GASPARE da Verona

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GASPARE da Verona

Paolo Viti

Nacque a Verona forse all'inizio del Quattrocento. Le notizie sulla sua giovinezza sono molto limitate. Sebbene non dovesse essere di una famiglia di particolare rilievo nella città, probabilmente G. seguì le lezioni di Guarino Guarini (Guarino Veronese) - il più illustre concittadino dell'età umanistica - professore di retorica a Verona fra il 1419 e il 1429. Sembra che il G. non abbia più risieduto a Verona dopo la giovinezza: anzi, come altri umanisti veronesi, quali lo stesso Guarino e Domizio Calderini, G. avrebbe insegnato fuori dalla sua città natale.

Passò dapprima, almeno a partire dal 1425, a Bologna, dove frequentò lo Studio rivolgendosi alla logica e alla filosofia: fu uditore delle lezioni di Giovanni delle Fornaci e di Gaspare Sighicelli. Alla mancanza dei Rotuli dell'Università di Bologna per gli anni 1408-38 sopperiscono le notizie che lo stesso G. fornisce nel suo commento a Giovenale: sappiamo così che seguì anche le lezioni di noti docenti bolognesi, quali Niccolò di Pietro da Romeglia, Giovanni da Asparo, Ugo Benzi, Paolo Veneto (Paolo Nicoletti da Udine) e vari altri.

Non si sa, invece, quando si trasferì poi a Firenze, ma sicuramente rimase a Bologna fino al 1427, l'anno in cui a Firenze iniziava il suo ufficio annuale di capitano del Popolo il romano Stefano Porcari, con il quale G. entrò in una lunga e duratura amicizia.

Il soggiorno a Firenze gli consentì di stringere rapporti con i maggiori esponenti della cultura della città, a partire dal cancelliere della Repubblica, Leonardo Bruni, verso il quale G. nutrì sentimenti di profonda ammirazione. Frequentò quindi Poggio Bracciolini, Carlo Marsuppini, Francesco Filelfo e soprattutto il monaco camaldolese Ambrogio Traversari, che nel 1431 fu eletto generale del suo Ordine: e proprio dal Traversari, oltre che dal Filelfo, G. dovette imparare il greco, avendo come compagno di studi Tommaso Parentucelli da Sarzana, che nel 1447 divenne papa col nome di Niccolò V. Nel frattempo, anche per ragioni di scuola, si era formato una preziosa raccolta di poeti greci, poi venduta nel 1465 a Leonoro de' Leonori.

L'amicizia con il Porcari fruttò a G. l'incarico di precettore privato per il più giovane fratello dello stesso Porcari, Mariano, e, successivamente, con molta probabilità, anche per il figlio di Stefano, Matteo. Proprio insieme a Stefano e a Mariano Porcari, G., nel corso del 1431, fece un lungo viaggio per l'Europa, visitando la Francia, la Bretagna e la Scozia. Le ragioni di questi spostamenti sono ignote, ma è probabile che il Porcari svolgesse una qualche missione diplomatica per conto di papa Eugenio IV.

Seguì ancora il Porcari a Bologna, quando questi, sul finire del 1432, venne eletto podestà della città. Mentre si trovava a Bologna G. prese la decisione di farsi monaco camaldolese, di sicuro in seguito all'intensa amicizia stretta con il Traversari. Di questa monacazione si hanno precise testimonianze in non poche lettere del Traversari indirizzate al G. o che comunque lo riguardano (per es., Epistolae, VIII, 45; IX, 15-16; XII, 36, 43-44, 47-48), nonché in un preciso riferimento nell'Hodoeporicon dello stesso Traversari (p. 201 ed. Tamburini): il quale assai spesso si rivolgeva al G. per avere notizie di manoscritti antichi. I legami con il Traversari durarono nel corso degli anni successivi: nel 1434, per esempio, G. gli fece visita a Firenze, insieme con Stefano e con Mariano Porcari, venuti da Siena, dove Stefano era podestà.

