CAVANIGLIA, Garzia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 23 (1979)

CAVANIGLIA (Cabanilla, Cabanillas), Garzia

Franca Petrucci

Nato probabilmente negli ultimi decenni del sec. XIV, fu originario di Valenza in Spagna. Alcuni storici, smentiti peraltro dalle fonti aragonesi, lo hanno identificato con l'ambasciatore di Alfonso d'Aragona presso Martino V, che a Firenze nel 1420, proponendo il sovrano quale possibile difensore di Giovanna II all'oratore napoletano Antonio Carafa II determinò l'intervento aragonese nel Regno. Anche se probabilmente il C. dovette seguire il re nelle varie campagne militari antecedenti al 1435, è solo da quest'anno che la sua presenza è documentata nel Regno, dove il sovrano, morta Giovanna II, era tornato a difendere i suoi diritti contro Renato d'Angiò. Nel 1440 il C. si trovava a Montefusco, capoluogo del Principato Ultra, di cui egli era stato creato in quello stesso anno giustiziere. Da questa città egli teneva sotto sorveglianza la pontificia Benevento, presidiata dalle truppe di Francesco Sforza, allora al servizio dell'Angiò. Il 15 dicembre egli riuscì a fare penetrare nel castello di Benevento un manipolo di truppe aragonesi, corrompendo un certo Pietro Quacquara, figliastro del castellano: successivamente gli fu facile occupare la città, di cui agli inizi del 1441 egli divenne governatore.

Pur tenendo cinta d'assedio la capitale, sovrano aragonese nella primavera di quell'anno si volse decisamente a sottomettere le terre sforzesche in Puglia. Nel giugno il re da Montefusco mosse verso Mirabella Eclano (Avellino), investendo quindi successivamente Apice (Benevento), Ariano Irpino (Avellino) e infine, ormai nel 1442, Troia (Foggia), che si arrese alla fine dell'anno. Al C., che aveva partecipato a tutta la campagna, Alfonso d'Aragona dimostrò la sua gratitudine concedendogli la baronia di Montecorvino (Foggia) e la contea di Troia, con il relativo titolo. E quando il 22 febbraio dell'anno successivo, Alfonso d'Aragona, che con la conquista di Napoli (giugno 1442) usciva vittorioso, dalla lotta contro Renato d'Angiò, attraversò trionfalmente la capitale, il C., il quale nella stessa epoca ricevette anche il titolo di maggiordomo maggiore, fu uno dei baroni che sfilarono al suo seguito.

Subito dopo il C., insieme a Raimondo Boyl, fu al comando dell'esercito napoletano che l'Aragonese lasciò nelle Marche, a sostegno del pontefice Eugenio IV contro Francesco Sforza, mentre il re stesso ritornava in Calabria per far fronte alla rivolta suscitata da Antonio di Centelles. A causa dell'ubicazione dei suoi possessi, gli interessi del C. si andarono in seguito orientando verso la Puglia. Nel 1444 ottenne dal re la castellania di Manfredonia e di Lucera e il 19 apr. 1445 acquistò dal sovrano i feudi di Cassano Irpino, Bagnoli Irpino e di Montella (Avellino). Nel castello situato in quest'ultima località, il mese successivo a quello dell'acquisto, ricevette Alfonso, che si recava a Napoli da Foggia, e organizzò perlui una battuta di caccia, rimasta memorabile. Probabilmente egli seguì il sovrano a Napoli, poiché nello stesso mese partecipò alle solenni onoranze funebri, che furono tributate allora al fratello del re, don Pietro d'Aragona, rimasto ucciso, il 17 ott. 1438, all'assedio di Napoli.

