GEBER

Enciclopedia Italiana (1932)

GEBER

Carlo Alfonso Nallino

. Forma latinizzata medievale del nome proprio arabo Giābir, portato, fra gli altri, da due autori di grandissima rinomanza anche in Europa: il matematico e astronomo Giābir ibn Aflaḥ (v.) e l'alchimista Giābir ibn Hayyān, considerato per molti secoli come il fondatore dell'alchimia araba e la principale fonte dell'alchimia europea. Qui ci occuperemo di quest'ultimo, distinguendo nettamente fra le opere in arabo a lui attribuite e le presunte versioni latine.

Il nome arabo completo del celebre alchimista sarebbe Abū Mūsà Giābir ibn ayyān ibn abd Allāh al-Azdā al-Kūfī aṣ-Ṣūfī, da alcuni detto originario del Khurāsān (Persia di NE.), ma vissuto ad al-Kūfah nella Mesopotamia poco a O. dell'Eufrate meridionale. Egli avrebbe avuto come maestri il principe omavyyade Khālid ibn Yazīd (morto nell'85 èg., 704 d. C.) e soprattutto il famoso sesto imām degli Sciiti, Gia‛far aṣ-Ṣādiq, circonfuso di tratti leggendarî e morto nel 148 èg., 765 d. C.; sicché si dovrebbe dedurne che Giābir fiorì nella metà del sec. VIII. In realtà queste vaghe notizie biografiche sono soltanto deduzioni che autori arabi trassero dai suoi scritti stessi, nell'ipotesi che fossero autentici; viceversa sappiamo che già poco prima del 980 parecchi dotti arabi ritenevano ch'egli fosse un personaggio fittizio o che, se davvero esistito, avesse composto uno solo (il "Libro della misericordia") fra gl'innumerevoli scritti di alchimia e medicina circolanti sotto il suo nome. Le ultime ricerche di J. Ruska e P. Krause (1930) porterebbero alle conclusioni seguenti: è possibile che un alchimista Giābir ibn Hayyān sia vissuto intorno alla metà del sec. VIII, ma le opere arabe a lui attribuite non hanno, in realtà, nulla a che vedere con lui. Esse, o almeno quelle a noi giunte, formano un tutto unico per carattere, tendenze e linguaggio e presuppongono quindi un unico autore o per lo meno la derivazione da un'unica scuola; sono alchimistiche e mediche, fortemente impregnate di tipiche idee filosofiche e religiose particolari della setta dei Bāṭiniti (v.) o Ismā‛īliti (v.), ben nota per la propaganda occulta che faceva a mezzo di libri anonimi o pseudepigrafi di contenuto filosofico e scientifico. In armonia con ciò sta il fatto del riferirsi di Giābir all'imām Gia‛far as-Ṣādiq come a maestro, giacché gli Ismāīliti non solo avevano immensa venerazione per questo imām ritenuto possessore di cognizioni sovrumane, ma prendevano il nome dal suo figlio Ismā‛īl. La terminologia filosofico-religiosa esclude che le opere suddette siano anteriori all'860; d'altro canto la loro esistenza è sicura, da citazioni, verso il 950; altre allusioni sembrano portare la composizione loro intorno all'epoca in cui si formò, per propaganda ismā‛īlita, l'impero dei Fāṭimiti (907). Insomma si tratta d'un prodotto di quello stesso movimento bāṭinita (carmato, ismā‛īlita), al quale nel medesimo secolo dobbiamo la famosa enciclopedia religiosa filosofica e scientifica detta degli Ikhwān aṣ-Ṣafā' (v.).

Il nome di Geber alchimista divenne famoso nel Medioevo latino attraverso citazioni contenute in opere arabe tradotte in Spagna, particolarmente nel libro di scienze occulte intitolato Ghāyat al-ḥakīm e fraudolentemente attribuito a Maslamah al-Maǵrīţī, del quale molte parti ebbero gran voga in una versione latina che dà all'autore il nome di Picatrix (dall'arabo Buqrāţish, cioè Ippocrate). M. Berthelot scoprì e pubblicò (nel suo libro Archéologie et histoire des sciences, Parigi 1906) frammenti di una traduzione latina, non priva di interpolazioni cristiane, d'uno scritto De septuaginta del presunto arabo Giābir. Ma la celebrità enorme di G. è dovuta a un gruppo di cinque scritti (di cui il maggiore s'intitola Summa perfectionis magisterii), che compare improvvisamente verso il 1300 e che diventò la base di tutti gli studî alchimistici nel sec. XIV. Sennonché già nel 1875 l'arabista G. Weil aveva riconosciuto che si trattava di scritti composti direttamente in latino e non tradotti dall'arabo; cosa poi dimostrata definitivamente da M. Berthelot nel vol. III (Parigi 1893) della sua opera La chimie au moyen-âge. Sull'importanza dell'opera di questo pseudo Geber latino per la storia dell'alchimia e della chimica v. alchimia (II, p. 242).

Ediz.: Alcuni testi arabi a lui attribuiti furono pubblicati da O. Houdas (nel vol. III del citato libro del Berthelot, La chimie, con traduzione francese) e da E. J. Holmyard Parigi 1928). Le edizioni dello pseudo Geber latino cominciano intorno al 1481 (Roma) e continuano fino a tutto il sec. XVII; ne esistono anche versioni in tedesco, francese e inglese, fra le quali meritano ricordo quella moderna di E. Darmstaedter, Die Alchemie des Geber übersetzt und erklärt, Berlino 1922 (con importanti note e glossario dei termini tecnici) e quella di R. Russell (del 1678 e 1686) ristampata da E. J. Holmyard, The Works of Geber, Londra 1928. La versione medievale latina del Liber misericordiae (Kitāb ar-raḥmah) fu stampata dal Darmstaedter in Archiv für Geschichte der Medizin, XVII (1925), 181-197.

Bibl.: J. Ruska e P. Kraus, Der Zusammenbruch der Dschabir-Legende, Berlino 1930, e le annate delle riviste Isis di Bruxelles e Archeion (Archivio di storia della scienza) di Roma, che rendono conto delle progressive ricerche intorno al problema di Giābir.