GERMANIA

Enciclopedia Italiana (1932)

GERMANIA (A. T., 53-54-55; 56-57).

Geografia: Nome (p. 667); La moderna conoscenza geografica (p. 667); Situazione e confini (p. 668); Composizione litologica del suolo (p. 668); Struttura e forme del terreno (p. 671); Clima (p. 672); Sorgenti e fiumi (p. 675); Laghi e paludi (p. 679); Vegetazione (p. 680); Fauna (p. 680); Demografia (p. 681); Gli stati della Germania (p. 681); Etnografia (p. 682); Distribuzione e densità della popolazione (p. 686); Distribuzione e caratteri generali dei centri abitati (p. 687); Le forme dell'abitazione rurale (p. 688); Le forme d'insediamento (p. 688); Emigrazione interna ed esterna (p. 692); Gl'Italiani in Germania (p. 693). - Condizioni economiche: Prodotti del suolo (p. 693); Allevamento del bestiame e pesca (p. 696); Produzione mineraria (p. 697); Industrie (p. 697); Commercio (p. 699). - Comunicazioni: Strade (p. 699); Ferrovie (p. 699); Vie d'acqua (p. 700); Navigazione marittima e porti (p. 700); Marina mercantile (p. 700); Aviazione civile (p. 703). - Ordinamento: Ordinamento costituzionale (p. 704); Culti (p. 705); Forze armate (p. 706); Ordinamento scolastico (p. 707); Finanze (p. 708). - Preistoria (p. 711); Storia: La provincia romana (p. 715); Dalla seconda metà del sec. IV alla morte di Carlomagno (p. 720); Dalla morte di Carlomagno all'avvento della casa di Sassonia (p. 722); La casa di Sassonia (p. 724); La casa di Franconia (p. 727); La lotta tra i Guelfi e i Hohenstaufen (p. 730); Lo sviluppo e lo sfacelo della potenza dei Guelfi e lo smembramento dei grandi ducati (p. 731); L'evoluzione costituzionale verso una confederazione di principi (p. 732); L'affermazione del predominio dei principi elettori (p. 736); Il problema costituzionale e i disegni di riforma nel sec. XV e al principio del XVI (p. 739); La Germania al principio del sec. XVI (p. 741); La Riforma (p. 742); La Controriforma e la guerra dei Trent'anni (p. 744); Lo sviluppo degli stati territoriali (p. 746); L'affermarsi della Prussia (p. 747); La rivoluzione francese e la Germania (p. 747); Il problema dell'unità nazionale (p. 748); La politica bismarckiana (p. 752); La Germania sino alla caduta del regime monarchico (p. 756); La Germania repubblicana (p. 758). - Lingua (p. 761); Folklore (p. 765); Arti figurative (p. 767); Musica (p. 780); Letteratura (p. 787); Diritto (p. 805).

Nome. - La più antica notizia conservataci dalla tradizione storica intorno a popolazioni germaniche, risale alla seconda metà del sec. IV a. C. e ci viene dal massiliota Pitea. I primi ad aver contatti diretti con i Germani furono i Romani, che entrarono in rapporto con essi nella Gallia. Come sappiamo da Cesare (B. G., II, 4), Condrusi, Eburoni, Cerosi e Pemani che avevano passato il Reno e si erano stabiliti nella Belgica, con un nome solo si chiamarono Germani (v. germanici, popoli). Di questa denominazione Cesare, che aveva riconosciuto come queste popolazioni differissero dai Celti, si vale per designare anche popolazioni della stessa pertinenza etnica stanziate oltre Reno.

La moderna conoscenza geografica. - La prima carta geografica della Germania, che sia stata stampata, è quella costruita in proiezione conica da Nicolò Cusano, che aveva conosciuto le carte di Tolomeo nel convento di Reichenbach nell'Alto Palatinato. Venne pubblicata nel 1491, e ne sono derivazioni quella del Wolgemuth (1493) e quella, più esatta, del Tolomeo romano del 1507. Del 1518 è poi la descrizione metodica della Germania di Francesco Irenico pubblicata nel 1570. Allo storico Turmayr (Aventino) si deve un primo abbozzo cartografico della Baviera (1523), al quale sono molto superiori le carte regionali della Cosmographia del Münster (1541), trattato di geografia che comprende anche la Germania.

Parecchi autori di carte regionali ha il sec. XVI, tra i quali specialmente deve essere nominato Filippo Apiano. Ma solo nel secolo seguente, col rilievo topografico del Württemberg (1624-1635), lo Schikhart aprirà una nuova via in questo campo. E un secolo più tardi sarà pubblicata la Germaniae Mappa Critica di Tobia Mayer. Norimberga sara allora il centro della produzione cartografica. Quanto alla geografia regionale, nel sec. XVII le descrizioni di viaggi e le guide tengono quasi sempre il luogo delle descrizioni geografiche. Nel sec. XVlII la geografia è troppo unilateralmente statistica storica e politica col Büsching; ma col Kant principalmente e anche col Gatterer già si afferma l'indirizzo naturalistico. Soltanto però nel sec. XIX, nella stessa Germania, sorgerà la geografia scientifica moderna e saranno possibili serî studî regionali condotti con metodo rigoroso, mentre la produzione cartografica tedesca salirà in alta fama. Ora la Germania vanta una ricchissima letteratura geografica, a cominciare dall'opera del Mendelssohn sull'Europa Germanica. La descrizione geografica del Daniel (Handbuch der Geographie, III e IV) e quella del Kutzen (Das deutsche Land, Breslavia 1855) benché, specialmente la prima, eleganti e vivaci, difettano d'una base naturalistica. In molto maggior conto è tenuta la parte naturale dallo Steinecke. Ma da quando i servizî statali topografico, geologico, metereologico prepararono una messe enorme di materiale utile alla geografia, lo sviluppo delle scienze naturali in Germania poté dare i suoi frutti e via via la scuola tedesca dei geografi si orientò in tale senso, gl'istituti di geografia delle università tedesche poterono darsi con profitto a studiare il territorio circostante alla loro sede, per iniziativa di professori e di discepoli, pubblicando un grandissimo numero di monografie locali: le preziosissime monografie contenute nelle Forschungen zur deutschen Landes- und Volkskunde fondate dal Kirchhoff (dal 1885) e, per citare solo alcuni esempi, i Geographiche Arbeiten diretti dal prof. W. Ule dell'università di Rostock i Beiträge zur Landeskunde der Rheinlande del seminario geografico dell'università di Bonn diretti da A. Philippson, la Geographische Zeitschrift diretta da A. Hettner dell'università di Heidelberg. Di questo enorme lavoro dei geografi tedeschi si può avere piena conoscenza nel Geographisches Jahrbuch, dove ne riferì L. Neumann (Bd. XVII segg.) e nelle relazioni del Kirchhoff e del Hassert, del Regel e dell'Ule. Assai utile sulla letteratura geografica della Germania, la relazione di F. Hahn nella Geographische Zeitschrift, Bd. III, 1897. Tutti gli stati della Germania, ai rilievi topografici meno recenti hanno sostituito le tavolette al 25.000 di nuova levata; ne derivò la carta al 100.000 in 674 fogli. Vi sono poi carte d'assieme al 200.000. Pure pregevoli quelle di Liebenow e Ravenstein al 300.000 e quella del Vogel al 500.000. Gli uffici geologici dei singoli stati hanno poi pubblicato i rilievi corrispondenti alle tavolette topografiche. Una carta geologica generale è quella del Lepsius (al 500.000).

Situazione e confini. - Lo stato germanico (Deutsches Reich) è una repubblica federale che si compone di 17 membri (Länder); ha un'area di 468.705 kmq. e 62.592.575 ab. (1925; pop. presente), escluso il territorio della Saar; la capitale è Berlino. Il punto più meridionale del suo territorio giace nelle Alpi di Algovia a 47° 16′ di lat. N., quello più settentrionale sul Kurisches Haff a 55° 17′ N.; il meridiano che passa per il punto più occidentale presso Havert nella provincia del Reno, è quello di 5° 52′ di long. E., il meridiano che passa per il punto più orientale (presso Schirwindt, Prussia Orientale) è quello di 22° 53 E.; entro a questi estremi non tutto il territorio è germanico: il cosiddetto "corridoio polacco" stacca completamente la Prussia Orientale dal corpo dello stato.

Ma i numeri sopra riferiti non bastano a definire la posizione geografica della Germania se non sono integrati dalla situazione naturale e da quella politica. Premettiamo che si può chiamare mediana la parte di Europa situata fuori del versante esterno delle Alpi e dei Carpazî occidentali fra i paesi circummediterranei e le isole e penisole di NO.; essa forma la parte ristretta del tronco continentale europeo dalle rive dell'Atlantico estesa verso levante sino alla linea congiungente la foce del Memel (Niemen) con quella del Danubio. Lungo tale linea, l'Europa mediana si attacca all'Europa orientale. Pur formando un'unità genetica inscindibile, distinta soprattutto dai resti del grande ripiegamento orogenico varisco, vasto campo di fratture con bacini di affondamento, è occupata da popoli ben diversi e politicamente divisa fra grandi e piccoli stati. Dell'Europa mediana la Germania occupa la parte situata a settentrione della grande barriera alpina che dal corso svizzero-badese del Reno e dalle catene esterne delle Prealpi Bavaresi, dai Monti Metalliferi e dai Sudeti, si stende fino al Mare del Nord e al Baltico: come dicono i Tedeschi, dalle rupi al mare "vom Fels zum Meer"; tra la Polonia e la Lituania a levante, la Francia, il Lussemburgo, il Belgio e l'Olanda a ponente. A S. confina con la Svizzera e l'Austria, a SE. con la Cecoslovacchia, a N. col mare e con la Danimarca. Questa posizione è centrale anche rispetto all'intera Europa: sotto certi aspetti è vantaggiosa, sotto altri sfavorevole. È vantaggiosa per riguardo agli scambî commerciali e alla cultura, perché permette alla Germania relazioni con quasi tutti i popoli europei, tra i quali fa anche da intermediaria con la sua larghissima e finissima produzione di libri. Questi però possono essere pieni vantaggi per la Germania a condizione che essa sia forte: sotto le pressioni concentriche degli stati circostanti, una Germania debole dovette sempre cedere e divenire campo di battaglie e di conquiste; una Germania forte cercò di alleggerire le conseguenze della posizione chiusa o con l'unione all'Italia, come nel Medioevo, quando non soltanto per la Sehnsucht dell'Italia, gl'imperatori valicavano le Alpi, o con una politica di alleanze, come furono la triplice fra il 1882 e il 1915 e la penetrazione nella Turchia col sogno di fondare un impero esteso dal Mare del Nord al Golfo Persico. Alla regione fisica occupata in gran parte dalla Germania è appropriata la denominazione di Europa Centrale che si può considerare la sezione dell'Europa mediana che sta ad oriente dei rilievi fiancheggianti la sinistra del Reno. Ne sono limiti naturali, non però netti, a ponente una linea che dallo Stretto di Calais raggiunge le Alpi presso il Monte Bianco passando per l'Artois, le Ardenne, i ripiani della Lorena, i Vosgi e il Giura Svizzero. Il Reno, che costituirebbe una linea unita e continua, non esercita più la funzione prevalentemente separatrice che ebbe nell'evo antico tra Gallia e Germania e non sarebbe scelto opportunamente come linea divisoria. Verso oriente, essendo principale differenza tra Europa mediana ed Europa orientale l'assai diversa loro estensione, la linea separatrice fra le due regioni è quella che ha per estremi le foci del Memel e del Danubio che poco fa abbiamo indicata; ma, a rigore, l'Europa centrale terminerebbe alquanto più a ponente, circa lungo il 18° meridiano da Greenwich; il territorio intermedio è una regione di transizione che si può denominare Paese della Vistola, o Regione Vistoliana. Questa regione può entrare nell'Europa centrale presa in senso lato. A S. i limiti sono al piede delle Alpi e dei Carpazî; infatti il vasto territorio che sta fra il margine orientale delle Alpi e il grande arco dei Carpazî (regione carpatico-danubiana o regione del medio Danubio) presenta così spiccati caratteri proprî e ha così stretti rapporti con la Regione Balcanica, che deve essere considerato come una regione per sé stante, e noi non l'uniremo, come fanno alcuni, all'Europa centrale. Entro i limiti descritti, l'Europa centrale in senso lato misura 900.000 kmq.: di questi oltre la metà formano il territorio della repubblica di Germania.

Se su una carta geografica confrontiamo i limiti indicati per la regione naturale con i confini politici della Germania, notiamo subito che questi sono convenzionali e ancora che verso NE. la Germania con la Prussia Orientale si estende fuori dei limiti della regione naturale su una parte dell'adiacente regione della Vistola. A occidente, frontiere in gran parte convenzionali la separano dalla Francia, dal Belgio, dal Lussemburgo e dall'Olanda. A mezzodì il confine che la separa dalla Confederazione Svizzera è segnato dal Lago di Costanza e dal Reno, ma intorno a Sciaffusa esso lascia questa linea naturale e assume un tracciato bizzarro in cui è, fra altro, notevole l'incastro badese di Büsingen entro al territorio svizzero. A levante del Lago di Costanza, il confine, pur appoggiandosi alle Prealpi Bavaresi, non segue linee di spartiacque, ma sale sulle vette e ne scende per tagliare i fondi delle valli: è una linea in gran parte convenzionale che poi segue i corsi inferiori della Salzach e dell'Inn e da Passavia s'inerpica per la Selva Boema, per i Monti Metalliferi e i Sudeti verso E. Prima della guerra mondiale il confine con l'Impero Russo seguiva linee convenzionali, ma appoggiate a corsi d'acqua, a selve e a paludi: con la Slesia Prussiana e la Prussia Orientale il territorio germanico descriveva come le branche di una tenaglia intorno alla Polonia Russa. Di queste branche quella settentrionale fu spezzata dai trattati di pace e il confine con la Polonia, divenuta indipendente, ha una forma ancora più bizzarra della precedente ed è in pieno contrasto con la moderna tendenza ad arrotondare i confini e a farne linee continue intorno agli stati. Ricostituitasi la Polonia a stato indipendente, il corridoio polacco, formato dalla Posnania e dalla piccola Pomerania per dare i connazionali polacchi alla Polonia e a questa uno sbocco sul mare, stacca e isola territorialmente la Prussia Orientale dal corpo dello stato di cui fa parte e la Repubblica di Danzica complica ancora una situazione che non può dare garanzie di tranquillità né di durata.

In questo articolo, dedicato alla Germania nei suoi confini politici, saranno esclusi i territorî della regione naturale germanica fuori dei confini stessi. Tuttavia sarà sempre possibile prendere in considerazione le sottoregioni naturali o le parti delle medesime che entrano nell'ambito dell'ente politico qui considerato.

Composizione litologica del suolo. Età ed estensione delle rocce. - In Germania sono rappresentati i terreni di tutte le età, cominciando dall'arcaica. Corrispondono a quest'ultima le rocce dei monti che formano l'orlo del Bacino di Boemia, la Selva Bavarese; ve n'ha nei Fichtelgebirge, nei Monti Metalliferi e nei Sudeti (Monti dei Giganti, Eulen). Sono di scisti cristallini i nuclei della Selva Nera, del Hardt, dell'Odenwald, dello Spessart, della Selva di Turingia settentrionale e dei Monti Kyffhäuser, probabilmente una parte delle filliti del Fichtelgebirge, della Turingia orientale e dei monti della Slesia. Le rocce cristalline sericitiche e gli scisti verdi all'orlo del Taunus e del Hunsrück forse rappresentano l'Arcaico eozoico (Algonchico di altri autori). Le formazioni paleozoiche della Germania sottostanti al Carbonico, delle quali fa parte un'arenaria quarzosa contenente frammenti di altre rocce più antiche, costituiscono il terreno che i vecchi geologi dissero della grovacca o di transizione. Della seconda parte dell'immenso gruppo di strati paleozoici sono caratteristici i giacimenti di litantrace. Le rocce scistose vi hanno larga estensione. Quanto alla giacitura, le rocce paleozoiche dell'Europa centrale sono sempre in discordanza con le soggiacenti algonchiche e arcaiche, sulla cui superficie di denudazione esse si appoggiano. A loro volta poi i sedimenti paleozoici si presentano sollevati, ripiegati e attraversati da fratture che attestano azioni del dinamismo tettonico posteriori alla loro formazione. I primi di tali movimenti tettonici avvennero verso la fine della lunghissima era paleozoica (tra il Carbonico e il Permico) e diedero origine al grandioso sistema di montagne detto Erciniano dai Francesi, Varisco dal Suess e sul quale dovremo ritornare. Scarsa estensione hanno in Gemiania gli strati cambrici: vi si ascrivono gli argilloscisti e le quarziti del Fichtelgebirge e del Vogtland fra Turingia e Sassonia; ed è certamente cambrico il nucleo dalla tettonica assai complicata del Hohes Venn, cui si appoggia in discordanza il Devonico. Verso la metà di questo periodo, tutta l'attuale Germania era probabilmente coperta dal mare, che si andò ritirando verso la fine del periodo stesso.

Molto più estesi sono i terreni silurici. Nella parte occidentale si trovano nei Monti Scistosi del Reno da Kellerwald in direzione a N. di Marburgo sino a Herborn, poi a Lindner Mark presso Giessen, nella Germania centrale (Harz), nella Turingia, nella Franconia, nel Fichtelgebirge, concordanti col Silurico cui sono sovrapposti; nella Germania orientale, in Sassonia e nella Bassa Slesia; i fossili provano che tutta l'Europa centrale. a S. anche oltre i limiti da noi assegnatile, era coperta da un mare profondo ove vivevano idrozoi caratteristici, le graptoliti.

Nel terreno devonico da una zona di sedimenti di mare poco profondo e con faune neritiche che dalle Ardenne per le parti settentrionali dei monti del basso Reno e per l'alto Harz è diretta verso le montagne medie della Polonia, si può distinguere un'altra zona sedimentaria più meridionale che attraversa la Germania dalla parte S. dei Monti Scistosi del Reno per il basso Harz, la Turingia e la Boemia ed è di mare profondo. La serie dei Monti Scistosi del Reno che formano la più potente massa di rocce paleozoiche della Gemiania, è particolamente notevole. Questi monti constano di pieghe fortemente compresse circa da SO. a NE. Anche il Harz è assai importante per la sua serie ed è considerevole l'estensione dei terreni devonici nella Turingia orientale, nel Fichtelgebirge. Il Devonico inferiore è rappresentato da formazioni clastiche di mare poco profondo, costruite coi materiali asportati probabilmente al continente nordico dell'Old-Red e ai terreni cambrici di Rocroi e del Hohes Venn. Il Devonico inferiore manca del tutto in Turingia e nel Fichtelgebirge. Il Devonico medio, calcareo, s'incontra nell'Eifel e nella Vestfalia meridionale, dove è rappresentato da rocce arenacee. Di mare molto profondo è il Devonico medio dei bacini dei fiumi Dill e Lahn (scisti e quarziti, dove diabasi e tufi rappresentano anche la facies eruttiva). Il Devonico superiore è distinto da molte facies diverse (calcari corallini, calcari marnosi, marne, arenarie di mare basso, scisti e calcari d'alto mare, diabasi e tufi) nell'Eifel, ad Aquisgrana, nel Sauerland.

Anche nel Harz e nel Fichtelgebirge il Devonico ha parte importante nella costituzione del suolo. Delle rocce devoniche, sotto il riguardo morfologico hanno particolare importanza le quarziti del Taunus, i potenti scisti del Hunsrück, i calcari a stringocefali e quelli a climenie; negli uni e negli altri vi sono intercalate effusioni diabasiche e importanti giacimenti di ematite. Gli strati devonici più profondi giacciono in discordanza su quelli del Cambrico e del Silurico inferiore. Così nella Turingia e nel Fichtelgebirge una grande lacuna stratigrafica corrispondente a tutto il Devonico inferiore, dimostra che in quel periodo quella parte della regione era emersa e che poi vi fu una trasgressione marina per la quale si deposero gli strati del Devonico medio e superiore. Nella bassa Slesia la trasgressione corrisponde al Devonico superiore.