È probabile che poco dopo la morte del Traversari (20-21 ott. 1439) G. abbia lasciato l'Ordine camaldolese, all'interno del quale era vissuto con una certa inquietudine, come si può dedurre da alcune delle lettere dello stesso Traversari. Si sa, comunque, che nel 1445, forse già da qualche tempo, si trovava a Roma. Qui, con una lettera di raccomandazione del benedettino Girolamo Aliotti, gli si presentò Giovanni Tortelli di Arezzo: e con lui - destinato a divenire uno dei più autorevoli familiari di papa Niccolò V - G. iniziava una lunga amicizia. A Roma G. organizzò una scuola privata che divenne presto famosa e che fu frequentata da studenti che appartenevano a famiglie rappresentative della città o che erano al seguito di prelati influenti nella Curia papale: da Gabriele Marcello, parente del cardinale Pietro Barbo, a Rodrigo Borgia (in seguito papa Alessandro VI), dalla famiglia del cardinale Ludovico d'Albret a giovani destinati poi ad avere grandi ruoli nell'ambito culturale romano: Aldo Manuzio, Marcantonio Coccio detto Sabellico, Giovanbattista Valentini detto il Cantalicio e vari altri, fra cui molti stranieri, i quali, talora, in numero superavano addirittura gli studenti romani. La scuola di G. fu in concorrenza con quella di un altro illustre insegnante privato del momento, Lorenzo Valla.

Dopo un lungo viaggio compiuto nell'estate del 1448 prima nel Lazio e poi nel Regno di Napoli, fino in Puglia, sempre in compagnia di Stefano Porcari, G., che riguardo a quelle terre lamentò lo stato di abbandono delle biblioteche, iniziò a scrivere il commento alla sesta satira di Giovenale (contro le donne). G. dedicò tale commento a papa Niccolò V nella speranza di ricevere da lui l'invito a proseguire l'interpretazione di tutte le satire di Giovenale, e quindi di ottenere un incarico di insegnamento presso lo Studio di Roma. Tale incarico, comunque, non dovette tardare molto: infatti in una lettera del 1451 indirizzata al Tortelli, G. parla delle fatiche dell'insegnamento e anche della moglie, in quel momento in attesa di un figlio.

Non si sa nulla su questo matrimonio, in occasione del quale il Tortelli fu testimone delle nozze, che dovettero avvenire dopo l'uscita di G. dall'Ordine camaldolese: In una successiva missiva, anteriore al marzo 1452, G. parla della morte della moglie, non accennando in alcun modo al figlio. Successivamente, G. si sposò di nuovo, con Lucrezia, figlia di Giorgio Tasca (esponente di un certo rilievo nella società romana del tempo); da essa ebbe quattro figli: Francesco, notaio negli ultimi decenni del Quattrocento, Cristofora, Terenzia e Marzia.

Con l'ascesa al soglio pontificio di Alfonso Borgia, che assunse il nome di Callisto III nel 1455, la posizione di G. ebbe un positivo cambiamento: appena quindici giorni dopo l'elezione del nuovo papa, infatti (il 31 maggio 1455), G. fu chiamato a far parte della Curia; prestò quindi il tradizionale giuramento di fedeltà alla Chiesa, fra l'altro insieme a un suo discepolo, Falcone Sinibaldi, e prima che lo stesso facessero altri umanisti: Lorenzo Valla, Enoch d'Ascoli, Iacopo Ammannati (Arch. segr. Vaticano, Reg. Vat. 465, cc. 46v, 127r; 467, c. 132r). Sotto il pontificato di Pio II (il cardinale Enea Sivio Piccolomini) - succeduto a Callisto III nel 1458 - G. ottenne, grazie all'interessamento dell'Ammannati, una cattedra di retorica alla Sapienza; non si sa se in aggiunta o in sostituzione dell'incarico in Curia. Ma con Pio II G. non fu in buoni rapporti, anche perché era da tempo legato con la famiglia del cardinale Prospero Colonna, avversaria e ostile al pontefice e alla sua consorteria. Forse anche per questi motivi, quando nel 1461 Giovanni di Castro scoprì sui monti della Tolfa i giacimenti di allume - destinati a divenire nel proseguimento degli anni motivo di turbolenza e di forti contrasti interregionali - G. si interessò a questi scavi, ma non riuscì a ricavarne particolari ricchezze.

