GARVO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GARVO

Elisabetta Molteni

Il cognome Garvo, o Garovo, ricorre nei documenti con numerose varianti: Garavo, Garbo, Garove, Garovi, Garruo, Garuo, Garvi. I G. risultano attestati a Bissone (oggi Canton Ticino) già alla fine del Quattrocento; durante il secolo successivo alcuni membri si stabilirono in altri centri della zona attualmente divisa tra la provincia di Como e il Canton Ticino (Como, Scaria, Lanzo d'Intelvi, Pellio, Mendrisio, Lugano, Riva San Vitale).

Al ceppo principale della famiglia, originario di Bissone, si affianca dalla seconda metà del Cinquecento il ramo Garvo Allio di Scaria, in Val d'Intelvi, originato dal matrimonio tra Simone Garvo di Bissone e Simona Allio di Domenico di Scaria (Lienhard-Riva, 1945, p. 187), al quale appartennero, tra gli altri, i fratelli Matteo e Tommaso, entrambi scultori, attivi nel XVII secolo. Tra XVI e XVIII secolo la famiglia conta diversi notai e numerosi artisti (scultori, lapicidi, stuccatori). La combinazione di mestiere e notariato, ricorrente soprattutto nel ramo di Scaria, non è un fatto eccezionale tra le famiglie di artisti lombardi, e in questo caso si spiega, probabilmente, considerando che i discendenti di Simona Allio godranno del diploma di nobiltà conferito all'architetto Domenico (padre di Simona) dall'imperatore Ferdinando I nel 1558.

Risulta assai difficile, se non impossibile, delineare esaurientemente la composizione della famiglia nei secoli XV e XVI, periodo documentato da qualche notizia isolata. In un atto notarile del 1497 per la costruzione di un altare nella chiesa parrocchiale di S. Carpoforo a Bissone, sono citati Bernardino de Garavo di Bissone; Pietro, figlio di Paolo de Garavo; e Antonio, figlio di un altro Antonio de Garavo (Brentani, III, pp. 7-11). Nel 1503 Paolo Garovi (Garvi) di Bissone, scultore e architetto, eseguì alcune opere nella cattedrale di Atri: il fonte battesimale, firmato e datato, costituito da un baldacchino sostenuto da quattro colonne con ricche decorazioni scultoree; e la cappella di S. Anna dei duchi di Acquaviva, dono di Isabella Piccolomini, che è stata probabilmente in seguito ricomposta secondo un disegno differente rispetto alla disposizione originaria. L'anno seguente, il 14 gennaio, venne consacrata la chiesa di S. Giovanni a Mendrisio, fatta costruire da Luca de Garovo di Bissone, servita e dottore in teologia (La famiglia Garovaglio…, p. 55).

Leone di Francesco, nato intorno al 1577 e morto il 14 maggio 1657, è a capo dell'unico nucleo familiare dei G. seicenteschi di Bissone che si conosca compiutamente. Dei suoi quattro figli, uno prese i voti, mentre gli altri, probabilmente, furono scultori e lapicidi.

Di questi, Giacomo, nato il 9 maggio 1625, è registrato tra 1650 e 1652 nell'arte degli scultori lombardi di Genova (Belloni, p. 194), dove aveva bottega e dove sembra avere svolto la maggior parte della sua carriera (Brentani, VII, p. 106). Il 13 genn. 1651 egli sposò Costanza Caratti, appartenente a una influente famiglia di Bissone, e, in secondo nozze, il 31 ag. 1669, Apollonia Mazzetti. La prima formazione di Giacomo sembra sia avvenuta presso Tommaso Orsolino, con il quale collaborò a lungo tra 1662 e 1674.

In diverse occasioni egli fu delegato dall'Orsolino per curare interessi propri o comuni: nel 1662 e nel 1665 testimoniò a favore dell'Orsolino in cause diverse; il 24 marzo 1668 fu suo procuratore per affari di marmi a Massa e Carrara (Alfonso, p. 77); nel 1670 ricevette dall'Orsolino una procura generale, e una speciale, per esigere il compenso per l'orologio costruito nel palazzo delle Compere di S. Giorgio a Genova; il 16 apr. 1673, sempre per conto dell'Orsolino, si occupò di riscuotere un pagamento a Pavia (ibid., p. 144) e il 10 dicembre dell'anno seguente si recò a Gavi con un incarico analogo; il 13 febbr. 1690 Giacomo fu inoltre eletto arbitro nella vertenza tra gli scultori Giuseppe Maria e Giovanni Domenico Carloni di Rovio a proposito di pietre e denari da spartire per lavori da questi eseguiti.

