, segnò, senza dubbio, una svolta decisiva che impose ai Malatesta una drastica revisione di condotta. Il ridimensionamento della potenza malatestiana era, infatti, uno degli obiettivi primari nel progetto di restaurazione dell'autorità pontificia diretto dall'Albornoz, che assunse inizialmente un atteggiamento conciliante nei confronti dei signori romagnoli. La via della diplomazia, però, non riscosse i successi sperati. Se l'assoluzione del M., reo di aver imprigionato per sette mesi il vescovo di Ascoli al tempo dell'occupazione della città, aveva posto le basi per una riconciliazione, i Malatesta si dimostrarono restii a rimettere le loro terre - già duramente danneggiate (in particolare nel Fanese) dalla temibile compagnia di fra Moriale - alla volontà della Chiesa.

Nel luglio 1354, pertanto, il Papato emanò una nuova intimidatoria contro Malatesta Antico e il M., la cui presenza era inderogabilmente richiesta presso la Curia avignonese per il 10 ottobre successivo. Benché muniti di apposito salvacondotto, i due declinarono ancora una volta l'invito, attirandosi la scomunica. La notizia della condanna, annunciata il 15 dic. 1354 in tutte le chiese soggette alla giurisdizione del legato, compromise inevitabilmente la carriera del M. al quale era stato affidato, in qualità di vicario, il governo dell'Abruzzo.

A sostegno della pace tra i Malatesta e la Chiesa si mobilitò lo stesso Luigi d'Angiò, che inviò all'Albornoz e a Carlo IV di Lussemburgo, giunto in Italia per essere incoronato imperatore, il gran siniscalco del Regno Niccolò Acciaiuoli (marzo 1355), affinché fosse approntata una nuova mediazione. Il legato pontificio si mostrò disponibile a tornare al tavolo delle trattative, tanto che le parti stabilirono di recarsi a Siena presso l'imperatore dopo la sua incoronazione, ma, a dispetto delle previsioni, furono nuovamente Malatesta Antico e il M. a disertare l'incontro. Rimasto di stanza in Abruzzo dove combatteva al fianco di Rodolfo da Varano, il M., all'indomani della conquista di Recanati, nell'aprile 1355, fu sconfitto presso il castello di Paderno dalle milizie dell'Albornoz e condotto a Gubbio come prigioniero della Chiesa.

La carcerazione del fratello e la successiva invasione del Riminese da parte dell'esercito pontificio persuasero Malatesta Antico a cessare le ostilità, per raggiungere un compromesso. Risoluto a patteggiare, il 1( giugno 1355 egli si presentò all'Albornoz e, cedendo in ostaggio il figlio Galeotto-Malatesta Ungaro, ottenne la liberazione del fratello. L'incontro con il legato fruttò ai Malatesta un successo diplomatico che sanò e rinnovò i rapporti con la S. Sede con la concessione del vicariato apostolico su Rimini, Pesaro, Fano, Fossombrone e i relativi contadi e distretti. L'accordo, approvato da Innocenzo VI nel luglio 1355, sollevò i Malatesta da scomunica e interdetto e consacrò i due, proclamati vicarii generales pro Sancta Romana Ecclesia, alla guida del loro Stato.

Novelli campioni della Chiesa, Malatesta Antico e il M. adempirono con prontezza agli impegni vicariali, sostenendo l'azione del legato, che nel 1356 indisse una crociata contro gli Ordelaffi, offrendo ai partecipanti la piena remissione dei peccati. Il sostegno e la preziosa esperienza militare del M. furono determinanti. Egli, nominato gonfaloniere della Chiesa, condusse l'esercito contro Cesena, poi nel maggio 1356 si portò verso il territorio forlivese, riscuotendo i plausi di Innocenzo VI per l'esemplare direzione bellica. Approfittando di una rivolta popolare che nel maggio 1357 aveva costretto Cia degli Ubaldini, moglie di Ordelaffi, ad arroccarsi nella fortezza di Cesena, il M. si impadronì definitivamente della città, portando Cia alla capitolazione. Forte della vittoria, si diresse verso Bertinoro, che si arrese nel luglio dello stesso anno. Le sue gloriose imprese contribuirono a incrementare il già cospicuo patrimonio familiare con il conferimento di un secondo vicariato su numerosi castelli del Riminese, concessione accordata dal pontefice nel gennaio 1358 in segno di riconoscenza.

