PESCE, Gennaro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PESCE, Gennaro

Massimiliano Munzi

PESCE, Gennaro. – Nacque a Napoli il 29 luglio 1902, da Raffaele e da Giuseppina Verruti; ebbe una sorella maggiore, Anna.

Nella città partenopea frequentò le scuole elementari e secondarie e i primi anni del corso di laurea in lettere (1921-22/ 1924-25).

Allievo di Giulio Emanuele Rizzo, lo seguì all’Università La Sapienza di Roma, dove si laureò nel 1927 con una tesi sulle Gemme romane riproducenti tipi della grande arte greca. Frequentò, nel triennio 1927-29, la Scuola archeologica italiana, seguendo i corsi di Rizzo, Federico Halbherr, Giulio Quirino Giglioli e Giuseppe Lugli. Trascorse il semestre marzo-ottobre 1929 alla Scuola archeologica italiana di Atene, allora diretta da Alessandro della Seta, viaggiando in Grecia e nell’Egeo e partecipando alla missione della Scuola a Lemnos (esplorazione della necropoli di Hephaistia).

Nel dicembre 1929 fu assunto come salariato temporaneo con funzioni d’ispettore archeologo presso la Soprintendenza della Campania dove, sotto la direzione di Amedeo Maiuri, si dedicò al riordinamento delle collezioni minori del Museo archeologico nazionale di Napoli, redigendone la guida (Il Museo Nazionale di Napoli: oreficeria, toreutica, gliptica, vitriaria, ceramica, Roma 1932), e alla carta archeologica di Ischia. Vincitore di concorso, nell’agosto 1933 fu nominato ispettore aggiunto e assegnato alla Soprintendenza di Reggio Calabria, dove si occupò della sistemazione del Museo di Crotone, degli scavi di Laos e – per il bimillenario oraziano – del restauro dell’anfiteatro di Venosa (Potenza). Trasferito nel maggio 1936 in Piemonte, scavò la necropoli romana di Pedaggera (Pollenzo) e studiò le sculture antiche del Museo archeologico di Torino. Tornato nell’agosto 1937 a Napoli, curò l’edizione dei rilievi dell’anfiteatro di Capua (I rilievi dell’anfiteatro campano, Roma 1941), condusse ricerche a Pozzuoli e a Capua e prese parte all’organizzazione della Triennale d’Oltremare. Nuovamente trasferito nel dicembre 1938, questa volta presso la Soprintendenza della Sardegna, dopo soli due mesi fu inviato ad affiancare Giacomo Caputo, soprintendente ai Monumenti e Scavi della Libia, quale ispettore per la Cirenaica con sede a Bengasi.

A quel tempo era già sposato con Fortunata Scappatura, dalla quale aveva avuto Giuseppina, nell’ottobre 1935, e Anna Maria, nel febbraio 1937; in Libia nacque, nel dicembre 1940, Raffaele e, al ritorno in Italia, nel giugno 1949, Giovanna.

Tra il 1929 e il 1937 fu assiduo collaboratore dell’Enciclopedia Italiana, per la quale redasse, oltre al paragrafo storico-artistico su Ischia, voci su scultori, incisori di gemme, pittori e architetti greci e romani (Antoniano, Ermodoro, Gitiada, Leonide, Meneste, Onesa, Panfilo, Pausia, Pirgotele, Pitocrito, Prassiade, Salpione, Solone, Stratonico). Tra il 1934 e il 1939 pubblicò a più riprese i risultati dei lavori sul campo in Notizie degli Scavi di antichità, commentando e illustrando i materiali museali nel Bollettino d’Arte e nel Bulletin de la Société royale d’archéologie d’Alexandrie.

Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale Pesce si trovò a svolgere un ruolo di primo piano nell’evitare che il patrimonio archeologico della colonia cadesse in mano nemica o fosse irreparabilmente danneggiato dalle operazioni belliche.

Per l’impegno personale nel salvataggio del tesoro archeologico della Cirenaica dai pericoli della guerra, nel settembre 1942 fu insignito della medaglia d’argento dei Benemeriti delle Arti. Egli stesso avrebbe poi narrato quelle vicende: In margine alla storia dell’ultima guerra in Libia. Come fu salvato il patrimonio archeologico della Cirenaica (in Annali delle Facoltà di lettere filosofia e magistero dell’Università di Cagliari, 21 (1953), pp. 95-110). La rilevanza dell’impresa fu, non a caso, riconosciuta dopo la guerra da Richard G. Goodchild, antiquities officier in Tripolitania nel 1946-1948.

