GAMBERELLI, Bernardo, detto Bernardo Rossellino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GAMBERELLI, Bernardo, detto Bernardo Rossellino

Massimo Bulgarelli

Nacque nel 1407, o nel 1409-10, probabilmente a Settignano, secondogenito di Matteo di Domenico del Borra e di Mea.

Il cognome deriva dalla zona nei pressi di Settignano, denominata Gamberaia, dove risiedeva la famiglia, e dove Matteo di Domenico possedeva una casa con campo. Le sue entrate derivavano, secondo l'estimo del 1427, oltre che dalla quota di affitto di una casa in via Fiesolana a Firenze, da una cava di pietra a Vincigliata. Nel 1399 Matteo e suo fratello Iacopo risultano immatricolati all'arte dei maestri di pietra e legname. Non esistono però documenti che attestino l'attività di Matteo nei cantieri dell'epoca, mentre Iacopo compare nel 1436 come scalpellino alla badia fiorentina. Il G. e i suoi quattro fratelli divennero, secondo la tradizione familiare, scalpellini, apprendendo probabilmente i rudimenti del mestiere dal padre e dallo zio (Mack, 1972).

Secondo un documento del 1457, all'età di sette anni il G. fu messo a bottega a «exercitium lastraiuoli» a Firenze (Markham Schulz). Le fonti tacciono sul periodo di formazione; dalle prime opere scultoree risulta comunque chiara !'influenza di Lorenzo Ghiberti, insieme con l'interesse del giovane G. per l'opera di Donatello e per la nuova architettura fiorentina del terzo decennio del Quattrocento. Sulla base di pagamenti a «un magister Bernardus architectus» per lavori alla «cappella Magna» nel palazzo Vaticano, registrati in un libro di conti della Camera apostolica, è stato ipotizzato un soggiorno a Roma del G. fra giugno e novembre del 1433 (Fabriczy, 1900). Il fatto che il G. fosse, a quel che sappiamo, alle prime armi come architetto, ma soprattutto l'avvio del suo primo lavoro documentato, rendono l'ipotesi difficilmente accettabile.

Nell'aprile 1433, infatti, fu commissionato al G. l'intervento alla chiesa della Fraternita della Misericordia ad Arezzo. L'incarico, condiviso con tre altri scalpellini di Settignano, Giovanni di Piero di Ciori, Ciechino di Gagio e Giuliano di Nanni, prevedeva la realizzazione del secondo livello della facciata, sovrapposto a un primo livello costruito fra il 1375 e il 1377.

Al 23 luglio 1434 risale il pagamento conclusivo, di 802 lire e 8 soldi, per i lavori architettonici, mentre fra il 21 marzo dello stesso anno e il 20 agosto di quello successivo, il G. ricevette 9° fiorini per l'esecuzione dell'apparato scultoreo della facciata: il rilievo della Madonna della Misericordia con i ss. Lorentino e Pergentino, patroni della Fraternita, e le figure di S. Donato e S. Gregorio. Infine, il G. fu incaricato (documenti del 22 luglio e 2 ag. 1435) di completare la parte superiore della facciata con mensole e formelle (Mack, 1972; Markham Schulz). Il secondo ordine della facciata, che prolunga le forme gotiche inferiori, dialogando con esse, fa riferimento a fonti diverse: non solo all'architettura brunelleschiana, ma anche a opere di Michelozzo, Donatello e Ghiberti, modelli cui peraltro si riferisce anche l'apparato scultoreo. Pareri discordi sono stati avanzati sul coronamento della facciata: la sequenza di mensole è attribuita al G., mentre oggetto di discussione è la loggia sommitale, completata nel 1460 (Salmi). Le mensole sono accostabili a precedenti fiorentini e, in particolare, alla cantoria di Luca Della Robbia per S. Maria del Fiore. Riferimento significativo, dal momento che si ritiene possibile che il G. abbia lavorato ad alcune figure di due rilievi della cantoria (Gentilini). Il rilievo con il gruppo della Madonna della Misericordia fu posto in opera il 30 giugno 1434, mentre le due figure inginocchiate furono aggiunte entro ottobre. L'anno seguente furono collocate le due statue nei tabernacoli. La mano di un assistente è presente sia nel rilievo centrale, sia nelle due figure.

