BERTOLOTTI, Gasparo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 9 (1967)

BERTOLOTTI, Gasparo (Gasparo da Salò)

Anna Maria Monterosso Vacchelli

Figlio di Francesco, nacque a Salò nel 1540 (v. in Mucchi atto di battesimo del 20 maggio 1540); egli è il più illustre rappresentante di una famiglia di liutai e il fondatore della scuola bresciana.

La famiglia Bertolotti, originaria di Polpenazze in Valtenesi, sulla riva occidentale del Garda nei pressi di Salò, appare nei documenti dal 1403; primo diretto ascendente del B. è Santino di Francesco che si trova menzionato nell'atto di battesimo del B. come "Sanctini dicti violì".

L'appellativo di "violì" o "violino", che ricorre spesso anche in documenti posteriori, attribuito ai due figli di Santino, significa, secondo alcuni, suonatore di viole o piccole viole; secondo altri, costruttore di viole. è sintomatico che, come risulta da un rogito del notaio Giacomo Calsone del 24 febbr. 1560, i Bertolotti abitassero, in Salò, nella "Contrata violinorum". Entrambi i figli di Santino svolsero la loro attività esclusivamente in campo musicale.

Di Agostino, che era il maggiore, nato nell'anno 1510, sappiamo che dal 1558 dirigeva, oltre alla cappella del duomo di Salò, da cui percepiva un compenso giornaliero, anche la Schola cantorum, con l'obbligo di istruire sacerdoti e chierici nel canto fermo e figurato senza alcuna ricompensa. Le sue condizioni finanziarie non potevano quindi essere molto floride, tanto più che la nomina a maestro di cappella del duomo gli fu confermata, con uno stipendio fisso di 24 ducati all'anno, soltanto nel 1571, quando già aveva varcato la sessantina. Inoltre, per l'età avanzata che gli rendeva difficile adeguarsi al nuovo stile musicale che maturava in quegli anni, riuscì a mantenere l'ambito posto solo per dieci anni. Il Mucchi cita un documento del 1582 da cui risulta infatti che la carica era passata ad Orazio Vecchi, allora trentenne. Dopo questa data, il nome di Agostino non compare più nei registri della Cappella, e si può presumere che la sua morte avvenisse di l a qualche anno. Agostino ebbe quattro figlie e un figlio, Bernardino, nato il 26 marzo 1547. Questi, musico alla corte di Ferrara (dal 1589 al 1609) e compositore, pubblicò nel 1593 a Venezia per i tipi di R. Amadino cinque libri Missarum ad quinque voces e, fra il 1593 e il 1609, tre libri di Madrigali a cinque voci (ibid.). Fu poi a Roma al servizio di Paolo V (R. Eitner, Quellen Lexikon der Musiker,II,pp. 7 s.).

Di Francesco, fratello minore di Agostino e padre del B., non si conosce l'anno preciso della nascita, che tuttavia dovrebbe essere avvenuta tra il 1512 e il 1515. La qualifica "pictore in Salò", che compare una sola volta nell'atto di battesimo del suo secondogenito Gian Paolo, non vale a definire la sua vera attività, che da numerosi documenti risulta essere stata quella di musicista e flutaio: infatti fu il primo maestro del figlio Gasparo; morì tra la fine del 1561 e l'inizio del 1565.

Il B., oltre all'insegnamento tecnico avuto dal padre, apprese i primi rudimenti musicali dallo zio, Agostino. Ma la dimestichezza col liutaio bresciano Gerolamo Virchi, e soprattutto la prospettiva di una vita meno faticosa e ristretta, lo convinsero, presumibilmente nel 1562, a trasferirsi nella vicina città (nel 1561 figura infatti ancora iscritto nel Libro delle teste di Salò).

Brescia attraversava in quegli anni un periodo particolarmente fortunato. Era il momento del Moretto, del Savoldo e del Romanino; l'attività musicale era fiorentissima. Inoltre la città era, fin dal 1400, alla testa del progresso strumentale. In quegli anni, quattro casate di artefici di strumenti vi si contendevano la preminenza: gli Antegnati, dal 1431 organari insigni, i Virchi, i Della Corna e i De Michelis da Ro di Montichiari, costruttori di lire, citare, viole da gamba e liuti. Le corti di Mantova e Ferrara si rifornivano a Brescia di strumenti per i loro musici, e le ordinazioni provenivano anche dal Trentino, dalla Venezia Gíulia, da Vicenza, da Pavia e, naturalmente, da tutto il Bresciano.

