PAMPALONI, Geno

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PAMPALONI, Geno

Gabriele Scalessa

PAMPALONI, Geno. – Nacque a Roma il 25 novembre 1918, figlio unico di Agenore (nome dalla cui abbreviazione derivò il suo), originario di Colle Val d’Elsa (Siena), e di Assunta Guerri, maestra, nata ad Anghiari (Arezzo).

Visse i primi cinque anni tra Roma, dove abitava con la madre in casa della famiglia Sorani, di origini ebraiche, sul Lungotevere Ripa, e Orbetello, dove il padre aveva un mulino.

Dal 1924 al 1939 fu a Grosseto: qui frequentò il ginnasio-liceo classico Carducci e conseguì la licenza liceale nel 1937. Ebbe tra i compagni di scuola Gianfranco Folena, con cui strinse una profonda amicizia, e, tra i professori, Giuseppe Isnardi, che lo introdusse alla conoscenza di Manzoni, e il dantista Salvatore Frascino.

Fu durante il liceo che ebbe inizio il suo apprendistato di scrittore: inviò sue poesie alla rivista Anno XIII e fu incaricato di redigere ogni settimana i riassunti delle conferenze tenute al Carducci da un oratore dell’Istituto fascista di cultura. A sedici anni si cimentò nel suo unico tentativo di romanzo, Le tre stelle: il titolo alludeva ad altrettante figure femminili (Liliana, Elena ed Elsa) amate durante l’adolescenza. Sempre negli anni grossetani pubblicò sul Telegrafo, diretto dal 1937 al 1943 da Giovanni Ansaldo, i primi articoli giornalistici.

Non ancora diciannovenne si trasferì a Firenze dove si iscrisse alla facoltà di lettere con Folena e Franco Lattes (Fortini), studiando sotto la guida di Attilio Momigliano, Giacomo Devoto e Bruno Migliorini, e dove conobbe Giacomo Noventa nel 1937. «Di quegli anni – avrebbe rievocato – ho un ricordo inquieto; come di anni di trepidazione e di presagio della tragedia imminente, mentre si corrodevano le certezze sul significato e la sorte del fascismo cui avevamo sinceramente creduto» (I giorni in fuga, Milano 1994, p. 73). Quando le leggi razziali del 1938 interdissero Momigliano dall’incarico accademico, anche Pampaloni si trasferì a seguito di quella che definì la sua prima decisione politica (Fedele alle amicizie, ibid. 1992, p. 53); sostenne infatti l’esame di ammissione presso la Scuola normale superiore di Pisa dove ritrovò Folena.

Durante gli anni universitari e fino al novembre 1944 prese parte alla guerra. Dopo il corso allievi ufficiali a Salerno, dove si legò di amicizia con Giaime Pintor, fu nel corpo di occupazione italiano in Corsica. Qui nel 1943 ottenne una licenza di dieci giorni per tornare a Pisa e discutere una tesi di laurea sulla poesia giovanile di Gabriele d’Annunzio con Luigi Russo e Armando Carlini come controrelatore.

A parte l’episodio in cui rischiò la morte essendo finito nel mirino di una mitragliatrice, i suoi anni militari furono nel complesso tranquilli, al punto che nel marzo 1944 chiese di essere assegnato al reparto combattente del Primo Raggruppamento Motorizzato (poi Corpo Italiano di Liberazione), comandato dal generale Umberto Utili. Il 31 dello stesso mese partecipò alla battaglia di Monte Marrone e il 28 maggio all’azione militare che portò alla conquista di Piccinisco. Nel 1944-45 lavorò a Roma presso il Ministero dell’Italia Occupata, la cui direzione era stata affidata a Mauro Scoccimarro.