Il sistema Carbonico, oltre all'interesse geologico e morfologico, ne ha uno economico assai grande, perché contiene i giacimenti di litantrace. Incominciamo dalla Germania occidentale. Prosecuzione verso oriente dal bacino di Bristol, la lunga zona di strati calcarei del Carbonico inferiore della Francia e del Belgio entra in Germania ad Aquisgrana e termina nella Ruhr. Più a oriente, ai calcari carbonici sottentra la facies scistosa-arenacea del culm, presente anche lungo il Reno e sviluppata nell'Assia nel bacino del fiume Dill, affluente della Lahn. Il Carbonico superiore comincia presso Aquisgrana con una doppia sinclinale contenente giacimenti di carbone. Anche sulla destra del Reno, nella Ruhr, questo terreno è bene rappresentato e presso Bochum, Essen, Dortmund e altrove è stato sfruttato per l'estrazione del carbon fossile. A mezzodì dei Monti Scistosi del Reno vi è il bacino della Saar, importante per la ricchezza di minerale e la posizione geografico-politica attuale.

Molto meno esteso è il Carbonico superiore della Germania media e non tutto con giacimenti di carbone. Invece molto più importante è il Carbonico nella Slesia, dove a SO. di Breslavia vi è il territorio carbonifero di Waldenburg. Separato dal culm per mezzo d'una manifesta discordanza, qui si presenta il Carbonico superiore con i suoi tre piani. Ancora maggiore è l'importanza dei giacimenti nell'Alta Slesia dei quali solo una parte è rimasta alla Prussia. Nella Germania meridionale non si trovano terreni di questo sistema se non nella Selva Nera.

Particolarità interessante, anche dal punto di vista industriale, è la giacitura dei depositi salini del Permico nel Bassopiano Germanico, nel quale essi si presentano come enormi pilastri incuneati fra le stratificazioni orizzontali, sempre lungo linee di sollevamento o assi di anticlinali. Il Permico nella Germania si presenta nelle due classiche divisioni: quella inferiore del Rotliegende, formazione terrestre o limnica di conglomerati e di arenarie rosse con scisti cupriferi, e quella superiore dello Zechstein, fomiazione di mare interno calcareo-dolomitica, marnosa, con gessi, sali potassici e minerali di rame, salgemma e alla base conglomerati. Per questa netta duplice divisione, il sistema viene anche chiamato Dyas. Gli strati di Rotliegende si trovano in un'ampia area tra la Saar e la Nahe e continuano sulla destra del Reno lungo il Taunus, nell'Odenwald, nella valle del Meno a monte di Hanau e nel Wetterau. Scarso nella Germania di SO., il Rotliegende è molto sviluppato nella Selva di Turingia e gli si associano le rocce eruttive che si trovano anche nel Harz. Sull'orlo settentrionale di questa montagna e ad Oppenau nella Selva Nera gli strati contengono carbone. Nel territorio di Mansfeld e in quello di Halle specialmente è pure rappresentato il Rotliegende. Nei Monti Kyffhäuser le arenarie e i conglomerati contengono tronchi di conifere silicizzati. nei Monti Metalliferi è esteso il Rotliegende, il quale si trova anche nella Slesia sui versanti dei Monti dei Giganti e nella zona di Waldenburg.

Lo Zechstein, divisione più recente del Permico, è molto meno potente del Rotliegende e forma orlature piuttosto sottili intorno ai nuclei montani più antichi, occupando le bassure interpostevi. Così lungo il versante settentrionale dei Monti dei Giganti, lungo il Harz, la Selva di Turingia e di Franconia, al lato orientale dei Monti Scistosi del Reno, nello Spessart e nell'Odenwald. Lo Zechstein si trova anche presso Heilbronn e Heidelberg e riapparisce nel Palatinato Bavarese presso Albersweiler e Bindersbach con alcuni fossili caratteristici. È notevole anche il fatto che dello Zechstein si riscontrano residui sovrapposti ai più antichi massicci (nella Selva di Turingia meridionale e media). Nel sottosuolo della Germania settentrionale poi deve avere una grande estensione, come provano le perforazioni minerarie che vi furono fatte. Lo Zechstein è infatti ricco d'importantissimi minerali. I giacimenti di salgemma, silvina, kieserite e carnallite della Germania non trovano riscontro in nessuna parte del globo: essi si estendono dal confime olandese alla Posnania e dal basso Elba sino all'Assia meridionale, e la loro potenza raggiunge 130 m. a Wesel, 228 a Salzungen, 380 a Stassfurt, 460 ad Aschersleben. A Stassfurt e nei giacimenti di questo tipo (intorno a Magdeburgo, al Harz e nel Hannover) è caratteristico il potente deposito di sali potassici sovrastante al salgemma. Nei giacimenti di tipo assiano (come lungo la Werra e sul basso Reno), i sali potassici sono intercalati in parecchi strati sottili nel salgemma. In quello inferiore sono da ricordare gli scisti cupriferi con resti di pesci e di piante terrestri che in forma tipica si trovano nel territorio fra il Harz e la Selva di Turingia e nella Bassa Assia (Richelsdorfergebirge); anche al margine orientale dei Monti Scistosi del Reno, si trovano simili giacimenti. Insieme con i minerali di rame importanti si estraggono galena, pirite e argento nativo. Sul margine della Selva di Turingia sono potenti banchi di briozoi che prendono la forma di alti bastioni dolomitici. Allo Zechstein medio e superiore appartengono le argille e i gessi (questi ultimi spesso cavernosi) ai quali si accompagnano giacimenti di sali formatisi per evaporazione nel mare dell'epoca.

L'attività vulcanica permica era del tutto cessata col principio del Mesozoico, tanto che nelle rocce di quest'era non si trova nessuna traccia eruttiva e nel complesso, anche per riguardo al dinamismo tettonico, la mesozoica fu un'era tranquilla. Diverso dal Trias alpino, che presenta facies oceanica, il Trias germanico, a somiglianza del Permico, costituisce una formazione che quanto più progrediscono le nostre cognizioni sul modo con cui avviene la sedimentazione nelle regioni semiaride del globo, tanto più si fa strada l'opinione di coloro che la ritengono originata su terra emersa (in seno a bacini lacustri, lungo fiumi e per l'azione del vento: Buntsandstein e Keuper) e in un mare interno (Muschelkalk). Essa ebbe appunto il nome di Trias dal fatto che in Germania si presenta nettamente tripartita in una sezione inferiore costituita dalle arenarie variegate (Buntsandstein, grès bigarrée dei Francesi), in una media di calcari conchigliari (Muschelkalk), in una superiore detta delle marne iridate (Keuper, marnes irisées dei Francesi) ben distinte anche paleontologicamente. Il Trias occupa una vasta area della Germania media e meridionale, dalle colline della Weser al Giura Svevo-francone, dalla Sassonia al Lussemburgo. In Turingia, Assia, Franconia, Svevia è la formazione predominante. Anche nella Slesia, nel territorio di Magdeburgo, nel Brunswick, nel Hannover, intorno a Treviri, il Triassico occupa considerevoli superficie e continua, nella Lorena e nell'Alsazia. Nel bassopiano settentrionale emergono dai depositi quaternarî lembi di Trias, come a Rudersdorf presso Berlino, a Luneburgo; e l'isola di Helgoland è la parte più settentrionale ove si trovi il Trias germanico.

Nella formazione in gran prevalenza argillo-arenacea, detta anche delle arenarie variegate, vi sono stratificazioni di gesso talvolta potenti (in Turingia), marne con depositi di sale (a Harzburg, a Schöningen e in altri luoghi del Harz). La natura di questi e di altri materiali, la mancanza di conchiglie marine e la singolarità delle impronte fisiche conservatesi nelle pagine stratiformi, avvalorano l'opinione che sull'area dell'attuale Germania continuasse a dominare quel clima secco che permise la formazione dei giganteschi depositi di sale nel precedente periodo dello Zechstein, per modo che nel primo periodo triassico esistevano in Germania condizioni paragonabili a quelle che nell'epoca attuale si verificano nel bacino del Tarim. In base alle differenze petrografiche, la formazione delle arenarie variegate si divide in tre sezioni, la superiore delle quali è conosciuta col nome di Röt. Il Trias medio, a differenza di quello inferiore e superiore, è una serie stratigrafica essenzialmente calcarea, donde il nome di Muschelkalk (calcare conchigliare). Contiene anche marne gessifere con depositi di salgemma (Heilbronn, Kochendorf, Stetten di Hohenzollern, Erfurt) e nell'Alta Slesia le dolomie inferiori contengono importanti minerali (limonite, galena, calamina). La sua fauna di lamellibranchi e brachiopodi, i cui gusci formano interi banchi con altri pochi gruppi zoologici (crinoidi, coralli, spugne), ha carattere di mare mediterraneo. Quanto all'influsso sulla conformazione superficiale, è notevole il fatto che le stratificazioni orizzontali formano monotoni tavolati di carattere carsico, incisi da valli strette e profonde, e che le minori zolle di calcare conchigliare si presentano sotto forma di bastioni che con pareti ripidissime scendono sulle valli.

Il gruppo superiore di strati del Trias è formato dal Keuper, o marne iridate, prevalentemente di color rosso, alle quali si associano depositi di gesso, arenarie di color chiaro, calcari impuri e dolomie e, nel piano superiore, litantrace impuro. L'estensione maggiore del Keuper si dà in Franconia e nella Svevia; notevoli superficie esso occupa pure nel Lussemburgo, nel centro del bacino turingio, nella Selva di Teutoburgo e nelle colline della Weser, nel territorio tra Brunswick e Halberstadt e nell'Alta Slesia. In complesso, si può dire che l'area di questa formazione supera di poco i confini politici della Germania. Sicuramente marini di origine, sono i sedimenti inferiori e quelli superiori, ma la parte principale della serie, siano le stratificazioni contenenti carbone, siano quelle gessose, e salifere, devono essere d'origine continentale, cioè devono essersi deposte in paludi salmastre e per opera di fiumi.

Alquanto minor estensione dei triassici, hanno in Germania i terreni giurassici, o giura, che sono distribuiti in tre zone principali, nella Svevia e nella Franconia, nella parte di NO. e nell'Alta Slesia. Il Giura superiore (Malm) della Germania meridionale, dove sino al Portlandiano superiore i sedimenti sono puramente marini, differisce da quello della parte settentrionale in cui già prevalgono le formazioni lagunari. Estensione ancora minore dei giurassici hanno in Germania i terreni cretacei che si trovano nel territorio a N. del Harz, nel Brunswick e nel Hannover, nella Selva di Teutoburgo e sull'alto Bober affluente dell'Oder.

Nella Svevia e nella Franconia i terreni giurassici formano una larga fascia che ha la figura di una L coricata sulla sinistra del Danubio, col vertice a Ratisbona e che corrisponde al rilievo del Giura Svevo-Francone. Il Giurassico a NO., da Helmstedt e da Quedlinburg si estende verso ponente sino alla Selva di Teutoburgo, formando una serie discontinua di strisce o aree ellittiche, la più notevole delle quali è data dalle alture della Weser che il fiume incide, formando presso Minden la Porta Vestfalica. Nella serie stratigrafica si distinguono il Giura Nero, il Giura Bruno, il Giura Bianco.

Il Giura inferiore, o Lias, si chiama anche Giura Nero per la presenza di bitumi negli strati calcarei e negli scisti: esso è distinto dai resti fossili di molti rettili, pesci e cefalopodi; il Giura medio, o Dogger, è detto anche Giura Bruno, argille con Leioceras opalinus, banchi di arenarie rossobrune e biancastre, calcari "turchini", argille e marne, calcari oolitici. Il Giura superiore, o Malm, chiamato anche Giura Bianco, è costituito da strati di argille e marne e calcari bianchi, le forme dirupate dei quali contrastano fortemente con quelle più dolci del Giura Nero e del Giura Bruno. Sono quasi completamente organogeni. Tali sono pure i calcari di coralli e di spongiarî e le dolomie: in complesso, sedimenti di mare poco profondo. Nei calcari litografici appartenenti a questa sezione, presso Solenhofen fu scoperto il famosissimo uccello fossile (Archaeopteryx), dalle ali munite di dita unghiate e dalla lunga coda di vertebre.

Ai terreni giurassici seguono i cretacei, che in Germania vennero distinti coi nomi particolari di Quadersandstein (arenaria a dadi), di Planerkalk (calcari biancastri a strati sottili) e di Hils (arenarie di facies limnica). Sono nettamente separati dal Giurassico, il che dipende dal fatto che la presenza del Cretacico inferiore coincide sempre con una trasgressione, in conseguenza della quale gli strati cretacei più antichi, costituiti da conglomerati, giacciono in discordanza sulle formazioni più antiche. Ciò che invece non si verifica nell'Europa meridionale, dove il passaggio dal Giurassico al Cretacico avviene insensibilmente.

Il Cretacico inferiore ha in Germania scarsa estensione (territorio a N. del Harz, Brunswick, Hannover settentrionale, Deister, contea di Schaumburg, colline della Weser e Selva di Teutoburgo). Le arenarie del Weald, limniche, del Deister, contengono resti di iguanodonti, coccodrilli e plesiosauri; le rocce clastiche (Hils) della Germania di NO. appartengono invece al Neocomiano (Cretacico inferiore marino); al gault, o Albiano, le stratificazioni a N. del Harz, del Brunswick e del Hannover.

Fra il Cretacico inferiore e il superiore v'è una netta separazione corrispondente a una potente trasgressione che avvenne lentamente. Il Cretacico superiore è rappresentato in Germania in sei aree principali: fra Aquisgrana e Maastricht (Senoniano), Germania di NO. (Vestfalia, Selva di Teutoburgo, colline della Weser, intorno a Hannover, nel Brunswick, Goslar, Halberstadt), nella Sassonia (arenarie a dadi del tavolato dell'Elba e anche le stratificazioni della Bassa Slesia e quelle della Selva Bavarese fra Baireuth Amberg, Ratisbona e Passavia), nell'Alta Slesia (Oppeln, Leobschütz), nella regione costiera del Baltico (Rügen, foce dell'Oder, Pomerania, Meclemburgo, Holstein, Luneburgo, nella Prussia Occidentale e Orientale). Com'è noto, sotto il nome di Neozoico o Cenozoico si comprendono tutte le rocce che si formarono dopo la fine del Cretacico: le formazioni di questa lunga era si dividono nei due grandi sistemi, Terziario e Quaternario.

Il terreno paleogenico in Germania è, nelle Alpi Bavaresi (Kressenberg, Algovia) rappresentato da arenarie e la stretta relazione tra questi sedimenti e quelli del Bacino di Parigi fece pensare che il mare che si stendeva su quest'ultimo comunicasse con quello dell'alta Baviera. Nella Germania settentrionale poi le perforazioni fatte sotto il manto dei materiali glaciali, rivelarono l'esistenza del Paleocene e resero manifesta una trasgressione marina dalla Danimarca e dallo Schleswig-Holstein sino al Meclemburgo, alla Pomerania e al Hannover settentrionale. Pressoché questa fu l'estensione del mare nel successivo periodo mesonummulitico, o eocenico propriamente detto. Il mare mandava bracci verso S., entro alla parte emersa dell'attuale Europa mediana. L'Eocene marino è scarsamente rappresentato nella regione germanica, dove è essenzialmente limitato alla parte costiera settentrionale (Schleswig-Holstein, Lauenburg, Meclemburgo, Pomerania). Poi si trovano stratificazioni eoceniche nelle Alpi Bavaresi (Kressenberg e Grünten) e nel Giura Svevo e Francone. A questo periodo risale l'origine dell'ambra, il cui alto interesse paleontologico non è minore di quello storico ed economico. È una resina fossile, che era prodotta dalle selve eoceniche di Pinus succinifera e che si trova trasportata come giacimento secondario nella terra azzurra oligocenica del Samland. Vi stanno inclusi molti insetti (2000 specie) e araneidi e resti di altre piante (oltre 100 dicotiledoni). Pure all'Eocene oggidì si ascrivono le ligniti di Helmstedt, Aschersleben, Zeitz, Halle, Lipsia e Messel e alcuni lembi sedimentarî dell'Assia orientale; come in tutte queste località, anche nella Germania meridionale, non vi sono che depositi lacustri. Alcuni contengono minerale di ferro.

È considerevole l'estensione che ha il Neonummulitico (Oligocene) marino; il che dipende dalla trasgressione che in questo periodo avvenne in Germania. Tutta l'area corrispondente alla Germania settentrionale, sin verso Stargard, Kottbus, Lipsia, Aschersleben, Kassel, Osnabrück e Düsseldorf era occupata dal mare che si estendeva anche a levante e verso ponente. La trasgressione raggiunse la massima ampiezza nel medio Oligocene, quando tra il grande mare meridionale della Tetide e quello settentrionale, esisteva una comunicazione che corrisponde alla posizione attuale delle valli del Reno, della Saona e del Rodano. Appartengono a questo periodo alcuni giacimenti di lignite, di sali potassici e minerali di ferro. La seconda metà dell'era terziaria, o Neogene, è caratterizzata in Europa dalla formazione delle maggiori montagne attuali. E ciò avvenne principalmente nel più antico periodo neogenico, detto Miocene. In questo periodo il mare si era ritirato dall'Europa settentrionale e in Germania si riduceva a una zona ristretta fra l'attuale Frisia e l'attuale Meclemburgo. Anche il bacino di Magonza, dopo un'invasione del mare nel principio del Miocene, era divenuto un bacino interno salmastro. Sono miocenici alcuni giacimenti di lignite nel Rhön, sul basso Reno, nel Brandeburgo, nella Posnania, nella Slesia e nella Sassonia. Col chiudersi del Miocene, in tutta l'Europa avvenne un nuovo ritiro del mare e tutta l'area corrispondente all'attuale Germania era già emersa, sicché il Pliocene marino non vi è rappresentato che dalle arenarie limonitiche dell'isola Sylt. Sono invece estesi i sedimenti fluviali e limnici con ligniti, nel Wersterwald, nell'Assia, lungo il basso Reno, nel Brandeburgo, nella Sassonia, nel Meclemburgo, nella Slesia e nella Posnania.

Il Pliocene ha ristretta estensione nella Germania settentrionale, invece nella media Germania sono assai estese le formazioni limniche e fluviali di questo periodo. Ma assai più importante è in Germania il Quaternario, coi suoi depositi alluvionali, glaciali ed eolici. I più antichi formano il cosidetto diluviale, o plistocene, i più recenti l'alluviale, od olocene. Le glaciazioni esercitarono anche un'importantissima azione morfologica. I ghiacciai delle Alpi che scendevano per le valli del versante settentrionale, si riunivano ai piedi del medesimo a formare un unico imponente manto di ghiaccio. Nel paese antistante alle Alpi, sono pure importanti i depositi alluvionali. Secondo Penck e Brückner, quattro furono le epoche glaciali alpine, separate da tre periodi interglaciali. Le più alte alluvioni sono i depositi fluviali avvenuti durante la glaciazione gunziana (älterer Deckenschotter), quelle che giacciono a un livello più basso sono contemporanee della glaciazione mindeliana (jüngerer Deckenschotter) e ancora più profondamente situate sono quelle che corrispondono alle glaciazioni rissiana (Hochterrassenschotter) e wurmiana (Niederterrassenschotter). Si spiegano queste giaciture con ciò, che durante ogni periodo interglaciale le correnti d'acqua d'ablazione dei ghiacciai in regresso esercitarono una poderosa erosione, incidendo terrazzi alluvionali.

Senza confronto più vasta, era l'area occupata dalla glaciazione continentale nella Germania settentrionale, la quale venne rivestita da detriti rocciosi asportati dalla Fennoscandia. Sono materiali non stratificati e caotici di morena profonda (Geschiebemergel, Blocklehm dei geologi tedeschi) e grandi morene frontali attraversanti il bassopiano, dove il ghiacciaio fece lunghe pause; esteriormente agli archi morenici, le acque d'ablazione deposero alluvioni stratificate (sabbie e ghiaie). Grandi i massi erratici, come quello di Belgard in Pomerania che misura 600 mc. Nel bassopiano, finora furono trovate le prove di tre distinte espansioni glaciali: il glaciale più antico, che fu preceduto da un periodo preglaciale, è detto Elsteriano, il medio è detto Saaliano, il più recente Vistoliano; tra la prima e la seconda glaciazione e tra la seconda e la terza ci fu un periodo interglaciale. Nello spazio che fra il grande mantello di ghiaccio nordeuropeo e quello alpino non fu coperto da ghiacci, il Quaternario è rappresentato dappertutto da alluvioni fluviali, sabbie, limi e löss. Il löss forma vaste estensioni a S. del termine meridionale della glaciazione nordeuropea, nella repubblica di Sassonia e nella provincia prussiana omonima, nella Turingia, nella Franconia e nella Svevia, generalmente per la potenza di 8-12 m., e non supera, per lo più, l'altezza di 300 m. s. m.

