Genere

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

genere

Nicola Grandi

Definizione e funzioni

Il termine genere indica un fenomeno morfologico riguardante i nomi (e le parole ad essi riconducibili: aggettivi, pronomi, participi), per il quale in alcune lingue (tra queste l’italiano) ciascuno di essi si presenta come ➔ maschile o ➔ femminile (in altre lingue anche ➔ neutro). In alcune lingue (come l’italiano), il sistema di genere si riflette anche sui modificatori del nome (aggettivi, participi, pronomi, ecc.) e, più raramente, sui verbi mediante il fenomeno dell’➔accordo. L’attribuzione del genere a un nome risponde a criteri sia formali sia di significato.

Criteri di assegnazione formale

L’italiano ricorre a un sistema di assegnazione dei nomi alle classi di genere in larga prevalenza formale e di natura morfologica, visto che per sancire l’appartenenza di un nome a una classe si deve tenere conto tanto della desinenza del singolare, quanto di quella del plurale. Le classi di genere produttive in italiano sono tre:

Desinenza               Genere               Esempi

sing.  plur.               (prevalente)

-a -      e                      femm.                 scarpa, donna, maestra, penna

-o        -i                       masch.               libro, cavallo, ragazzo, telo

-e        -i                       femm.                 volpe, madre, vergine

-e        -i                       masch.               fiore, padre, balcone

Solo le prime due hanno una chiara e univoca connotazione di genere, pur con alcune eccezioni (talora definite generi paradossi): nomi maschili con referente femminile (il soprano) o nomi femminili nell’aspetto e maschili nella sostanza (la guardia, la sentinella). Per quanto concerne, invece, i nomi della terza classe, la corretta definizione del genere è possibile solo attraverso un’analisi dei meccanismi di accordo con l’articolo o con i modificatori del nome (per es., la volpe rispetto a il fiore).

Esistono, in italiano, almeno altre due classi di genere, che, però, non hanno, in sincronia, alcuna produttività e che esibiscono una diffusione alquanto limitata. La prima include nomi tanto maschili quanto femminili terminanti in -a al singolare e in -i al plurale:

              masch.     femm.

sing.     papa         arma

plur.    papi           armi

Un caso particolare a questo proposito è il sistema flessivo di parole come belga:

            masch.      femm.

sing.     belga        belga

plur.    belgi          belghe

La seconda include i nomi del tipo in -o al singolare e -a al plurale, come uovo / uova, braccio / braccia, che sono maschili al singolare e femminili al plurale. Anche in questo caso è l’accordo con l’articolo o con i modificatori del nome a renderne univoca la caratterizzazione (il centinaio, ma le centinaia).

Per i nomi invariabili (prestiti come bar, sport, garage, ecc. e nomi che non rientrano nelle cinque classi menzionate sopra come crisi, puma, radio) lo strumento principale per una corretta assegnazione del genere è l’➔articolo. A questo proposito, va segnalata, cursoriamente, la situazione di prestiti che esibiscono un’oscillazione tra maschile e femminile (per es., la font o il font, la new age o il new age).

Criteri di assegnazione semantica

In italiano l’assegnazione semantica è possibile solo nelle prime due classi, -o/-i maschile e -a/-e femminile, e, ovviamente, per i soli nomi designanti esseri animati. In questo caso, vi è di norma una corrispondenza tra genere grammaticale e genere inerente: i nomi che designano esseri animati di sesso maschile confluiscono nella classe -o/-i (1); quelli che indicano esseri animati di sesso femminile si collocano nella classe -a/-e (2):

(1) ragazzo, maestro, toro, cavallo, merlo

(2) ragazza, maestra, mucca, cavalla, merla

Solo in questi casi è di norma possibile il doppio genere, cioè la commutazione tra le due classi: ragazzo / ragazza, merlo / merla, ecc.

Vi sono, però, situazioni in cui la differenza tra esemplare di sesso maschile ed esemplare di sesso femminile non è codificata morfologicamente. È il caso, ad es., di nomi come capra, pecora, zebra, giraffa, ecc., per i quali la commutazione di genere non è ammessa. Si parla in questi casi di genere epicene (cioè ‘comune’). O di nomi di esseri animati che confluiscono nella terza classe: volpe, tigre, ecc. In queste situazioni, per specificare il genere inerente, reale, è necessario ricorrere a formazioni perifrastiche (o analitiche) del tipo zebra maschio / femmina o volpe maschio / femmina.

L’assegnazione del genere ai nomi animati non dipende dunque solo dalla caratterizzazione sessuale dei referenti. Piuttosto, sembra giocare un ruolo cruciale la presenza di tratti visibili, manifesti (nella dimensione del corpo, nella sua colorazione, ecc., senza riferimento, cioè, all’apparato riproduttore) e associati a uno dei due sessi. Infatti, per gli esseri viventi in cui l’esemplare di sesso maschile e quello di sesso femminile non presentino differenze percettivamente rilevanti, la corrispondenza tra genere naturale e genere grammaticale si attenua sensibilmente.

Va rimarcato, a margine, che nel caso di esseri viventi con palese dimorfismo sessuale è frequente anche la codifica dei generi con mezzi lessicali: padre / madre, marito / moglie, uomo / donna, toro / mucca, ecc.

Un caso particolare è quello dell’assegnazione del genere a nomi propri di oggetti. Per es., i nomi di automobili sono femminili al sud e normalmente maschili al centro e al nord:

(3) un Ferrari / una Ferrari

(4) un Porsche / una Porsche

Un altro tipico caso di incertezza riguarda, anche a seguito delle discussioni a proposito delle relazioni tra ➔ genere e lingua, il genere da assegnare ai nomi di carica: in quest’ottica, la denominazione il sindaco, che tradizionalmente è epicene, per designare una donna può diventare la sindachessa ma anche la sindaco o la sindaca; ministro, anch’esso epicene, può dar luogo a la ministro o la ministra, e così via.