Il B. trovò ospitalità, lavoro di apprendista e un modesto compenso nella bottega del Virchi, dove già operavano due aiutanti specializzati in intaglio, intarsio e decorazione. Ma l'apprendistato durò poco. Infatti nel 1564, sposatosi con tale Isabetta diciottenne, traslocò in contrada del Palazìo vecchio. Nel 1565 gli nacque il primo di numerosi figli, Francesco: dall'atto di battesimo risulta che padrino fu lo stesso Virchi.

Le più importanti fonti di notizie sulla sua vita e sulla sua attività a partire da questo periodo sono, oltre a documenti notarili. le due polizze d'estimo, del 1568 e del 1588, pubblicate dal Mucchi, come tutti i documenti che si riferiscono al Bertolotti.

Nella prima il B. si autodefinisce "maestro di violini": questo ha indotto alcuni liutologi a concludere che già a quell'epoca egli avesse ideato un violino vero e proprio. E nulla si oppone a questa ipotesi, anche se, come si e visto, il termine "violino" precedette di gran lunga l'invenzione dello strumento, assumendo il significato di suonatore di viola o di piccola viola. La situazione economica che risulta da questo documento non sembra molto florida anche se il commercio doveva essere bene avviato.

Fra le due polizze trascorrono venti anni, i più fecondi della sua vita, durante i quali il B., oltre a consolidare la sua fama e raggiungere l'agiatezza, perfezionò il nuovo strumento, portandolo alla sua forma definitiva. Nel 1570 gli fu commissionato un gruppo di strumenti dal conte Nestore. Martinengo da Azzanello, capitano al servizio della Repubblica veneta. Verso il 1580 un nobile padovano della famiglia degli Obizzi gli aveva commissionato tre viole da gamba. Questo prezioso terzetto è oggi conservato presso l'Altes Musikinstrumente Museum di Vienna.

In questo periodo il B. si era aperta anche una via di esportazione verso i più importanti mercati dell'Austria, del Tirolo, delle Fiandre e della Francia, e di qui in Inghilterra. Nello stesso tempo aveva perfezionato la sua arte, anticipando l'uso, poi diffusosi a Cremona, di comprare a Venezia e di importare dall'Oriente i più bei legni per costruire i suoi strumenti. Si riforniva inoltre di corde di minugia a Roma, dove si producevano le qualità più pregiate.

Nella polizza d'estimo del 1588 accenna direttamente all'esportazione in Francia dei suoi strumenti, quando riferisce di un debito contratto in un momento in cui il mercato francese era chiuso, e le sue entrate ne avevano temporaneamente risentito. Ma gli affari dovevano prosperare lo stesso, se il B. dichiara un po' più avanti di avere da parte un gruppo di violini che valuta ben 500 lire. Inoltre, anche se gli atti di vendita dei suoi strumenti non portano mai l'indicazione della qualità e della quantità, si ricava, da un atto di cessione del 1588, che egli consegnò un gruppo di strumenti a Carlo Contini di Chiari, che avrebbe dovuto smerciarli nella sua città.

Dal 1598 lavoravano nella bottega del B. come apprendisti Giovan Paolo Maggini e Iacopo Lafranchini. Questa collaborazione risulta prima di tutto dal testamento di una Lelia Alberghini, rogato nel 1598, e poi in atti del 1599, 1604 e 1607. In quest'ultimo compare citato anche il figlio Francesco in qualità di aiutante. Il B. morì a Bresciail 14 apr. 1609 e fu sepolto nella chiesa di S. Giuseppe.