Nel 1433, il G. ricevette da parte dell'abate Iacopo Nicolini di Firenze un'altra commissione aretina, un tabernacolo, oggi perduto, per l'abazia delle Ss. Flora e Lucilla (Tyszkiewicz, 1928).

Il l° nov. 1435 il G. affittò una bottega in via del Corso a Firenze. Al l° febbraio successivo risale il primo documento che lo menziona in relazione a lavori alla badia fiorentina, presso la quale era in corso la costruzione del chiostro degli Aranci e del nuovo dormitorio. I pagamenti proseguirono fino al 24 nov. 1438 per un ammontare di 187 fiorini, facendo del G. il più pagato dei maestri coinvolti (nei documenti sono citati trentasette scalpellini, quattro dei quali sotto la sua guida). Nonostante ciò, il ruolo del G. è incerto, per la presenza sul cantiere di Antonio di Domenico, identificato come capomastro, e per la difficoltà che si incontra a mettere in relazione l'architettura del chiostro con altri edifici fiorentini: la sola opera sopravvissuta certamente attribuibile al G. è una finestra crociata ad arco girato, aperta nel dormitorio (Mack, 1970 e 1972). I pagamenti riguardano anche lavori al chiostro di S. Maria alle Campora, appartenente alla badia, per i quali si è pensato a una responsabilità progettuale da parte del Gamberelli. Altra commissione dei benedettini è un tabernacolo per la badia (pagamenti dal 22 sett. 1436 al 3 febbr. 1438), di cui sopravvivono due frammenti, fregio e mensola con aquila, murati sulle pareti del chiostro degli Aranci, e lo sportello dell'orafo Agnolo di Niccolò.

Dal 30 dic. 1441 è documentato il rapporto del G. con l'Opera di S. Maria del Fiore. Le commissioni, che a più riprese gli vennero affidate (pagamenti dal 1442 al 1445) concernono la realizzazione in serie, sulla base di un progetto probabilmente di F. Brunelleschi, di parti lapidee dei ballatoi all'interno del tamburo della cupola. Il 20 genn. 1443

con Battista di Antonio, capomastro della cattedrale, Francesco della Luna, Brunelleschi e alcuni degli operai - il G. partecipò alla commissione preposta a decidere sulle vetrate degli oculi del tamburo e sugli armadi della sagrestia dei Canonici (Poggi).

Negli anni Quaranta del Quattrocento l'attività più redditizia della bottega del G. era probabilmente la fornitura di materiali lapidei ai numerosi cantieri cittadini. Ce ne rimane testimonianza nel caso della costruzione del chiostro e del nuovo dormitorio nel convento di S. Miniato al Monte (Saalman, 1964; Mack, 1973).

Intorno alla metà degli anni Quaranta il G. ricevette una serie di commissioni che ne sanzionarono la supremazia a Firenze per la scultura in marmo. Trasferita in via del Proconsolo, la bottega comprendeva i fratelli Domenico, Tommaso, Giovanni e Antonio, oltre a un numero imprecisato di assistenti e lavoranti. Andava probabilmente organizzandosi per soddisfare allo stesso tempo a commissioni di architettura - che presto diventarono l'impegno prevalente del G. - e di opere scultoree, che occuparono soprattutto i suoi fratelli. Il G. manteneva il controllo delle commissioni, fornendo i disegni per tutte le opere della bottega.

Il favore di cui godette il G. va messo in relazione con le vicende degli altri maestri fiorentini attivi all'epoca. Partito Donatello per Padova, Ghiberti era impegnato nell'impresa della porta del Paradiso, Luca Della Robbia lavorava quasi esclusivamente in terracotta invetriata, e Michelozzo era totalmente assorbito dagli edifici per i Medici. Il talento artistico e imprenditoriale del G. trovò dunque il campo sgombro da concorrenti e seppe mettere a frutto abilmente la situazione.

La prima commissione di grande prestigio, risalente al 1446, fu il portale della sala del Concistoro nel palazzo pubblico di Siena. Il G. presentò un disegno e il Consiglio ne chiese la realizzazione entro il 15 ag. 1446, a eccezione di quattro Virtù cardinali, dell'altezza di un braccio, da eseguire successivamente.

