GAMBELLO, Vittore, detto Camelio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GAMBELLO, Vittore, detto Camelio

Anne Markham Schulz

, Vittore, detto Camelio. - Figlio di Antonio, di professione scalpellino, nacque probabilmente a Venezia nella prima metà degli anni Cinquanta del Quattrocento: infatti viene nominato per la prima volta in un documento del 17 dic. 1473, nel quale compare a Murano come testimone di un testamento, ed è improbabile a quella data avesse meno di diciotto anni.

I pagamenti del 1473 e del 1474 eseguiti dal convento di S. Zaccaria al «protomaestro» Antonio per un lavoro eseguito da un suo figlio (Paoletti, I, p. 69), potrebbero riguardare il G. o un altro dei suoi fratelli. Il G. fu confratello della Scuola Grande di S. Marco (ibid., II, p. 106 doc. 80); un documento del 1502 testimonia che egli viveva nel confinio (parrocchia) veneziano di S. Aponal, mentre nel 1505 risiedeva in quello di S. Angelo (Lazari, p. 182).

Numerosi documenti attestano, a partire dalla metà degli anni Ottanta, l'attività del G. presso la Zecca veneziana come «maestro delle stampe », un impiego riservato fin dal 1447 ai cittadini originari (Il «Capitolar dalle broche» ..., p. 131). Il 28 sett. 1484 venne assunto alla Zecca dal Consiglio dei dieci, dietro compenso annuo di 50 ducati, e incaricato di realizzare l'immagine del doge inginocchiato dinanzi a s. Marco, per monete d'argento (ibid., pp. 205 s.). Il 21 marzo 1487, riconoscendo la sua eccezionale abilità come incisore di stampi, il Consiglio dei dieci aumentò il suo salario a 80 ducati annui, superiore a quello degli altri due incisori che lavoravano allora alla Zecca. Il 14 marzo 1506 tutti i salari alla Zecca vennero ridotti a causa della penuria di oro e di argento e della conseguente diminuzione della produzione di monete; quello del G. scese dai 100 che allora percepiva a 80 ducati all'anno. Il 29 ott. 1510, a causa delle ristrettezze finanziarie provocate dalla guerra della Lega di Cambrai, il suo salario fu ulteriormente ridotto a 60 ducati (ibid., pp. 219 s., 271 s., 278 s.). Una petizione al Consiglio dei dieci del 20 giugno 1515, presentata da Ruggiero e Briamonte, fratelli del G., documenta lo stato miserevole in cui si trovava lo scultore, che aveva visto il proprio salario alla Zecca per due volte ridotto e infine non pagato, tanto da divenire creditore di 140 ducati. Dopo aver venduto tutti i suoi beni mobili per sopravvivere, fu costretto a emigrare. Nel Consiglio dei dieci fu proposta, affinché egli rientrasse in patria, la sua riassunzione con un salario di 7° ducati annui, ma la mozione non passò (Papadopoli, 1888, p. 275; 1907, pp. 89 s.). Infatti, il 24 giugno 1515 il G., insieme con Pier Maria Serbaldi da Pescia, venne nominato incisore a vita presso la Zecca di Roma, con un salario di 7 ducati al mese. I pagamenti della Zecca romana al G. continuarono fino al 30 giugno 1517 (Martinori, pp. 27 s.). La medaglia di Giuliano de' Medici, duca di Nemours, datata dall'iscrizione al 1513 e comunemente assegnata al G., fu fusa a Roma. Se questa attribuzione è corretta, la medaglia testimonierebbe la presenza dell'artista a Roma almeno due anni prima che iniziasse a lavorare per la Zecca pontificia (HilI, I, p. 115). Comunque, il 30 dic. 1517 il G. venne nuovamente nominato «maestro delle stampe» presso la Zecca veneziana con un salario di 80 ducati; inoltre, gli venne concesso un credito di 60 ducati (Papadopoli, 1888, p. 275). Nel 1523 Andrea Gritti, poco dopo essere stato eletto doge, commissionò al G. le «oselle» da donare ai nobili del Maggior Consiglio. In questo caso avrebbero dovuto raffigurare il busto del doge sul recto, ma il Consiglio dei dieci ne proibì la coniazione e fece sostituire il ritratto del doge con un'iscrizione (Sanuto, XXXV, col. 269): i ritratti dei dogi, infatti, erano stati proscritti dalle monete veneziane già dal 1473. Nel 1526, data l'età avanzata del G. e del suo collega alla Zecca, essi vennero affiancati da un aiuto designato alla successione nel primo posto che si fosse reso vacante (Papadopoli, 1907, p. 144).

Oltre al lavoro per la Zecca il G. fu impegnato anche in altre attività.

La sua attività di orafo e gioielliere si deduce dalla qualifica di «zoiolier» presente in una lista dei membri della Scuola Grande di S. Marco nel 1505 (Lazari, p. 182). Inoltre, il 24 genn. 1510 aveva inviato una petizione al Senato veneziano per ottenere il diritto esclusivo per la fabbricazione di un'armatura adoperando una lega di sua invenzione, impenetrabile alle spade, alle lance e ad altri tipi di lame, il cui peso era meno della metà di un'armatura ordinaria. Con voto quasi unanime, gli venne accordato il brevetto per cinque anni almeno (Urbani). Cornelio Castaldi da Feltre in un sonetto lodò l'artista sia come incisore di ritratti sia come poeta, sebbene non ci sia pervenuta alcuna lirica del Gambello. Nel 1558 Enea Vico (p. 67) annoverò il G. in un elenco di eccellenti imitatori di medaglie antiche.

