DIZIANI, Gaspare

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DIZIANI, Gaspare

Sergio Claut

Figlio di Giustina e Giuseppe "De Ciano", nacque a Belluno il 24 genn. 1689; fu allievo in patria di Antonio Lazzarini, ultimo interprete provinciale, ma non spregevole, del tenebrismo barocco. La vera formazione artistica il D. la ebbe però a Venezia (1709-11 circa), prima nella scuola di Gregorio Lazzarini e successivamente, e con maggior profitto, in quella del conterraneo Sebastiano Ricci. Una rapida fama, certo sorretta da una felicità esecutiva non comune e che probabilmente poté esprimersi nella scenografia di cui i molti teatri veneziani abbisognavano, lo portò già nel 1717 a Monaco e quindi a Dresda, alla corte di Sassonia, "ove mercò grande onore", come attesta il Da Canal (1732), che del D. fu il primo biografo.

Nel 1720 tuttavia rientrò a Venezia, dove compare tra gli iscritti alla fraglia dei pittori (Favero, 1975, p. 156).

La documentazione dell'attività giovanile del D., all'interno cioè del secondo decennio del 1700 e dopo il suo trasferimento da Belluno a Venezia, è circoscritta a un esile gruppo di disegni nel Museo Correr di Venezia ed in quello Civico di Udine. La Visita di Maria ad Elisabetta, siglata "A li 24 marzo 1713-Inbeluno", e l'Adorazione dei magi, con la scritta "D.a 1718", escludono che dalla rapida frequentazione della bottega di Gregorio Lazzarini il D. possa aver tratto grandi suggestioni. Maggiormente plausibili paiono invece i rapporti con Sebastiano Ricci, stabilitosi definitivamente a Venezia fin dal 1715, del quale il D. conosceva certamente i lavori bellunesi del 1704 nel palazzo Fulcis, nell'omonima cappella in S.Pietro e nella vicina certosa di Vedana e che attorno al 1718 ancora in Belluno affrescava la villa del Belvedere. E proprio al Ricci della cappella Fulcis rinviano gli Studi di teste senili e di angioletti in un disegno del Correr siglato "Dresda Polonia".

I dipinti per il palazzo della Residenza di Monaco di Baviera, eseguiti nel 1717, sono andati perduti durante l'ultima guerra mondiale. Noti comunque attraverso una mediocre documentazione fotografica (Zugni Tauro, 1971, tavv. 5-7) essi raffiguravano le Quattro parti del mondo. Parimenti disperse ed in ogni caso note solo in termini assai superficiali sono pure le decorazioni di Dresda nel teatro e nella chiesa della corte; un'Adorazione dei magi in collezione privata a Budapest (Garas, 1963, p. 81) è forse in relazione con il già citato disegno di analogo soggetto nel Museo di Udine (inv. 29) datato 1718, la cui scritta si potrebbe interpretare Dresda.

Sempre nel secondo decennio del secolo trovano collocazione l'ottagono con la Maddalena nella chiesa di S. Stefano a Belluno e l'Entrata di Gesù in Gerusalemme in S. Teodoro a Venezia, di cui è noto anche un modelletto (già coll. eredi Agosti) e che può essere correlato con un disegno del Museo Correr datato 1713 (inv. 5535).

È un momento di grande felicità creativa, caratterizzata da rapidità e sicurezza tecnica; l'artista sembra usare il colore come la penna nei suoi disegni più spiritosi e fulminei, in colate rapide, fragranti: dote che in realtà, nelle opere pittoriche, verrà conservata piuttosto nei modelli che nelle successive esecuzioni in grande.

Alla prima attività del pittore appartiene probabilmente, accanto a Polissena e Sofonisba nella coll. Copercini e Giuseppin di Padova (cfr. Il cielo..., 1983, p. 27), anche Giuseppe venduto dai fratelli del Museo civico di Belluno, dove, più chiaramente che altrove, è palese l'adesione al gusto del vero maestro del D., Sebastiano Ricci.

