GELA

Enciclopedia Italiana (1932)

GELA (A. T., 27-28-29)

Vincenzo EPIFANIO
Filippo DI PIETRO
Luigi PARETI

Città della provincia di Caltanissetta, che si stende in bell'aspetto sopra una collina, a 45 m. s. m., ed è quasi al centro di una vasta insenatura, che ne porta il nome. Il quale, di recente sostituito a quello di Terranova, ci richiama alle vicende della città antica (v. appresso). Ma a far risorgere la vita sulle rovine di Gela, dopo circa dieci secoli dalla sua distruzione, contribuì Federico II (1230), che cinse di mura quella terra, sin da allora detta nova, servendosi di materiali tratti dalle rovine dell'antica colonia greca. Già sulla fine del Settecento (1798) Gela contava 9234 ab.; questi erano divenuti quasi il triplo nel 1921 (25.603 dei quali 24.311 nel centro) e sono ancora notevolmente aumentati nel decennio successivo (1931:30.008). Nel suo esteso territorio (kmq. 273,49), in buona parte su quella piana a cui molta fama procura il nome antico (Campi Geloi) la coltura più diffusa è quella del grano; prodotti caratteristici sono pure il cotone e il sughero.

Monumenti medievali e moderni. - La moderna Gela ha la configurazione di un rettangolo con due vie principali, la prima da oriente a occidente, la seconda da settentrione a mezzogiorno. All'incrocio delle due vie è la piazza maggiore con la Chiesa Matrice (sec. XVIII) in cui si trova un bel dipinto, di scuola novelliana rappresentante le Nozze di Canaan, e un Transito della Vergine del raffaellesco Vincenzo da Pavia (sec. XVI). Notevoli anche la chiesa di S. Giacomo, con un bel portale trecentesco, la cappella di S. Biagio, con rilevanti tracce dell'originale aspetto (sec. XIV); il campanile dei cappuccini di forma quadrata e di stile in tutto analogo a quello delle torri duecentesche litoranee di guardia.

Bibl.: V. Amico, Diz. toopgrafico della Sicilia, Palermo 1856; S. Da Maggio, Terranova Sacra, Terranova 1893.

La colonia greca di Gela.

Storia. - Il nome di Gela (Γέλα; etnico Γελῷος, Gelenses, Geloi), come parecchi altri di colonie greche della Sicilia (Imera, Selinunte, Agrigento, Camarina, ecc.), è tratto da quello del fiume Gelas (Γέλας) presso cui sorgeva (il nome, datogli dagl'indigeni italici Sicani, significa "gelido"); le altre varie spiegazioni antiche e moderne del toponimo sono da considerare errate. La colonia greca fu fondata, secondo Antioco (Thuc., VI, 4), 45 anni dopo Siracusa, e 108 prima di Agrigento, ossia nel 688-7; con questa e altre date vicine risultanti dalla tradizione di Eusebio si accorda la cronologia della più antica ceramica scoperta in Gela. Il capo della spedizione colonizzatrice, Antifemo, sarebbe stato di Lindo di Rodi, accompagnato dai suoi compaesani (di qui il nome di Lindî usato dai Geloi secondo un passo dubbio di Tucidide, VI, 4, 3) e da Cretesi capitanati da Eutimo. Si parla anche di coloni venuti dall'isola di Telos prossima a Rodi (donde il nome di Teline per un avo di Gelone) e dal Peloponneso. Questa pluralità d'origine per i coloni di Gela, che d'altronde sarebbero tutti Dori, è conforme a quanto sappiamo in genere per le colonie greche.

Il territorio in cui sorse la città greca era già abitato dagl'indigeni Sicani (nell'estrema parte occidentale della collina di Gela chiamata Capo Soprano e più in là a Monte Lungo, a est del fiume sul colle di Bitalemi, e a nord vi erano stanziamenti fin dall'età eneolitica), e le lotte dei coloni contro di essi dovettero poi durare, nel corso del sec. VII e al principio del VI tanto nell'interno, dove i Geloi si fortificarono con fortezze di confine contro gl'indigeni, quanto lungo la zona costiera a ovest della città, dove più tardi nel 58-79 fu fondata la sottocolonia di Agrigento.

