Geopolitica

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Termine coniato dallo svedese R. Kjellén per indicare quel complesso di problemi politici che traggono origine da fatti d’ordine territoriale, specie quando si consideri lo Stato come un organismo che nasce, si sviluppa e decade, e che, al pari degli esseri viventi, ha bisogno di uno spazio vitale. Il termine ebbe larga fortuna tra le due guerre mondiali, nella geografia politica tedesca, da cui si sviluppò una scuola di g. guidata da K. Haushofer e raccolta attorno allo Zeitschrift für Geopolitik. Tale scuola, dopo aver enunciato alcune apprezzabili proposizioni teoriche, subì un’involuzione verso forme esasperate di determinismo e verso un’azione di legittimazione della politica espansionista e razziale del nazismo. Da ciò derivò un discredito della g., durato a lungo, e un ristagno degli studi geopolitici. Dagli anni 1970 si è assistito a una ripresa della g., soprattutto in forma di studi delle relazioni internazionali, fondate su rapporti di forza, per il controllo dello spazio e delle risorse.

Le vicende della g. hanno complicato il dibattito sulla sua collocazione nei campi del sapere. Alcuni hanno di fatto identificato la g. con la geografia politica; altri hanno assegnato alla g. lo studio delle tendenze espansive di Stati e nazioni, lasciando alla geografia politica la descrizione esplicativa delle situazioni in atto; altri ancora ritengono che la differenza consista nella diversità dei ruoli (applicativo quello della g., speculativo quello della geografia politica).

L’accennata ripresa d’interesse per la g. muove da una riconsiderazione, soprattutto in Francia, negli USA e nell’allora Unione Sovietica, dei rapporti internazionali in chiave geografica. In tal senso, benché la g. odierna abbia perduto gran parte del corredo deterministico che ne caratterizzò la nascita e il primo sviluppo, il ritorno dell’interesse non ha comportato una rottura con la tradizione, ma piuttosto una rivalutazione di taluni elementi (quelli legati alle posizioni reciproche tra Stati e all’accessibilità alle comunicazioni, alle risorse, ai mercati) che le analisi di politica internazionale avevano trascurato. Il risveglio della g. si è poi trasformato in moda culturale, con una fioritura di iniziative in campo editoriale (per l’Italia, è da segnalare la nascita, nel 1993, della rivista Limes). Il campo di applicazione delle analisi geopolitiche si è indubbiamente ampliato: accanto al tradizionale ambito delle relazioni inter- e sovrastatali, per il quale il riferimento obbligato continua a essere lo Stato, sono apparsi i problemi dei gruppi etnico-linguistici; i temi demografici e dello sviluppo umano, con speciale riguardo ai flussi migratori di popolazione e alla diffusione del benessere; le questioni relative all’allocazione delle risorse; la gestione delle forme di regionalizzazione amministrativa ed economica; l’esame dei flussi di materie prime, capitali, informazioni; lo studio della competizione per le risorse naturali; le politiche ambientali. Se il campo concettuale si è così ampliato, l’ipotesi che continua a sostenere la g. come attività di analisi della realtà contemporanea è sostanzialmente quella tradizionale: che dalla disposizione dei fenomeni nello spazio derivi almeno una parte dei comportamenti politici e che, perciò, in base all’analisi di quella disposizione sia possibile interpretare gli eventi verificatisi e prefigurare scenari futuri. Quest’ultima presunta capacità, molto enfatizzata a livello di divulgazione, ha accresciuto la popolarità della g. e la frequenza di argomentazioni geopolitiche, soprattutto nella stampa d’informazione, confermando altresì la validità di quell’opinione che vuole che la g. si occupi, in definitiva, dei contesti spaziali delle opzioni politiche e, pertanto, si configuri come un’attività di analisi delle forme del potere piuttosto che di studio delle componenti geografiche nell’ambito delle quali il potere si esercita.

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