Morto il 23 febbr. 1447 Eugenio IV, il C. fu inviato a Roma quale ambasciatore regio presso la Curia e il Collegio cardinalizio. Lo scopo della missione era duplice: far sentire ai porporati la presenza del re di Napoli, garante dei loro privilegi, in un momento in cui Roma era scossa dalle infuocate arringhe di Stefano Porcari, e costituire nel medesimo tempo un monito a non sottovalutare l'importante ruolo che il re ormai svolgeva nella politica italiana. Il C. rimase a Roma fino a che il conclave elesse al soglio pontificio, il 6 marzo, Niccolò V.

Nel 1452, quando Federico III, che era stato incoronato imperatore a Roma nel marzo, si accinse a risalire la penisola lasciando Napoli, dove era stato splendidamente onorato dal re, Eleonora del Portogallo, sua novella sposa, si recò ad imbarcarsi a Manfredonia, accompagnata da Alfonso d'Aragona. Nel loro viaggio verso Manfredonia i due sovrani fecero sosta a Troia, dove furono accolti e ospitati dal C., il quale poi li scortò fino al porto pugliese. Nel gennaio del 1453 il C. chiese al re la conferma di Montella, Bagnoli e Cassano, impegnandosi a completame il corrispondente pagamento, non ancora interamente effettuato. Nello stesso anno prese parte al processo intentato contro Francesco Sanseverino, duca di Scalea, colpevole di essersi opposto a che si arruolassero nei suoi feudi armati per l'esercito del re.

Scoppiata, subito dopo la venuta dell'imperatore in Italia, la guerra che vedeva Venezia e Napoli appoggiate dal duca di Savoia e dal marchese del Monferrato coalizzate contro Francesco Sforza, a sua volta spalleggiato dal re di Francia Carlo VII, da Genova e dalla Repubblica fiorentina, Alfonso d'Aragona mise a capo dell'esercito napoletano inviato in Toscana nel giugno 1453 suo figlio Ferdinando, e il C. fu uno dei consiglieri del principe ereditario. Nel corso delle operazioni militari si stava, pochi mesi dopo, procedendo alla presa in consegna da parte dei Napoletani di alcuni castelli ceduti loro per accordo da Gherardo Gambacorti, signore della Val del Bagno (valle superiore del Savio), quando il comandante di una delle fortezze che si dovevano arrendere ai Napoletani, Antonio Gualandi, castellano di Corsano, invece di procedere, come nel patti, all'esecuzione degli ordini ricevuti, fece chiudere le porte della fortezza e con le anni si oppose all'ingresso delle truppe napoletane. Questo episodio provocò nei castelli già ceduti la rivolta contro gli occupanti e nel corso degli scontri il C. rimase ucciso.

Aveva fatto testamento il 18 febbr. 1438 lasciando suo erede il figlio Iñigo, che morì prima di potergli succedere. Aveva avuto altri due figli, Giovanni, cui passò il titolo, e Diego. Fu seppellito nella chiesa di S. Francesco in Troia, in cui la moglie, Giulia Caracciolo, gli fece costruire un monumento marmoreo, ora perduto. Devoto estimatore di Giovanni da Capistrano, il C. ebbe fama di uomo pio e contribuì alla fondazione del convento dei frati minori nella città di cui fu conte.

Fonti e Bibl.: I diurnali del duca di Monteleone, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXI, s, a cura di M. Manfredi, pp. 171, 191, 199; G. Curita, Los çpinco libros postremos..., III, Çaragoça 1610, c. 265r; IV, ibid. 1610, c. 19r; P. Rosso, Ristretto dell'ist. della città di Troia, a cura di N. Beccia, Trani 1907, pp. 187-92; N. F. Faraglia, St. d. lotta tra Alfonso V… e Renato d'Angiò, Lanciano 1908, pp. 225, 227; F. Scandone, I Cavaniglia..., in Arch. stor. per le prov. napol., s. 2, IX (1923), pp. 136-40, 204 s.; A. Zazo, Il castello di Benevento (1321-1860), in Samnium, XXVII (1954), p. 140; E. Pontieri, La Calabria del sec. XV…,Napoli 1963, p. 191; P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Cavaniglia, tav. I.

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