Una notizia (Herodot., VII, 153) ci parla di una sedizione fra Geloi, una parte dei quali si sarebbe ritirata nell'interno, nella località di Mactorio, richiamata poi a Gela da Teline, progenitore di Gelone, coi sacrifici alle dee ctoniche di cui era ierofante. Quale fosse già nel sec. VII l'importanza di Gela risulta dall'avere essa costruito uno dei più antichi tesori a Olimpia. Nel 580-79 i Geloi fondavano Agrigento, valendosi come ecisti di Aristonoo e di Pistilo; la colonia si distaccò dalla madrepatria, fin da Falaride che ne assunse subito la tirannide. Il confine fra le due città fu normalmente al fiume Imera; tra Gela e Camarina fu al fiume Dirillo. Il territorio calcolabile di Gela pare fosse di circa 1100 kmq.

Il primo tiranno di Gela, Cleandro, figlio di Pantare olimpionico, regnò sette anni. Ucciso Cleandro dal geloo Sabillo, gli successe per sette anni (498-491, o più probabilmente 492-486-5) il fratello Ippocrate, il quale, valendosi prima come guardia del corpo, poi come ipparco, di Gelone, discendente da Teline, conquistò nel 492-1) Callipoli, Nasso e Leontini; poi vinse all'Eloro i Siracusani ricevendone, in cambio dei prigionieri, Camarina, che fu ripopolata fra il 491 e il 488; infine prese Ergezio e combatté contro i Siculi di Ibla: in questa guerra Ippocrate morì, nel 486 o 485. Morto Ippocrate s'impose ai Geloi come tiranno Gelone, che poco appresso aiutò i Gamori siracusani a tornare in Siracusa, impadronendosene e trapiantandovi la capitale del suo stato. Gela restò suddita di Siracusa, nella quale furono trapiantati, circa il 482, la maggior parte dei Geloi. Durante la potenza dei Dinomenidi le fonti tacciono di Gela, dipendente e sminuita.

La floridezza tornò con la caduta dei Dinomenidi nel 466, a cui contribuirono i Geloi. Ad essi toccò Camarina, che ripopolarono nel 461. Nel 456-5 moriva, ed era sepolto a Gela, Eschilo, mentre nel territorio di Gela doveva svolgersi parte delle lotte fra Sicelioti e mercenarî dei tiranni. Invano tentata da Atene, Gela aiutò Siracusa contro gli Ateniesi nel 415-414; da Gela si mosse, nel 406, in aiuto di Agrigento assalita dai Cartaginesi, lo spartano Dexippo con 1550 mercenarî, aeguito da altri aiuti; e a Gela trovarono il primo rifugio i fuggiaschi agrigentini, dopo il disastro. Ora Gela attendeva l'attacco cartaginese. Il generale siracusano Dionisio, venuto in soccorso, aiutò il demo a rovesciare i nobili, compensando col denaro confiscato i soldati di Dexippo e i suoi; ma invece di rimanere a Gela tornò a Siracusa, dove fu eletto stratego autocrate. Al principio del 405 Imilcone poneva l'assedio a Gela, dividendo le sue truppe, a quanto pare, come ad Agrigento, in due campi: uno maggiore a ovest della città, sul Capo Sovrano; l'altro a nordest presso il fiume; sicché Dionisio, avvicinatosi per soccorrere, dovette fermarsi presso il mare, a est del fiume, per venti giorni: egli aveva 51.000 soldati (per Timeo 31.000) e 50 navi. Si decise alfine ad agire e divise le sue forze in tre colonne: la prima, dei Sicelioti e dei cavalieri doveva vincere i nemici del campo piccolo, passando a nord della città; la seconda degl'Italioti doveva, aiutata dalle navi, marciare lungo il mare a sud di Gela; e la terza, con Dionisio stesso sarebbe passata attraverso la città: scopo comune, l'assalto al campo grande cartaginese. Ma l'isocronismo mancò: la prima e la terza colonna si attardarono; la terza anzi non entrò neppure in azione. Fu una grande sconfitta. Gela fu abbandonata e la popolazione, con quella di Camarina, portata a Leontini; la città distrutta dai Cartaginesi, che però, nella pace che seguì, permisero ai Geloi di tornare a Gela sudditi di Cartagine, e non difesi da mura. E indifesa rimase Gela, anche quando divenne possesso di Dionisio e dei suoi successori, a cui inviò fedelmente i suoi soldati, nel 397, nel 377, ecc.

Timoleonte, che fu detto "riedificatore" di Gela, consentì che ne fossero ricostruite le mura. Agitata fu la vita di Gela sotto Agatocle: essa soccorse gli aristocratici siracusani cacciati e venne in contesa con Agatocle, che poi riuscì a occuparla, facendovi stragi e confische e presidiandola; e che poi vi si rifugiò dopo la sconfitta di Ecnomo del 310. Poco appresso, occupata dal generale agrigentino Senodico, agì contro i tiranni; ma nel 305 presa da Dinocrate, venne consegnata ad Agatocle, che la possedette fino alla sua morte (289).