Durante il '500 la forma del violino si era gradatamente perfezionata attraverso gli apporti delle lire da braccio, delle ribeche e, in parte, delle viole, fino a raggiungere il suo aspetto definitivo. Questo fermento di preparazione, a cui parteciparono in maggiore o minore misura tutti i liutai dell'epoca, e non solo bresciani e cremonesi, non è storicamente documentato, ma si può desumere dall'esame delle scarsissime opere sopravvissute. Quanto alla dibattuta questione se il merito di avere ideato il violino definitivo spetti al B. o piuttosto ad Andrea Amati, capostipite della scuola liutistica cremonese, niente, a tutt'oggi, si può ancora stabilire di preciso. Infatti, anche se l'Amati - come ha provato il Bonetti - è di quasi quarant'anni anteriore al B., non esistono prove documentate che egli abbia costruito violini a quattro corde e di formato normale prima del 1574, anno presunto della costruzione dei ventiquattro violini per il re Carlo IX di Francia; del B. invece, secondo le testimonianze di alcuni liutologi, esisteva un violino, oggi perduto, datato dal Fétis al 1566, in una collezione di strumenti venduta a Milano nel 1807; non solo, ma se le decorazioni del violino fossero veramente opera del Cellini, il B. avrebbe costruito lo strumento non oltre il 1572, anno della morte dell'artista. E poiché questo violino (uno dei due strumenti del B. già appartenuti a Ole Bull) è considerato il suo capolavoro, non si può pensare che non sia stato preceduto da una lunga serie di esperimenti. è innegabile comunque l'imponente contributo portato dal B. al perfezionamento e alla diffusione dello strumento e l'importanza della scuola da lui formata, che riuscì sempre a mantenere immune dall'influenza dei vicini liutai cremonesi. Inoltre, e questo è senza dubbio il suo gran merito, egli intuì per primo l'importanza della sonorità, in un'epoca in cui ancora predominava il gusto rinascimentale per la bellezza esteriore, considerata indispensabile, anche in uno strumento musicale.

Gli strumenti del B. giunti fino a noi sono molto rari e non recano mai la data di fabbricazione. A tuttavia possibile ricostruire una certa cronologia dei suoi strumenti, che spaziano dalla viola da gamba di aspetto quasi gotico fino al violino moderno, seguendo l'evoluzione di alcuni elementi, ad esempio il taglio delle aperture, che vanno dall'antico C della viola da gamba alla f perfettamente definita dei suoi violini. Il modello dil violino e della viola, della quale il B. aveva perfezionato la forma, conferendole l'aspetto definitivo, varia da un tipo con tavole molto arcuate a uno con le volte più basse, preferibile. dal punto di vista della sonorità. Anche le dimensioni variano secondo i modelli. Una caratteristica dei suoi strumenti è il parallelismo delle f, lunghe e appuntite, che sarà poi ripreso dal Maggini. Il legno era sempre scelto con molta cura e gli spessori - determinanti per il suono - regolati con particolare attenzione. Le curve mediane sono poco profonde e il riccio non è sempre molto curato. La vernice, in origine rosso bruna o giallo ambrata, si è spesso scurita coi tempo fino a diventare quasi nera. Il B. costruì anche violoncelli e bassetti di viola, ma rimase insuperato per i contrabbassi.

Non tutte le liste di strumenti del B. compilate dai vari liutologi collimano. Conservate sono rimaste alcune viole nel Museo del conservatorio di Bruxelles e nella collezione Hill di Londra, che comprende anche un violoncello e una viola da gamba. Al Victoria and Albert Museum di Londra si trovano due viole da gamba e un violino, e nell'Altes Musikinstrumente Museurn di Vienna il terzetto di viole costruito verso il 1580. Dei violini, il più famoso è quello già appartenuto a Ole Bull (ora al Museo d'Arte e Industria delle Terre dell'Ovest, di Bergen).

Alla morte del B. il figlio primogenito Francesco, rimasto proprietario della casa in via delle Cossere, vi lavorò ancora per alcuni anni, producendo, secondo le testimonianze dei vari liutologi, violini di piccolo formato, lire da gamba e liuti. Secondo il Butturini una sua viola recava l'etichetta "D. Francesco, quondarn G. da Salò". Di lui rimane però soltanto una lira da gamba costruita presumibilmente nel 1612, conservata nella raccolta W. Heyer di Colonia. Francesco morì presumibilmente fra il 1614 e il 1620.

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