La maggior parte della produzione di Giacomo sembra essere limitata a opere di quadratura realizzate a complemento degli interventi dell'Orsolino, anche se l'attribuzione universalmente accolta della statua sulla fontana del ponte Reale (ora in piazza Colombo) fa pensare che Giacomo fosse scultore anche di figura. Nel 1670 egli, insieme con l'Orsolino, si impegnò a costruire una cappella in marmo in S. Silvestro a Pisa; nel 1671 fu coinvolto, a Genova, nelle opere per il collegio dei gesuiti di S. Girolamo (ibid., pp. 169, 125); del 1675 è l'impegno per la fontana del palazzo reale, opera dispersa, ma nota attraverso disegni (Belloni, p. 194).

Giacomo morì il 20 dic. 1697 ed è sepolto nella chiesa di S. Carpoforo a Bissone. Sembra piuttosto probabile, contrariamente a quanto affermato da Brentani, che sia stato lo stesso Giacomo a donare nel 1688 argenti alla chiesa di Bissone e a eseguire alcune parti del tabernacolo.

Egli ebbe un unico figlio, Bernardo (Bernardo Antonio), nato il 10 nov. 1652, ricordato sia nello stato d'anime della parrocchia di Bissone del 1672 sia, come erede universale, nel testamento paterno del 20 dic. 1697.

Bernardo ricevette dal padre precise disposizioni per l'esecuzione di due statue di stucco per la cappella dell'Angelo Custode (costruita anche con lasciti della famiglia: per esempio, della moglie di Gian Pietro, fratello di Giacomo, attraverso il testamento del 16 apr. 1687) a opera di Giacomo Maria Mazzetti, cognato di Giacomo (Brentani, VII, pp. 206, 221 n. 4).

L'attività di Bernardo sembra confondersi con quella del padre fin quasi alla morte del genitore; nel 1683 Bernardo è certamente presente nella bottega, ma la sua prima opera autonoma risale al 1693, quando è verosimile che Giacomo abbia "passato la consegna" al figlio. Si tratta della cappella del Rosario nella collegiata di Rapallo, inclusa l'architettura dell'altare, che, secondo la tradizione locale, conterrebbe statue di Francesco Baratta e che, comunque, risulta essere stata largamente compromessa dalla ricostruzione ottocentesca della chiesa (Belloni, p. 195). Nello stesso 1693 Bernardo si impegnò con Agostino Franzone per il rivestimento delle pareti laterali della cappella del Crocifisso in S. Carlo a Genova (opera già affidata nel 1677 a Giovanni Battista Casella) e per la costruzione dell'altare maggiore nella chiesa di S. Anna (giuspatronato di Filippo Maria Cattaneo); l'opera, per realizzare la quale Bernardo riutilizzò sculture e ornamenti dell'altare precedente, venne in seguito modificata da Francesco Maria Schiaffino. Nel 1695 Bernardo fu impegnato nei lavori della cappella maggiore della chiesa di S. Filippo in via Lomellini: gli venne affidato l'incarico di montare le sculture - realizzate da Domenico Guidi, Honoré Pellé, Giacomo Antonio Ponsonelli, Pietro Cipriani - e di eseguire i marmi necessari seguendo il progetto già predisposto (Brentani, VII, p. 196).

Bernardo proseguì l'attività del padre a Genova almeno fino al 1713, quando vendette tutti i marmi della bottega; dal 1715 non è più presente alle riunioni degli scultori. Fu sindaco della chiesa di S. Carpoforo a Bissone e tenne i conti della "fabbriceria" della chiesa (ibid., pp. 95, 107); nel 1710 si recò in Lombardia perché nominato procuratore dal cugino Francesco.

Morì il 18 nov. 1717, forse a Bissone.

Suo zio Gian Pietro, figlio di Leone, risulta essere iscritto come "bombardero" attivo a Piacenza in un elenco (forse successivo al 1657) degli ingegneri, architetti, capimastri bombardieri della pieve di Riva San Vitale. La sua attività a Piacenza inizierebbe nel 1654 (ibid.) o a partire dal 1633 (Lienhard-Riva, 1945); di certo vi si era già stabilito nel 1641, quando venne nominato procuratore da Martino Caratti di Bissone, figlio dello scultore e "piccapietra" Giambattista, perché vendesse tutti i marmi lasciati dal padre a Piacenza e altrove (Brentani, VII, p. 101). La sua attività fu molto redditizia, come dimostrano i suoi testamenti - del 1683 e dell'11 febbr. 1686 - con i quali lasciò la propria bottega al nipote Costante, figlio di Carlo, che in seguito a ciò si trasferì definitivamente a Piacenza.