Ogni parte del telaio architettonico, in marmo di Carrara, doveva essere monolitica, a sottolineare la magnificenza del committente. Il portale presenta, per la prima volta nel Quattrocento, semicolonne scanalate all'antica, soluzione che, insieme con lo slittamento del fregio rispetto all'asse centrale, fu ripresa più volte dal Gamberelli. La mancata realizzazione del programma nella sua interezza - il G. non eseguì le quattro statue - comportò una decurtazione del compenso da 500 a 326 lire e 7 soldi (Tyszkiewicz, 1928).

L'anno seguente, il 2 agosto, la Compagnia della Ss. Annunziata di Empoli commissionò al G. un'Annunciazione da collocare nell'oratorio di S. Stefano, con un termine di quattro mesi. La notizia proviene da una dettagliata memoria tardocinquecentesca, probabilmente fondata sul contratto originale. Un documento precedente, considerato meno attendibile, invece riporta la data del 1444. Le statue della Vergine e dell'angeloche oggi si trovano al Museo della Collegiata di Empoli - furono sottoposte alla stima di Ghiberti, e da lui approvate (Markham Schulz).

Si tratta delle uniche statue a tutto tondo attribuibili al G., pur tenendo conto che gran parte dell'angelo si considera dovuta a un assistente. La figura della Vergine è stata più volte avvicinata a quella donatelliana dell'Annunciazione Cavalcanti, e anche l'angelo annunciante presenta un deciso orientamento verso l'opera di Donatello (Poeschke). La datazione al 1447 sembra essere confermata dall'attribuzione al G. del fonte battesimale del battistero della collegiata che fu eseguito in quell'anno per il canonico Antonio Giachini, come testimonia l'iscrizione sulla base, riprendendo, con modi raffinatissimi, un tipo antico di vaso ansato (Paolucci).

Ultima di questa serie di opere documentate è il tabernacolo del Sacramento per l'ospedale di S. Maria Nuova a Firenze (oggi nella chiesa di S. Egidio), concluso il 22 apr. 1450. Pagamenti al G. furono effettuati dall'n febbraio al 24 aprile. Fra luglio e novembre dello stesso anno fu pagato lo sportello di Ghiberti. Si tratta di un'opera in gran parte di bottega con una cornice architettonica di esecuzione piuttosto grossolana (Poggi).

Tuttavia la realizzazione certamente più impegnativa e importante di quegli anni fu la tomba di Leonardo Bruni nella chiesa di S. Croce a Firenze.

Bruni, aretino, grande umanista e cancelliere della Repubblica, morì nel marzo del 1444 e fu sepolto in S. Croce. L'anno seguente, il 7 febbraio, la Comunità di Arezzo incaricò tre persone della commissione di una statua del loro famoso concittadino. Generalmente, però, si pensa che la commissione del monumento si debba alla Signoria di Firenze, e si è ipotizzato che una somma annotata nella portata al Catasto del G. del 1458, dovuta da Cosimo de' Medici, sia da riferirsi alla tomba Bruni (Pope-Hennessy). Nel qual caso si tratterebbe di un primo interessamento dei Medici per il G., che avrebbe avuto importanti sviluppi da li a qualche anno. Non esistono altri documenti relativi al monumento. La prima menzione di esso risale a un'annotazione del 1458 nel diario di Luca Landucci, che lo attribuisce a Donatello. Il Libro di Antonio Billi e il Codice Magliabechiano assegnano invece la tomba al G., come fa Vasari, che considera però del Verrocchio il tondo con la Madonna e il Bambino. Oggi gli studiosi sono concordi nell'attribuzione al G., salvo riconoscere differenze di esecuzione fra le patti, chiamando in causa la bottega (Markham Schulz; Poeschke). Discendente delle tombe a parete di Donatello e di Michelozzo, il monumento Bruni stabilisce un nuovo prototipo, ripreso in numerose occasioni durante il secolo, per questo tipo di sepoltura. Senza dubbio il suo successo dipese dall'aspetto complessivo all'antica, dalla ricchezza dei materiali, e dalla decorazione consapevolmente antiquaria. Per quest'ultima caratteristica è stato suggerito più di una volta un intervento di LB. Alberti (Stegmann - Geymilller; Syndik.us), ma sembra più verosimile, tenendo conto anche dell'esito del fonte battesimale di Empoli, l'ipotesi di un viaggio a Roma del G., compiuto forse fra il 1438 e il 1441, o fra il 1443 e il 1446, in periodi in cui non abbiamo sue notizie documentate (Markham Schulz). Il monumento viene generalmente datato agli anni intorno al 1450, e comunque nella seconda metà del quinto decennio.