Circa il 282 i Mamertini devastarono Gela, i cui abitanti furono accolti da Finzia, tiranno d'Agrigento, nella nuova città di Finziade (Licata), completando la distruzione dei ruderi di Gela, forse perché non vi si annidassero i nemici (Diod., XXIII,1; XXII, 2). E nella nuova città, dal 280 circa, gli abitanti continuarono a chiamarsi Geloi. Per questo Cicerone chiama Finzia la città, ma Gelensi gli abitanti. Gela distrutta nel 282-280 non risorse e negli scavi nulla si trovò di posteriore a quell'epoca. Errano Plinio (Nat. Hist.) e Tolomeo (III, 4, 7) parlando il primo di Gelani e Phintienses, e il secondo di Finziade e Gela. È dubbio se la plagia di Chalis dell'Itinerario d'Antonino alluda al sito di Gela, restato deserto fino al sec. XII d. C.

Topografia. - Lasciando le vecchie discussioni, troncate dai trovamenti archeologici, se Gela fosse a Terranova o a Licata, il problema più grave riguarda il corso del fiume, che, a quanto crede il Pareti, erroneamente varî autori vollero avesse un andamento diverso dall'attuale, correndo con un braccio a nord della città, sì da congiungere il Maroglio col torrente Cattano. Il fiume nell'antichità, per la maggiore boscosità dell'isola, era più ricco di acque.

Le mura di Gela non comprendevano tutta la collina di Terranova (km. 4 × 0,7-0,5, comprendenti circa 200 ettari), ma avevano all'incirca il tracciato di quelle medievali di Federico II, comprendenti 1 kmq. circa, e una popolazione attuale di circa 25.000 abitanti. Il colosso di bronzo di Apollo Archegete, inviato dai Cartaginesi a Tiro nel 405, sorgeva fuori della città, a nord-est presso il fiume; per questo probabilmente va connesso col tempio del sec. V, fuori delle mura medievali, che coi suoi ruderi diede il nome di "Fiume delle colonne" al Maroglio. Il tempio più antico, forse del sec. III a. C., a 100 m. più a ovest, pare fosse dedicato ad Atena. Il santuario rustico del Colle di Bitalemi, a est del fiume, fu variamente creduto di Demetra e Cora, del dio Gela, di Asclepio. Sulla parte occidentale del colle di Capo Soprano, fuori le mura, si rinvenne una necropoli. Quanto ai ruderi sul Monte Lungo, più a ovest, sembrano di una chiesa bizantina. Gela non ebbe un porto naturale, ma una semplice rada, ottenuta con moli; mancò quindi di una potenza navale. La sua importanza fu agricola, per la fertilità dei bene irrigati Campi Geloi, i cui frutti sono simboleggiati sulle monete.

Per i culti si sa: di Apollo Archegete, di Apollo Carneo, di Atena, dell'ecista Antifemo, delle dee Ctonie, di Asclepio (Antol. Pal., VII, 158), del fiume Gela; mentre infine le monete attestano i culti per Sosipoli, Zeus, Eracle, ecc. I ricchi esemplari di bronzi, terrecotte, ceramiche, sarcofagi, ecc., trovati a Gela prima degli scavi dell'Orsi, sono sparsi nelle collezioni locali e italiane, e nelle straniere, specie di Berlino, Monaco, Londra, Oxford; quelli rinvenuti con gli scavi sistematici dell'Orsi sono al Museo di Siracusa.

Bibl.: Oltre alle storie della Sicilia antica del Holm e del Freeman, v. E. Babelon, Traité des mon. gr. et rom., II, i, p. 1538 segg.; G. Cultrera, in Rendic. Lincei, XVII (1908), p. 257 segg.; P. Orsi, Gela, in Mon. antichi dei Lincei, XVII (1906); L. Pareti, in Röm. Mitt., XXV (1910), p. 1 segg.; id., Studi sicil. e italioti, Firenze 1914, passim, specie pp. 199-226; A. Piovano, Elenco dei vasi di Gela, I, 1909; Schubring, in Rhein. Mus., 1873, p. 65 segg.; id., in Berl. Blätter, VI, p. 234 segg.; Ziegler, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, coll. 946-962.