Struttura e forme del terreno. - Gettando lo sguardo su una carta fisica della Germania, che porti segnati anche i confini dello stato, si vede subito che il suo territorio occupa in parte tre regioni morfologiche principali, che sono: le catene periferiche delle Alpi settentrionali, fra il Lago di Costanza e la Salzach, delle quali è stretta dipendenza il ripiano subalpino svevo-bavarese, le Montagne Medie della Germania, il cosiddetto bassopiano settentrionale. E si può anche osservare che, in complesso, il suolo della Germania s'innalza dal settentrione verso mezzodì, ma grave errore sarebbe il credere che esso vada degradando uniformemente dai monti meridionali ai mari settentrionali. A mezzodì, nelle Alpi, si trova il punto più alto del suolo germanico (Zugspitze, 2964 m.) e lungo la costa vi sono terreni prosciugati più bassi del livello del Mar del Nord, ma il passaggio fra queste quote estreme non avviene senza salti, e questi sono tutt'altro che trascurabili. Fra le Alpi e il Danubio si stende infatti il ripiano svevo-bavarese, il cui punto più basso, presso Passavia, è a 290 m. e la cui media altezza è, in cifra tonda, di appena 500 m. s. m. A N. del Danubio si elevano le Montagne Medie della Germania dove bacini e valli scendono anche al disotto di 100 m. s. m.; ma i monti che li limitano misurano talvolta altezze anche superiori ai 1000 m., come si vedrà più avanti.

Secondo l'Ule, la media altezza di tutta la zona delle Montagne Medie della Germania, si può valutare 300 m. al massimo, la quale è pure l'altitudine massima della parte settentrionale, che nell'insieme, è la più bassa della Germania. Infatti la sua altezza media non deve essere lontana dai 50 m.: solo alcuni punti dei più elevati ripiani, come nella Pomerania, nella Prussia Orientale, nel Fläming, nella brughiera di Luneburgo, superano i 150 m. o anche i 300.

In complesso, il vasto territorio della Germania presenta unità nella varietà: varieta di condizioni altimetriche e di forme del terreno, dalle quali dipendono le differenze di paesaggio. A mezzodì le Alpi tedesche, distinte in Alpi di Algovia, Alpi di Baviera e Alpi di Salisburgo, hanno forme aspre terminanti in creste e pinnacoli, talvolta coperti di nevi persistenti, valli profonde e fitti boschi rispecchiantisi nelle gemme dei laghi. Paesaggio che si deve al corrugamento terziario che generò il sistema alpino, al recente poderoso sollevamento e all'azione dei ghiacciai quaternarî. Ma le Alpi formano per noi una regione propriamente estranea alla Germania e qui non è il luogo di diffonderci (v. alpi; baviera). Il ripiano subalpino, tra le Alpi e il Danubio (v. baviera), alluvionale a valle (a N.), morenico a monte (a S.), è formato in gran parte da materiali di trasporto di differenti epoche del Quaternario, come si può vedere da quanto si è detto sopra, e verso il Danubio da colline di rocce terziarie. Nella parte mediana della Germania, altri monti, ma di tutt'altre forme rispetto alle Alpi, di media altezza e di diversa e più complicata origine: sono le Montagne Medie (Deutsches Mittelgebirge) dove le valli hanno di solito pareti cosi dolcemente inclinate che l'uomo poté metterle a coltura e le forme dei rilievi, benché varie, sono dolci e terminano in alto con spianate paludose e in cupole poco prominenti. Questi aspetti si ripetono dai Monti dei Giganti alla Selva di Turingia e alla Selva Nera. Nel ripiano subalpino svevo-bavarese e nel bassopiano settentrionale le forme ondulate predominano su quelle veramente piane; ciò per effetto soprattutto delle glaciazioni; gli aspetti sono uniformi e l'occhio spazia su vasti orizzonti.

Nonostante l'unità del paesaggio su vaste estensioni, assai varie sono le forme del suolo e frequentemente si avvicendano le parti alte e le depresse, le montagne e i bacini. Ciò soprattutto nelle Montagne Medie. Osservando la carta fisica, a tutta prima si può giudicare che i rilievi sono distribuiti senza un ordine apparente. Ma un esame un po' attento rende evidente che sono disposti secondo direzioni ben determinate. I Vosgi e il Harz, la Selva Nera e l'Odenwald, lo Steigerwald e il Giura di Franconia sono diretti da S. a N. (NNE.-SSO.) e questa si dice direzione altorenana. Invece il Giura Svevo è diretto da SO. a NE. come i Monti Scistosi del Reno e i Monti Metalliferi, e questa è detta direzione dell'Erzegebirge o anche varisca, perché tale è la direzione delle pieghe di quell'antico sistema montuoso. A loro volta, il Harz, la Selva di Turingia, la Selva di Franconia, i Sudeti e la Selva di Boemia e di Baviera sono diretti da SE. a NO., e questa è detta direzione erciniana, o sudetica. I nodi ove s'incrociano queste direzioni sono formati da rilievi modesti e senza un asse determinato, come il Fichtelgebirge e il Vogtland tra la Selva di Franconia e i Monti Metalliferi, oppure vi sono interposte montagne e colline, nelle quali non si discerne una direzione prevalente (Alture dell'Assia tra i monti Scistosi del Reno, il Harz e la Selva di Turingia).

A una cosiffatta disposizione del rilievo della media Germania corrisponde quella della grande bassura settentrionale. Molte volte noi sentiamo dire che la Germania settentrionale è un "bassopiano"; in realtà questo termine si conviene principalmente alla parte di NO., cioè al tratto situato a ponente della brughiera di Luneburgo, mentre il resto è occupato da basse colline e da ripiani. Nel ripiano che accompagna la costa del Baltico si ripete la direzione dei Monti Metalliferi in Pomerania, quella erciniana nel Meclemburgo, quella altorenana nello Schleswig. Nei ripiani che, partendo da quello slesiano-polacco, fiancheggiano l'Elba (Fläming, brughiera di Luneburgo) prevale la direzione erciniana. Questo stato, che è il presente, risultò da lunghi e complicati avvenimenti, dei quali furono parte essenziale, come si accennò nel paragrafo precedente, il corrugamento orogenico paleozoico e le invasioni del mare (o, come dicono i geologi, le trasgressioni marine) e nuovi movimenti di dislocazione. Il corrugamento avvenne nel periodo carbonico, che fu un'epoca di grandi movimenti tettonici e di attività vulcanica: infatti i terreni dell'epoca immediatamente posteriore, permici, non sono ripiegati e stanno in discordanza stratigrafica sui più antichi. Il ripiegamento carbonico fu intenso: nell'Europa mediana forma una grande zona dalla Francia alla Slesia; dovette essere veramente poderoso (vedi sopra). Fu chiamato Varisco dal Suess, Erciniano dai francesi.

Il disfacimento meteorico e l'erosione, e forse i ghiacciai permici, lo spianarono e i fiumi di allora colmarono le parti depresse, dove si sono conservati appunto i prodotti della denudazione di quelle antiche montagne (rocce clastiche del Carbonico e del Rotliegende); l'intensa attività vulcanica portò alla superficie porfidi e melafiri. Non si può ricostruire nei particolari la storia della distruzione delle montagne varisce, ma i rapporti di giacitura degli strati più recenti permettono di riconoscere la forma finale cui mise capo questa distruzione. Al posto delle montagne non rimasero che umili colline, molto varie di forme, sulle quali, sino al Terziario più antico in rapporto con le sommersioni e le emersioni subite, si deposero formazioni continentali e marine e queste di facies diversa, come si può vedere nel paragrafo precedente, secondo le variazioni di profondità del mare. Durante questo lunghissimo tempo, soltanto in spazî ristretti, nelle colline del Weser, dall'Ems ai contrafforti settentrionali del Harz, e nei Sudeti occidentali ci furono piegamenti (tra il Giurassico e il Cretacico), mentre tutto il resto della Germania non sofferse dislocazioni sino al Terziario. Quando in quest'era si formarono le pieghe alpine, l'area dell'attuale Germania venne rotta da fratture, spostandosi lungo le quali le zolle tabulari che ne risultarono, in parte materiate dei residui delle montagne varisce, in parte dei sedimenti depostisi dopo la distruzione di queste ultime, costituirono le attuali Montagne Medie della Germania a N. del Danubio: le zolle elevate formarono i massicci, quelle rimaste o discese a più basso livello le bassure baciniformi interposte ai massicci stessi. Il movimento avvenne anche nell'area dell'attuale bassopiano, cioè le zolle tabulari costituirono anche il fondo a quel rivestimento di formazioni continentali quaternarie che costituisce il bassopiano settentrionale. Questo fondo, insieme con le bassure dell'Inghilterra meridionale, della Francia settentrionale, della Danimarca e della Svezia meridionale, rappresenta la parte emersa d'una grande depressione che, dall'Atlantico al Baltico, forma il bacino di quei mari poco profondi. La parte depressa che giace al di sopra dell'attuale livello marino (Germania settentrionale), è separata dalle Montagne Medie per mezzo d'una frattura che ne segna il margine N. con le insenature penetranti verso S., di Colonia, del paese di Münster, di Lipsia e della Slesia.

Dato che i sedimenti deposti sui residui dell'antico sistema varisco erano molteplici, che le zolle tubulari formarono massicci e bassure e che attraverso le fratture eruppero basalti fonoliti e trachiti, ne risultò l'assai grande varieta di aspetti delle nuove montagne così formatesi, delle quali però per spiegare le forme, è necessario tener conto dell'opera incessante del disfacimento meteorico e delle acque correnti. I rilievi furono ancora demoliti, le forme cave colmate. Risultò così, prima della metà dell'era terziaria, una nuova forma, non molto diversa da quella che ebbe il residuo delle montagne varisce, cioè un nuovo penepiano: un complesso collinoso più o meno ondulato, solcato da larghe valli. È questa la superficie di troncamento della Germania, come la chiamò il Braun, la cui formazione durante l'era terziaria non si effettuò contemporaneamente in tutte le parti e probabilmente anzi risultò da parecchie superficie indipendenti, giustapposte e più o meno livellate. Mentre la superficie di troncamento ebbe un aspetto uniforme nelle grandi linee (vi erano soltanto diversità d'altimetria e d'ampiezza), un nuovo movimento tettonico avvenuto nell'epoca quaternaria, fu cagione degli attuali tipi di paesaggio che sono molto varî. Il sollevamento delle zolle causò aumenti di pendenza e di potere erosivo delle acque correnti. In proporzione delle condizioni più o meno favorevoli che si presentavano all'erosione, furono asportate le assai varie rocce costituenti le montagne e ne nacque quella varietà di forme che hanno gli attuali monti della media Germania. Nelle stesse bassure d'affondamento vi è varietà di forme; quella della Turingia è collinosa, quella dell'alto Reno germanico è occupata da una pianura alluvionale che riposa su sedimenti terziarî profondissimi, stretta entro le fratture a gradini, a essa parallele, che costituiscono i Vosgi e la Selva Nera.

Quanto più sollevate furono le zolle, tanto più intensa ne fu la denudazione, per modo che, secondo il grado del sollevamento e della demolizione, la superficie è formata ora da strati più recenti ora da strati più antichi: così nel forte sollevamento dei Vosgi (1423 m.) e della Selva Nera (1493 m.) appariscono le antiche rocce cristalline (graniti e gneis), mentre scendendo dal fianco esterno sia dell'una, sia dell'altra catena. s'incontrano stratificazioni sempre meno antiche, quanto più ci si allontana dal Reno: per effetto della diversa resistenza delle rocce che le compongono, queste zolle laterali sono intagliate da terrazze, scorrendo tra le quali il Meno e il Neckar modellarono bassure a bacino nelle rocce meno resistenti, mentre i duri calcari giurassici si elevano a formare l'Alb, cioè il Giura Svevo-Francone. Verso il Danubio, i calcari giurassici spariscono sotto le alluvioni del ripiano subalpino. A E. giace il massiccio di Boemia formato da scisti cristallini, gneiss e graniti, dalle forme dolci e tondeggianti. Gli fanno cornice la Selva Boemo-Bavarese (1458 m.), il Fichtelgebirge (Schneeberg, 1051 m.), i Monti Metalliferi (1213 metri), i Sudeti coi Monti dei Giganti (Schneekoppe 1603 m., che è il punto più alto delle Montagne Medie della Germania).

Nella Germania occidentale si elevano i M. Scistosi Renani, formati da resti del ripiegamento varisco, ma tanto logorati che ne furono asportate le rocce meno antiche ed essi consistono di rocce paleozoiche. Formano pianori sui 500 m., solo qua e là superati da parti più resistenti che arrivano al massimo a 880 m. Verso SE., i Monti Scistosi scendono rapidi secondo una frattura diretta da NE. a SO.

Nella parte centrale della media Germania le molte fratture che s'intersecano formano un gran numero di piccole zolle tabulari in differenti posizioni di livello. La bassura dell'Assia continua l'affondamento altorenano: la seguono i monti dell'Assia col Vogelsberg (772 m.) d'origine vulcanica, prevalentemente arenacei, e il Rhön (950 m.); quindi i Monti della Turingia, cioè la Selva omonima (984). la Selva di Franconia (794 m.) e il Harz (1142 m.), zolle sollevate e perciò anche formate da rocce antiche (cristalline e scisti paleozoici); tra la Selva di Turingia e il Harz, si stende il Bacino di Turingia, la cui struttura consiste in piccole zolle di rocce secondarie, affondate e disposte nella direzione erciniana; verso NO. le colline del Weser formate da un debole corrugamento.

Il bassopiano settentrionale è una regione di accumulamento che in confronto con la media Germania deve il suo livello inferiore al fatto che essa rimase esente dal sollevamento che dal Terziario medio subì l'Europa occidentale: come si disse nel paragrafo precedente, fu totalmente invaso dal ghiacciaio scandinavo che vi depose le sue enormi morene terminali e profonde. Le morene sono ben conservate specialmente a N., e vi sono interposti laghi e torbiere. Sono questi i Ripiani Lagosi del Baltico (Baltische Höhenrücken, Seeplatten) che formano come una cintura intorno alla costa baltica, dallo Schleswig-Holstein al Meclemburgo e alla Pomerania e poi alla Prussia Occidentale e Orientale. A questa zona ne segue un'altra, donde il ghiacciaio si è ritirato da un tempo più lungo e perciò le morene presentano forme mitigate; non vi mancano i laghi e i larghi canali naturali scavati dalle acque di fusione del ghiacciaio quaternario (Urstromtäler). Tra i quali, a mezzodì, sono interposti ripiani sabbiosi vestiti di brughiere e di pinete (brughiera di Luneburgo, Altmark, Fläming, Bassa Lusazia, colline della Bassa Slesia).

I grandi solchi, o canali, scavati dalle acque di ablazione, sono cinque e si denominano: canale Breslavia-Hannover; canale Glogau-Baruth; canale Varsavia-Berlino; canale Thorn-Eberswalde; canale della Pomerania. Sulla loro importanza come sedi dei corsi fluviali attuali, si veda il paragrafo Idrografia. Infine, nel bassopiano, sono da notare alcuni territorî del tutto piani: la regione paludosa di NO., le pianure di Lipsia e della Slesia (i cosiddetti golfi). Il Bassopiano termina sui due mari, del Nord e Baltico, con una zona costiera che, in generale, presenta i caratteri delle coste sommerse. Nelle foci dei fiumi è penetrato il mare e per lo più sono diventate estuarî, forden e bödden. Ma il mare vi è poco profondo e a una certa distanza della riva si formano scanni, cordoni litorali, frecce che separano dal mare lagune e fondi sabbiosi e fangosi scoperti nel riflusso. Le forme costiere di abrasione con ripe rocciose, sono eccezioni (Helgoland, Rügen, Samland).

Clima. - La Germania giace fra 47° 10′ e 55° 17′ di latitudine e perciò nella zona temperata dell'emisfero boreale. Ma più che dalla posizione geografica matematica, il suo clima dipende da quella naturale, rispetto al mare e ai venti dominanti. La barriera delle Alpi, come separa popoli e stati, cosi anche è un energico divisore climatico, in quanto sottrae i paesi oltre lo spartiacque principale all'influsso diretto del Mediterraneo: superato lo spartiacque per uno dei passi alpini, chi viene dall'Italia in poche ore si trova in un clima del tutto diverso, intermedio fra il tipo continentale del Bassopiano Sarmatico e quello marittimo dell'Europa d'occidente.

Essendo la Francia, grazie al suo rilievo, aperta all'azione dei venti che spirano dall'Oceano Atlantico, da questo arrivano alla Germania quegl'influssi che, per quanto attenuati, vi penetrano alquanto addentro, perché il rilievo stesso della Germania, in prevalenza disposto in dîrezione E.-O. e non elevato, non funziona da schermo molto forte. D'altra parte nessuna barriera disgiunge la Germania dall'Europa orientale. Per queste ragioni, il suo clima risulta dall'avvicendarsi e contrastarsi degl'influssi discretamente forti dell'Atlantico e dei mari che ne dipendono e di quelli del continente eurasiatico, e la Germania climaticamente costituisce una zona di transizione tra l'Europa occidentale e l'orientale. L'influsso del mare è più forte nella parte occidentale, più debole nell'orientale, l'inverso è dell'azione del continente; e mentre quella del mare si fa sentire a notevole distanza dalle coste, queste ultime a loro volta subiscono anche l'influsso della continentalità. Per tutte queste ragioni, la Germania è distinta dall'incostanza delle condizioni meteorologiche. D'inverno l'aria fredda e densa incombente sull'Asia di NE. vi determina alte pressioni che si estendono verso ponente. Invece sull'Atlantico settentrionale di regola domina una depressione che ha il suo minimo presso l'Islanda. La Germania durante l'inverno è soggetta a queste due opposte condizioni: i venti di SO. mitigano gli effetti della distanza dal mare e della situazione interna, talvolta invece spirano venti di levante assai freddi. Nella parte occidentale è manifesta l'azione temperatrice dell'Atlantico. In gennaio le isoterme sono dirette da S. a N.: quella di 0° attraversa il Danubio a levante di Ulma, fa un gomito verso ponente nel bacino del Meno, passa per il Vogelsberg e a ponente del Harz, per raggiungere la costa del Baltico fra Lubecca e Rostock. Fatta la debita riduzione al livello del mare, tutto il territorio dell'Europa mediana che sta a oriente di questa linea ha una temperatura media inferiore a 0°, quello a occidente una temperatura superiore. Per tali condizioni, la Germania occidentale, e particolarmente quella di NO., è distinta da un inverno mite, oceanico; nella orientale l'inverno è freddo, continentale. Nella provincia del Reno la temperatura media è 2°, nella Prussia Orientale − 4°: la differenza tra le due provincie estreme è perciò di 6°. Al contrario, d'estate l'interno dell'Eurasia si riscalda fortemente, in confronto del mare; l'aria vi si dilata e perciò dall'Atlantico spirano correnti fresche di NO. e di O. sull'Europa mediana e mitigano gli effetti del riscaldamento. Le isoterme di luglio non si discostano molto dai paralleli, decorrono da OSO. a ENE. Quella di 20°, da Metz si dirige verso il Taunus, poi ripiega bruscamente a S. verso Karlsruhe, entra in Alsazia e poi gira verso Stoccarda, e passando a S. di Norimberga si dirige a Cheb in Boemia; verso levante raggiunge latitudini più alte. Ciò che è quanto dire che la parte NO. della Germania, bene esposta all'influsso del mare, ha allora temperature relativamente più basse e quella di SE. più alte. Le differenze però non sono molto forti: infatti sulla costa del Mare del Nord la media di luglio è di 16°, nella Germania meridionale di 21°. Le temperature estive si elevano assai e diventano opprimenti quando le alte pressioni subtropicali dominanti sull'Atlantico si spostano verso N., dando origine o a calme o a venti di S. e di SO.