Non si sa in quali rapporti sia stato con il nuovo papa, Paolo II (il cardinale Pietro Barbo), succeduto a Pio II nel 1464, anche a causa della mancanza di fonti documentarie della Cancelleria apostolica. G. è tuttavia da annoverarsi nel numero degli umanisti che ricevettero vantaggi dal pontefice, come Giovanni Antonio Pandoni detto il Porcellio, Angelo Acciaiuoli, Agostino Patrizi, Giovanni Antonio Campano e vari altri; dovette anche mantenere l'insegnamento di retorica. Ma dopo la morte del papa (luglio 1471) si ritirò a Viterbo dove, sul finire del 1472, o al più tardi agli inizi del 1473, svolse per breve tempo un incarico di insegnamento. Da un decreto emesso il 31 genn. 1473 dal cardinale Latino Orsini si apprende che la cattedra romana di G. era stata assegnata a Marino Filetico. Nell'estate di quell'anno G. dovette però fare ritorno a Roma, riottenendo la sua cattedra presso lo Studium Urbis, come attesta un pagamento di 50 fiorini per la prima terziera riscosso il 10 febbr. 1474.

Nel corso dell'estate G. morì. La data esatta non ci è nota: essa è sicuramente successiva al 27 luglio 1474 quando G. aggiunse un codicillo alle sue ultime volontà, dettate il 21 febbraio di quell'anno. Nel testamento, sono ricordati anche i libri che aveva prestato e, talora, anche le condizioni in cui il prestito era avvenuto. La sua morte è annunciata con grande commozione e rimpianto in due lettere di Agapito Porcari (figlio di Filippo), senza data ma da collocare al 1474.

La produzione letteraria di G. - che mostrò anche un particolare interesse per l'invenzione e la diffusione della stampa - è costituita da tre opere distinte: un trattato di grammatica intitolato Regulae grammaticales, un commento all'intera raccolta di Giovenale, una storia del pontificato di Paolo II intitolata De gestis tempore pontificis maximi Pauli II. Le prime due opere nacquero sicuramente dall'impegno didattico, privato e pubblico, di G.; la terza, che costituisce la prima "vita" di papa Barbo, rientrava, invece, in un filone biografico celebrativo il cui modello era rappresentato dai Commentarii di Pio II, l'immediato predecessore sul soglio pontificio di Paolo II.

Le Regulae grammaticales furono scritte negli anni del pontificato di Niccolò V, fra il 1449 e il 1455, ma non dovettero essere l'unica composizione del genere di G., che, probabilmente, scrisse trattati similari anche in anni anteriori a quelli delle Regulae. L'opera si inserisce nella tradizione di studi grammaticali che ebbe grande sviluppo nell'età medievale. Anzi, a uno dei massimi esemplari di quel periodo, il Doctrinale di Alessandro di Villedieu, G. rivolge una pressante critica, sostenendo di avervi trovato duecento errori. Oltre che con le riserve alla tradizione scolastica medievale, già espresse fin dal Petrarca e in tempi più recenti da Leon Battista Alberti, l'opera di G. si allinea con quelle analoghe di Guarino e di Giorgio Valagussa. Ma proprio a confronto delle più famose Regulae grammaticales di Guarino le Regulae di G. presentano una trattazione più ampia e articolata, con un'appropriata terminologia tecnica, per taluni aspetti anche superiore. Il contributo dato da G. alla precisazione delle caratteristiche strutturali della grammatica latina non è, quindi, indifferente: i numerosi manoscritti e le diverse edizioni a stampa (le prime due apparse a Brescia nel 1475 e a Milano nel 1481) dimostrano l'ampiezza del credito raggiunto dall'opera, che fu anche edita in forma ridotta e rimaneggiata, anche se scritti tecnicamente ancora più consolidati, come quelli di Ognibene Bonisoli da Lonigo, e soprattutto dello stesso Guarino e poi di Niccolò Perotti e di Antonio Mancinelli, contribuirono poi a sminuire l'importanza delle Regulae grammaticales di Gaspare.

Il commento a Giovenale nacque, come testimonia G. stesso, dopo il suo viaggio nell'Italia meridionale nel 1448. Al ritorno a Roma, tormentata da un'esplosione di peste, decise, come si è già detto, di procedere all'interpretazione della satira contro le donne che fu offerta da G. a Niccolò V (il testo di questo suo commento, autografo, è l'attuale codice 397 della Bibl. Casanatense di Roma). In seguito estese il commento a tutta la raccolta di Giovenale, come dimostra il manoscritto, anch'esso autografo, ora Vat. lat. 2710 della Bibl. apost. Vaticana. Secondo le consuetudini della scuola, il lavoro esegetico è preceduto da un'introduzione sulla vita di Giovenale e sulla storia della satira.