Al termine della guerra tornò al giornalismo e cominciò a occuparsi di critica letteraria. Trasferitosi a Milano nel 1945, fu tra i redattori di Italia libera, testata ufficiale del neonato Partito d’Azione. Dal 1946 al 1948 insegnò in una scuola di avviamento professionale a Borgosesia (Vercelli), dove ritrovò Argia Colombini, conosciuta nel 1939 all’Università di Firenze, che sposò nel 1946 a Milano nella chiesa di S. Ambrogio. Svolse l’attività di critico sulle riviste Il Ponte e Belfagor, pubblicandovi, tra il 1948 e i primi anni Cinquanta, articoli su Corrado Alvaro (per il quale nutrì sempre profonda ammirazione e stima), Ignazio Silone, Vitaliano Brancati, Cesare Pavese, Elio Vittorini, Attilio Bertolucci, George Orwell.

Chiamato da Adriano Olivetti a Ivrea, nel novembre 1948, a dirigere la biblioteca aziendale, divenne uno dei più fidati collaboratori dell’imprenditore piemontese, arrivando a coordinare il centro culturale e i servizi culturali della Olivetti fino al 1958. In questi anni svolse il ruolo di segretario generale del Movimento Comunità, sempre capeggiato da Olivetti, e scrisse articoli per la rivista Comunità, figurando inoltre fra gli organizzatori dei Centri comunitari canavesani. Nel 1957-58 diresse il settimanale La via del Piemonte.

In una prosa del 1980 Pampaloni avrebbe ricordato Olivetti e Noventa come le due figure più rilevanti nella sua vita: se il secondo (di cui curò un’edizione di Versi e poesie nel 1956) lo colpì per il «suo ideale di un mondo “assolutamente classico ed assolutamente cattolico”» (Fedele alle amicizie, cit., 1992, p. 157), il primo per la cultura eclettica e lo spirito umanitario difficilmente definibile da un punto di vista filosofico-politico, eppure convergente da un lato in un orientamento cristiano-sociale, dall’altro in uno più latamente illuminista.

Negli anni Cinquanta diresse con Giovanni Enriques ed Edgardo Macorini l’Enciclopedia AZ Panorama, i cui volumi uscirono fra il 1954 e il 1963. Contemporaneamente (1955-57) scrisse sull’Espresso interventi su Vasco Pratolini, Carlo Emilio Gadda, Mario Soldati, Rocco Scotellaro, Giorgio Bassani, Alberto Moravia, Elsa Morante. Sebbene gli anni successivi attestino un’apertura di interesse per la lirica – con scritti sul Pasolini poeta, Luzi, Zanzotto, Fortini – restò la narrativa l’oggetto principale della sua critica, come denota in particolare la lettura del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (Comunità, 1959, n. 67). Si colloca poi nell’autunno 1956 un viaggio compiuto in Iugoslavia «con Antonello Trombadori e una piccola delegazia di intellettuali italiani» (I giorni in fuga, 1994, cit., p. 91).

A Roma, dal 1959 al 1962, fu direttore generale dell’ente di edilizia sociale UNRRA-CASAS e collaborò con la Rai, curando programmi culturali come ‘Conversazioni con i poeti’. Nel 1959 si occupò di poesia su L’Approdo letterario; tenne poi la rubrica dei libri sul settimanale Epoca (1960-62: per cui recensì La noia di Moravia, il Diario romano di Brancati, i Racconti di Landolfi, Un cuore arido di Cassola, Il giardino dei Finzi-Contini di Bassani, Dopo Campoformio di Roversi e le IX Ecloghe di Zanzotto), e proseguì a scrivere per L’Espresso e alcuni quotidiani, fra cui Il Resto del carlino e il Corriere della sera (pezzi su Fenoglio, Sereni, Parise, Ottieri, Montale, Soldati, Cassola, Bassani).

Sorretto da squisita sensibilità e da una cultura letteraria di vastissimo respiro, Pampaloni affidò alla misura contenuta dell’articolo-recensione il compito di testimoniare le proprie posizioni critico-letterarie. Per lo più estraneo alle maggiori correnti ermeneutiche del dopoguerra, guardando piuttosto al magistero di un Pancrazi e aperto alle novità editoriali dei suoi anni, si servì di una scrittura accessibile e diretta, particolarmente incisiva, con cui non risparmiò giudizi anche negativi sulle opere prese in oggetto; un esempio è il parere sull’ultimo volume dell’einaudiano «Parnaso italiano» (Poesia italiana del Novecento), a cura di Edoardo Sanguineti, di cui non esitò a contestare (Corriere della sera del 20 luglio 1969) esclusioni (Salvatore di Giacomo, ad esempio) e qualche etichettamento riduttivo.