Le isoterme, costruite sulle temperature ridotte al livello marino (in ragione di 0,50 ogni 100 m., valore medio della diminuzione della temperatura con l'altezza), non possono servire che a dare un'idea del comportamento diverso della terra e del mare. Se consideriamo le temperature realmente osservate nelle singole stazioni, possiamo valutare gli effetti delle condizioni orografiche, le quali si dimostrano di momento maggiore che non sia la latitudine. Le masse montuose determinano una diversità di riscaldamento, la disposizione e l'altezza del rilievo possono impedire o favorire l'arrivo di correnti calde o fredde e i versanti, secondo l'esposizione, risentono più o meno l'effetto della radiazione solare. Ne deriva una grande varietà di condizioni termiche e la carta della distribuzione delle temperature reali costruita dal Sommer, dimostra la stretta relazione di queste con l'orografia, della quale riproduce le forme.

Siccome poi il suolo della Germania, più alto a S., declina verso N., la maggiore latitudine della parte settentrionale è compensata dalla sua minore altezza sul mare, e gli effetti della minore latitudine della parte meridionale sono attenuati dalla sua maggiore altezza. Gli effetti della distanza dall'Oceano si rendono evidenti col fatto che nella Germania orientale l'inverno è molto freddo anche a NE. (il Mar Baltico gela d'inverno e poi ritarda la primavera, perché lo sgelo sottrae calore). La media temperatura di gennaio a Marggrabowa (Prussia Orientale), a 160 m. s. m., è − 4°,9; la media delle minime osservate nello stesso mese è − 24°,7, cioè la più bassa di tutto il territorio tedesco, eccettuata la Zugspitze (2964 m., estrema − 26°,6). La più bassa temperatura osservata a Marggrabowa (nel gennaio del 1893) fu − 36°,4. Basse temperature al di sotto dei 25° sotto zero si hanno anche nella Germania meridionale.

Temperature estive piuttosto alte si osservano nella parte orientale del cosiddetto Bassopiano e anche nelle zone basse della Germania media e di SO., dove pure le minime invernali sono piuttosto basse. Nei giorni d'inverno freddi e sereni vi stagna facilmente l'aria raffreddata e densa, mentre invece nelle parti alte il soleggiamento eleva la temperatura. Per contro, d'estate le bassure intermontane (Turingia, Pianura Renana superiore) sono soggette a un forte riscaldamento.

Quanto alle differenze di temperatura fra le stagioni, si può osservare che si mantengono entro limiti discreti: esse però aumentano abbastanza rapidamente verso E., tanto che il limite orientale del faggio, caratteristico dell'Europa occidentale e al quale abbisogna un periodo di cinque mesi con temperatura superiore a 0°, decorre tra il Frisches Haff e i Carpazî, circa lungo la linea che può valere come limite tra l'Europa centrale e la orientale.

Anche nella ripartizione dell'umidità atmosferica si vede l'influsso della vicinanza o della lontananza dal mare: infatti, tanto le medie dell'umidità assoluta quanto quelle della relativa ottenute dai dati delle varie stazioni crescono da E. a O. L'umidità relativa aumenta anche verso N. È forte nelle montagne, dove, per la bassa temperatura, l'umidità assoluta è piccola. Nella distribuzione della nuvolosità si riscontra un andamento corrispondente: la media annua più elevata è data dai paesi costieri del Mare del Nord (in qualche parte più del 70%). Verso S. e verso E. la nuvolosità diminuisce (sino circa al 10%). Sui monti si addensano le nubi, specialmente sui versanti esposti a ponente. Invece sulle valli e sui bacini della media Germania la nuvolosità è scarsa e sono frequenti le nebbie locali. Rare invece le nebbie molto estese, cagionate dalla situazione atmosferica generale. Assai frequenti sono le nebbie nella parte occidentale della Germania e nei paesi costieri. Amburgo ha una media annua di 130 giorni nebbiosi, dei quali 52 d'inverno, 45 d'autunno, 22 di primavera e 10 d'estate, Kassel ha in media 123 giorni nebbiosi all'anno, in prevelenza d'autunno (38).

Quanto alle precipitazioni atmosferiche, la media generale per la Germania è, secondo G. Hellmann, di 690 mm. Nella Germania settentrionale è di 640, per la meridionale di 830 mm. Ma questi dati dicono troppo poco. Occorre considerare la distribuzione quantitativa annua. L'influsso dell'Oceano è considerevole a NO. dove si appalesa con un cielo più coperto, le piogge lente, lunghe, cadenti su vaste aree in tutte le stagioni, col massimo in autunno. In tutto il resto della Germania, soltanto nelle montagne si riscontrano condizioni paragonabili: invece le regioni basse sono piuttosto aride e le piogge più abbondanti vi cadono in forma di acquazzoni.

Le altezze di pioggia in generale diminuiscono da NO. verso SE., superano per lo più i 700 mm. a ponente e scendono a 400 a levante; però le forme del terreno influiscono non poco sulle precipitazioni. Nel bassopiano raramente esse superano i 700 mm. annui (nello Schleswig oltre gli 800) e nei bacini e nelle valli non raggiungono i 500 mm. Sui monti invece superano i 1000 mm. e poiché i venti umidi vengono in prevalenza da ponente, le precipitazioni cadono abbondanti sulle pendici rivolte a ponente (sono scarse su quelle esposte a levante) e sono maggiori nei rilievi di ponente che su quelli di levante. Sui Vosgi cadono, in media, 2600 mm. all'anno, sulla Selva Nera 2200 mm., sulla Selva Boema 1800 mm., sui Monti dei Giganti 1600. Il Brocken (Harz), bene esposto sul bassopiano per condensare l'umidità, raccoglie 1640 mm. annui. Riguardo alla distribuzione delle precipitazioni nel corso dell'anno, si può osservare che esse sono ripartite abbastanza uniformemente in tutte le stagioni. Vi è però nella quantità e nella frequenza un periodo annuo. La quantità è nettamente maggiore in estate che nelle altre stagioni. La massima si dà, di solito, in luglio; nella pianura alsaziano-badese in giugno, sulle coste del Mare del Nord e nella Prussia Orientale in agosto o in ottobre. Le più basse medie mensili corrispondono ai mesi più freddi (a oriente in febbraio, a occidente la minima si può avere anche in aprile).

Le piogge sono in prevalenza la conseguenza di minime barometriche in movimento, le quali provengono dall'Atlantico settentrionale e si spostano verso oriente a seconda dei venti dominanti e hanno una grandissima importanza nel determinare il tempo e lo stato medio atmosferico, perché ne dipendono le precipitazioni, la direzione del vento e la temperatura.

Da quanto si è esposto sin qui, è possibile trarre importanti conclusioni. Esaminando le normali degli elementi climatici ricavate dai dati raccolti nelle singole stazioni, nelle varie parti della Germania si riscontrano diversità di clima le quali permettono di dividere la Germania stessa in otto regioni climatiche. Il Wegener distingue una provincia climatica orientale, dove l'inverno è freddo, l'estate calda e le piogge sono estive, e la limita con una linea sinuosa che va da Kolberg verso la foce della Sprea. La regione o provincia climatica baltica è quella che si trova sotto l'influsso diretto del mare omonimo, e ha continentalità sempre maggiore verso E.: le piogge cadono nella tarda estate, l'autunno è caldo, l'estate fresca. Il territorio che è a mezzodì di questa regione sino al 51° N. e, a occidente, sino al meridiano 11°, forma la regione climatica centrale, zona di passaggio dal clima marittimo a quello interno. Il bassopiano di NO. forma la provincia oceanica del Wegener, perché più direttamente esposta all'influsso temperatore dell'Atlantico: e ha perciò mite inverno ed estate fresca. Il suo limite verso S. si può condurre fra Hannover e Osnabrück. A S. di questo limite, fra il Reno e il Meno, si stende la provincia detta dal Wegener erciniana, montuosa, dove le precipitazioni atmosferiche sono abbondanti e si riscontrano forti differenze locali. La provincia del Reno, che ha mite inverno ed estate fresca a N., e a S. inverni relativamente miti ed estati calde, comprende la pianura badese (altorenana), la massima parte del bacino idrografico del Neckar e la parte media e inferiore di quello del Meno. La regione climatica svevo-bavarese occupa tutto il resto della Germania meridionale: somiglia all'erciniana, ma è distinta da un grado maggiore di continentalità. Nelle Alpi tedesche, fra il Lago di Costanza e la Salzach, il clima presenta le caratteristiche alpine e il Wegener vi distingue una provincia alpina.

Così avvenne che il numero delle città con oltre 100.000 abitanti dal 1871 al 1925 diventò cinque volte maggiore e il numero degli abitanti delle città 8 volte maggiore.

La diminuzione attuale della popolazione (v. § 2) si deve in parte alle enormi perdite subite in guerra dall'esercito tedesco (2.036.000 tra combattenti caduti, dispersi o morti in seguito a ferite o a malattie) e all'aumento della mortalità nel periodo bellico, in parte alle perdite territoriali (70.579 kmq. con 6,5 milioni di abitanti, cioè quasi un decimo della popolazione che aveva l'impero nel 1914).

Quanto al movimento attuale, osserveremo che dal decennio 1871-1880 in poi, il numero dei bambini è relativamente diminuito (da 40,7 per 1000 abitanti è disceso a 22,5 nel periodo 1920-24), ma anche la mortalità è andata diminuendo (dal 28,8 al 15,2 per 1000); l'eccedenza delle nascite sulle morti da 11,9 nel decennio 1871-80, era salita a 14,3 nel decennio 1901-1910, la media del decennio successivo 1911-1919 precipita a 4,7, perché negli anni della guerra (1915-18) il numero delle morti fu molto maggiore di quello delle nascite, non soltanto in causa delle perdite belliche, ma anche per le cattive condizioni dell'alimentazione.

Gli stati della Germania. - Fino al 1918 la Germania era un impero federale. La confederazione comprendeva quattro regni (Prussia, Baviera, Sassonia e Württemberg), sei granducati (Baden, Assia, i due Meclemburgo, Oldemburgo e Sassonia-Weimar), cinque ducati, sette principati, tre città libere, e il territorio dell'impero, cioè l'Alsazia-Lorena; in tutto ventisei divisioni politiche principali, ma tutt'altro che semplici. Molti i residui del regime feudale che aveva smembrato il territorio della Germania in un numero pressoché infinito di signorie laiche ed ecclesiastiche. Ancora oggi, fatta eccezione della Sassonia che nel 1928 fece uno scambio territoriale con la Turingia e perciò non ha più exclaves enclaves, nessuno stato della Germania ha piena continuità territoriale: da ciascuno dipendono territori piccoli e grandi completamente disgiunti, e incastrati nel territorio di un altro stato, con quanti inconvenienti politico-amministrativi è facile immaginare.

Dal 1918, in seguito alla rivoluzione, la Germania è una repubblica federale, i cui singoli membri componenti, detti Länder ("paesi"), sono essi pure divenuti repubblicani. Il numero dei Länder è diminuito: gli stati della Turingia, la cui carta politica era un vero mosaico (Sassonia-Weimar, Sassonia-Gotha, Sassonia-Altemburgo, Sassonia-Meiningen, Reuss, i due Schwarzburg) si fusero in uno stato solo: "Land Thüringen". Il Coburgo (a sud della Selva di Turingia) si unì alla Baviera, Pyrmont (circolo del Waldeck) fu unito al Hannover (provincia prussiana) e lo stesso Waldeck (parte principale dello staterello) alla provincia prussiana di Assia-Nassau. Le provincie della Prussia Occidentale e di Posnania vennero per la maggior parte in possesso della Polonia: la striscia di territorio rimasta a occidente, alla Germania, costituisce oggi la marca, o provincia di confine, Posnania-Prussia Occidentale, e il territorio a levante della Vistola terminale che è la Pomesania (da non confondersi con la Pomerania) fu aggregato alla Prussia Orientale.

Gli stati confederati sono i seguenti: la Prussia, che è senza confronto il maggiore di tutti per area e per popolazione (quasi 300.000 chilometri quadrati e 38 milioni di abitanti), e si può dire lo stato senza dubbio più corrispondente a una grande regione naturale, perché almeno la maggior parte di esso si trova nel Bassopiano Germanico, benché penetri notevolmente nella media Germania e possieda il Hohenzollern, nella Germania meridionale. La sua area è tuttavia interrotta, anzitutto per il fatto che la Prussia Orientale rimane staccata dal resto dello stato per mezzo del corridoio polacco: oltre a ciò, vi sono discontinuità territoriali notevoli, benché di ben diverso significato politico: stati costieri come il Meclemburgo-Strelitz, con accanto il Meclemburgo-Schwerin e l'Oldemburgo, e stati inclusi ("enclaves") come la Repubblica d'Assia, l'Anhalt, il Lippe, lo Schaumburg-Lippe, il Brunswick e i territorî delle città anseatiche di Amburgo, Brema, e Lubecca interrompono la continuità territoriale della Prussia. Essa è lo stato egemonico, e Berlino è capitale della Prussia e dello stato germanico.

La Baviera segue, per grandezza, alla Prussia, ma a grande distanza (76.000 kmq., con poco più di 7 milioni d'abitanti) e appare nella sua estensione come un effetto di fattori geografici, poiché essa è essenzialmente lo stato formatosi nel territorio antistante alle Alpi (ed è omogeneo anche nel senso che gli abitanti appartengono allo stesso tipo somatico): dal territorio antistante alle Alpi la Baviera si estende a quello percorso dal Meno superiore, che al primo è strettamente legato. Il Württemberg (con 19.500 kmq. e 2 1/2 milioni di abitanti) comprende la parte maggiore della Svevia col bacino del Neckar che ne forma il centro. Il Baden, benché formazione storica dovuta ad abile lavoro diplomatico e a fortuna guerresca, è lo stato della riva destra dell'alto Reno. Sassonia, Turingia, e Assia sono i meno legati a condizioni naturali e piuttosto residui di pure divisioni politiche del passato: troppo interamente situati nell'Europa centrale, trovarono difficoltà a ingrandirsi.

La Sassonia è, per estensione, il quarto stato tedesco (15.000 chilometri quadrati con quasi 5 milioni di abitanti). In complesso, entro ai confini segnati dai trattati recenti, lo stato tedesco (Deutsches Reich) è formato da 17 stati, comprese le tre repubbliche urbane sopra nominate.

Il numero complessivo dei territorî staccati dallo stato da cui dipendono è, al presente, di 178: la Prussia ne ha 66 (non compresa la Prussia Orientale), il Brunswick 29, il Meclemburgo-Strelitz 12, l'Assia 11, Amburgo 10, Lubecca 9, il Baden 9, la Turingia 7, il Württemberg 6, l'Anhalt 6, il Lippe 6, il Meclemburgo-Schwerin 3, l'Oldemburgo 2, Brema 1, la Baviera 1. Oltre a ciò, assai frequentemente gli stati non coincidono con regioni geografiche e nemmeno con regioni etnografiche o parti di queste, e non di rado in un territorio omogeneo per le condizioni geografiche e la vita economica, s'intersecano la giurisdizione e la legislazione di più stati. Ora che non vi è più l'ostacolo delle case regnanti, sono in corso gli studî per dare alla Germania una nuova ripartizione politico-amministrativa, conforme ai bisogni della vita moderna.

Etnografia. - Germania inferiore. - Già Plinio il Giovane ci parla d'una popolazione di pescatori del Mare del Nord, i quali avevano costruito le loro abitazioni su colline artificiali elevate di pochi metri sopra il livello del mare: anche oggi, specialmente sulle isole del Mare del Nord troviamo gruppi di case costruite su piccole alture e, lungo la costa, serie di abitazioni di legno commisto a terra. Non mancano le cisterne per l'acqua già descritte da Plinio. Lungo tutta la costa i contadini hanno costruito fin dal Medioevo, con lungo e faticoso lavoro delle grandi dighe. Le masserie sono molto vicine le une alle altre: a ognuna di esse appartiene una striscia di terra, nella quale lo smaltimento delle acque è assicurato da un fossato sboccante in un canale principale. Il terreno è fertile e adatto all'agricoltura, ma viene sfruttato specialmente per l'allevamento del bestiame. Di queste opere di bonifica si ha notizia per la prima volta nel 1106 (bonifica dei dintorni di Brema); più tardi ne furono eseguite negli avvallamenti fluviali oltre il territorio del Mare del Nord fino alla Prussia Orientale e Occidentale, lungo il Weser e il corso medio dell'Elba e, durante i secoli XVII e XVIII, nelle paludi fra l'Oder e la Vistola. Tutte le masserie dei Frisoni (v. frisia) sono costituite da un edificio d'abitazione di forma rettangolare nel mezzo del quale si trova la cucina: ai lati si aprono le camere, spesso bene ammobiliate, un ambiente riscaldabile (Pesel) e i magazzini; delle grandi capanne accolgono il bestiame e i foraggi: i covoni di grano ammucchiati in esse a forma di grandi pile servono da sostegno al tetto di paglia. Nella Frisia orientale e nelle isole, l'abitazione e le capanne sono distanti fra loro: nello Schleswig invece i varî edifizî sono riuniti e formano un complesso unico con un enorme tetto a padiglione. Il color rosso dei mattoni, insieme col verde e il bianco delle finestre ornate di fiori, conferisce alle case un aspetto assai pittoresco come nell'Olanda; anche l'arredamento delle cucine mostra influssi olandesi; così, per es., il camino a grande cappa è ornato di maioliche di Delft e di altre suppellettili. Le pareti sono in parte rivestite di mattonelle colorate: in tutto il territorio costiero abbondano anche utensili da cucina d'ottone e di rame. Le pareti del salotto, specie nel territorio paludoso di Dieth, dove regnano gli usi della Sassonia inferiore, sono spesso rivestite di legno riccamente lavorato; nei villaggi poveri dei pescatori le pareti di legno e i mobili sono dipinti a colori vivaci. Per il riscaldamento si usa il cosiddetto Bilegger, stufa di ghisa, formata da piastre ornate di rilievi, sovrapposte le une alle altre a guisa di cassetti, che viene accesa dalla cucina. I costumi locali, caduti in disuso fin dalla metà del sec. XIX, erano varî e sfarzosi: le donne usavano ampie sottane a pieghe, per lo più rosse, giacchette pure pieghettate, senza maniche, e una specie di corpetto con maniche. Portavano sul petto e sulle spalle ricchi ornamenti d'argento e di oro e un cerchietto intorno all'occipite (il cosiddetto Ohreisen) per tenere fermo il fazzoletto da testa.

I Sassoni inferiori abitano per la maggior parte nell'interno più povero del paese, la cosiddetta Geest, nella Germania nord-occidentale, e come i Frisoni, si spingono anche nel territorio olandese. Verso sud il limite alla loro espansione è dato dalle catene montuose della Germania centrale; a oriente si sono spinti come coloni ben oltre l'Elba fino verso Stettino. Già dal sec. XIX si è cercato di rendere adatti alle colture periodiche i terreni paludosi e incolti che formavano parte della Geest della Germania inferiore; nel secolo XIX ampî tratti offrivano già pascolo a numerosi greggi di pecore. Il bestiame viene ricoverato sotto semplici tettoie sostenute da travi. I pastori, quando vanno ai pascoli, non portano con sé che un lungo mantello a collo rialzato, un bastone al quale è legata una ciotola per bere, un vasetto di corno per unguenti, la fionda e il sacco di pelle. Nelle regioni boschive viene praticato fin dai tempi più antichi l'allevamento dei maiali nonché l'apicoltura. Di tutti i gruppi germanici i Sassoni inferiori sono quelli rimasti più attaccati alla loro terra. A occidente del Weser si erano stabiliti in case isolate: solo nel cosiddetto Hellweg, fra Dortmund e Lippstadt, sono sorti già dal tempo dei Carolingi una serie di villaggi irregolari e lo stesso si osserva nel territorio dell'Elba. Nelle zone di confine con gli Slavi, essi hanno forma circolare, evidentemente a scopo difensivo: le case sorgono intorno a una piazza sulla quale si aprono la chiesa, il luogo di riunione per le deliberazioni, la casa comunale e il prato dove si riunisce il bestiame. Nello Schleswig la piazza di questi villaggi è quadrata; nelle plaghe paludose del Meclemburgo e della Pomerania le abitazioni sono spesso allineate l'una accanto all'altra. Un carattere del tutto speciale viene ancor oggi conferito al paesaggio per lunghi tratti dai mulini a vento. Le provvigioni più necessarie venivano talvolta conservate in granai costruiti a guisa di torri, ma in generale la casa sassone accoglie uomini, bestiame e provviste. Il grande tetto di paglia poggia su una doppia fila di sostegni, oltre i quali esso si protende ancora per un buon tratto verso terra. Le costruzioni più recenti, sotto l'influsso della Germania centrale, presentano tipi a più piani di molto buon gusto architettonico e pareti di mattone con impronte ornamentali. L'ampio portone d'ingresso porta a un grande atrio centrale aperto fino all'altezza del tetto. Ai due lati sono le stalle; in fondo si apre l'abitazione propriamente detta. Nella cucina il focolare era in passato generalmente vicino alla parete: su di esso sporgeva una cornice di legno con teste di cavallo intagliate, alla quale venivano appesi ad affumicare carne e lardo, e un uncino dentato di ferro per la caldaia. Gli antichi costumi di fabbricazione domestica caddero a una certa epoca quasi del tutto in disuso. Caratteristiche sono le ampie casacche bianche di lino che gli uomini portano tuttora nel lavoro, cappelli a larghe falde, berretti di pelo, e anche i cappelli di paglia e le ampie gonne di lino che le donne usano ancora in certi luoghi all'epoca della raccolta. I costumi da festa maschili dello stile del sec. XVIII sono spariti del tutto, mentre quelli femminili, specialmente nel territorio fra l'Elba e il Weser inferiori e intorno a Schaumburg conservano ancora antiche fogge a colori caratteristici; le gonne sono preferibilmente rosse: per la comunione si portano in capo fazzoletti bianchi, l'azzurro vale per il mezzo-lutto.