Gian Pietro morì a Bissone il 24 ag. 1686 (ibid., p. 89) e, come il fratello Giacomo, venne sepolto nella cappella di S. Gregorio (il cui patronato lasciò al fratello Carlo) in S. Carpoforo, chiesa da lui generosamente beneficata nel 1676.

L'attività di Carlo, altro figlio di Leone, nato nel 1616 circa e morto il 1° sett. 1692, non è nota; ma è assai probabile che fosse anch'egli del mestiere se si considera che lo furono molti dei suoi numerosi figli.

Di essi, Battista, nacque a Bissone l'8 ott. 1644 e morì a Lisbona il 26 ag. 1692 (Pimentel, 1996). Prima di trasferirsi in Portogallo, operò certamente a Genova dove, tra 1669 e 1671, risulta essere legato a T. Orsolino (per lo sfruttamento di una cava di marmi a Carrara e per una stima di lavori eseguiti da quest'ultimo). In Portogallo lavorò anche suo figlio, Carlo Battista, attivo a Santarém e nell'imponente cantiere di Mafra che, secondo alcune fonti, diresse dal 1718 (Bottari - Ticozzi). Morì a Mafra nel 1725. Di un altro figlio di Carlo, Domenico, o Giovanni Domenico, si sa che morì a Bissone il 14 sett. 1718 (Brentani, VII, p. 88) e che era stato sposato con Giulia Maria Gaggini, unica erede del padre Giuseppe; è possibile che egli abbia svolto qualche attività per conto della famiglia della moglie, composta da scultori e lapicidi; suo figlio Giuseppe Maria nel 1720 risulta essere apprendista stuccatore a Venezia sotto la guida di Abbondio Stazio.

Costante e Francesco, altri figli di Carlo, eseguirono il tabernacolo di S. Carpoforo a Bissone, la chiesa legata alla famiglia che vi possedeva sepoltura propria. I due fratelli svolsero la loro attività soprattutto altrove: Costante, come è stato già detto, a Piacenza; Francesco (Antonio Francesco), nato l'8 ott. 1652, a Genova, dove si era probabilmente trasferito sin dagli anni del suo apprendistato.

Gli esordi della carriera di Francesco non sono noti, così come scarse sono le opere identificate. La sua principale attività potrebbe essere stata quella del commercio dei marmi; il 10 dic. 1696 risulta essere consigliere dell'arte degli scultori di nazione lombarda (Belloni, p. 270).

Egli possedeva una bottega di marmi a Sottoripa che, facendo testamento il 26 maggio 1710, destinò ai figli Pietro Antonio (del quale si hanno notizie dal 1715 al 1753) e Saverio (nato nel 1707), ma concedendone l'uso a Giuseppe Gaggini e a Giovanni Battista Gallo, forse suoi soci. Nella sua bottega si formarono diversi scultori di origine lombarda: nel 1686 Ignazio Macetti, che a Genova avrà una certa fortuna, e poi Giacomo Gaggini e Federico Pelle.

Nel 1687 Francesco ricevette la commissione delle balaustre della chiesa di Voltri (da eseguire a imitazione di quelle già esistenti nella cappella di S. Andrea nella stessa chiesa) e nel 1703 quella per l'altare maggiore della chiesa di S. Domenico a Genova (trasportato poi nella chiesa di S. Ambrogio a Voltri: ibid., p. 190). L'unica sua scultura, concordemente attribuita poiché siglata "F.G.F.", è la statua dell'Assunzione nella parrocchiale di Villa Viani a Oneglia. Negli anni Ottanta la bottega di Francesco avrebbe prodotto molte opere per il territorio genovese che prima era stato appannaggio della bottega del Parodi (La scultura…, p. 206).

Francesco morì a Bissone il 31 luglio 1729.

Appartenne alla famiglia dei G. anche Leone di Tommaso, lapicida attivo a Roma. Leone era nipote acquisito di Carlo Maderno per via del matrimonio che nel 1610 l'aveva unito a Cecilia, figlia di Girolamo Garvo Allio e di Marta Maderno, sorella di Carlo (Hibbard, p. 101). Leone, che possedeva a Roma una bottega presso S. Giovanni dei Fiorentini e un deposito di marmi nei pressi di S. Pietro, era probabilmente imparentato anche con Anastasia Garvo, figlia di un Leone di Simone finora non identificato e madre di Francesco Borromini. Quest'ultimo, appena giunto a Roma nel 1619, abitò presso Leone e lavorò nella società che questi aveva fondato insieme con Girolamo Novo (o, forse, da Novi) e con altri scalpellini di origine lombarda.

Leone morì a Roma il 12 ag. 1620 cadendo dalle impalcature della basilica di S. Pietro e venne sepolto in S. Giovanni dei Fiorentini. Alla sua morte Carlo Maderno, curò gli interessi della figlia Marina insieme con la madre, mentre Borromini acquistò la quota della società appartenuta a Leone (Del Piazzo, pp. 50 s.).