La tomba del G. e di suo fratello Briamonte, che presentava due rilievi in bronzo raffiguranti battaglie firmati dall'artista e che un tempo si trovava nel primo chiostro di S. Maria della Carità a Venezia, fu completata prima del novembre 1539 e venne segnalata da Marcantonio Michiel tra il 1521 e il 1543 e da Francesco Sansovino nel 1581. La forma originaria del sepolcro, andato in seguito smembrato, è tramandata da un disegno del 1759 di]. Grevembroch mentre i rilievi sono conservati a Venezia presso la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'oro. I rilievi della Battaglia deifanti e della Battaglia dei cavalieri non hanno un significato commemorativo e quindi non erano originariamente destinati a una sepoltura (Pope-Hennessy, 1963, p. 23); è probabile inoltre che non siano contemporanei alla tomba.

La Battaglia dei cavalieri sembra essere l'opera più matura, in virtù della «gamma più ampia del rilievo, il più drastico scorcio e la sovrapposizione più compatta., i quali «producono un effetto più intenso di profondità» (Markham Schulz). La disposizione sciolta, simile a un fregio, delle figure, in special modo evidente nella Battaglia dei fanti, richiama alla mente la Battaglia dei dieci nudi del Pollaiolo (Antonio Benci; Beck, pp. 144 s.). La seconda figura che appare sulla nostra destra nella Battaglia dei fanti e la testa girata della figura senza barba accanto derivano direttamente, o indirettamente, dal Laocoonte (Favaretto) che, ritrovato nel 1506, fornisce il termine post quem per la prima, in ordine di tempo, delle due battaglie. Traendo senza dubbio ispirazione da rilievi mutili dell'antichità, il G. ricreò l'effetto del frammento indebolendo il «fuoco» della composizione e mozzando le figure poste ai bordi del rilievo: infatti, il braccio della seconda figura a sinistra nella Battaglia dei fanti sembra fatto di proposito monco.

Vicina a questi rilievi e quindi attribuibile con certezza al G. (Sheard, in Antiquity in the Renaissance, n. 57) è la statuetta in bronzo, ispirata al Torso del Belvedere, raffigurante Ercole che uccide gli uccelli stinfalidi (New York, Metropolitan Museum of art). Al G. furono anche attribuite dal Sansovino, ma erroneamente, le statue in marmo a grandezza naturale degli Apostoli sopra il divisorio del coro di S. Stefano a Venezia: è possibile che il G. sia stato confuso con suo padre oppure con lo scultore veneziano Vittore di Antonio, residente nel confinio di S. Marcuola.

L'attività di medaglista del G. fu intensa. Tra le 12 medaglie individuate che portano la sua firma, 7 vennero fuse e 5 coniate (Hill, I, nn. 437-448; Weiss, 1967, pp. 331-337). Con il G. divenne di uso comune la tecnica di coniare le medaglie da una matrice incisa, tecnica impiegata in precedenza per le monete ma raramente per le medaglie, essendo queste di formato più grande; tale procedimento permetteva una più nitida riproduzione dell'immagine, senza necessità di ritocchi.

Le medaglie fuse dal G. sono quelle di Sisto IV, datata al 1475 o al 1481-84, con il verso ripreso da una medaglia di Paolo II eseguita da Cristoforo di Geremia; di Giovanni Bellini, datata intorno al 1495-1500 sulla base dell' apparente età dell' effigiato; di Gentile Bellini, riferita al 1500 circa dal momento che il pittore veneziano mostra di avere circa settant'anni; di Francesco Faseolo, certamente antecedente al 1511; di Daniele Bragadin (forse morto entro il 1509); di. Domenico Grimani, cardinale dal 1493, con il verso ispirato a una precedente medaglia del prelato, attribuita alla scuola romana; del giurista e poeta Cornelio Castaldi, databile intorno al 1510 per motivi stilistici.

Le medaglie coniate dal G. sono quella di Agostino Barbarigo, doge dal 1486, e quella di papa Giulio II, datata 1506 in base all'iscrizione. Hill (I, n. 445) notò che quest'ultima era stata realizzata quando il salario del G. alla Zecca veneziana era stato ridotto; tale lavoro, quindi, avrebbe potuto essere un tentativo per ottenere un impiego a Roma; d'altra parte Weiss (1965) ha espresso riserve sulla veridicità della data che, pensava, potesse essere stata copiata dalla medaglia del papa fatta dal Caradosso. Sempre con la medesima tecnica il G. realizzò la medaglia con il suo Autoritratto, che porta la data 1508; quella con un Uomo che trasporta sulle spalle un cervo morto, sul recto, e, sul verso, un Altare pagano; e la medaglia che sul recto presenta un'effigie, interpretata come Autoritratto o come Ritratto di Augusto, mentre sul verso appare, talvolta, una figura nella posa dell’Ares Ludovisi, talaltra, la già citata figura maschile che trasporta un cervo.

Oltre alle medaglie, il G. firmò due placchette. L'unico esemplare della placchetta di forma circolare raffigurante un Leone dall'incedere regale, è conservato alla National Gallery of art di Washington (Pope-Hennessy, 1965, n. 46). L'altra placchetta, di forma quadrangolare, rappresenta la scena di un Sacrificio pagano; due esemplari fusi, conservati alla Bibliothèque nationale di Parigi e al Museo nazionale del Bargello di Firenze, derivano direttamente o indirettamente, da un esemplare coniato conservato anch'esso presso la Bibliothèque nationale di Parigi Gestaz).

Il G. mori probabilmente nel 1537.

Tale data venne proposta nel 1876 dal Tassini che, nonostante omettesse la fonte, si basò molto probabilmente su un documento; in ogni caso il G. risulta già morto nel novembre del 1539 quando Briamonte, facendo testamento, chiese di essere sepolto nella tomba appena costruita in S. Maria della Carità, accanto alle spoglie del fratello (Paoletti, II, p. 132 doc. 192).

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