Strettamente connesso alla tomba Bruni, sia formalmente, sia per un'attitudine quasi propagandistica verso la decorazione all'antica, è il Tabernacolo della Croce in S. Miniato al Monte. Costruito dopo il 1447, per iniziativa dell'arte di Calimala, ma patrocinato da Piero di Cosimo de' Medici, il tabernacolo viene tradizionalmente attribuito a Michelozzo al quale era stato assegnato dal Vasari, mentre alcuni studiosi hanno pensato a un'esecuzione da parte della bottega del G. (McNeal Caplow). Il fatto, tuttavia, che in quegli stessi anni - a partire dal 1447 - il G. fosse impegnato nel rifacimento delle rampe che conducono alla cripta e salgono al presbiterio, lavoro che si prolungò almeno per due decenni, farebbe pensare a un progetto unitario di sistemazione di questa parte della basilica (Ferrara - Quinterio, pp. 243-245) e a una possibile diretta responsabilità progettuale riguardante anche il tabernacolo. Il che sembrerebbe confermato dalla presenza di dettagli architettonici ricorrenti in opere coeve a lui riferibili: dai quattro capitelli, alle modanature lisce della trabeazione, all'uso di tondi con testine al di sotto degli architravi, ai lacunari ottagonali della volta in terracotta invetriata, attribuita a Luca Della Robbia.

Negli anni intorno al 1450 il G. realizzò la prima architettura di grande scala dopo i lavori degli anni Trenta: il chiostro Spinelli a S. Croce. Il termine ante quem per la conclusione dei lavori ci viene fornito da un'annotazione del 7 sett. 1452 nel libro di spese del banchiere Tommaso Spinelli, finanziatore di diverse opere all'interno del convento francescano, in cui tuttavia non compare il nome del progettista. Qualche indicazione emerge dalla portata del G. al Catasto del 1458, nella quale sono annotati crediti con membri della famiglia Spinelli.

È probabile che due lastre tombali all'interno di S. Croce - di Spinello di Bonsignore Spinelli e dello stesso Tommaso - siano state eseguite dalla bottega dei Gamberelli (Saalman, 1966). L'attribuzione al G. del chiostro si fonda anche sull'individuazione di motivi che gli sono propri nel portale di ingresso, nell'arco dell'andito e nei capitelli (Fabriczy, 1900; Bulgarelli - Ceriana). Altro argomento a suo favore, inoltre, è l'originaria soluzione, oggi perduta, con angeli a sgraffito nei pennacchi degli archi, tecnica di cui la bottega del G. faceva largo uso (Thiem).

In questi stessi anni, in un periodo compreso fra 1446 e 1452, Giovanni Rucellai fece costruire il suo palazzo a Firenze, in via della Vigna Nuova. Si tratta della sistemazione dell'interno - ricavato dall'unificazione di diverse case che Giovanni aveva acquistato in un ventennio - e della costruzione del cortile (Preyer). In assenza di documenti, l'attribuzione del palazzo, e della sua famosa facciata realizzata probabilmente intorno alla metà degli anni Cinquanta, risulta controversa fin dalle fonti cinquecentesche. Sulla base di un credito di 169 fiorini e mezzo, vantato dal G. nei confronti del banco di Giovanni Rucellai, registrato nella portata al Catasto del 1458 (Ram - Corti - Kennedy) e di somiglianze formali della decorazione architettonica del cortile e degli ambienti del palazzo con quella di altre opere del G., è possibile assegnargli i lavori relativi all'interno dell'edificio (Mack, 1974). Da notare, in proposito, che a lui è stato attribuito il tondo con le armi Rucellai posto sul fregio del cortile, cui sono stati accostati altri stemmi conservati al Bargello: opere della bottega di Iacopo Bracchi (1452), di Giovanni della Porta da Novara (1455) e di Carlo Riguardati (1461: Fumi Cambi Gado). Quanto alla facciata fu senza dubbio eseguita su progetto albertiano, probabilmente ft-a il 1455 e il 1458, ma è possibile che il cantiere sia stato condotto dalla bottega del Gamberelli.