L'attività di Leone a Roma si colloca chiaramente nelle vicinanze del Maderno. A partire dal 1612 è ben documentata (Muñoz, 1919; Del Piazzo) la sua opera nel cantiere di S. Pietro, dove risulta avere scolpito capitelli per l'interno e l'esterno della Fabbrica. Nel 1616 ricevette 30 scudi "per modelli di creta per li capitelli, cherubini, cascate di festoni di panni e della cancellata del vano di metallo". Lavorò anche al campanile (resta un suo disegno delle fondazioni eseguito sotto la direzione del Maderno: H. Thelen, F. Borromini: die Handzeichnungen, Graz 1968, tav. 25, n. 46) e, con altri, al trasporto della navicella; eseguì inoltre ornamenti da collocarsi sotto la cupola sulla confessione. Nel 1619 realizzò interventi per il palazzo apostolico, al ponte dei Quattro Capi, e per le fontane del Belvedere, in piazza di S. Giacomo a Scossacavalli di villa Taverna a Frascati.

Fonti e Bibl.: G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere…, VI, Milano 1822, p. 171 n. 39; La famiglia Garovaglio di Bissone, in Bollettino storico della Svizzera Italiana, XV (1893), 3, pp. 55-68; A. Lienhard-Riva, Contribution à un armorial du Tessin, in Archives héraldiques suisses, 1914, n. 2, pp. 72-80; Architetti ingegneri militari e maestri da muro luganesi all'estero nel Seicento, in Bollettino storico della Svizzera Italiana, XXI (1899), 1-3, pp. 35-37; Documenti su Bernardo Falcone, scultore e fonditore d'artiglieria, ibid., 7-9, pp. 119-126; A. Muñoz, La formazione artistica del Borromini, in Rassegna d'arte antica e moderna, VI (1919), 1-2, pp. 103-117; R.C. Smith, Joao Federico Ludovice an eighteenth century architect in Portugal, in The Art Bulletin, XVIII (1936), pp. 273-370; L. Brentani, Antichi maestri d'arte e di scuola delle terre ticinesi. Notizie e documenti, III, Como 1939, passim; VII, ibid. 1949, passim; A. Muñoz, Francesco Borromini, lavori alla Fabbrica di S. Pietro, in Scritti in onore di Bartolomeo Nogara, Città del Vaticano 1937, p. 318; U. Donati, Artisti ticinesi a Roma, Bellinzona 1942, passim; A. Lienhard-Riva, Armoriale ticinese, Losanna 1945, s.v.Garovi; R. Preinesberger, Notizen zur italienischen Stukkatur in Oesterreich, in Arte e artisti dei laghi lombardi, II, Como 1964, pp. 325-350; F. Cavarocchi, Artisti della Valle Intelvi e della diocesi comense attivi in Baviera alla luce di carte d'archivio del Ducato di Milano, in Arte lombarda, X (1965), pp. 135-148; Id., Giovanni Domenico Orsi Orsini ed altre precisazioni su artisti intelvesi attivi Oltralpe, ibid., XI (1966), pp. 207-215; Ragguagli borrominiani. Mostra documentaria (catal.), a cura di M. Del Piazzo, Roma 1968, passim; R.C. Smith, The art of Portugal, London 1968, passim; H. Hibbard, Carlo Maderno and Roman architecture: 1580-1630, London 1971, pp. 101 s.; E. Ascarelli d'Amore, Il Museo diocesano di arte sacra di Scaria d'Intelvi, in Arte cristiana, LXVIII (1980), 1, pp. 1-6; L. Alfonso, Tomaso Orsolino e altri artisti della "natione lombarda" a Genova e in Liguria dal XIV al XIX secolo, Genova 1985, ad indicem; V. Belloni, La grande scultura in marmo a Genova (secc. XVII-XVIII), Genova 1988, pp. 189-197 e passim; La scultura a Genova e in Liguria, II, Genova 1988, ad indicem; Carlo Carlone 1686-1775. Der Ansbacher Auftrag (catal.), a cura di P.O. Kruckmann, Ansbach 1990, ad indicem; A.F. Pimentel, in The Dictionary of art, London-New York 1996, p. 54; Magistri d'Europa. Eventi, relazioni, strutture della migrazione di artisti e costruttori dei laghi lombardi. Atti… Como… 1996, a cura di S. della Torre - T. Mannoni - V. Pracchi, Como 1998, s.v.Garruo; S.A. Colombo - A. Coppa, I Carloni di Scaria, Lugano 1997, pp. 22, 36-38, 84, 101, 138 s.

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