Germania centrale. Ancora in alcuni luoghi della Germania centrale, presso Siegen e Treviri, si conserva una forma medievale di silvicoltura: i boschi di querce vengono divisi in piccole parti che il rispettivo proprietario deve dissodare e quindi coltivare per alcuni anni dopo di che vi lascia di nuovo crescere il bosco. Per l'aratura viene adoperato un semplice aratro a uncino o solamente una zappa. Sui monti si trovano ancora le vecchie forme di villaggi più o meno serrati; le masserie sono in parte costituite da un unico edificio con tetto largo a due spioventi poco inclinati: sul davanti si apre l'abitazione composta di cucina, stanze da letto e dispensa. sul dietro l'aia e la stalla. Soltanto nell'estremo occidente, come nel confinante territorio romanico, si trova la cucina con il grande focolare che attraverso un'apertura praticata nella parete serve a riscaldare anche il tinello. Altrimenti s'incontra dappertutto la masseria francone con la stanza fornita di stufa situata presso la cucina, mentre sotto o vicina a questa è la stalla: il granaio è del tutto separato. Nelle fertili regioni dell'Assia e della Turingia si trovano villaggi costruiti con molto buon gusto architettonico: le case hanno di solito varî piani. In alcuni luoghi era assai sviluppata l'industria del legno e dell'intaglio dei mobili. Particolarmente originali erano anche i ricami che ornavano i costumi, portati ancor oggi dalle donne per le feste, e le camicie, pure ricamate, che venivano regalate ai giovani alla maggiore età. Nei giorni di sagra, dopo il raccolto, venivano organizzati dai giovanotti, secondo l'antica usanza, il corteo e le danze dei villici e degli invitati. Nelle regioni montane della Turingia, ricche di boschi, l'industria del giocattolo e del vetro soffiato costituisce fino da antico tempo uno dei mezzi di sussistenza della popolazione. Gli oggetti di vetro che ornano gli alberi di Natale di tutta la Germania provengono per la maggior parte da questa regione. Nei territorî renani, fra Düsseldorf e Karlsruhe, nella regione della Mosella, del Meno e del Tauber fino a Norimberga, si è sviluppata una forma di vita economica e culturale più progredita. Già i Romani trovarono presso gli Alemanni della regione del Meno case e cortili costruiti secondo le loro stesse norme e con l'aggiunta della villa rustica ne è derivata la tipica costruzione francone formata da un edificio d'abitazione con l'ingresso dal lato della grondaia e stalle annesse, un granaio disposto trasversalmente e unito con il frantoio e altri casamenti: tutte queste costruzioni formano i lati d'un quadrato che viene chiuso sul davanti da un grande portale munito di una porta secondaria più piccola. L'arte edilizia popolare conserva tratti caratteristici dell'architettura cittadina del Rinascimento e del Barocco. ll tinello che viene riscaldato dalla cucina è dappertutto l'ambiente migliore della casa. Lo stesso progresso nella vita del popolo si osserva fin nell'interno della Sassonia e della Slesia. La Sassonia è il principale territorio di diffusione dei Rundlinge (villaggi rotondi), mentre oltre questa si hanno in prevalenza villaggi su strada o a ferro di cavallo. In alcuni luoghi, specialmente nella Slesia, le case coloniche sono allineate l'una accanto all'altra per il dissodamento dei terreni boschivi, nei quali, come avviene nelle regioni paludose, è assegnata a ogni contadino una larga striscia di terreno annessa alla sua fattoria (Waldhufendörfer). Nella Germania nord-orientale, colonizzata da emigrati di varie parti del vecchio territorio tedesco, questi hanno trasportato le loro tradizionali forme di abitazione, con piccole varianti: nella Pomerania meridionale si ha una variante della casa sassone, nella quale i vani d'abitazione, con la cucina e il tinello, occupano talvolta un intero lato del fabbricato, come nella Germania centrale. I Tedeschi centrali hanno diffuso il tipo della masseria francone su vasti territorî. Si trovano qui fuse la costruzione in travatura (Blockbau), caratteristica fin dai tempi antichi delle regioni orientali, con il palancato proprio dei paesi occidentali, che viene applicato alle pareti con effetti assai pittoreschi. Nella regione fra la Vistola e l'Oder le case hanno sulla facciata o su un lato loggiati a colonne, nei quali si vuol riconoscere una derivazione dall'antica casa indo-germanica a porticato. Nella Slesia, come tra gli Slavi di confine, si riscontrano sporadicamente forni e cucine serviti dal tinello, tipi proprî dell'Europa orientale. Le industrie sono fiorite specialmente nella Slesia e nella Sassonia, ricche di città; anche l'ornamentazione dei mobili, per lo più variopinti, ha raggiunto qui un livello artistico notevolmente alto. La produzione di maioliche fu favorita in parecchie località dal ritrovamento di giacimenti d'argilla ricca di caolino. Nelle regioni boschive e specialmente nei Monti Metalliferi si sviluppò e sussiste ancora un'industria domestica a carattere artistico che produce, oltre ai giocattoli, piccole costruzioni a piani (piramidi di Natale), lampadarî, ecc. I vecchi costumi, salvo poche eccezioni, quali gli abiti dei coltivatori di grano della Pomerania, le fogge vendiche nello Spreewald e gli abiti da festa usati nella Slesia, sono andati tutti in disuso. Per il taglio e la forma anche il costume slavo si riconnette a quelli della Germania occidentale; i fazzoletti bianchi che le donne usano per ripararsi dalla pioggia durante i periodi dì lutto, diffusi fino nel territorio francone orientale, potrebbeero avere una origine indigena.

Germania superiore. Le forme degl'insediamenti seguono qui le stesse regole notate altrove: nella pianura prevalgono i villaggi su strada o compatti, mentre le forme della masseria e dell'abitazione seguono specialmente il tipo francone: non mancano tuttavia dimore isolate. Nel territorio bavarese il tipo di insediamento a masserie isolate e piccoli centri dalla montagna si estende anche nella zona prealpina. Un tipo di casa molto antico si trova nella Selva Nera; si tratta d'un unico edificio nel quale l'abitazione, l'aia e la stalla sono riunite sotto un alto tetto di paglia sostenuto da grandi pilastri laterali. Questa costruzione si è sviluppata senza dubbio su una base germanica comune alle forme del nord e dell'occidente; così pure la grande casa unitaria bavarese, diffusa generalmente nella regione a sud di Monaco e di Augusta, mostra la stessa parentela nella costruzione dei pilastri per il tetto, il quale però è meno inclinato ed è coperto da assicelle di legno tenute ferme da pietre. A nord del Danubio questo tipo di casa fa parte d'una masseria di tipo francone. Nell'Oberland bavarese gl'influssi italiani hanno introdotto la pittura a fresco sulle pareti. Nei villaggi alpini, specie nella Baviera superiore, le ricche masserie conservano vere raccolte preziose di suppellettili artisticamente lavorate, armadî, cassepanche e cofani scolpiti e dipinti, che, fabbricati per la maggior parte a Tölz sull'Isar, venivano portati per via fluviale assai lontano. Crocifissi, figure di santi, giocattoli, furono e sono esportati dall'Ammergau e da Berchtesgaden in tutta l'Europa e anche oltremare: in alcune vallate di questa regione si conservano ancora i vecchi pittoreschi costumi che vengono indossati nei cortei nuziali e nelle solennità religiose (festa di S. Leonardo). Il costume originario della regione del lago di Schlier si è diffuso nella Baviera superiore divenendo una specie di moda alpina.

Molti usi e costumi con forme particolari sarebbero da ricordare per varie parti del paese. I Tedeschi meridionali bevono specialmente birra e mangiano pane di segala assai scuro; il burro viene salato per conservarlo; nell'occidente invece non si conosce il burro salato, si mangia pane bianco ed è preferito il vino alla birra. Nella regione del Reno sussiste il vecchio uso, in maggio, delle aste nuziali (Maibrautschaft), nelle quali le ragazze vengono per gioco poste all'incanto. Abbastanza generale è l'usanza di trasportare il corredo della sposa su carri riccamente ornati. Come dimostra W. Mannhardt, tutte le usanze a ricorrenza annuale appartengono a un ciclo europeo e sono diffuse quasi senza varianti in tutta la regione tedesca: ogni classe professionale ha però le sue particolarità, quali la viticoltura, l'agricoltura, la pastorizia, la pesca. Simili fra loro sono nelle diverse parti di queste regioni le mascherate invernali, nelle quali i partecipanti si camuffano da caproni e l'inverno viene rappresentato dal Knecht Ruprecht coperto di pelli, come pure i corrispondenti riti primaverili con un orso avvolto in una singolare veste di gusci di piselli. Le maschere di legno artisticamente intagliate per queste figurazioni di demoni vengono fabbricate esclusivamente dai giovani dei territorî alpini. Da qui viene pure l'uso dell'albero di Natale adottato poi in quasi tutta la Germania protestante. Molto diffusa è l'accensione di fuochi in epoche differenti a seconda delle regioni. Specialmente nella Germania meridionale e occidentale il carnevale è anche più animato che altrove; le donne vi hanno la loro festa particolare; vengono portati in giro aratri e tronchi d'albero e sui fiumi sono celebrate feste dei pescatori e dei naviganti che ricordano le antiche usanze. La figurazione dell'inverno con un fantoccio che veniva distrutto all'inizio della primavera, sembra fosse un costume diffusosi da occidente verso oriente: presso gli Slavi occidentali, anzi, esso è praticato ancor oggi.

In base alle pratiche religiose le regioni cattoliche della Germania differiscono essenzialmente da quelle protestanti. Nei territorî cattolici l'arte religiosa, il lavoro d'intaglio dei presepî, le rappresentazioni sacre sono tutt'oggi praticate dal popolo: numerosi i pellegrinaggi religiosi e le offerte di doni votivi.

Distribuzione e densità della popolazione. - La densità media generale di popolazione per chilometro quadrato è di 134, ma la popolazione è lungi dall'essere uniformemente distribuita. Infatti se prescindiamo dal circolo urbano di Berlino e dagli staterelli costituiti dalle città di Amburgo, Brema e Lubecca, troviamo che alcuni stati e provincie hanno una densità superiore alla media generale: lo stato di Sassonia ha 333 ab. per kmq., la Renania 297, la Vestfalia 236, l'Assia 175, il Baden 153, l'Assia-Nassau 146, l'Alta Slesia 142, la Turingia 136. Al di sotto della media generale stanno invece il Württemberg (132), la provincia prussiana di Sassonia (129), la Bassa Slesia (117), il Brandeburgo senza Berlino (66), lo Schleswig-Holstein (100), la Baviera (97), il Hannover (82), la Prussia Orientale (61), la Pomerania (62), il Meclemburgo-Schwerin (51). Se poi si calcola la densità media per aree ancora minori (distretti) o addirittura si scende alle più piccole circoscrizioni amministrative, allora le grandi città e i loro immediati dintorni dànno una densità di oltre 200 abitanti per kmq., e i territorî più popolati sono quello industriale della Vestfalia e della Renania, il distretto della Saar, il corso inferiore del Meno, il bacino del Neckar, molta parte della Sassonia, e la zona industriale della Slesia. Densamente popolate (da 100 a 200 ab. per kmq.) sono tutte le rive del Reno e del Neckar, la valle del Meno sino a Schweinfurt, il bacino di Norimberga, le sponde del Danubio a monte di Ratisbona, la Turingia e la Slesia. Invece la popolazione è rada (da 25 a 50 abitanti per kmq.) all'orlo delle Alpi, nella Selva Nera meridionale, in buona parte del Giura Svevo-Francone, nell'Eifel, nei monti dell'Assia e anche nella Germania di NO., eccettuate beninteso le città portuarie nel ripiano baltico. Ancora più rada è la popolazione (meno di 25) in gran parte delle Alpi Tedesche, nella Brughiera di Luneburgo, a NO. di questa, nel ripiano lagoso del Meclemburgo, nella Piccola Pomerania e in parte della Prussia Orientale. Tutte le altre regioni della Germania hanno cifre vicine alla media generale. Sicché si hanno due zone di scarsa densità: la prima a settentrione, cioè il Bassopiano, dove solo nelle città come Brema, Amburgo, Berlino, Stettino vi è un assai notevole addensamento; la seconda a mezzodì, nelle Alpi, nel ripiano subalpino, nel bacino della Franconia e nei monti dell'Assia. Fra queste due zone, ve n'è un'altra di più elevata densità. Essa dalla Slesia polacca, lungo il margine delle Montagne Medie, passa a N. dei monti dell'Assia.

È facile darsi ragione d'una tale distribuzione della popolazione. La fertilità del terreno vi ha un'importanza subordinata, fatta eccezione delle montagne alte e di qualche parte delle medie e della Brughiera di Luneburgo, dove la scarsa densità dipende dalla sterilità del suolo. Sull'alto Reno tedesco, sul basso Meno e nella Turingia, il clima, la natura del suolo e il modo di coltivare e di abitare agiscono come fattori favorevoli all'addensamento. Le industrie evidentemente costituiscono il fattore più importante nel determinarlo. Sono poco popolati i territorî esclusivamente agricoli, specie quelli in cui predomina la grande proprietà, come ad oriente dell'Elba. Di regola l'industria non può svilupparsi se non dove la popolazione, appena l'industria si è stabilita, può aumentare per l'affluire di lavoratori dalle regioni prive d'industria. Questo fatto diede a sua volta impulso a un maggiore incremento industriale.

Distribuzione e caratteri generali dei centri abitati. - Alla ripartizione della popolazione è anche correlativa quella delle sedi, quanto al loro numero e alla grandezza. È però facile osservare che sullo sviluppo degli agglomeramenti la posizione di determinati luoghi rispetto alle comunicazioni esercitò un influsso considerevolissimo, indipendente dalle altre condizioni che agirono sul grado d'addensamento in una determinata regione. Infatti, in territorî che offrono relativamente poco, e perciò sono poco densamente popolati, si dànno centri urbani che una buona posizione geografica fece ingrandire: Berlino, Amburgo, Brema e anche Norimberga e Monaco, ne sono esempî. Ma prima di trattare dei fattori dai quali dipese la formazione dei centri urbani, è necessario prendere in considerazione le minori forme d'insediamento, cioè abitazioni isolate e casali, villaggi e borgate. E questo esame dovrà logicamente essere preceduto da quello dei tipi d'abitazioni tradizionali di cui si compongono i minori centri della Germania.

Le forme dell'abitazione rurale. - Anche in Germania vi è una relazione strettissima fra la natura del paese e i materiali di cui sono costruite le case. Secondo la diversa natura litologica del paese, diverso è il materiale da costruzione: lave basaltiche nella zona vulcanica, come nell'Assia, arenarie triassiche o cretacee dove queste rocce (media Gerinania) sono estese, massi erratici di varia composizione nella bassa Germania. Materiale da costruzione della casa rurale molto usato in passato, era il Lehm impastato con paglia: era un modo abbastanza semplice di costruire abitazioni. E tuttora, specialmente a oriente dell'Elba, se ne incontrano; in passato erano frequentissime e pare che questo sia un modo di costruire degli Slavi. Ma poiché dopo il 1870 si è avuto uno straordinario progresso economico, questo tipo di costruzione è divenuto sempre più raro. Nella casa rurale tedesca ha una grande parte il legname. La vecchia dimora tutta di tronchi d'albero (Blockhaus) è quasi scomparsa. Ma il legname forma lo scheletro della parte sopraterra della casa rurale anche dove scarseggia sul posto. Infatti tipica è la costruzione fatta nella parte inferiore di muratura, e nella parte superiore d'uno scheletro di legname, per la ragione che il legno difende, molto meglio dal freddo e dall'umidità (Fachwerk); gli spartimenti fra le travate si riempiono con argilla, con mattoni o con pietre. Questo modo di costruire scompare nei luoghi montuosi, dove tutta la casa è materiata di legname, o almeno il muro a spartimenti è rivestito di tavole. Il legno difende contro le intemperie della montagna, perciò lo si adopera largamente anche dove le buone pietre abbondano. Queste costituiscono il materiale da costruzione nei centri urbani, dove tuttavia esistono ancora non poche case con i muri a spartimenti. Anche i laterizî hanno largo impiego nelle costruzioni urbane, specialmente ove le buone pietre difettano.

Cominciamo dalla casa alpina. Essa ha tetti inclinatissimi, lunghi, spioventi, perché la neve non vi si fermi e non li sfondi. Il tetto è di scandole (tavolette di legno). Inoltre il tetto sporge in una grande grondaia, e vi è un ballatoio che gira intorno a tutta la casa o a gran parte di essa. La porta d'ingresso, poi, non si trova in uno dei lati maggiori, ma in uno dei minori del rettangolo. Il tetto molto sporgente serve anche per tener la legna all'asciutto, per poter lavorare fuori di casa e al coperto. Nell'interno i varî locali (locali d'abitazione, stalla, ripostigli) sono tutti sotto un unico tetto. Non si notano costruzioni accessorie intorno al cortile, sì che la stalla non è separata dall'abitazione dell'uomo. Assai somigliante è il tipo dello Schwarzwaldhaus, la casa della Selva Nera, che è tutta costruita in legname, mentre invece la casa alpina consta anche in parte di muratura.

Allontanandosi dalle parti montuose più elevate, nella media Germania si trova la casa turingo-francone: ivi è separata la dimora dell'uomo da quella degli animali, e l'esistenza d'uno spazio centrale circondato dall'abitazione e dai fabbricati rustici accessorî, è la vera e propria corte (Hof) a cui per una porta accedono i carri e per una porticina adiacente le persone. Entrati nel cortile, si nota che questo è uno spazio rettangolare, ai cui lati sono disposti la casa d'abitazione che guarda con la facciata principale sul cortile stesso (ciò per ragioni di opportunità che dipendono dai lavori, dalla sorveglianza che il padrone deve esercitare), le stalle e gli accessorî, come è stato già accennato trattando dell'etnografia (Germania centrale). Le finestre sono grandi. Esteriori al cortile sono gli appezzamenti coltivati a orto. In molte parti della Pianura Padana e in parecchi altri paesi si ripetono simili disposizioni intorno al cortile: ciò soddisfa a ragioni pratiche evidenti. Nella Germania settentrionale, specialmente verso ponente, vi è la casa sassone (basso-sassone). Come la casa alpina, questa è una costruzione unica, cioè sotto un solo tetto vi sono l'abitazione dell'uomo, quella degli animali e i ripostigli di varie specie, come già s'è detto nel capitolo etnografico (Germania inferiore). Le disposizioni interne sono però diverse, e la casa del Bassopiano è difesa intorno da molti alberi contro il vento fortissimo che viene dal mare e gli alberi funzionano forse anche da parafulmini, data la frequenza dei temporali.

Le forme d'insediamento. - Or ora vedemmo come alle differenze dialettali corrispondessero abbastanza bene differenze nel modo di costruire la casa rurale. Non minore attenzione dobbiamo rivolgere al modo con cui le case si aggruppano a costituire i centri.