La marcatura del genere

Inoltre, in riferimento alla medesima classe di referenti, sono attestati, in italiano, casi in cui la commutazione di genere avviene con terminazioni non riconducibili alle classi indicate sopra: leone / leonessa, gallo / gallina. Proprio l’impiego per la codifica di relazioni di genere di suffissi come -essa o -ina, la cui natura pare prossima ai suffissi derivazionali (➔ derivazione), offre lo spunto per affrontare la questione della posizione delle strategie di marcatura del genere all’interno della morfologia dell’italiano.

Spesso, nelle descrizioni dell’italiano, il genere è collocato tra i processi di ➔ formazione delle parole anche dato che la categoria di genere e quella di ➔ numero si esprimono mediante gli stessi suffissi. Ora, i suffissi flessivi hanno una funzione sintattica, dato che è su di essi che si basa l’accordo, nel quale intervengono anche le marche di genere. Tuttavia, una terminazione flessiva non ha di solito la facoltà di cambiare il significato della parola.

Le forme su cui ci si è appena soffermati paiono contraddire questo assunto: se in una frase si incontra maestro invece che maestra o ragazzo invece che ragazza, non si tratta della variazione di una stessa parola secondo il contesto, ma quelle forme hanno significati diversi (un maestro non è una maestra) e richiamano referenti diversi. Si tratta quindi di parole diverse.

In questo senso, la categoria del genere pare distribuirsi in più direzioni all’interno del componente morfologico. Mentre è fuori discussione la sua natura flessiva in rapporto agli aggettivi e ai modificatori del nome (come gli aggettivi, per i quali la commutazione di genere è semplicemente un adattamento meccanico al nome a cui si riferiscono), nei nomi lo statuto del genere varia in rapporto al valore assunto dal tratto [± animato]. In presenza del tratto [+ animato], si è visto, esso pare configurarsi come prossimo alla derivazione. Al contrario, quando il nome base si contraddistingue per il tratto [– animato], il genere si accosta alla flessione; in questi casi, vista l’assenza di un fondamento semantico, la commutazione è impossibile. Vi sono, però, formazioni che possono trarre in inganno, in cui, cioè, pare possibile avere una controparte femminile di un nome inanimato maschile o viceversa. Si tratta dei cosiddetti falsi doppi generi, del tipo il porto / la porta, il caso / la casa, ecc., in cui, tuttavia, non vi è alcuna parentela semantica tra i due nomi e nessun elemento che possa lasciar presagire un rapporto di tipo formale. Coppie di questo tipo vanno di norma annoverate tra le situazioni di somiglianza casuale e fortuita che la lingua, nel suo divenire storico, talora produce.

Vi sono, comunque, alcune eccezioni, vale a dire coppie di nomi inanimati in cui la commutazione di genere pare possibile. In formazioni del tipo buco / buca, fosso / fossa o fiasco / fiasca il nome al femminile assume sovente un valore accrescitivo, designando un referente identico a quello del nome base, ma più grande. L’impiego del femminile con funzione accrescitiva trova riscontro anche in formazioni come pennello / pennellessa, articolo / articolessa, in cui si ritrova il suffisso -essa già menzionato in precedenza o in termini dialettali come cortella «coltello da cucina» < curtello «coltello» (Pisa) (in alcuni dialetti si ha anche cortellessa) (cfr. Volpati 1955).

Il genere nei pronomi

Tra gli universali individuati da Greenberg (19662), merita menzione, in questa sede, il quarantatreesimo: «se una lingua ha categorie di genere nel nome, ha categorie di genere nel pronome» (➔ pronomi). In sostanza, il genere pare più ‘basico’ nei pronomi personali di quanto non lo sia nei nomi. La spiegazione è evidente: il referente tipico di un pronome personale ha un genere naturale, a differenza del referente di un nome.

Si osservi la griglia dei pronomi personali soggetto dell’italiano:

persona           genere          singolare          plurale

I                          masch.            io                         noi

femm.

II                         masch.            tu                         voi

femm.

III                       masch.             lui, egli, esso      essi  loro

femm.               lei, ella, essa      esse loro

Essa mostra che rispetto alla distinzione di genere le forme delle terza persona paiono preminenti rispetto a quelle della prima e della seconda e che il singolare sembra più rilevante del plurale, dove le forme essi / esse sono in fase di regresso rispetto a loro, invariabile. Nelle prime due persone singolari (io e tu), la presupposizione della presenza (spesso fisica) dei referenti (mittente e destinatario) sulla scena dell’atto comunicativo è sufficiente, di norma, a disambiguare il loro genere. La terza persona, invece, ha funzione tanto deittica quanto anaforica e, soprattutto, può designare anche una persona assente dalla scena della comunicazione. Per questo il genere nella terza persona deve essere espresso in modo manifesto. Per quanto concerne la tendenza alla neutralizzazione, al plurale, delle opposizioni di genere, essa trova spiegazione nel fatto che il genere è una proprietà strettamente individuale e non collettiva.

Studi

Corbett, Greville G. (1991), Gender, Cambridge - New York, Cambridge University Press.

Greenberg, Joseph H. (19662), Some universals of grammar with particular reference to the order of meaningful elements, in Id. (edited by), Universals of language, Cambridge (Mass.), The MIT Press, pp. 73-113 (1a ed. 1963).

Volpati, Carlo (1955), Coppie di nomi di due generi, «Lingua nostra» 16, pp. 2-5

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