Il momentaneo ritorno dell'Albornoz in Francia arrestò le operazioni militari sino alla primavera 1358 quando il legato, grazie alla fidata collaborazione dei Malatesta, poté sferrare l'attacco decisivo contro Forlì e Forlimpopoli. Sconfitto l'Ordelaffi, il quadro delle terre da sottomettere al dominio ecclesiastico poteva ritenersi completo con l'eccezione di Bologna che, consegnata formalmente al legato dal podestà Giovanni da Oleggio, era stata, poi, occupata da Bernabò Visconti con l'appoggio di Ordelaffi e Manfredi. Artefice principale del trionfo sulla città emiliana fu, ancora una volta, il M. che, aiutato dal nipote Galeotto Ungaro, penetrò furtivamente in città e fu protagonista di una straordinaria dimostrazione di forza. La battaglia di San Ruffillo, consumatasi con innumerevoli perdite di vite umane nel giugno 1361, associò al M., cui furono conferite le insegne cavalleresche, l'immagine del condottiero indomabile, consacrandolo uno dei massimi uomini d'arme del tempo.

Il favore acquistato presso la S. Sede valse ai Malatesta la proroga decennale delle precedenti concessioni vicariali del 1355 e del 1358, senza l'obbligo di recarsi ad Avignone per prestare il giuramento di fedeltà, e valse in prima persona al M. prestigiosi ingaggi. Già vicario del re di Sicilia Luigi d'Angiò, egli preferì dimettersi dall'autorevole incarico per assumere, nel luglio 1363, il comando dell'esercito fiorentino, celando, forse, la velleità di estendere il proprio controllo su Firenze. Ottenuto il delicato compito di rimediare agli errori commessi dal nipote Pandolfo (II), congedato dai Fiorentini per il fallimento dell'offensiva contro Pisa, il M. inflisse ai Pisani una dura sconfitta (luglio 1364) e, perseverando nell'azione armata, si diresse verso Lucca.

Importanti questioni di famiglia, tuttavia, lo distolsero temporaneamente dagli impegni fiorentini: il 27 ag. 1364 morì Malatesta Antico, che cedette a titolo vitalizio la reggenza dello Stato al M., coadiuvato dai nipoti Pandolfo e Galeotto Ungaro. La signoria sarebbe stata diretta sino alla morte dal M. che, privo di discendenti maschi, avrebbe provveduto a trasferire i propri poteri ai nipoti. Dall'unione fra il M. ed Elisa della Valletta, patrocinata da Amelio di Lautrec e celebrata con sfarzo a Rimini nel giugno 1323, nacque, infatti, una sola figlia femmina, Rengarda, morta con la madre nel 1366.

Sul finire del 1364 si rese nuovamente indispensabile la presenza a Rimini del M., le cui terre erano minacciate dall'avanzare di John Hawkwood, che con i suoi uomini d'arme era stato licenziato dai Pisani; pare che, anche in questa occasione, il M. riuscisse a contrastare autonomamente l'assalto.

In qualità di fedele servitore della S. Sede, il M. partecipò al fastoso corteo che, nell'ottobre 1367, festeggiò il ritorno della corte pontificia a Roma. Il soggiorno di Urbano V nella penisola fu breve, ma apportò al M. la prestigiosa nomina a senatore di Roma (27 genn. 1368). Efficace e fruttuosa si rivelò persino l'intesa con il nuovo legato, Anglico de Grimoard, fratello del papa, che, degno successore dell'Albornoz, nel febbraio 1370 promosse una campagna di recupero ai danni di Perugia rea di avere stretto alleanza con Bernabò Visconti e di essersi, quindi, ribellata all'autorità ecclesiastica. La nuova crociata, indetta nella chiesa di S. Colomba a Rimini, esigeva l'intervento del M., al quale il papa si rivolse direttamente, sollecitando anche la partecipazione di Galeotto Ungaro. Zio e nipote non tradirono le aspettative e Urbano V si affrettò a congratularsi col M., distintosi per l'eccellente condotta militare assunta contro John Hawkwood, assoldato dai Visconti.

L'elezione al soglio pontificio di Gregorio XI (dicembre 1370) non alterò la qualità dei rapporti con i Malatesta, che continuarono a difendere strenuamente gli interessi della S. Sede. Il M., inviato dapprima nel Modenese a soccorrere il marchese Niccolò d'Este assalito da Manfredino da Sassuolo, nell'ottobre 1371 assunse la guida della lega antiviscontea patrocinata dallo stesso papa. La lotta contro il signore di Milano e suoi aderenti, comunque, si prospettava lunga e difficoltosa e l'improvvisa morte di Galeotto-Malatesta Ungaro (luglio 1372) sovraccaricò di impegni il M., che, ormai in avanzata età, decise di deporre il comando delle truppe.