Le architetture della fine degli anni Quaranta segnano un passaggio importante nella carriera del Gamberelli. A esse probabilmente è connessa la chiamata a Roma; e in esse si esprime compiutamente un modo di concepire l'architettura fondato su un ampio repertorio di modelli fiorentini e antichi e sul loro impiego spesso consapevolmente intrecciato, che produsse edifici di grande ricchezza formale e decorativa.

Ritornando a lavori documentati, nel 1449 sono registrati in un libro di spese di Cosimo de' Medici pagamenti ad Antonio e Tommaso Gamberelli, per l'esecuzione di due fregi con cherubini all'interno di S. Lorenzo (Ozzola). Il che potrebbe significare un coinvolgimento, pur marginale, della bottega in un cantiere di Michelozzo. Al 1451, poi, risale l'esecuzione del Monumento della beata Villana in S. Maria Novella, commissionata il 12 luglio da fra' Sebastiano di lacopo Benintendi, nipote della dedicataria, Villana di Andrea di Lapo delle Botti, con il vincolo del completamento entro il 31 dicembre dello stesso anno.

Il compenso pattuito fu di 250 lire. Il 27 genn. 1452 fu stipulato un nuovo contratto per ulteriori 100 lire, che prevedeva la realizzazione di un tabernacolo, poi non eseguito, per il Crocifisso destinato a sormontare la tomba. il contratto fu siglato personalmente dal G., che quindi, dopo la partenza per Roma, fece ritorno a Firenze per un breve periodo. E probabile che il contributo del G. alla tomba, del tipo a baldacchino, con precedenti trecenteschi e con richiami alle opere di Michelozzo e Donatello degli anni Venti, si limiti al disegno. Già nelle fonti cinquecentesche l'opera è attribuita a Desiderio da Settignano, che in questi anni con ogni probabilità faceva parte della bottega.

Il 5 ag. 1451 il G. e Pagno di Lapo Portigiani valutarono due opere di Luca Della Robbia per S. Maria del Fiore: la lunetta dell' Ascensione di Cristo e due angeli reggicandelabro (Gentilini). Il documento successivo ci porta a Roma. Il 31 dicembre fu annotato nei registri della Tesoreria papale un primo pagamento al G., che compare come salariato con la qualifica di «ingegniere di palazo». l pagamenti proseguirono per due anni, fino al dicembre 1453 (Miintz). In relazione a questo soggiorno romano, che probabilmente si prolungò almeno fino al 1455, Vasari attribuì al G. pressoché tutti i lavori avviati, o immaginati, durante il pontificato di Niccolò V, mentre ft-a gli storici dell'architettura è in corso, da oltre un secolo, un dibattito complicato dall'ingombrante presenza di Alberti. L'edificio cui certamente il G. mise mano a Roma è la basilica di S. Pietro, come attesta il De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis di Giannozzo Manetti (1455). Il progetto del G. interessò la parte occidentale della basilica, con la realizzazione di fondazioni e di parte del muro di un nuovo grande coro (Urban; Frommel, 1997). l lavori al coro si interruppero poco prima della morte di Niccolò V, nel 1455, probabilmente in seguito all'intervento di Alberti (Tafuri). Altri lavori del G., documentati dai pagamenti della Tesoreria, riguardarono il cantiere del cosiddetto torrione di Niccolò V in Vaticano e il restauro di S. Stefano Rotondo (Mack, 1972; Frommel, 1987; Gentile Ortona). Gli vengono inoltre attribuiti interventi all'interno dei palazzi vaticani e a Viterbo il progetto per il palazzo (1448-51) di Pietro Lunense, cancelliere del Comune (Valtieri).

Due lettere della Cancelleria medicea, datate 1455, documentano la presenza a Roma del G., e il suo interessamento nel procurare pezzi antichi per la collezione di Giovanni di Cosimo de' Medici. Una successiva missiva (12 ag. 1456) dello stesso Giovanni a Francesco Sforza dà testimonianza dell'esistenza di un progetto, del G., probabilmente non realizzato, per il grande ospedale di Milano e ci parla della grande stima da parte dei Medici nei suoi confronti: «un nostro capomaestro [...] et no[n] credo ci sia oggi migliore architectore di lui». È possibile quindi che proprio i Medici, principali finanzia tori dei lavori avviati da Niccolò V, abbiano inviato il G. a Roma (Caglioti, 1991 e 1992).