Per realizzare un "magnifico apparato per la chiesa di San Lorenzo in Damaso" (Temanza, 1738) a Roma, il D. accolse nel 1726 un invito del cardinale veneziano Pietro Ottobon (ma Longhi [1762] colloca il viaggio prima dell'esperienza in Germania e Polonia). L'opera per S. Lorenzo è documentata da un'incisione di F. Vasconi (Pavanálo, 1981, p. 126), mentre un gruppo di disegni, oggi dispersi, rivelerebbe, se davvero gli appartengono, l'interesse e lo studio per la scultura romana, classica e barocca (Il cielo..., 1983, pp. 19 ss.).

Prima opera finora nota, con firma e data, continua ad essere l'Estasi di s. Francesco (1727) in S. Rocco a Belluno, chiaramente debitrice del prototipo di Sebastiano Ricci a Praga.

È proprio con opere di questo primo periodo di attività che si imposta quel doppio binario figurativo e stilistico determinato, per un verso, da un'originaria elaborazione di forme, a struttura prevalentemente geometrizzante, raffinate ed impreziosite dalla grafia spezzata - qualità questa che rimane specifica della produzione grafica e che si può supporre mediata dalla cultura artistica nordica conosciuta al tempo del soggiorno in Germania (1717-20) - entro la quale i colori vibrano luminosissimi in stesure liquide e colanti; a questi modi si affianca l'assimilazione dei modelli ricceschi donde deriva una diversa stesura in forme più arrotondate, costruite con insolita robustezza e plasticità. Si tratta dunque di una duplice valenza artistica che lega, ma al tempo stesso complica non poco, una produzione quantitativamente assai ampia e che continua ad essere, in buona parte, criticamente disarticolata per la perdurante carenza di opportuni e certi riferimenti cronologici.

Nonostante l'attività veneziana, il D. mantenne frequenti rapporti con la natìa Belluno dove era noto col soprannome di "mamma" (Biasuz, 1969); verso il Natale del 1731 inviava dalla città lagunare un biglietto di affettuoso augurio allo scultore Andrea Brustolon (Museo civico di Belluno).

Dal matrimonio con Angela Feltrin, sposata verso il 1731, nacquero dieci figli: tra questi il primogenito Giuseppe ed Antonio furono pittori come il padre, narratore di "storie" il primo, paesaggista il secondo. Si può ritenere che al di fuori di documentate presenze in periferia, l'attività del D. si sia normalmente svolta in Venezia, nella bottega in Merceria, da dove inviava a destinazione le opere richieste da una amplissima committenza; questa determinò, inevitabilmente, non sporadici interventi degli aiuti e quindi anche dei figli Giuseppe ed Antonio.

Certamente anteriori al 1732, quando il Da Canal le registra nella breve vita dell'artista inserita in quella di Gregorio Lazzarini, sono S. Agostino che sconfigge l'eresia, già a S. Salvador ed ora nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia, la Decapitazione di s. Eurosia, ora in collezione privata veneziana ma già nella villa Rinaldi Barbini di Asolo, e la Vergine del Carmelo dipinta nel soffitto della chiesa di Borbiago di Mira; se la Decapitazione risente di Sebastiano Ricci, nell'impianto arrotondato, la Vergine documenta una costruzione per piani diseguali, con stesure frammentate.

La decorazione nella sacrestia di S. Stefano a Venezia fu messa in opera nel 1733: l'Adorazione dei magi, la Fuga in Egitto e la Strage degli innocenti, dipinta su un doppio telaio, sono un mirabile esempio della genialità dell'artista, così come pomposamente recita l'iscrizione dedicatoria: qui per la prima volta il D. dà ampia prova di un suo fare impetuoso, irruente, muovendosi entro schemi formali che sono ricceschi, come palesemente indica la Fuga. Al medesimo momento sono riferibili anche il Martirio dei rasoi nel duomo di Chioggia e le due tele dei Carmini di Venezia con l'Elemosina del venerabile Paoli e l'Apparizione della Vergine ad un santo vescovo carmelitano, la grandiosa e teatrale Conversione di s. Paolo ora in S. Giustina a Padova e la versione ridotta della cattedrale di Belluno.