Sotto tale riguardo, dobbiamo distinguere: le dimore isolate, i villaggi e le borgate, le città. Essi tutti ebbero origine in tempi molto diversi, coi quali variarono le forme esteriori. Per questa ragione, nella distribuzione dei tipi non sempre si possono riscontrare aree nettamente distinte. In alcune parti della Germania le singole corti rurali sono isolate. Vi sono cioè regioni dove non esistono villaggi, e gli agricoltori vivono in dimore disgiunte, sui fondi che coltivano.

Alcuni ritengono che questo sia un modo di vivere conforme alle abitudini dei Germani antichi, e possibile in un territorio poco abitato, dove ciascuno dissodava sempre nuovi appezzamenti, ma altri, specialmente il Meitzen, ha notato che tali dimore nella Germania si trovano specie nella regione da prima abitata dai Celti, e precisamente nella Germania a O. del Weser. Queste dimore si dicono Einzelhöfe. Dimore isolate sono frequenti anche nella Baviera meridionale e nella Svevia e anche nella Selva Nera e nell'Odenwald e dipenderebbero dai movimenti migratorî delle popolazioni germaniche, o anche da condizioni d'ambiente.

Quanto ai villaggi, se si confrontano le carte topografiche al 25.000 che li rappresentano, si osserva che la loro planimetria, cioè la disposizione reciproca delle case e delle strade, si può ridurre ad alcuni schemi o tipi. Alcuni villaggi hanno una planimetria che dipende da un disegno prestabilito, altri villaggi invece sorsero spontanei, e questa spontaneità rispecchiano nei particolari topografici. Il confronto si deve anche fare per riguardo alla fisionomia della sede, che dipende dall'aspetto generale delle case e dalla loro disposizione rispetto alle strade. Ma una spiegazione soddisfacente delle forme delle sedi non poté essere data se non completando i dati dell'osservazione con l'indagine storica.

I centri abitati sono formazioni storiche; è necessario pertanto stabilire in che modo e in che tempo si siano formati. L'età delle singole sedi (l'epoca di fondazione) si può più facilmente stabilire per le città su documenti o testimonianze, ma per i villaggi è meno frequente il caso che se ne trovino. Tuttavia per alcuni fu possibile. Ma una via per stabilire l'epoca di fondazione, almeno approssimativamente, è data dalla glottologia, precisamente dalla toponomastica, perché i nomi, nella forma in cui sono pervenuti sino a noi, dànno indizî sicuri dell'epoca di fondazione. L'Arnold, studiando i villaggi con questo metodo, ha stabilito che le epoche di formazione dei varî villaggi si possono far risalire a un tempo anteriore alle invasioni barbariche. Sommo interesse desta il fatto che, essendo allora la Germania coperta in gran parte di selve e di paludi, mentre le aree scoperte e abitabili erano limitate dalle prime, in queste gli strati archeologici provano il succedersi e il sovrapporsi di popolazioni differenti che dovettero sempre approfittare degli stessi terreni disponibili. Tacito (Germania, 16) parla delle sedi dei Germani a lui note, altre notizie abbiamo da Cesare: la dimora isolata e il villaggio erano anche allora i due tipi fondamentali di sedi. La Germania caduta in potere dei Romani ebbe fiorenti città, cosa ignota ai Germani indipendenti di allora. D'inverno essi vivevano in buche sotterranee, che venivano protette contro il freddo con un coperto di fimo, come racconta Tacito. Invece nella Germania romana gli accampamenti delle legioni stanziate lungo la linea del Reno divennero città. Spira, Worms, Magonza, Treviri, Colonia, e nella Germania meridionale, Augusta e Ratisbona, sorsero nell'epoca romana. Ma delle città romane ben poco rimase al sopravvenire delle invasioni barbariche. Questo è un fatto storico di capitale importanza, anche per la storia delle sedi; e appunto il primo periodo dell'Arnold va dall'esodo dei Celti dal territorio germanico al 400 d. C., cioè alle "invasioni barbariche" dei nostri storici, o "trasmigrazione dei popoli", come più appropriatamente dicono i Tedeschi, rispetto alla Germania. I villaggi più antichi hanno il nome composto, per solito, con le radicali affa, aha, lar, loh, mar, tar: qualche denominazione si riferisce a particolarità topografiche naturali, però sono nomi di assai difficile interpretazione, perché riferentisi a parole estinte da gran tempo. I villaggi che sorsero fino alle migrazioni dei popoli hanno tutti radicali di tal genere. Alcuni altri nomi sono di origine celtica. Invece nel secondo periodo di fondazione di sedi, che si chiude con l'800, cioè con l'introduzione del cristianesimo, si formarono altri centri, i cui nomi più facilmente s' interpretano, e hanno queste terminazioni: -ingen, -ungen, -hai, -ithi, -au, -bach, -born, -berg, -brück,-furt, -stadt o-stedt, -büren, -hof, -dorf, -hein, -hausen. Ciò nella Germania ad occidente dell'Elba, dove lo stanziamento preso dopo le invasioni è stato mantenuto dalle varie popolazioni germaniche. A oriente dell'Elba e della Saale e in parte anche a occidente di questi fiumi, s'erano invece stabiliti gli Slavi: quelli prossimi al fiume si chiamarono Polabi (cioè dimoranti presso l'Elba; da po e Labe, nome slavo dell'Elba), gli altri Lechiti o Poloni (Polacchi) da polje "campagna"; parecchi nomi di villaggi e di città oggi tedeschi sono d'origine slava.

L'Elba e la Saale segnano un confine storico-etnografico importantissimo anche per riguardo alle sedi, in quanto il terrapieno di confine elevato da Carlomagno per fronteggiare gli Slavi, poco si discosta da queste linee naturali. In questo secondo periodo incominciano i grandi estirpamenti delle foreste primitive (circa al sec. VI). Nel terzo periodo che, secondo l'Arnold, incomincia col sec. IX, avviene un intenso dissodamento dei boschi; e questo periodo dura per l'Assia fino al sec. XII, per la Germania orientale fino al XIII: troviamo nei nomi di luogo la terminazione -rode (cfr. Rodung che significa "estirpamento") come anche -schwend, -hage (parole che pure alludono a bosco). Poi kirchen, ("chiesa", parola che corrisponde alla diffusione del cristianesimo), e poi -tal, -fels, -stein, -burg, nomi i quali stanno a indicare il fatto che le parti basse e piane non bastavano più a contenere la popolazione che era notevolmente accresciuta e si dovette stabilire sui monti. Queste distinzioni che sono state riscontrate soprattutto nell'Assia (Arnold) valgono presso a poco per tutta la Germania. In tal modo la toponomastica può dar valido aiuto per riconoscere il tempo in cui i villaggi si sono formati.

Ai periodi d'insediamento ora distinti corrispondono particolari forme di sedi. A questo punto dobbiamo considerare la distinzione dei villaggi rispetto anche al loro carattere planimetrico, ed esaminarne la distribuzione. Tutto il territorio dell'Europa centrale si può in generale distinguere in zone varie, secondo il tipo prevalente d'insediamento. Un tipo di villaggio molto interessante è il Haufendorf (Haufen "mucchio"): cioè villaggio agglomerato. Questa denominazione si riferisce alla disposizione reciproca, irregolarissima, delle strade e delle case. Il Haufendorf è caratteristico della zona a occidente del confine stabilito da Carlomagno. Questo tipo di villaggio, per il sistema economico, non però a esso esclusivo, è detto anche Gewanndorf (gewinnen, "conquistare"). Le corti o dimore rurali, una trentina, sono irregolarmente ammassate, disgiunte le une dalle altre e disposte senza ordine prestabilito, come avviene in formazioni spontanee; attorno c'è la campagna coltivata. Più in là si trova il terreno che non si coltiva e che in origine era proprietà comune.

La denominazione di Gewanndorf allude al sistema comunitario da cui il villaggio ebbe origine: si tratta di centri costruiti da uomini liberi che si costituirono in comunità e si divisero, secondo principî di parità (diritto comunitario o di compartecipanza), il terreno conquistato con fatiche comuni alla boscaglia e alla palude, detto appunto perciò Gewanne. Il complesso dei coltivati intorno al villaggio è detto Flur ("campagna"). Il villaggio era retto da un consiglio della comunità. Nei varî tratti di terreno conquistato si trovavano naturalmente differenze (più o meno fertile, più adatto a questa oppure a quella coltivazione): ogni specie di area coltivabile dissodata costituiva una Gewanne. Il consiglio della comunità stabiliva quale coltivazione si doveva fare in ciascuna Gewanne, in cui ogni famiglia usufruiva di una parcella da mettere a coltura: il genere di coltura era imposto dal consiglio stesso (Flurzwang). P. es., si doveva coltivare segala soltanto, oppure lino, ecc. Le parcelle di terreno erano affidate alle famiglie mediante l'estrazione a sorte. In tal modo ogni famiglia aveva una parcella in ogni Gewanne. Il complesso degli appezzamenti di ogni famiglia sparsi nelle varie Gewannen si diceva Hufe. Questo villaggio è particolarmente caratteristico della Germania occidentale e sebbene le condizioni della proprietà siano mutate, esso conserva l'impronta della sua origine. Talvolta l'agglomeramento è assai più piccolo e si dice "Weiler", caratteristico di alcune parti della Germania meridionale. Non arriva a essere un villaggio. L'origine romana è stata ammessa da qualcuno, ma non è comprovata. Il Weiler si trova anche in Alsazia. Vi sono poi da considerare i Reihendörfer, cioè "villaggi a catena", sviluppati nelle valli montane e specialmente lungo i corsi di acqua, dove per abitare si faceva diboscamento per iniziativa di feudatarî: a ciò allude la denominazione di Waldhufendörfer con cui sono pure conosciuti. Sono molto più recenti dei villaggi agglomerati. Lungo il corso d'acqua fu aperta una strada e accanto alla strada sorsero le varie corti rurali (Höfe) in file lunghissime. Relativo a ogni corte è un fondo fatto come una striscia che risale il pendio corrispondente della valle. Questo tipo di villaggio è, si può dire, diffluso in tutta la Germania. Ora invece vediamo i tipi di villaggi a levante dell'Elba e della Saale. C'è anzitutto da considerare lo Strassendorf: le case sono allineate lungo diverticoli congiungenti due strade principali, o lungo una sola strada. Le sue origini pare risalgano alla colonizzazione franca: furono costruiti sulla base della divisione del terreno in appezzamenti di eguale estensione, cioè secondo un piano che richiama quello del villaggio a catena. Tutta questa zona è inoltre di alto interesse per un altro tipo di villaggio: il villaggio rotondo, o Runddorf, o anche Rundling. Si trova sempre di là dal limes dell'Impero Carolingio, ma si fa meno frequente man mano che si procede verso oriente: nella Prussia e nella Posnania non ne troviamo più; invece si trova a occidente dell'Elba tra la Sassonia e la Turingia e la Franconia. Intorno a un'area centrale che comunica con l'esterno per mezzo di un'unica uscita, vi sono le case disposte in cerchio e una strada esterna gira tutt'attorno. Si può spiegare tale disposizione con un motivo essenzialmente difensivo. Siccome è frequente nella zona dove s'erano stabilite popolazioni slave, molti lo ritennero d'origine slava; sta il fatto però che se ne trova sull'Ems e nello Jütland.

La città, la "civitas", è caratteristica dei popoli civili: è un centro d'attività economica e intellettuale; corrisponde cioè a un'economia elevata. Non si può costituire se non a un nodo stradale importante, nell'economia di scambio. Ora, gli antichi Germani esercitavano economia puramente naturale, vivendo dei prodotti del suolo e dell'allevamento del bestiame ed essi non avevano se non villaggi e corti isolate. Le città sono dunque la forma d'insediamento più recente. A dir vero, esistono nella parte meridionale e in quella occidentale della Germania città le cui origini risalgono all'epoca romana, come s'è visto. Sino al sec. XI in Germania non c'erano che castelli, conventi, luoghi di mercato e villaggi. Divennero città alcuni luoghi ben situati su vie naturali importanti, i quali erano in origine palatia regis, o anche curtes reali, unità economiche che servivano a produrre quanto occorreva al mantenimento dell'imperatore e del seguito. Al tempo di Carlomagno e sotto gli Ottoni, le antiche designazioni di civitas, urbs, oppidum, castrum, castellum appariscono con un senso diverso e non sempre ben chiaro. Così si chiamano civitas, urbs (forse) solo per l'importanza politica che ebbero, piccoli luoghi o semplici castelli, ma in maggioranza sono così chiamate le città fondate dai Romani. Prima del sec. XI c'erano già grossi agglomeramenti umani, ma questi non differivano, per l'aspetto e la vita loro, dai villaggi. Circa a quest'epoca apparisce la vita urbana che si sviluppa nei secoli XII e XIII, poiché, oltre all'agricoltura, sono sorti industrie e commerci. E i caratteri esteriori delle città furono il mercato e le mura. Città commerciali sorsero principalmente nella Germania meridionale, agli sbocchi delle strade alpine, per influsso della civiltà italiana, e anche sulle coste del Mare del Nord e del Baltico. Altre città furono invece "rurali", in quanto vivevano della campagna d'intorno e per la campagna stessa. Tuttora ve ne sono, per lo più nei punti un po' appartati dalle grandi arterie del traffico moderno. Durante le guerre religiose che deprimevano il commercio e l'industria, le città decaddero. Solo nel sec. XVIII, per opera dei principi e in parte degli stranieri profughi in Germania in causa delle lotte religiose, si ebbe un miglioramento agricolo e commerciale. Un vero e grande sviluppo urbano ebbe la Germania allorquando, nel sec. XIX, poté trarre vantaggi immensi dai suoi grandi giacimenti di ferro e di carbone. Alcuni villaggi e piccole cittadine divennero grandi centri di commercio e d'industria.

Centri che fortemente si svilupparono sino a divenire grandi città moderne sono quelli situati sui grandi fiumi della Germania settentrionale (come Brema, Amburgo, Stettino, Kiel, Lubecca, Rostock, Danzica, Königsberg) non propriamente alle foci, ma là dove la navigazione con trasporti marittimi deve essere sostituita con quella fluviale.

A questa zona costiera, succede, immediatamente a sud, una zona di bassopiano senza una spiccata articolazione del terreno e poco popolata. In questa zona non vi è che Berlino, a cui corrisponde, per la situazione analoga nelle bassure fluviali, Poznań (Posen) sul territorio polacco.

Ancora più a S., al margine settentrionale delle Montagne Medie, vi sono molti centri che costituiscono un terzo tipo geografico di città, costantemente situate allo sbocco delle vie che dai monti entrano nel bassopiano e specialmente là dove quest'ultimo forma insenature penetranti verso S. (Hannover, Brunswick, Magdeburgo, Colonia, Münster, Halle, Lipsia, Dresda, Breslavia).

Nelle montagne della Germania mediana e di quella di sud-ovest mancano condizioni favorevoli allo sviluppo di città veramente grandi. Relativamente alla densità della popolazione, non vi è grande accentramento, perché il terreno è fortemente smembrato in piccole individualità: benché ciascuna di queste abbia il proprio centro urbano, questo non ha potuto crescere oltre un certo limite. Sicché si può affermare che le Montagne Medie della Germania sono soprattutto caratterizzate dall'esistenza di piccole città. Più grossi centri urbani si svilupparono o dove convergono importanti strade (come Kassel, Magonza, e Francoforte sul Meno) oppure nel centro dei bacini (come Erfurt, Norimberga e Stoccarda), oppure ancora nella pianura renana (Mannheim, Karlsruhe).

Un altro tipo geografico di città è dato da quelle del Ripiano Subalpino, dove s'incrociano le vie che vengono dalle Alpi con quelle che sono disposte in direzioni circa parallele al loro margine (Monaco, Augusta.)

Non solo la situazione geografica, ma anche i caratteri planimetrici delle città germaniche si presentano degni di considerazione. Siano sorte come luoghi di mercato medievali nelle vicinanze di sedi preesistenti o anche da queste medesime o siano d'origine più recente, alle città della Germania meridionale e occidentale, manca in generale nella pianta qualunque traccia d'un disegno prestabilito come apparisce dalle strade strette e angolose, prive di direzione determinata. Invece la pianta di quelle città che furono fondate ex novo in località prescelte, ne rivela l'origine non spontanea. Quelle a oriente dell'Elba particolarmente presentano tali rassomiglianze fra loro, che alcuni studiosi parlarono di uno schema planimetrico urbano della Germania orientale. Le quattro strade principali furono tracciate nella direzione dei punti cardinali; e nel vertice d'incrocio sta il mercato; le strade mettono alle porte che si aprono nel circuito rotondo delle mura.

I comuni con oltre 50.000 abitanti sono i seguenti: Altona (227.433); Amburgo (1.079.126); Aquisgrana (155.816); Augusta (165.522); Bamberga (50.152); Berlino (4.024.286); Beuthen di Slesia (86.881); Bielefeld (114.180); Bochum (313.554); Bonn (90.249); Bottrop (82.159); Brandeburgo (60.953); Brema (294.966); Breslavia (599.770); Brunswick (146.725); Chemnitz (335.982); Coblenza (58.322); Colonia (700.222); Darmstadt (89.465); Dessau (75.073); Dortmund (525.837); Dresda (625.016); Düsseldorf (464.543); Duisburg-Hamborn (421.217); Elbing (68.206); Erfurt (135.579); Essen (629.564); Flensburg (63.146); Francoforte sul Meno (540.115); Francoforte sull'Oder (71.139); Friburgo (90.475); Fürth (74.195); Gelsenkirchen (330.186); Gera (81.402); Gladbach-Rheydt (193.529); Gladbeck (60.043); Gleiwitz (95.572); Görlitz (91.702); Hagem (143.701); Halle sulla Saal e (194.636); Hamm (50.040); Hannover (425.274); Harburg-Wilhelmsburg (105.765); Hindenburg d'Alta Slesia (122.671); Karlsruhe (148.063); Kassel (172.071); Kastrop-Rauxel (53.360); Kiel (213.881); Kottbus (50.600); Krefeld-Uerdingen (159.064); Lipsia 1684.728); Liegnitz (73.123); Lubecca (120.825); Ludwigshafen (101.869); Magdeburgo (297-151); Magonza (130.915); Mannheim (260.871); Monaco (685.036); Mülheim (128.830); Münster di Vestfalia (106.418); Norimberga (393.202); Oberhausen (186.322); Offenbach (79.362); Oldemburgo (52.723); Osnabrück (89.079); Pforzheim (78.937); Plauen (111.436); Potsdam (67.390); Ratisbona (76.948); Recklinghausen (84.609); Remscheid (99.755); Rostock, con Warnemünde (77.714); Solingen (135.706); Stettino (254.466); Stoccarda (343.048); Tilsit (50.834); Treviri (68.469); Ulma sul Danubio (59.357); Wanne-Eickel (91.024); Wattenscheidt (62.870); Wiesbaden Würzburg (95.113); Wuppertal (405.515); Zwickau (80.538).

Emigrazione interna ed esterna. - In Germania le emigrazioni interne, quando fu data libertà di emigrare e di stabilirsi altrove senza pagar tasse, aumentarono tanto che nel 1900 appena il 70% della popolazione era nativo del luogo. L'eccedenza delle nascite nelle regioni agricole si riversò su quelle industriali e sulle grandi città; le quali tutte contano una percentuale più o meno forte di abitanti che sono nativi d'altre parti dello stato. Così nella Vestfalia e nella Renania in non piccolo numero si stabilirono contadini polacchi provenienti dalle provincie orientali dell'impero, dove le grandi proprietà terriere dovettero a lor volta ricorrere alle vicine provincie dell'Impero russo che fornivano lavoratori prevalentemente temporanei. Il loro numero era di poco inferiore al mezzo milione negli anni anteriori alla guerra mondiale. Perduta quasi interamente la Posnania e la Prussia Occidentale, la Germania, nei suoi confini attuali, conta annualmente un numero molto minore d'immigrati temporanei slavi. L'aumento della popolazione, per effetto delle emigrazioni interne, fu assai forte nel Brandeburgo, ad Amburgo, nello Schleswig-Holstein, a Lubecca e nel Meclemburgo, nella provincia del Reno e nella Vestfalia, nello stato di Sassonia e in Turingia. I paesi di provenienza di tali immigrati furono le provincie orientali, il Brunswick, l'Anhalt, la provincia prussiana di Sassonia e la Germania meridionale, che pertanto soffersero una perdita. Né va trascurato il fatto che dall'Alsazia Lorena annessa alla Francia, dalla Prussia Occidentale e dalla Posnania entrate a far parte del nuovo stato polacco, molte migliaia di Tedeschi vennero a stabilirsi entro ai nuovi confini dello stato.