Ciò gli consentì di sovrintendere agli affari di famiglia e di portare a compimento una strategica transazione commerciale, acquisendo per 17.000 ducati d'oro da Raimondo di Montalto, signore di Grisac, il feudo di Sansepolcro (luglio 1371). A questo si aggiunse, anche per successiva conferma dell'imperatore Carlo IV (1378), il centro di Citerna, che assicurò al M. uno strategico avamposto per il controllo del Montefeltro e della Valtiberina verso Città di Castello. I nuovi possedimenti malatestiani assunsero, altresì, una rilevanza imprescindibile allo scoppio della cosiddetta guerra degli Otto santi (1375) che, innescata dal sodalizio di Fiorentini e Visconti in funzione antipapale, si estese a tutta la Marca scardinando irrimediabilmente il precario equilibrio raggiunto dall'Albornoz. La disgregazione delle tradizionali alleanze catapultò il M. al centro del feroce scontro i cui principali contendenti, Firenze e la S. Sede, invocarono entrambi il suo pronto sostegno. Sordo agli appelli dei Fiorentini, il M. si schierò con decisione a favore della Chiesa e, stabilito a Sansepolcro il quartiere generale, assunse la direzione della resistenza pontificia. La perdita di Urbino, espugnata da Antonio da Montefeltro (dicembre 1375) e di Cagli, di cui il M. riuscì a mantenere il controllo solo per un breve periodo, unitamente alla simultanea ribellione di Città di Castello e Perugia delineò, tuttavia, una pericolosa parabola discendente per il Papato che, di fatto, stava consegnando la Marca nelle mani della lega. Il fallimento di John Hawkwood di fronte agli eserciti riuniti di Ordelaffi, Montefeltro e da Polenta aggravò la situazione, costringendo lo stesso M. a stipulare una tregua con Firenze. Il minaccioso avanzare della lega fu arrestato solo nel 1376, quando un massiccio reclutamento di milizie bretoni e inglesi, giunte in Italia al seguito del cardinale Roberto di Ginevra, legato di Gregorio XI, si acquartierarono, per l'inverno, nella città e contado di Cesena. La difficile convivenza con la popolazione civile sfociò nel sacco della città, intimato dal legato pontificio nel febbraio 1377, per le rappresaglie compiute da alcuni cesenati, esasperati contro i soldati di ventura. Il M. volse abilmente la vicenda a proprio favore, avanzando una sicura ipoteca sulla città, che con Santarcangelo gravitava da tempo (1376) nell'ambito di influenza malatestiana.

Incolpato inizialmente di pesanti responsabilità nella strage per avere consentito lo stanziamento delle truppe mercenarie, il M. riuscì ad accattivarsi nuovamente la fiducia della popolazione, dando asilo a numerosi fuorusciti giunti a Rimini e fornendo al papa un contributo di 60.000 ducati, per favorire lo sgombero delle soldatesche. I rimanenti 6000 fiorini, indispensabili per il definitivo allontanamento del contingente dalla città, furono sborsati da Guido da Polenta in cambio di Porto Cesenatico.

La conquista armata di Cesena da parte del M. (ottobre 1378) ebbe presto la ratifica di papa Urbano VI, che lo nominò rector et gubernator della città. Per di più con il rimborso dei 6000 fiorini al da Polenta (1382), il M. costrinse il suo antagonista a restituire Porto Cesenatico, rientrando a pieno titolo nei possessi malatestiani. Al cospetto del M., il signore di Ravenna fu nuovamente costretto a capitolare nel 1383, quando anche Cervia e le preziose saline vennero strappate all'orbita polentana.