Gli affreschi realizzati nel 1746 in palazzo Riccati a Castelfranco Veneto determinarono l'incarico dell'anno successivo per conto del trevisano Marcantonio Spineda. Nel primo organismo decorativo, certo memore delle giovanili esperienze romane, il colore è festoso; per contro la sequenza mitologica di palazzo Spineda a Treviso (ora Cassa di risparmio) mostra una cifra ribassata, imputabile anche all'intervento di qualche aiuto (Coletti, 1935). Nel 1747 datava e firmava anche la piccola, ma preziosa e luminosissima Annunciazione, oggi nel Museo di Belluno. Nel quinto decennio va datata anche un'Immacolata con s. Pietro nella chiesa della Madonna dell'Angelo a Parenzo (Jugoslavia) che il Santangelo (1935) attribuiva ad Jacopo Marieschi e per la quale nel Museo civico di Udine esiste il puntuale disegno preparatorio. Disegno e dipinto indicano chiaramente lo stretto legame con la cultura pittorica di Sebastiano Ricci.

Il 1751 registra una frenetica attività del Diziani. Agli inizi di febbraio infatti stipulò il contratto per il "cielo domenicano" di S. Bartolomeo a Bergamo (Il cielo..., 1983, pp. 113 ss.), mentre alla fine di novembre dello stesso anno siglò l'accordo per il baldacchino della basilica antoniana di Padova (Sartori, 1976); due opere immense, condotte con una straordinaria foga e rapidità, estranee alla vaporosità rococò, ma mosse da un'dinamismo espressivo stupefacente, al quale non sarà certo rimasto estraneo il gusto di Carlo Carlone, attivo nell'ospedale di Bergamo solo qualche anno prima. Nel 1753 eseguì l'Immacolata e santi di Condino (Trento), caratteristico ed importante ancoraggio stilistico e cronologico per una produzione decisamente avviata in direzione rococò, sulla traccia del Tiepolo e del Pittoni.

A questo momento appartengono alcune tele commissionategli sulla scia dell'impresa bergamasca, come quelle inviate da Venezia nel 1755 ad Artogne (Brescia) o l'Adorazione dei magi per Clusone (Bergamo). Agli inizi del 1750 si dovrà riferire l'Assuntae santi in S. Gervasio di Belluno ed un gruppo di pale d'altare mandate in Friuli, quali le Anime del Purgatorio di Tolmezzo, l'Immacolata a San Vito del Tagliamento ed i Quattro cappuccini di S. Pietro ai Volti a Cividale. Luminosità diafane, assenza di contrasti chiaroscurali, gesti e pose affettate sono la nota distintiva di questi dipinti cui si affianca, in stretta connessione stilistica, anche la Madonna del Rosario e santi di Novaledo (Trento). La retoricità degli impianti figurativi è tuttavia attenuata dal ductus nervoso che spezza le linee, interrompe ed accartoccia i panneggi in un felice accordo con la tavolozza decisamente schiarita, vitrea nelle trasparenze. La pala di Storo, sempre nel Trentino, datata 1757 e raffigurante S.Antonio abate con altri santi, risulta affine, per concezione ed esito, ai Santi della Controriforma nella cattedrale di Belluno.

Nella villa Rinaldi Barbini di Caselle d'Asolo, dove già avevano operato P. Liberi e A. Celesti e per la quale quasi trent'anni prima aveva dipinto la già ricordata Decapitazione di Eurosia, il D., con l'aiuto del figlio Antonio, compì nel 1760 la decorazione del piano mezzanino. In quello stesso anno, dopo Tiepolo e Pittoni, a riprova di un ruolo di eminenza indiscusso, venne chiamato a presiedere per un biennio l'Accademia di pittura di Venezia della quale, nel 1755, era stato tra i fondatori.

Una straripante vena narrativa portò il D. a dipingere storie sacre e profane, organizzate in cicli di largo respiro e di grande impegno. La sua maniera "risoluta e veloce sul gusto del Tintoretto", come già aveva ben intuito il Da Canal (1732), sta all'origine di innumerevoli organismi decorativi, quadri da stanza come s'usava dire, ora dispersi in raccolte pubbliche e private di tutto il mondo e tali che nel 1762 Longhi, narrando del D., li faceva derivare da un "pieno torrente".