Il legame con i Medici, dopo l'improvviso declino delle fortune di Michelozzo, sembra essere confermato dal fatto che molte delle commissioni ricevute dal G. dopo il suo ritorno a Firenze provengono dalla cerchia medicea. Le prime notizie che attestano con certezza la presenza del G. a Firenze sono del febbraio 1457. A questa data risalgono la rinnovata commissione dell'arte di Calimala per i gradini delle scalinate di S. Miniato al Monte, e la petizione dei fratelli Gamberelli al Consiglio maggiore per ottenere l'esenzione dall'estimo (Markham Schulz). È molto probabile, però, che il G. si trovasse a Firenze già alla fine del 1455. Nell'ottobre di quest'anno infatti era forse impegnato in lavori alla villa di Fiesole di Giovanni de' Medici (Caglioti, 1992). Altra commissione risalente a quegli anni è per la cappella Cardini a Pescia.

I Cardini, famiglia di mercanti, ottennero il progetto della cappella di famiglia, costruita fra il 1456 e il 1459 nella chiesa di S. Francesco, probabilmente tramite Piero di Cardinale Rucellai. L'attribuzione al G. si fonda - oltre che sull'analisi della decorazione e sul fatto che l'esecuzione fu affidata a Buggiano, che all'epoca collaborava con la bottega - sulla soluzione del portale ad arco inquadrato, riproducente quello albertiano di S. Maria Novella a Firenze, prima che questo fosse eseguito (1460-70). L'architetto quindi evidentemente conosceva il modello e faceva parte della cerchia dei Rucellai. Il che rimanda al G. che in quegli anni faceva lavorare la bottega all' ese=ione della facciata di palazzo Rucellai, dopo aver realizzato l'interno (Bulgarelli - Ceriana).

Dopo il ritorno da Roma, il G. esegui, dal 1457 al 1459, una serie di lavori alla loggia di facciata dello spedale degli Innocenti e ricevette incarichi per diversi monumenti funerari. Il primo per la sepoltura ad arcosolio di Orlando di Guccio de' Medici, morto il IO dic. 1455, alla Ss. Annunziata; in seguito per la tomba di Neri Capponi, morto il 22 nov. 1457, in S. Spirito (dove perla prima volta in una tomba fiorentina compare un tondo all'antica), e per la tomba di Giovanni Chellini, morto il 4 febbr. 1462, in S. Domenico a San Miniato al Tedesco (Markham Schulz). queste opere furono eseguite dalla bottega. E documentato poi, il 20 apr. 1462, l'incarico da parte dei consoli di S. lacopo a Pistoia, per la Tomba di Filippo Lazzari in S. Domenico a Pistoia. Nonostante la presentazione di un progetto, l'opera non fu eseguita che dopo la morte del G. da Giovanni e Antonio (Milanesi, 1901). Non si hanno documenti, invece, relativi alla Tomba del beato Marcolino, eseguita nel 1458, su incarico del vescovo Nicola dell' Aste (come risulta dall'iscrizione sul coperchio), per la chiesa di S. Giacomo a Forli (oggi alla Pinacoteca comunale). Si ritiene sia stata eseguita dalla bottega, in particolare da Antonio, sulla base di un disegno del Gamberelli. Di rilievo risulta l'uso, tutto architettonico, del bugnato piatto fra le paraste.

Infine il G. fu coinvolto in una delle più prestigiose commissioni fiorentine dei primi anni Sessanta: il monumento funerario per il cardinale del Portogallo in S. Miniato al Monte.