Nella sua opera G. tratta con particolare interesse e impegno gli aspetti grammaticali e stilistici relativi alle satire di Giovenale, senza tralasciare, però, un'estesa gamma di altri interessi: da quelli per questioni storiche a quelli per questioni estetiche, che dimostrano la vastità della cultura classica di Gaspare. Inoltre nel commento, accanto a discussioni anche su temi scientifici e medici, si trovano anche riferimenti alla poesia volgare italiana e soprattutto a quella petrarchesca. Infine non mancano divagazioni su fatti strettamente personali o richiami a vicende contemporanee all'autore, che offre così particolari notizie sull'ambiente in cui egli visse e operò. Il commento di G., pur riflettendo in sé i limiti di similari lavori umanistici, non è certamente trascurabile fra i primi commenti a Giovenale, come quelli più parziali di Guarino, del Marsuppini e del Tortelli.

Sicuramente più rilevante, per impegno e per prospettiva storica, è il De gestis Pauli II, una narrazione annalistica, ma incompleta, del pontificato di Paolo II (1464-71).

Fin dall'inizio del De gestis - con il ricordo dell'elezione al pontificato del cardinale Barbo del 30 ag. 1464 "certe divina" - G. delinea un quadro tutto positivo ed encomiastico della figura e dell'opera del papa, di cui vengono posti in risalto sia le qualità personali e gli ampi interessi culturali, sia le doti manifestate nella carriera ecclesiastica come vescovo di Vicenza (1451) e di Padova (1459) e poi come cardinale (1439). Ne deriva un limitato ma interessante quadro con riferimenti a personaggi diversi legati al Barbo, come Battista Pallavicino, vescovo di Reggio, ed Ermolao Barbaro, vescovo di Verona. Naturalmente il discorso si fa ancora più ampio quando si tratta dei rapporti che il Barbo, come pontefice, tenne con i maggiori esponenti della vita politica, sociale e religiosa del suo tempo. La ricostruzione fornita da G. delinea così un panorama particolareggiato, ricco di importanti informazioni, talune recepite e apprese anche direttamente, e raccontate con dovizia di particolari, che consentono di conoscere notevoli questioni relative al pontificato di Paolo II.

Il primo libro, che si ferma ai primi sei mesi di pontificato, in particolare esemplifica tutte le virtù e le qualità del papa con specifico riferimento alla nomina dei vescovi e dei suoi più diversi collaboratori: da Giovanni Barozzi, patriarca di Venezia dal 1465, a Corrado Capece, arcivescovo di Benevento dal 1467, da Lorenzo Roverella, nominato da Pio II arcivescovo di Ferrara, a Giovanni Gianderoni, già eletto da Pio II vescovo di Città di Castello, fino ai medici pontifici: Cristoforo da Verona, Iacopo Zocoli, Sante Fiocchi. Il secondo libro, riguardante i successivi sei mesi del primo anno di pontificato, è rivolto soprattutto a un panorama della Curia, basato su alcuni familiari pontifici - come Leonoro de' Leonori, Leonardo Dati, Cristoforo Piacentini - e quindi sui cardinali: da Giovanni Carvajal a Francesco Gonzaga, da Angelo Capranica a Francesco Todeschini Piccolomini (il futuro Pio III), da Niccolò Forteguerri a Bernardo Eroli, dal Bessarione a Rodrigo Borgia, da Guillaume d'Estouteville a Giovanni Torquemada e a tanti altri.

Non risulta pervenuto il terzo libro, dedicato al secondo anno di regno di Paolo II. Il quarto si apre con il ricordo della definizione ciceroniana della storia ("testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis": Cicerone, De orat. 2, 36) ed è incentrato su alcune vicende avvenute durante il pontificato di Paolo II. Nel corso della narrazione G. si sofferma su figure particolari, quali l'irrequieto umanista Giorgio Trapezunzio (Giorgio da Trebisonda), il gran maestro dei cavalieri di Rodi Pietro Raimondo Zacosta, il re di Napoli Ferdinando d'Aragona (dal quale il papa richiedeva il pagamento dei censi dovuti alla Chiesa), il signore di Rimini Sigismondo Malastesta; e ancora l'elezione del nuovo vescovo di Ragusa, Timoteo Maffei, l'opera dell'arcivescovo di Spalato Lorenzo Zane, guerriero e statista di fiducia del papa, e vari fatti, fino ai rapporti tenuti da Paolo II con i suoi nipoti (Giovanni Michiel, Giovan Battista Zeno, Marco Barbo). Altri avvenimenti rievocati sono l'introduzione della stampa in Italia, la guerra con i signori di Tolfa, la missione del vescovo di Gerace Attanasio Calceopulo presso Giacomo II di Lusignano re di Cipro, la venuta a Roma della regina madre di Bosnia, Caterina, mentre il libro si conclude con il riferimento ad alcuni membri della Cancelleria curiale e a poeti e letterati romani: il giurista Niccolò Gallo, Battista Moroni, Angelo Iacobini, Niccolò Della Valle, Alessio Marinelli, Sigismondo de' Conti e vari altri.