Dal 1962 rientrò a Firenze, dove era stato chiamato a dirigere la Vallecchi, stabilendosi a Bagno a Ripoli. Per il critico letterario furono, quelli, anni di maggiore attenzione alle coeve esperienze poetiche.

Al saggio nel volume che il comune di Salerno allestì per Alfonso Gatto, Un poeta e la sua città (Salerno 1964, pp. 11-30), seguì l’introduzione al mondadoriano Tutte le poesie (Milano 1966, pp. IX-XXV) di Marino Moretti. Unì quindi la sua voce a quella di numerosi altri per la celebrazione dei settant’anni di Montale (cfr. Fedeltà alla poesia di Montale, in Omaggio a Montale, a cura di Silvio Ramat, ibid. 1966, pp. 433 s.). Continuò tuttavia a occuparsi di narrativa scrivendo l’introduzione al primo volume di Opere di Moravia, che comprendeva Gli indifferenti e Le ambizioni sbagliate, per Bompiani (1967). Oltre all’edizione Einaudi dei Vangeli apocrifi, con un suo saggio introduttivo, alla fine degli anni Sessanta Pampaloni diede il suo contributo alla Storia della letteratura italiana (Garzanti), diretta da E. Cecchi - N. Sapegno, con i capitoli Italo Svevo, Emilio Cecchi e La nuova letteratura nel IX volume (Il Novecento: Milano 1987, rispett. I, pp. 543-581; II, pp. 433-712). Il capitolo su Svevo apparve anche a parte (Trieste 1974), mentre gli altri due sarebbero confluiti nell’ampio Modelli ed esperienze della prosa contemporanea nel secondo tomo dell’edizione ampliata del Novecento, coprendo mezzo secolo di narrativa italiana dai maestri e ‘grandi vecchi’ (come sono chiamati Tozzi, Palazzeschi, Borgese, Bacchelli, Silone, Gadda ecc.) attraverso i ‘nuovi’ (Moravia, Vittorini, Bilenchi, Pratolini, Landolfi, Piovene, Soldati, Bassani, Cassola, Tomasi di Lampedusa, Flaiano, Calvino, Fenoglio, Parise, Pasolini, Primo Levi, Angelo Fiore), catalogandone molti altri nelle pagine successive, sino a concludere con Il nome della rosa di Eco.

Nel 1972 Pampaloni lasciò la Vallecchi; fece tuttavia in tempo a compiervi due incursioni ottocentesche e a pubblicarvi edizioni di Tommaseo (Introduzione a Fede e bellezza. Racconti, Firenze 1972, pp. 5-35) – in cui ravvisò un culto sensuale, dannunziano ante litteram, della parola – e Capuana (in Giacinta, ibid. 1972, pp. 5-25), che intese non solo come obbediente a un canone positivistico-naturalista, ma anche come romanzo della solitudine del personaggio e dell’incomunicabilità). Fondò quindi la casa editrice Edipem, parte del gruppo editoriale De Agostini, dirigendola fino all’inizio degli anni Ottanta. Pubblicò poi i capitoli Giacomo Noventa e Antonio Barolini nei volumi terzo e quinto della Letteratura italiana. I contemporanei della Marzorati (Milano 1977, rispettivamente pp. 281-298, 709-723) e partecipò, assieme a Renzo De Felice, Ettore Paratore e Mario Praz, al volumetto Gabriele D’Annunzio col saggio Letteratura come assoluto (Bologna 1978, pp. 19-26), per celebrare il quarantennale della scomparsa del poeta. In chiusura di decennio curò invece la scelta di testi per il «Meridiano» di Moretti In verso e in prosa (Milano 1979). Del volume Pampaloni firmò anche la prefazione (pp. IX-XXXV), analisi della produzione morettiana non secondo la serie cristallizzata dei tòpoi crepuscolari, bensì sulla base di una problematizzazione del rapporto letteratura-vita.