Il 23 di. 1461 fu stipulato il contratto con il G. e Antonio, entrambi citati come «scharpellatori» (scultori) per l'esecuzione della sepoltura all'interno della cappella, la cui costruzione, secondo un progetto probabilmente di Antonio Manetti, era già iniziata. I pagamenti al G. proseguirono fino al maggio 1464, per un ammontare di circa 80 fiorini. Quanto all'effettivo contributo del G., sembra comunque dubbio che la sua mano sia rintracciabile in qualcuna delle figure, anche se alcuni studiosi hanno avanzato ipotesi in questo senso. Ipotesi cui è in genere connessa l'attribuzione al G. del David Martelli della National Gallery di Washington (Hartt; Hartt - Corti - Kennedy; Schlegel; Lewis). All'ambito del G. sono poi ascritti una Vergine con il Bambino e un busto di Giovane donna, entrambi al Bargello (Middeldorf; Gentilini). Nel febbraio 1466 fu redatta una stima relativa ai lavori di competenza del G. per la sepoltura del cardinale, probabilmente riferibile a parte degli elementi architettonici della tomba, del seggio e dell'altare, vicini ad altre sue opere, ma differenti dalla decorazione della cappella.

È probabile che quest'opera fosse controllata dai Medici, dapprima da Giovanni di Cosimo, e dopo la sua morte nel 1463, da Piero (Hansmann). In questi anni il G. era impegnato in un altro edificio mediceo, di grande importanza, nonostante le dimensioni ridotte, la cappella retrostante il tabernacolo dell' Annunziata, patrocinata da Piero. Anche in questo caso, il ruolo del G. non è del tutto chiaro. Ricevette pagamenti per la fornitura di pietre, a diverse riprese, nel 1462 e nel 1464. E tuttavia plausibile, nonostante i documenti registrino pagamenti anche a Giovanni di Bertino «m[aestro] de la capella» (liebenwein), che almeno parte dell'architettura sia stata progettata da lui, in particolare il pavimento, la volta ribassata a cassettoni e le bifore.

Alla fine degli anni Cinquanta del Quattrocento risalgono alcune importanti architetture fiorentine, assegnabili con ogni probabilità al Gamberelli. In primo luogo, palazzo Spinelli in borgo S. Croce, fatto costruire da Tommaso Spinelli, assemblando edifici già esistenti, a partire dal 1457 (Saalman, 1966; Mack, 1983). Oltre ai rapporti fra Spinelli e il G., altri argomenti a favore dell'attribuzione sono le forme della decorazione nel cortile fanno la loro prima comparsa a Firenze finestre riprese dall'interno del Pantheon - e gli sgraffiti sulla facciata e nel cortile, realizzati negli anni Sessanta, e accostabili a quelli fatti eseguire dal G. a Pienza (Thiem) e sulla facciata di palazzo Neroni a Firenze.

Il palazzo fu costruito per Dietisalvi di Nerone, una delle personalità più in vista della Firenze medicea, negli anni precedenti il 1451. La facciata, però, fu eseguita probabilmente intorno al 1460, stando alle spese registrate in un libro di conti del committente. La presenza di motivi tipici dell'architettura del G., per esempio il fregio con cherubini non allineati alle paraste, confortano l'attribuzione, mentre la sovrapposione di parastine binate all'ordine maggiore rinvia a un'altra opera attribuita al G., il portico della cappella Pazzi a S. Croce (Bulgarelli - Ceriana). Il portico, alle cui parti decorative lavorarono maestri in relazione con il G. - Desiderio da Settignano e il Buggiano - fu ultimato nel 1461. Costituisce il primo esempio fiorentino di volta a botte lapidea con cassettoni.

Infine, un ultimo edificio messo in relazione con il G. e bottega è la badia fiesolana. La chiesa fu forse progettata da Alberti per Cosimo de' Medici. Mentre ancora una volta è il repertorio decorativo utilizzato nel convento a far pensare alla bottega del G. per la realizzazione, collocabile fra il 1456 e il 1460 (Saalman, 1970; Belluzzi). Da notare poi, che l'ala meridionale, con portico su due livelli aperto sul paesaggio, sembra anticipare la soluzione di palazzo Piccolomini a Pienza.

L'impresa più nota del G. è comunque la trasformazione del borgo di Corsignano.

Voluto da Pio il Piccolomini per modificare profondamente il suo luogo di nascita, fino a cambiarne il nome in Pienza, l'intervento fu portato a termine in tempi rapidissimi, dal 1459 al 1464. Il coinvolgimento del G. è testimoniato dalla menzione nei Commentarii di Pio il e in diversi documenti, fra i quali un pagamento di 100 ducati della Tesoreria segreta, registrato il 21 ag. 1462 (Tyszkiewicz, 1928). È possibile che, come è stato scritto più volte, sulla scelta del G. abbia pesato l'intervento di Alberti, ma è decisamente da escludere un diretto coinvolgimento di quest'ultimo nel processo di progettazione dei vari edifici.