Nei primi giorni del 1941, alla vigilia della prima occupazione inglese della Cirenaica, su ordine di Rodolfo Graziani, con autocarri forniti dal Regio Esercito, Pesce provvide a trasferire a Bengasi il materiale artistico ed epigrafico dei musei di Cirene, mentre gli oggetti più importanti proseguirono per Leptis Magna. Rimasto a Bengasi su disposizione governatoriale per tutelare le antichità sotto occupazione nemica, con rischio personale salvò dal saccheggio il medagliere dell’ufficio dell’Ispettorato – contenente la collezione numismatica Meliu, acquisita dal governo coloniale nel 1939, e il tesoro di monete d’oro e d’argento trovate in via Roma a Bengasi – nascondendolo in casa propria.

Accompagnato da un ufficiale britannico, effettuò sopralluoghi a Cirene e Tolemaide, constatando la devastazione di uffici, magazzini e locali dei musei a opera di elementi arabi locali. Con il ritorno delle truppe dell’Asse, grazie agli autocarri forniti dal nuovo governatore della Libia, il generale Italo Gariboldi, poté trasferire in Tripolitania i monumenti cirenei rimasti a Bengasi, insieme alla biblioteca e alla fototeca di Cirene e al medagliere bengasino. Nel dicembre 1941, sotto la minaccia della nuova avanzata britannica, anche l’Ispettorato della Libia orientale riparò in Tripolitania. Pesce tornò in Cirenaica nel febbraio 1942 a seguito delle forze italo-tedesche. Nel clima di fiducia sulle sorti dell’avanzata in Egitto, riaprì i cantieri del tempio di Zeus a Cirene e del palazzo delle Colonne in Tolemaide. Con gli autocarri che vennero forniti dal generale Ettore Bastico, nuovo governatore italiano, perfezionò il trasferimento in Tripolitania di quanto rimaneva dei musei cirenaici, fatta eccezione per quello difficilmente raggiungibile di Tolemaide.

Trasferitosi in Tripolitania con tutto il personale dell’Ispettorato a seguito della rotta italo-tedesca ad al-Alamein, vi assunse la reggenza della Soprintendenza, trovandosi Caputo in missione in Italia. Il governo coloniale gli affidò l’incarico di tutelare il patrimonio archeologico sotto l’imminente occupazione britannica.

Informato del rischio di scontri nei dintorni di Khoms, mise al sicuro i beni archeologici mobili conservati nell’ufficio scavi di Leptis Magna, facendoli occultare nell’area archeologica stessa o trasportare a Sabratha. Per mezzo dell’ultima nave-ospedale partita da Tripoli inviò alla Direzione generale dei Servizi archeologici di Roma il medagliere e le oreficerie del museo di Tripoli, ritirati dalla succursale tripolina della Banca d’Italia, e il tesoro della Cirenaica, recuperato dagli uffici di Leptis Magna. Quindi, nel gennaio 1943, attese a Sabratha l’arrivo delle truppe britanniche, presentando la resa della Soprintendenza agli archeologi Robert Eric Mortimeer Wheeler e John Bryan Ward-Perkins, ufficiali nell’Ottava Armata. Controfirmò il protocollo steso poco dopo da Wheeler per la protezione delle antichità tripolitane, con il quale si poneva la Soprintendenza italiana sotto la supervisione di un antiquities officer in seno all’amministrazione militare britannica.

Tenne la direzione provvisoria della Soprintendenza tripolitana fino al novembre 1945, quando Caputo tornò a Tripoli su invito degli amministratori britannici.

Rimase in Tripolitania sino al dicembre 1948 come ispettore per Sabratha, dedicandosi ai lavori di restauro e scavo nel tribunale della basilica civile, nel tempio di Iside e nella zona a sud del foro. Nel 1947 si recò in missione in Cirenaica, per seguire la restituzione della fototeca di Cirene e completare lo studio del palazzo delle Colonne di Tolemaide. Di quest’ultima stagione di lavori in Libia rimangono le monografie Il Palazzo delle Colonne in Tolemaide di Cirenaica, Roma 1950, e Il tempio d’Iside in Sabratha, Roma 1953.