Apparve quindi quello che costituisce il solo volume monografico di Pampaloni, Trent’anni con Cesare Pavese. Diario contro diario (ibid. 1981), inclusivo di sette fra saggi e interventi radiofonici elaborati fra il 1950 e il 1980. Di una certa rilevanza quello dal titolo Proposte di lettura (1962), percorso nell’opera di Pavese che ha il respiro dei maggiori scritti monografici pampaloniani. Resta a testimonianza di interessi non solo letterari la cura dei volumi illustrati Giotto ad Assisi (Novara 1981), Notre Dame e la Sainte-Chapelle (ibid. 1982) e Rieti: Francesco nella Valle Santa (ibid. 1982), nella collana «Documenti d’arte» della De Agostini. Compiendo un’ulteriore digressione dal suo Novecento, uscì sempre per la De Agostini, collana scolastica, la sua edizione commentata dei Promessi sposi (ibid. 1984: v. l’avvertenza Ai lettori, pp. 5-8), il cui scopo, dichiarato nella prefazione, era quello di rendere l’opera manzoniana familiare ai lettori di oggi, facendo a meno di chiose erudite e della filologia e leggendo il romanzo come fosse di uno scrittore contemporaneo, coinvolgendolo cioè nelle problematiche sociali, politiche e culturali del presente.

Intrapresa negli anni Settanta e conclusasi nel 1993, la collaborazione al quotidiano Il Giornale sancì l’amicizia di Pampaloni con Indro Montanelli, che seguì poi alla Voce. Qui uscirono le recensioni del «critico giornaliero» sui ‘soliti’ Gadda, Cassola, Soldati, Landolfi ecc., aprendo anche alle nuove leve di scrittori, tra cui Alessandro Baricco e Aurelio Picca. La misura offerta dai limiti di spazio di un quotidiano risultava sempre congeniale al critico, il cui approccio all’opera, non disdegnando un giudizio d’«impressione» (alla Momigliano), non smise mai di cercare l’indirizzo del pubblico più ampio; non rinunciando, però, a una contestualizzazione del romanzo o della raccolta poetica di tipo storicistico e all’interno del percorso artistico dell’autore, con rimandi che la cultura letteraria e la finezza di critico gli permettevano di effettuare agevolmente.

Fu direttore del Gabinetto Vieusseux di Firenze fra il dicembre 1984 e l’aprile 1985 e continuò a curare, per alcune fra le maggiori case editrici, edizioni di scrittori contemporanei (anche di testi stranieri tradotti, come La chiave di Tanizaki, che uscì con una sua prefazione per Bompiani nel 1963).

Il 19 febbraio 1999, nell’occasione degli ottant’anni, fu festeggiato pubblicamente dal sindaco Mario Primicerio nel salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze.

Ricoverato presso l’ospedale di Ponte a Niccheri, morì il 17 gennaio 2001, lasciando quattro figli Lorenza, Duccio, Anna e Pietro.

Opere: Oltre a quelle citate all’interno della voce cfr.: Un’idea di vita, in Ricordo di Adriano Olivetti. A cura della rivista “Comunità”, Milano 1960, pp. 9-23; Architettura e urbanistica negli Anni Cinquanta alla Olivetti, Firenze 1974; La nuova ruralità, Bologna 1988; Sul ponte tra Novecento e Duemila…, a cura di V. Vettori, Firenze 1998; Il critico giornaliero…, a cura di G. Leonelli, Torino 2001; Una valigia leggera, a cura di M.M. Cappellini - A. Pampaloni, ibid. 2007.

Fonti e Bibl.: R. Zorzi, G. P., la critica come servizio, in Gli anni dell’amicizia, Vicenza 1991, pp. 197-229; A.M. Biscardi, Colloqui amichevoli con G. P., Firenze 1996; M. Biondi, Fedele alla critica…, Firenze 2000.

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