Esemplari in tal senso sono opere come le Storie di Alessandro (Parigi, coll. De Balkany; Zugni Tauro, 1971, tavv. 57-62), Anfitrite, Pan e Siringa (Como, coll. priv.; Zugni Tauro, 1971), Ercole e Nesso, Teti e Vulcano (Vienna, coll. pr.; Valcanover, 1981), Mosè che calpesta la corona del faraone (Varsavia, Museum nazionale), dove le non dimenticate esperienze giovanili nella composizione scenografica trovano una compiuta, anche se retorica, realizzazione.

Un prevalente accademismo caratterizza gli ultimi lavori che tendono a cristallizzarsi in forme precorritrici del gusto neoclassico, come, ad esempio, il soffitto della Scuola di S. Giovanni Evangelista a Venezia dipinto nel periodo 1760-1762. Le fonti documentano anche un ruolo di restauratore ufficiale delle pitture di Venezia ricoperto dal D., che fu anche maestro di P. Edwards (Conti, 1973).

I disegni del D. costituiscono un corpus di vastissime dimensioni, forse il maggiore dei pittori veneti del '700. Il fondo più cospicuo è conservato al Museo Correr di Venezia e proviene con molta probabilità dalla raccolta di Zaccaria Sagredo, che fu tra i primi estimatori del D. e, in particolare, dei suoi disegni come attesta già il Da Canal nel 1732.

I moltissimi fogli, pur nella inevitabile discontinuità qualitativa e nella diversità di esecuzione tecnica che può forse ancora alimentare qualche riserva in merito ad alcune attribuzioni, documentano un'attività frenetica ed una rapidità esecutiva convulsa, sempre sorretta da una grande eccitazione; un dinamismo grafico e di fantasia che sovente si smorza nelle trascrizioni in pittura, dove invece emergono esigenze compositive di natura accademica.

Tra le incisioni tratte da invenzioni del D. sono infine da ricordare quelle per l'edizione Zatta (Venezia 1757) della Divina Commedia, in cui otto canti dell'Inferno furono illustrati con altrettante incisioni dell'artista, e le due tavole per un'edizione italo-francese delle opere del Palladio (Architettura di Andrea Palladio vicentino ... con la traduzione francese, Venezia 1740) alla cui illustrazione pose mano anche il Fontebasso che in quello stesso periodo dipingeva col D. nei palazzi Belloni e Contarini a Venezia: si tratta dell'antiporta erroneamente datata 1760 (per 1740) e dell'introduzione ai diversi volumi, ripetuta sei volte, raffiguranti rispettivamente l'Allegoria dell'Architettura e l'Architettura con la Scultura e la Pittura.

Nel 1766 il pittore fu rieletto alla presidenza dell'Accademia per un secondo biennio che tuttavia non poté concludere, perché morì improvvisamente in una bottega di caffè in piazza S. Marco a Venezia il 17 ag. 1767.

Fonti e Bibl.: V. Da Canal, Vita di G. Lazzarini [1732], Venezia 1808, pp. 35 s.; T. Temanza, Zibaldon di memorie stor. appartenenti a professori delle belle arti del disegno [1738], a cura di N. Ivanoff, Venezia 1963, pp. XXIV, 11 ss.; A. Longhi, Compendio delle vite de' pittori veneziani, Venezia 1762, p. 25; A. M. Zanetti, Della pittura venez. e delle opere pubbliche dei veneziani maestri, Venezia 1771, p. 444; G. Moschini, Della letter. venez. del sec. XVIII, Venezia 1806, p. 201; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia [1808], a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 171; F. Zanotto, Storia della pittura venez., Venezia 1837, p. 378; F. Pellegrini, Catalogo dei pittori bellunesi dal sec. XIV in poi, Belluno 1892, p. 16; G. Damerini, I pittori veneziani del Settecento, Bologna 1928, pp. 21 ss.; G. Delogu, Pittori minori veneti del Settecento, Venezia 1930, pp. 146 s.; L. Coletti, Restauri e scoperte: nuovi affreschi di G. D., in Boll. d'arte, XX (1935), pp. 525-539; A. 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