L'emigrazione all'estero, con la fondazione di colonie, è stata, si può dire, un fenomeno costante della popolazione tedesca. Cominciò in Europa fino dal Medioevo, perché alla sua popolazione sempre crescente la Germania non poteva dare spazio e alimento sufficienti. Tutta la parte orientale della Germania, in passato occupata da popolazioni slave e baltiche, fu lentamente e penosamente colonizzata. L'emigrazione, con la colonizzazione, si diffuse anche in Polonia e lontano dalla regione germanica: nel sec. XII avvenne la colonizzazione in Transilvania, dal sec. XVI al XIX le correnti migratorie si diressero nella pianura ungherese, nella Russia meridionale e nel bacino del Volga.

Di origine alquanto più recente è il movimento di emigrazione transmarina che incominciò nel sec. XVII, verso l'America. La guerra dei Trent'anni, la devastazione del Palatinato per opera dei Francesi, le annate sfavorevoli alla produzione agraria e le lotte politiche e religiose del 1848, diedero impulso a questo movimento. È stato calcolato che dopo il 1845, 7 milioni di tedeschi lasciarono la patria. Dal 1848, il movimento andò aumentando di anno in anno. Gli emigranti, in massima parte contadini, se ne andavano in massa, lasciando il villaggio nativo per stabilirsi oltre mare. Ciò rappresentò per la Germania una perdita considerevole, aggravata dal fatto che i Tedeschi per la loro adattabilità, facilmente si assimilano con la popolazione che li ospita. Né i poteri pubblici si preoccuparono di dirigere sistematicamente gli emigranti verso determinati paesi e di tenerli uniti politicamente.

Così i Tedeschi sono disseminati in tutte le parti del mondo: in Palestina (Templari del Württemberg); in Africa: nella provincia del Capo, nel Transvaal e nell'Orange e a Lourenço Marques; in Australia: nella Vittoria; nell'America Meridionale: nel Brasile (quasi mezzo milione); nella Repubblica Argentina (circa 50 mila a Buenos Aires) e nel Chile (circa 30 mila); nell'America Settentrionale: negli Stati Uniti (dove circa undici milioni di Tedeschi parlano ancora la lingua d'origine) soprattutto a New York (840.000), nella regione dei laghi (Milwaukee, Cincinnati) e nell'alto Mississippi, donde coloni tedeschi passarono nella provincia canadese del Manitoba. Tale movimento migratorio, per quanto d'intensità variabile, ebbe grande importanza per il commercio tedesco e per l'influenza esercitata dalla Germania nel mondo. Tra il 1800 e il 1883 l'emigrazione, in rapporto con l'aumento della popolazione, raggiunse l'apogeo (220.000 emigrati nel 1881). Ma questo numero elevato non si mantenne. Già nel 1885 erano emigrate solo 120.000 persone e nel 1890 vediamo il numero delle partenze ridotto a 22 .000. Anche negli ultimi venti anni prima della guerra mondiale, l'emigrazione si mantenne entro limiti ristretti (in media 30 mila persone all'anno), limiti molto inferiori a quanto non fossero allora l'emigrazione italiana, britannica, austro-ungarica o russa. Questa rapida diminuzione dell'emigrazione in uno stato dove tuttavia la popolazione andava aumentando, dipese dalla non meno rapida e grandiosa evoluzione economica: lo stato da agrario divenne industriale e aveva bisogno di tutti i suoi lavoratori. Durante la guerra mondiale, l'emigrazione cessò quasi del tutto, per ricominciare, e intensamente, dopo la conclusione della pace, causa le condizioni economiche del dopoguerra. È diretta specialmente agli Stati Uniti d'America.

Gl'Italiani in Germania. - Il censimento degl'Italiani all'estero eseguito alla metà del 1927 dà come presenti in Germania solo 21.205 Italiani, mentre alla vigilia dello scoppio della guerra mondiale viveva nell'Impero germanico una colonia permanente di oltre 100.000 Italiani. A questa è perciò anzitutto necessario accennare.

Lo sviluppo dell'immigrazione italiana in Germania fu, si può dire, correlativo all'accennata evoluzione economica del paese, avvenuta nella seconda metà del sec. XIX. Gl'Italiani che affluirono in Germania con ritmo sempre crescente, negli ultimi trent'anni del secolo scorso e nel primo quindicennio del presente, furono nella grande maggioranza operai e trovarono impiego nei lavori ferroviarî, in quelli di fortificazione iniziati nell'Alsazia-Lorena dopo il 1870, e poi soprattutto nelle miniere, nelle officine metallurgiche, nell'industria edilizia, nelle cave, negli stabilimenti tessili, ecc. Una parte di essi si recava in Germania ogni anno in primavera per far poi ritorno in patria nel successivo autunno: erano soprattutto operai dediti a lavori all'aperto, muratori, manovali, sterratori, ecc. Un altro gruppo era costituito da quegli operai che, dediti generalmente al lavoro delle miniere, delle cave, delle offine e degli opifici, rimanevano fuori della patria alcuni anni. Un terzo gruppo di Italiani - ma questo fu sempre molto esiguo - era formato da coloro che fissavano in Germania stabile dimora: minatori, commercianti od operai riusciti a divenire piccoli imprenditori di lavori. Essendo nella grandissima maggioranza operai, gl'Italiani immigrati in Germania si dirigevano negli stati tedeschi dove le industrie andavano prendendo maggiore sviluppo. I minatori trovarono lavoro soprattutto nelle minere di ferro e carbone della Slesia, della Vestfalia, della Renania, della Lorena, del Waldeck, dell'Assia-Nassau; gli operai metallurgici nelle officine della Lorena, della Saar, della Renania, della Vestfalia; gli operai tessili nella Baviera, nella Sassonia, ecc.; gli altri un po' dappertutto; la massima densità d'immigrati italiani si notava nella zona intensamente industriale costituita dal bacino della Ruhr.

L'immigrazione italiana in Germania prima della guerra mondiale era dunque caratterizzata da una grande mobilità, cui si accompagnarono anche brusche oscillazioni nel numero degl'immigranti, in corrispondenza a periodi di crisi e di successiva ripresa. Alla mobilità dei nostri emigranti, che non solo si rinnovavano continuamente, ma mutavano altresì con molta facilità il lavoro e il luogo di residenza, è da attribuirsi il fatto che non sorsero in Germania iniziative culturali (scuole, giornali, ecc.) e associazioni di importanza pari all'entità numerica dei nostri immigrati.

Per fissare con qualche cifra quanto si è detto, si hanno da una parte i dati delle rilevazioni eseguite in vario modo dall'Italia alla fine degli anni 1871, 1881, 1891, 1901, 1911, dall'altra i dati dei censimenti tedeschi del 1880, 1890, 1900, 1910: va però notato che gli uni e gli altri si riferiscono al mese di dicembre, cioè a quel periodo dell'anno in cui la massa d'immigranti che si tratteneva in Germania solo nella buona stagione aveva già íatto ritorno in patria. I dati delle nostre rilevazioni sono i seguenti: 1871: 3793; 1881: 7096; 1891: 15.411; 1901: 69.760; 1911: 104.204; quelli dei censimenti tedeschi sono i seguenti: 1880: 7841; 1890: 13.080; 1900: 67.760; 1910: 104.204. Dunque alla vigilia della guerra mondiale vivevano in Germania oltre 100 mila Italiani nella stagione invernale, ma essi salivano a quasi 200.000 in quella estiva.

L'emigrazione italiana in Germania cessò completamente allo scoppiare della guerra mondiale, anzi la grande maggioranza degl'Italiani che vi si trovavano rimpatriarono. Dopo la guerra, la crisi dell'industria tedesca, l'alto costo della vita che rende troppo esigui i salari percepiti dagli operai, e d'altra parte le restrizioni imposte all'immigrazione straniera dalle autorità tedesche, hanno ridotto in proporzioni assai modeste la nostra corrente emigratoria: il censimento del 1927, come già si è detto, ha trovato residenti in Germania solo 21.205 Italiani (e si noti che si riferisce al periodo dell'anno nel quale anche gl'immigranti stagionali dovrebbero esser stati computati): questi non rappresentavano che circa 1/60 del totale degl'Italiani all'estero residenti in altri paesi di Europa (di contro alla proporzione di oltre 1/9 del 1911!).

Come nell'anteguerra, anche adesso gl'Italiani residenti in Germania sono soprattutto operai; seguono agricoltori e addetti ai commerci e trasporti. I distretti consolari che contano in maggior numero gl'Italiani, sono i seguenti: Düsseldorf e Dortmund (6000), Monaco (4800), Dresda (3000), Stoccarda (1800), Mannheim (1000), Amburgo (1000), Breslavia (1000): erano queste (Renania, Vestfalia, Baden, Baviera, Sassonia, ecc.) tra le regioni nelle quali gl'Italiani erano più numerosi anche nell'anteguerra; ma l'Alsazia-Lorena, dove pure si dirigevano numerosissimi gli Italiani, non appartiene più alla Germania: se si considerasse questa nei confini di anteguerra, la cifra degl'Italiani in essa residenti sarebbe certamente molto più elevata di quella sopra riferita.

Quanto al numero degl'Italiani che annualmente lasciano l'Italia diretti in Germania, fu di 557 nel 1926, 951 nel 1927, 757 nel 1928, 555 nel 1929 e salì a 1533 nel 1930.

Condizioni economiche.

Prodotti del suolo. - Le forme di economia esercitate in Germania sono l'agricoltura, la selvicoltura, la caccia, la pesca, l'estrazione dei minerali, l'industria, il commercio e i servizî dei trasporti. Le statistiche dimostrano che dal 1870 in poi, la Germania è andata sempre più trasformandosi, come s'è detto, da stato agrario in industriale. La popolazione aumentava e il suolo non bastava più a nutrirla; perciò si dovette dare sempre maggiore incremento alle industrie, per esportarne i prodotti e poter importare materie prime e generi alimentari. Dai censimenti degli anni 1882, 1895 e 1907, risulta in continuo aumento la popolazione dedita alle industrie e al commercio, in diminuzione quella vivente dell'agricoltura e della selvicoltura. Mentre le percentuali relative alla popolazione occupata nell'agricoltura e selvicoltura risultavano, per gli anni indicati, rispettivamente 42,5%, 35,8% e 28,6%, l'industria, le miniere e le costruzioni occupavano rispettivamente il 35,5%, il 39,1%, il 42,8% della popolazione. Nel 1882 il 10% della popolazione viveva del commercio e dei trasporti; questa cifra era salita a 13,4% nel 1907. Dal 1882 al 1907 il numero delle persone attendenti all'agricoltura e alla selvicoltura diminuì del 13,9%, mentre aumentò (circa dell'8,5%) soprattutto il numero delle persone occupate nelle industrie, nelle miniere e nelle costruzioni (in minor grado, circa del 3,8%, crebbe il numero delle persone occupate nel commercio, nelle comunicazioni, negli alberghi, birrerie, ecc.).

Nelle gravi condizioni determinatesi dopo la guerra mondiale, come risulta dal censimento del 1925, è lievemente aumentata la popolazione agricola e lievemente diminuita quella industriale. Infatti, se per avere dati rigorosamente comparabili, nel calcolo delle percentuali relative al 1907 si esclude la popolazione perduta dalla Germania in seguito ai trattati di pace, risulta che entro ai nuovi confini, nell'agricoltura e selvicoltura era allora occupato il 27, 1% della popolazione, nelle industrie e nelle miniere il 44%: il censimento compiuto dopo la guerra mondiale diede il 30,5%, per l'agricoltura e la selvicoltura e solo il 41,4% per le industrie e gli artigianati.

Questa evoluzione dell'attività economica dipese dalla natura del territorio: le ricchezze minerarie resero possibile alle industrie un imponente sviluppo, al quale poté concorrere l'agricoltura medesima con le industrie che ne derivano. Lungi dal regredire, essa aumentò notevolmente la quantità dei suoi prodotti e ne migliorò la qualità, grazie all'applicazione di metodi sempre più razionali. Quasi ovunque le associazioni vegetali spontanee o perdettero terreno di fronte a quelle del tutto artificiali o furono profondamente modificate dall'uomo; tra queste principalmente i boschi. Col tempo fitte selve furono estirpate, ampie aree paludose prosciugate, così che solo pochi spazî non sono soggetti alla coltivazione: questi sono i boschi e i terreni sterili. Dell'area statale solo il 9,3% rappresenta i terreni improduttivi; di questa cifra però il 6,5% corrisponde agli spazî occupati dalle case, dalle vie e dalle acque, cosicché i terreni veramente inutili economicamente in Germania occupano soltanto il 2,8% dell'area del suolo; le selve rappresentano il 25,9%. I terreni coltivati (campi, orti, vigneti) comprendono il 48,8%; i prati occupano l'11%, i pascoli il 5%; sicché l'area complessiva da cui si traggono prodotti vegetali, corrisponde al 64,8%, cioè quasi 2/3 del territorio dello stato. In Europa, la sola Francia, col 67% d'area statale produttiva, in ciò supera la Germania. L'area coltivata è assai inegualmente ripartita. Le più vaste regioni coltivate si trovano nel Bassopiano, dove delle aree della provincia prussiana di Sassonia e dell'Anhalt è coltivato il 60%. Quivi il clima non pone restrizioni all'agricoltura, per modo che soltanto i sabbioni infecondi, i paduli e le torbiere, sono incolti. Le paludi hanno ancora notevole estensione nell'Oldemburgo, dove l'area coltivata rappresenta il 30% della totale.

Nel resto della Germania il terreno montuoso esclude le coltivazioni da aree considerevoli (particolarmente dalle parti più elevate) e perciò la produzione agraria delle montagne è limitata. In compenso, nelle Medie Montagne un magnifico mantello forestale riveste il 50% del suolo e più di un quarto della superficie totale dello stato è coperta di selve: secondo un calcolo del 1927, queste occupano infatti 12.654.176 ha. Oltre alle Medie Montagne or ora nominate, i territorî più ricchi di boschi sono le Alpi Bavaresi e le aree sabbiose del Bassopiano Settentrionale. Sono povere di boschi le coste e alcune provincie (Prussia Orientale). Negli ultimi decennî non poche superficie (brughiere, dune, falde montane) considerate improduttive dal punto di vista agrario, sono state artificialmente imboschite. Le essenze acifolie (pini, abeti, larici) occupano 2/3 della superficie boschiva e predominano nella più fredda parte orientale; 2/3 è di latifolie (specie il faggio; in minor quantità querce, betulle, ontani), che predominano nella Germania occidentale. Circa la metà dei boschi è proprietà demaniale e comunale. La selvicoltura tedesca segue i metodi moderni più razionali ed è la prima del mondo. I boschi della Germania forniscono molto e ottimo legname, il cui impiego dà vita a numerose industrie. Nei paesi boscosi sorgono molti opifici per la lavorazione e la trasformazione del legname. In Turingia segherie, fabbriche di carta e di cellulosa, nei Monti Metalliferi e nella Selva Nera l'arte dell'intaglio, giocattoli. Il legname non basta tuttavia ai bisogni e perciò se ne importa ogni anno dall'Austria, dalla Scandinavia e dall'Europa orientale. Il mercato più importante è quello di Amburgo.

L'importanza dell'agricoltura tedesca si vede già nel fatto che essa, nonostante la perdita di ricche superficie agrarie subita con la cessione dell'Alsazia e della Posnania, è in grado di produrre quanto basta alla popolazione per nove mesi dell'anno. Il più importante ramo dell'agricoltura è la produzione dei cereali, che occupano la maggior parte dei campi. Più particolarmente, si può dire che, in relazione con le condizioni climatiche, la Germania è sotto questo riguardo caratterizzata dalla prevalenza della segala e dell'avena sugli altri cereali. Nella Germania settentrionale, specialmente a NE. e a NO., la segala è coltivata in più della metà dell'area destinata ai cereali e nella regione dell'Ems su oltre il 70%. L'avena si coltiva in tutta la Germania e, poiché ama l'estate fresca e piovosa, sale sui monti sino a 800-1000 m. I terreni arginati e prosciugati (Marschen) della regione costiera di NO., la Slesia e la Prussia Orientale sono i paesi di maggior produzione. Del frumento, il clima esclude dalla Germania alcune varietà: esigendo suolo fertile e inverno mite, esso riesce meglio nella parte sud-occidentale, nella provincia di Sassonia, nel Brunswick e nella Slesia. Ma in più parti della Germania settentrionale, causa la grande estensione che vi hanno i terreni sabbiosi, la coltivazione del frumento ha un'importanza economica trascurabile. Nel Württemberg, nel Baden e nella Baviera si coltiva la spelta. Notevole importanza ha in Germania la coltivazione dell'orzo. Ottimo orzo da birra prospera fra il 45° e il 58° parallelo, nei terreni alluvionali argillosi e marnosi. Le maggiori estensioni date a questo cereale sono nell'Assia, nella Baviera, nel Württemberg, nel Baden e anche nella provincia di Sassonia, nell'Anhalt, nella Turingia e nella Sassonia.

La patata comune (Solanum tuberosum) ha in Germania come pianta alimentare e industriale (alcool, amido) un'importanza maggiore che in qualsiasi altro paese d'Europa: essa vi occupa il 12% dell'area coltivata. Rispetto ai cereali, ha lo svantaggio di non poter essere trasportata senza danni e perciò si coltiva soprattutto dove la popolazione è densa, cioè nei paesi industriali (lungo il Reno ed affluenti, nello stato e nella provincia prussiana di Sassonia, nella Slesia); è pure abbastanza estesamente coltivata sui monti e nei terreni sabbiosi della regione a oriente dell'Elba, dove anche se ne ricavano amido ed alcool. La Germania è al primo posto anche nella produzione della barbabietola e del luppolo. La barbabietola ha molta importanza nell'agricoltura tedesca anche per le benefiche ripercussioni che alle altre coltivazioni derivarono dall'accurata preparazione del terreno che la pianta esige. Essa è più intensamente coltivata nei territorî fertili. La zona di löss nei monti della media Germania, i terreni alluvionali lungo l'Elba e l'Oder, le pianure lungo il Reno e anche le Marschen della plaga di NO. sono i paesi dove la produzione è maggiore. Il luppolo è coltivato specialmente nella parte meridionale, e soprattutto nella Baviera e nella Franconia, dove a Norimberga n'è il mercato mondiale più importante. Una parte del luppolo si esporta. Un'altra pianta industriale coltivata in Germania è il tabacco. I territorî di maggior produzione del tabacco sono il Baden, il Palatinato Bavarese, la Media Franconia e l'Ukermark. La coltura però non ha più l'estensione che aveva in passato (dal 1882 al 1930 è stata ridotta da 27.250 ettari a 9164) nonostante che sia aumentato il consumo, a causa dell'aumento della popolazione.

Dei prodotti agricoli nominati il prospetto indica la superficie coltivata (in migliaia di ha.), la quantità prodotta (in migliaia di q.) e la produzione media per ha. negli anni 1911-13, 1929 e 1930.

La frutticoltura, l'orticoltura e la floricoltura sono possibili soltanto nei terreni fertili e dove esistono condizioni migliori per lo smercio: la valle dell'Elba presso Dresda, i bacini della Saale, del Meno e del Neckar, la pianura altorenana e la valle del Meno e in generale le valli riparate della Germania media e occidentale e, in quella settentrionale, i dintorni di Amburgo e di Stade e qualche parte del Brandeburgo, sono i territorî dove è più estesa la frutticoltura, che tuttavia si esercita in tutte le plaghe dello stato.

L'orticoltura ha le sue sedi più importanti presso Erfurt, nel Vierlande di Amburgo, nei dintorni di Bamberga, Brunswick, Lipsia, Dresda; ogni città un po' grande ha intorno a sé una zona orticola. Anche la floricoltura si fa principalmente intorno ai maggiori centri urbani e sui pendii bene esposti. Benché questi rami dell'agricoltura occupino parte considerevole del suolo, non bastano alle domande, perciò s'importano ortaggi dall'Egitto, ortaggi e frutta fresche dall'Italia, dalla Francia, dalla Cecoslovacchia, frutta secche dalla Iugoslavia e dagli Stati Uniti.