L'anno seguente l'isolamento di Guido divenne ancora più evidente, poiché si costituì una coalizione romagnola comprendente il M., Astorgio Manfredi, Sinibaldo Ordelaffi e Bertrando Alidosi. Nel frattempo, la ponderata mediazione del M. aveva avviato le trattative per una riconciliazione della lega con la S. Sede che, nel luglio 1378, a Sarzana, posero termine al conflitto degli Otto santi. Accordi separati, infine, risultarono siglati dal M. e Firenze - come si evince dal ricco Epistolario di Coluccio Salutati, allora cancelliere fiorentino -, tesi a salvaguardare i reciproci e intensi rapporti di collaborazione. Nel settembre 1379, pertanto, alla notizia della discesa in Italia di Carlo III d'Angiò Durazzo, i Fiorentini, allarmati per l'incolumità dei propri territori, non tardarono a chiedere l'intervento del Malatesta. La disputa fra Carlo e Luigi d'Angiò, fratello del defunto re di Francia, chiamati rispettivamente da Urbano VI e dallo scismatico Clemente VII per la successione al Regno di Napoli, infatti, destabilizzò in breve tempo il fragile equilibrio sancito dalla pace di Sarzana.

Nell'estate 1384 la penisola fu percorsa dalle milizie giunte in Italia per sostenere le sorti di Luigi d'Angiò e il M., assurto frattanto alla rettoria di Romagna (1380), non rifiutò, a dispetto dell'anziana età, di assumere la gestione delle operazioni militari in Umbria e in Toscana. L'impegno profuso nel tentativo di arrestare l'avanzata straniera riattivò le annose tensioni Malatesta-Montefeltro, infrangendo la tregua del 21 marzo 1380 contratta dalle due famiglie su mediazione di Firenze e Perugia. La ripresa delle ostilità fu pretesto per l'intervento nell'Italia centrale di Gian Galeazzo Visconti, che il 7 nov. 1384 riuscì a far sottoscrivere un nuovo accordo tra il M. e i figli da una parte, e il conte Antonio dall'altra. Tale pace, proprio per le circostanze che la determinarono, assunse il carattere di un'ingerenza viscontea a favore del partito ghibellino e, in particolare, dei signori di Urbino, i quali, acquisendo la città di Gubbio, dovevano contenere nell'alta Valtiberina la minacciosa espansione fiorentina e malatestiana.

Determinante per il processo di riconciliazione fu, tra l'altro, il precario stato di salute del M., che, da mesi infermo, ritenne opportuno risolvere per tempo le questioni vertenti con lo Stato feltresco: ciò accadde poco prima della sua morte, sopraggiunta a Cesena il 21 genn. 1385.

Trasportato con ogni onore a Rimini, fu sepolto in S. Francesco e la tomba fu fregiata da un'epigrafe composta da Giacomo Allegretti, oggi perduta, il cui testo, però, è stato tramandato da più manoscritti (La signoria di G. I M., p. 171). Il M. destinò l'incommensurabile eredità politica e territoriale, faticosamente accumulata nel corso della lunga esistenza, ai quattro figli maschi, Carlo, Pandolfo, Andrea detto Malatesta e Galeotto Novello detto Belfiore, nati, con le sorelle Margherita, Gentile, e Rengarda, dalla seconda moglie Gentile da Varano, figlia di Rodolfo, signore di Camerino. Il matrimonio, contratto nel 1367 dal M. ultrasessantenne, rappresentò, pertanto, un tassello fondamentale per la storia del ramo riminese del casato, assicurando la discendenza legittima indispensabile al passaggio di consegna.

Fonti e Bibl.: M. Griffoni, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 2, pp. 44, 63 s., 67, 78 s.; M. Battagli, Marcha, a cura di A.F. Massera, ibid., XVI, 3, pp. 32-35, 46-48, 56 s., 73 s., 76, 80 s.; T. Borghi, Continuatio Cronice dominorum de Malatestis, a cura di A.F. Massera, ibid., pp. 85-88; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, ibid., XVIII, 1, vol. III, ad ind.; Cronache malatestiane dei secoli XIV e XV, a cura di A.F. Massera, ibid., XV, 2, pp. 8 s., 11-13, 15, 17, 19-23, 27-31, 34, 37, 39-44, 46-48, 50, 52-54; B. Branchi Cronaca malatestiana, a cura di A.F. Massera, ibid., pp. 158-160, 162, 164-172; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino(, II, Rimino 1627, pp. 113-170; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, IV, Rimini nella signoria de' Malatesti, 1-2, Rimini 1880, ad ind.; G. Franceschini, Alcuni documenti su la signoria di G. M. a Borgo San Sepolcro, in Studi romagnoli, II (1951), pp. 39-56; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973, pp. 119-132, 158-177; P.J. Jones, The Malatesta of Rimini and the Papal State, Cambridge 1974, pp. 64-101; La Signoria di G. I M. (1355-1385), a cura di C. Cardinali - A. Falcioni, Rimini 2002.

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