Tornato in Italia, nel gennaio 1949 assunse la reggenza della Soprintendenza della Sardegna, dove trovò come collaboratore Giovanni Lilliu. Dal 1950 al 1967, subentrato a Ranuccio Bianchi Bandinelli, insegnò storia dell’arte greco-romana nell’ateneo cagliaritano, ottenendo nel 1952 la libera docenza.

Fu promosso al ruolo di soprintendente nel maggio 1954.

Oltre a valorizzare le antichità sarde con mostre in Italia e in Europa sui bronzetti nuragici (Venezia 1949, con Giovanni Lilliu; Roma 1950; Amsterdam, Bruxelles, Londra, Parigi, Zurigo 1954; Milano 1955) e sulla civiltà punica (Cagliari 1959, con Ferruccio Barreca), diede forte impulso alle ricerche sul terreno, organizzando tra l’altro scavi a Nora (dal 1952), Bithia (1955), Tharros (dal 1956), Monte Sirai (dal 1963) e ampliando i propri interessi all’archeologia fenicio-punica. Fu collocato a riposo il 1° agosto 1967.

Da allora in poi, cessata l’attività di ricerca sul campo, si dedicò al completamento di precedenti lavori curando l’edizione degli scavi di Bithia e del santuario rurale di Santa Margherita di Pula (Notizie degli Scavi di antichità, 1968 e 1974).

Morì a Cagliari l’8 gennaio 1984.

La sua attività, di carattere prevalentemente operativo e scientifico, diversamente da quella di altri archeologi, non ha dato luogo a polemiche nel passaggio dal fascismo alla Repubblica; Pesce non giunse inoltre a rivestire cariche apicali nel corso del Ventennio, se non in Libia nel periodo bellico, quando fu assorbito dalle pressanti emergenze di tutela del patrimonio archeologico della colonia.

Tra le molte pubblicazioni degli anni cagliaritani si ricordano: Nora. Guida agli scavi, Bologna 1957; Sarcofagi romani in Sardegna, Roma 1957; Sardegna Punica, Cagliari 1961, sintesi per il grande pubblico di un secolo di archeologia fenicio-punica nell’isola; Le statuette puniche di Bithia, Roma 1965; Tharros. Guida agli scavi, Cagliari 1966. Nel suo ultimo lavoro, Il libro delle Sfingi. Il culto dei massimi dèi dell’Egitto in Sardegna, Cagliari 1978, riannodò l’archeologia sarda alle ricerche sabratensi sul culto isiaco.

Fonti e Bibl.: Cagliari, Archivio privato di Pesce (conservato dal figlio Raffaele); altra documentazione è consultabile presso l’Archivio della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Cagliari e Oristano; Libyan Studies. Select papers of the late R.G. Goodchild, a cura di J.M. Reynolds, London 1976, pp. 318-335; G. Lilliu, Ricordo di G. P., in Archivio storico sardo, XXXIV (1984), pp. 387-392.

S. Altekamp, Rückkehr nach Afrika. Italienische Kolonialarchäologie in Libyen 1911-1943, Köln-Weimar-Wien 2000, pp. 201, 213, 242-248; R. Zucca, Prefazione, Nota biografica. Nota bibliografica, in G. Pesce, Sardegna punica, a cura di R. Zucca, Nuoro 2000, pp. 7-44; M. Munzi, L’epica del ritorno. Archeologia e politica nella Tripolitania italiana, Roma 2001, pp. 51, 118-121; Id., La decolonizzazione del passato. Archeologia e politica in Libia dall’amministrazione alleata al regno di Idris, Roma 2004, pp. 15-18, 22, 27, 46, 66, 68, 106; F. Gandolfo, Il tesoro archeologico della Libia, in I sentieri della ricerca, XIII (2011), pp. 241-292; M. Munzi, Italian archaeologists in colonial Tripolitania, in Libyan Studies, XLIII (2012), pp. 81-110, in partic. 95-100; E. Usai, G. P., in Dizionario biografico dei soprintendenti archeologi (1904-1974), Bologna 2012, pp. 627-633; F. Gandolfo, Il Museo Coloniale di Roma (1904-1971). Fra le zebre nel paese dell’olio di ricino, prefazione di A. Del Boca, Roma 2014, pp. 327-422; R. Pesce, Il tesoro che non c’è. La strana vicenda del Tesoro archeologico della Libia, in F. Gandolfo, Il Museo Coloniale, cit., pp. 423-469.

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