Pur non presentando particolari qualità di analisi e di giudizio, la prosa di G. mostra una notevole varietà stilistica, dipendente anche dal rapido susseguirsi della narrazione, ricca di richiami a fatti e a personaggi diversi. Inoltre la testimonianza diretta dell'autore rende ancora più importante, anche dal punto di vista storico, il complessivo racconto di G.: il quale non esitò a inserirvi (come già ricordato) riferimenti anche a questioni e a problemi suoi personali.

Il quinto libro del De gestis, dedicato al quarto anno di pontificato di papa Barbo, era sconosciuto a Giuseppe Zippel, curatore della moderna edizione della biografia di Paolo II, il quale ipotizzò che la scomparsa di questo libro fosse dovuta non a vicende casuali, ma alla volontà di persone coinvolte a vario titolo nella congiura antipapale del 1468 (che prese le mosse dall'Accademia Romana) di rimuovere una testimonianza compromettente. Zippel in particolare suppose che fosse stato il Platina (Bartolomeo Sacchi), divenuto prefetto della Biblioteca Vaticana nel 1475, a far scomparire il quinto libro per eliminare notizie e ricordi negativi e ostili nei suoi confronti e nei riguardi di altri personaggi. Sempre Zippel ipotizzò che quest'ultima parte del De gestis potesse essere presente in un manoscritto un tempo conservato presso la Biblioteca nazionale di Firenze (Magl. XXXVII, 103), scomparso però sul finire dell'Ottocento. Solo in tempi più recenti questo codice è stato identificato nel ms. 16 della Biblioteca Phyllis Goodhart Gordan di New York (cfr. Kristeller, VI, Iter…, p. 350). Il manoscritto contiene un'ampia sezione del V libro ma non fa riferimento alcuno agli avvenimenti cruciali di quell'anno. La narrazione di G. si limita, forse per una precisa scelta dell'autore, alla descrizione della villa di Sermoneta di Onorato Caetani e del territorio circostante e a qualche annotazione sulla vita curiale e religiosa a Roma, non accennando in modo alcuno alla congiura dell'Accademia Romana di Pomponio Leto.

Pubblicando il De gestis, L.A. Muratori (Rer. Ital. Script., III, 2, Mediolani 1734, coll. 1025-1050) non conosceva il libro I, che fu edito per la prima volta da Gaetano Marini (pp. 178-198). I manoscritti Vat. lat. 3620 e 3621, contenenti rispettivamente il IV e il II libro del De gestis, sono gli esemplari presentati da G. al papa, anche se non particolarmente eleganti e provvisti di correzioni marginali dell'autore. Altri manoscritti vaticani, ma più tardi, sono il Vat. lat. 5626, il Vat. lat. 6168, il Barb. lat. 32181; a essi si aggiungono altre copie dei secoli XVII-XVIII presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma: i manoscritti I.13, I.36, T.33. L'edizione critica del De gestis è stata fornita nel 1904, nella seconda edizione dei Rer. Ital. Script., III, 16, dallo Zippel, che pubblicò anche la biografia di Paolo II scritta poco tempo dopo, nel 1476, dal viterbese Michele Canensi. Il quinto libro è stato edito da A. Andrews, The "lost" fifth book of the Life of pope Paul II by Gaspar of Verona, in Studies in the Renaissance, XVII (1970), pp. 26-45.

Di G. si hanno, infine, alcune lettere sparse, indirizzate a destinatari diversi. Esse sono conservate in alcuni codici, ma è mancato finora un censimento esaustivo: nel Vat. lat. 3908, cc. 137r-139r e 144r, si hanno cinque lettere al Tortelli (a c. 177r dello stesso manoscritto vi è una lettera di Matteo Porcari a G.); una lettera di G. a Nicodemo Tranchedini si trova a Firenze presso la Bibl. Riccardiana (Ricc. 834, c. 180v); sempre a Firenze, presso l'Archivio di Stato, si ha una lettera al Traversari (Carte Strozziane, s. I, 136, c. 5r).

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