Il G. mise mano al duomo, a palazzo Piccolomini (per i quali la spesa aumentò a più di 50.000 ducati), e probabilmente ai palazzi comunale, vescovile (palazzo del cardinal Rodrigo Borgia), e del cardinale lacopo Anunannati. Furono costruiti poi palazzi per altri cardinali, edifici di servizio e immobili destinati a personaggi vari dell'entourage papale, oltre alle case che dovevano ospitare gli abitanti sloggiati dalle loro case. Un ruolo rilevante ebbe l'impresario senese Petro Paolo dal Porcina, in relazione con il G. anche per la costruzione dei suoi edifici senesi (Mack, 1987). La cattedrale è l'architettura più originale del gruppo. Il G. gioca su un rapporto di continuità, e insieme di contrapposizione, fra esterno e interno. La facciata, volutamente all'antica, è costituita dalla sovrapposizione di una fronte di tempio tetrastilo e di una delle facciate del battistero di S. Giovanni a Firenze, con ordini sovrapposti e archi, che riprendono la curva delle volte (Bulgarelli - Ceriana). L'interno è ad aula, suddiviso in tre navate di uguale altezza e caratterizzato da un verticalismo goticheggiante. Per esso sono stati proposti diversi modelli, non soltanto italiani, data la propensione di Pio II per l'architettura gotica tedesca. Il palazzo riprende direttamente, triplicandolo e introducendo qualche variante, l'impaginato della facciata di palazzo Rucellai. L'impianto rimanda invece al precedente di palazzo Medici, con la novità delle logge aperte sul giardino e sul monte Amiata. E stato suggerito che un possibile riferimento per questa soluzione sia la loggia dei palazzi vaticani, sulla quale probabilmente il G. intervenne durante i suoi anni romani (Tönnesmann). Bisogna infine ricordare alcune architetture di piccole dimensioni disegnate dal G.: il pozzo sulla piazza, il fonte battesimale e il tabernacolo del duomo. È stato suggerito, infine, che le pale all'interno del duomo, primi esempi di tavola quadrata senese, si debbano a un suggerimento del G. (Van Os).

Nel 1459, durante uno dei suoi numerosi soggiorni senesi, Pio il aveva deciso la costruzione di due palazzi Piccolomini a Siena, progettati probabilmente dal Gamberelli. La campagna di lavori per il palazzo di Giovanni de' Todeschini, cognato del papa, iniziò nel 1469, dopo la morte del G. e di Pio II, e si interruppe nel 1509, quando circa metà dell'edificio era compiuta. In relazione al palazzo delle Papesse, per la sorella di Pio II, Caterina, si ha testimonianza di pagamenti effettuati dalla Tesoreria papale fra il 1462 e il 1464. Un solo documento, un reclamo per il mancato pagamento di pietre per il palazzo di Caterina - del 1° giugno 1463 - sembra riportare il nome del Gamberelli. La diversità formale evidente fra i palazzi commissionati dal papa è stata motivata con alterazioni introdotte nel corso della realizzazione dei due edifici senesi o con indicazioni differenti, da parte di Pio II, per le diverse fabbriche (Mack, 1972; Frommel, 1983).

Un altro progetto fu approntato dal G. in quegli anni, si tratta di un modello per il campanile della chiesa benedettina di S. Pietro, inviato nel 1463 a Perugia, mentre era impegnato a Pienza. L'edificio fu costruito da Giovanni di Betto e Pietro da Firenze, verosimilmente membri della bottega del G., e completato nel 1468 (Montanari; Mack, 1972).

Il 20 febbr. 1461, il G. fu nominato capomastro di S. Maria del Fiore, la carica più prestigiosa cui un architetto fiorentino potesse aspirare. In quel momento si trattava soprattutto di una carica onorifica, che comportò l'impegno nel completamento dei progetti brunelleschiani per le tribune e per la lanterna della cupola (Fabriczy, 1900; Mack, 1972).

Nel settembre 1464, il G. mori a Firenze. Era sposato a Mattea, che gli aveva dato quattro figli: Gilio, Giovanni Battista, Francesca e Girolamo.

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