La viticoltura è possibile soltanto sui pendii soleggiati delle parti più calde della Germania, soprattutto nei paesi del Reno ed affluenti (riviera del Lago di Costanza, Mosella, Saar, Nahe, Neckar, Meno). Non ha più importanza economica nella Germania media e settentrionale, sicché i territorî più settentrionali ove si coltiva ancora con profitto sono nelle valli della Saale presso Jena e dell'Elba presso Meissen. La coltura della vite occupava (1930) 71.400 ha. (80.400 nel 1913); la produzione di vino, nello stesso anno, è stata di 2.814.000 hl. (1.548.000 nel 1913). L'importazione di vini dai paesi del Mediterraneo e dalla Francia è assai decaduta dopo la guerra.

Allevamento del bestiame e pesca. - La coltura di piante da foraggio con l'allevamento in stalla, prima della guerra mondiale era in continuo aumento per soddisfare al bisogno di avere sempre maggior numero di animali da carne e da latte, richiesto dall'aumento di popolazione e dal suo migliorato regime alimentare. Si fa principalmente nella Germania di NO., nelle Medie Montagne, nelle Alpi e nel ripiano subalpino. Nel 1930 le praterie artificiali e altre colture foraggere occupavano 3.376.350 ha. Nei territorî prossimi alle coste l'area dei prati supera quella a cereali. L'allevamento sui pascoli si riduce alle parti alte dei monti, alle sabbie della Geest (pecore) e alle alluvioni fertili delle Marschen.

Le statistiche relative all'allevamento del bestiame dimostrano che quello della pecora dal 1823 è fortemente diminuito. Ciò dipende da due principali ragioni: la lana è fornita dai paesi più adatti dell'emisfero australe e molti terreni da pascolo furono ridotti a coltura. Solo nella Pomerania, nel Meclemburgo e nella Brughiera di Luneburgo l'allevamento delle pecore ha ancora considerevole estensione. Dei bovini la razza della bassa Germania, pregiata per l'alto rendimento di latte non meno che per la sua adattabilità, si alleva in gran numero sui terreni arginati e prosciugati (Marschen) dello Schleswig-Holstein, del Hannover e dell'Oldemburgo. Le razze di montagna si allevano nel ripiano subalpino, nell'Algovia e nell'alto Baden e sono animali da lavoro e da latte. Nella Prussia si allevano animali da carne.

L'allevamento del maiale si fa dappertutto, principalmente nella Germania settentrionale, e ha un' importanza che nessun altro paese d'Europa eguaglia. Il Hannover, con 70 e più per kmq., cioè oltre 550 maiali per ogni 1000 abitanti, è al primo posto.

Il prospetto seguente indica la consistenza del patrimonio zootecnico della Germania nel 1913 e nel 1930.

Nei fiumi della Germania (solo il Reno, il Weser e la Warta dànno una lucrosa pesca di salmone), causa la pesca abusiva, lo scarico dato alle acque di rifiuto delle industrie e delle città, la regolazione degli alvei e l'intensa navigazione a vapore, la quantità del pesce è fortemente diminuita. A ciò si pone riparo con sapienti disposizioni, dirette a risarcire e a mantenere il patrimonio ittico delle acque correnti, mentre maggiore importanza di queste hanno assunto le acque stagnanti con gli allevamenti istituitivi.

La pesca costiera è, al presente, più importante di quella d'alto mare; questa però, per l'impulso datole dal governo e dai privati negli ultimi decennî e per l'applicazione dei metodi più razionali, ha pure assunto un notevole sviluppo (aringhe, sardine, naselli, passere). Quella del Mare del Nord è più importante di quella del Baltico, che è meno pescoso perché meno salato, e perciò più povero di plancton, e perché il fondo ne è cosparso di erratici. Il pesce pescato nel Mare del Nord avrebbe superato nel 1930 i 2,5 milioni di q.; quello pescato nel Mar Baltico sarebbe stato di soli 320.000 q.

La pesca marittima si concentra in determinati porti (Geestemünde, Bremerhaven, Emden, Altona, e parecchi altri) della costa, dove anche vi sono stabilimenti per la preparazione del pesce in scatole e per l'affumicatura (Geestemünde, Stettino, Kiel, Swinemünde, Pillau).

Nonostante le esposte condizioni, l'importazione di pesce dall'Inghilterra, dall'Olanda, dalla Norvegia e dagli Stati Uniti ha una notevole importanza. L'esportazione è diretta specialmente verso gli stati interni confinanti (Svizzera, Austria, Cecoslovacchia).

La caccia ha un'importanza economica subordinata, essendo state da tempo distrutte le grosse specie selvatiche. Solo nelle Alpi Bavaresi, nelle riserve della regione orientale e nelle selve demaniali delle Medie Montagne vi è ancora selvaggina. Nelle campagne coltivate vi sono ancora molte lepri e starne.

Produzione mineraria. - È molto varia e la Germania si può dire ancora ricca di minerali utili, quantunque, a causa delle condizioni di pace impostele dai vincitori, abbia subito forti perdite e le sue industrie debbano per conseguenza dipendere dall'estero. Prima della guerra mondiale, essa poteva esportare carbone, ferro e zinco; al presente può soddisfare appena ai bisogni proprî e deve importare metalli in grandi quantità. Solo nella produzione di sali potassici la Germania ha mantenuto la sua posizione. Tuttavia sono sempre di grande importanza le sue richezze minerarie, le quali stanno in stretta relazione genetica con la struttura a zolle tibulari che già conosciamo. Nelle zolle in rilievo appariscono i terreni più antichi, ricchi di carbone e di minerali metalliferi, e nelle aree affondate vi sono pure altri giacimenti minerarî. Ond'è che a breve distanza l'uno dall'altro coesistono giacimenti diversi. Il qual fatto ha una grande importanza per la vita delle industrie.

Dei giacimenti di carbone fossile, il 20% del bacino dell'Alta Slesia appartiene ancora alla Germania, per il resto alla Polonia, il bacino della Bassa Slesia presso Waldenburg dà 4 milioni di tonn. all'anno, il bacino sassone presso Zwickau, Ölsnitz e presso Dresda dà 5 milioni di tonnellate all'anPo. Il bacino della Ruhr dà una produzione annua di circa 90 milioni di tonnellate; i giacimenti di Aquisgrana (Wurmrevier) dànno 2 milioni di tonnellate. In complesso, la produzione annua di litantrace pone la Germania al secondo posto in Europa dopo la Gran Bretagna. A questi si dovrebbe aggiungere il bacino della Saar presso Saarbrücken e Neunkirchen, che produce circa 13 milioni di tonnellate di carbone. Esso è occupato dalla Francia per 15 anni. La lignite si trova in parecchi luoghi. Le quantità maggiori si traggono dai dintorni di Halle e dai dintorni di Bonn. Se ne importa dalla Boemia.

Per il ferro, dopo le perdite dei giacimenti della Lorena e dell'Alsazia, la Germania deve dipendere dall'estero (Spagna, Svezia). Ma vi sono nel suo territorio molti giacimenti di minerali di ferro, dei quali i più importanti sono: il paese del Reno all'orlo dell'Eifel e nel Hunsrück, il Sauerland (Vestfalia), l'Alta Slesia presso Beuthen, Gleiwitz, l'Assia-Nassau, il Harz e i Monti Metalliferi.

Fra i minerali utili non si devono dimenticare lo zinco (Alta Slesia, Iserlohn, Aquisgrana), il piombo e il rame, il quale si trova in grande quantità nei monti di Mansfeld. Esso però non basta ai bisogni dell'industria elettrotecnica che rende necessaria l'importazione di rame dalla Spagna e dagli Stati Uniti d'America. E per le sue industrie, la Germania deve importare parecchi altri minerali, come quelli di manganese dall'India Britannica e dall'Ucraina, piriti e altri minerali di zolfo dalla Spagna, dalla Norvegia e dall'Italia, wolframio dalla Cina, stagno dalla Bolivia, nichelio dal Canada, ecc. La bauxite si estrae nel Vogelsberg, ma s' importa anche dalla Francia e dall'Italia (dalla Svizzera l'alluminio greggio). Assai varia è poi la quantità di pietre da costruzione (graniti, sieniti, porfidi, diabasi, marmi, pietre litografiche, caolino, argille). Infine non devono essere passate sotto silenzio le sorgenti termominerali, alcune delle quali di fama mondiale (Aquisgrana, bagni del Taunus, Baden-Baden, Bad Kissingen, Kreuznach, Wildungen, Pyrmont, ed altre). Nel prospetto seguente è indicata (in migliaia di tonnellate) la produzione dei principali minerali per il 1913, il 1929, e il 1930; dello zinco, del piombo e del rame è dato il contenuto in metallo del minerale estratto.

Industrie. - Il rapido progresso delle industrie della Germania nella seconda metà del sec. XIX, è un fatto che non può non suscitare l'ammirazione. Vero è che l'unificazione politica (1871) con le conseguenze doganali che ne derivarono e l'indirizzo dato alla politica commerciale, furono tutti fattori che agirono favorevolmente sullo sviluppo delle industrie, il quale è dovuto alle ricchezze naturali del territorio regionale e alle attitudini della popolazione. La Germania divenne uno stato industriale: ma importa notare che le industrie tedesche producono in assai maggior misura per i bisogni interni che non per l'esportazione, la quale corrisponde solamente alla quinta parte dei prodotti fabbricati.

Il punto di vista essenziale da cui il geografo considera le industrie è la loro distribuzione, la quale non è per nulla casuale. Essa dipende anzitutto da quella delle forme di energia disponibili; dipende anche dalle comunicazioni, perché infatti tutti i nodi più importanti del traffico ferroviario e i porti divennero città industriali. Sarà dunque opportuno notare anzitutto che, se grande è l'importanza del litantrace e degli altri carboni fossili, come fonti di energia per le industrie e i trasporti, queste traggono vita anche dall'acqua corrente e dal vento. La prima può agire dove ci sia sufficiente pendenza e perciò un gran numero di molini si trovano nelle valli montane; e ancora più numerosi sorgono al piede dei monti o nel paese antistante ai medesimi, dove, per il riunirsi delle correnti in altre più grosse, le pendenze e le portate si combinano a determinare le condizioni migliori. Invece nel bassopiano scarseggiano gli opifici mossi dall'acqua.

Secondo il Halbfass, l'energia idrica disponibile in Germania è di 12 milioni di HP. Per trarne profitto, nelle Medie Montagne furono costruiti e si stanno progettando poderosi sbarramenti e impianti idroelettrici. Questi alla fine del 1930 raggiungevano complessivamente una potenza di circa 1.350.000 HP. Nel bassopiano ha importanza il vento che specie in vicinanza del mare, soffia con frequenza e con forza molto maggiore che nell'intermo e fra i monti.

Le industrie domestiche hanno sede nelle montagne e nelle grandi città, perché vi è aspra lotta per la vita. Nelle città donne e fanciulli lavorano in casa per incarico di commercianti o d'industrie. Nei paesi di montagna segregati dalle comunicazioni importanti, è impossibile la grande industria e non potendo il suolo produrre tutto quanto occorre per nutrire la popolazione, questa in casa fabbrica tessuti (Monti dei Giganti, alture della Lusazia, Vogtland, Fichtelgebirge, Eichfeld), vestiti (alture della Lusazia), passamanterie (Monti Metalliferi), lavora il vetro (Selva Bavarese, Selva di Franconia, Monti dei Giganti), il legno (Selva di Turingia, Harz, Alpi), fabbrica giocattoli (Sassonia, Selva di Franconia, Selva di Turingia, Rhön), strumenti musicali e orologi (Selva Nera), fa lavori di vimini (Alta Franconia), sigari (Palatinato, Vestfalia, Turingia). Tra le industrie domestiche, ve n'ha parecchie che non consistono nella elaborazione di materia greggia del luogo; la quale invece proviene dal di fuori.

Ciò si può affermare anche per riguardo alle grandi industrie, le quali sono in diretta relazione con le condizioni locali soltanto se l'esistenza del carbone o l'offerta di mano d'opera a buon prezzo ne abbiano dato l'impulso. Talvolta una condizione locale soltanto da principio diede motivo a un'industria. Tale è, per esempio, il caso dell'industria della porcellana della Turingia, dove esisteva il caolino, materia prima necessaria, e i fitti boschi fornivano il combustibile. Oggi quei giacimenti sono esauriti e tuttavia si continua a fabbricare porcellane con il caolino importato dal di fuori. Ed essendo il legname divenuto troppo caro e non adatto alla grande industria, si usa come combustibile il litantrace. Sono vere industrie dipendenti dalle condizioni locali quelle che trasformano la materia greggia proveniente dall'agricoltura come la produzione dello zucchero di barbabietole, dello spirito, della birra, del malto, dell'amido e la macinazione dei cereali. La Germania è attualmente (dopo la legge contro le bevande alcooliche negli Stati Uniti), fra i paesi del mondo, il maggior produttore di birra, ma ne è anche il maggior consumatore: nel 1929 ha prodotto 58.063.000 hl. di birra e ne ha consumati quasi 55 milioni di hl.; nel 1930 la produzione è scesa a 48.486.000 hl. Nel 1913 (compreso il territorio della Saar) la produzione fu di circa 70 milioni di hl.

La distribuzione degli zuccherifici è strettamente in relazione con quella della coltivazione della pianta, perché le barbabietole, per il loro peso e la facilità con cui si danneggiano, non consentono lunghi trasporti. Alcune fabbriche coltivano esse medesime una parte delle barbabietole. La provincia di Sassonia, l'Anhalt, il Brunswick, il Hannover meridionale e la Slesia sono i paesi dove si fabbrica lo zucchero greggio. Le raffinerie dipendono molto meno dall'agricoltura. Esse hanno necessità di trovarsi in buona posizione rispetto alle comunicazioni e perciò nelle regioni bietolifere sorgono preferibilmente dove vi sono importanti nodi del traffico, quali Magdeburgo, Brunswick, Hannover, Colonia; ve n'ha soprattutto ad Amburgo, Stettino, Lubecca. La produzione complessiva di zucchero (greggio) è stata, nel 1930-31, di 2.542.000 tonn. (1.985.000 topo nel 1929-30; 2.259.000 tonn. nel 1913-14).

Quanto alle fabbriche dell'alcool (produzione, nel 1929, ettolitri 3.243.000; nel 1913, 3.753.000), la loro distribuzione dipende dalle materie prime d'origine vegetale che vi s'adoperano. Così quelle fabbriche che utilizzano le patate, si trovano specialmente nei paesi dove le sabbie, preferite dalla pianta, abbondano (Slesia, Brandeburgo, Pomerania). Anche le fabbriche d'amido hanno, per conseguenza, una distribuzione analoga. E finalmente, tra le industrie agricole, è da menzionare la macinazione dei cereali che si fa sul raccolto delle campagne vicine, in molini a vento e ad acqua. Nelle città poi esistono grandi stabilimenti di macinazione a vapore, specialmente dove è facile il trasporto dclle granaglie per via d'acqua: tali stabilimenti sorgono perciò lungo i grossi fiumi e nei porti situati alle foci (p. es.: Konigsberg, Kiel, Altona, Hameln, Mannheim). Nel 1927-28 si macinarono in Germania oltre 50 milioni di q. di grano e oltre 46 di segala.

Prevalentemente in relazione con le condizioni del suolo, sono le industrie del ferro e degli altri metalli. Si è già accennato all'importanza dell'esistenza dei giacimenti di ferro e di carbone a breve distanza, ciò che determina anche la situazione delle ferriere. I loro prodotti greggi vengono poi lavorati secondo lo scopo, in un gran numero di opifici. La produzione della ghisa e leghe di ferro ha superato i 13 milioni di tonn. nel 1929, ma è scesa a 9.695.000 tonn. nel 1930; nel 1913 fu di oltre 19 milioni di tonn. La produzione dell'acciaio dai 16.023.000 tonn. del 1929 è scesa a 11.511.000 tonn. nel 1930; nel 1913 era stata di oltre 18 milioni di tonn. L'industria del ferro e dell'acciaio supera per importanza ogni altra specie d'industria. Occupa circa un milione e mezzo di operai. Le maggiori fabbriche sono nella provincia del Reno (Essen, Duisburg, Saarbrücken, Neunkirchen), in Vestfalia (Bochum, Dortmund, Hagen) nella Slesia e nella Sassonia (Zwickau). Le maggiori officine del ferro e dell'acciaio della Germania sono quelle Krupp a Essen. Molto varia è l'industria delle macchine, le cui sedi principali sono a Duisburg, Kassel, Magdeburgo, Berlino, Chemnitz, Breslavia, Offenbach, Norimberga, Monaco, Mannheim, Düsseldorf e Colonia-Deutz. Macchine agrarie si fabbricano principalmente a Magdeburgo, a Breslavia, Crefeld e Barmen; macchine per filare e per tessere ad Aquisgrana. La piccola industria del ferro fiorisce particolarmente a Solingen, a Remscheid e a Iserlohn.

L'industria delle automobili, in grande sviluppo, ha le sue sedi principali a Berlino, Francoforte sul Meno, Mannheim e Stoccarda. Nel 1930 la Germania ha fabbricato 70.044 automobili. Macchine per la produzione e per il consumo dell'energia elettrica si fabbricano a Norimberga, Francoforte sul Meno, Colonia e Berlino.

L'industria della costruzione di navi (Kiel, Stettino, Elbing, Wilhelmshaven, Amburgo, Brema) è superata soltanto da quella inglese: nel 1930 si vararono bastimenti per 246.000 tonn. di stazza lorda (nel 1921 e nel 1922, quando la Germania ricostruiva rapidamente la flotta perduta, si vararono bastimenti per oltre 500.000 tonn. di stazza). In stretta relazione con l'industria dei metalli è quella degli strumenti musicali (Berlino, Stoccarda, Lipsia, Dresda, Colonia, Düsseldorf) e degli strumenti scientifici.

Tra le industrie strettamente legate alle condizioni del suolo sono anche quelle che dipendono da determinate rocce. Tra queste industrie la più estesa è quella delle terre plastiche, essendovene molti giacimenti. In vicinanza delle grandi città vi sono molte fabbriche di mattoni; fabbriche di cementi in Vestfalia, ad Amburgo e a Stettino: la produzione di cemento è stata di 5.511.000 tonn. nel 1930, ma in ciascuno dei tre anni precedenti aveva superato i 7 milioni di tonn. La manifattura delle porcellane che ebbe nel periodo del rococò le sue origini a Meissen, Charlottenburg e Nymphenburg, è ancora attiva e i suoi centri principali stanno oggi in Sassonia e in Turingia. Di non meno vecchia data è l'industria del vetro (Turingia, Monti dei Giganti, Selva Boema).

Ottime le industrie chimiche delle quali è fondamento la presenza di determinati minerali: le sedi dipendono dalla presenza del carbone o da quella di altre energie tecnicamente necessarie. La produzione di composti da usarsi in grandi quantità ha sede nei territorî industriali carboniferi e saliferi e anche nelle città sui fiumi Reno, Elba e Oder, perché il trasporto per acqua delle materie prime, e poi dei prodotti, è meno costoso (nitrati, acido solforico, soda, cloruro di calce, concimi). I colori chimici tedeschi eliminarono dal commercio quelli ricavati da piante e animali (Ludwigshafen, Höchst, Francoforte sul Meno, Offenbach, Elberfeld, Dresda, Berlino); i preparati per scopi scientifici, per la fotografia e la medicina si fabbricano in molte città della Germania come a Berlino, Dresda, Chemnitz, Lipsia, Colonia, Darmstadt, Magonza, Mannheim, Monaco.

L'industria del legno ebbe la sua prima ragione d'essere nel ricco patrimonio boschivo. Al presente essa non ne dipende tanto strettamente, perché deve importare una considerevole quantità di legname. I mobili si fabbricano principalmente nelle grandi città (Berlino, Dresda, Monaco, Stoccarda, Francoforte sul Meno). Dal legno si ricava la cellulosa e si fabbrica la carta e perciò frequentemente le fabbriche di pasta di legno, di cellulosa e di carta sono vicine. La produzione della carta è stata, nel 1930, di tonnellate 1.961.000, ma aveva superato i 2 milioni di tonn. nel 1929; nel 1913 fu di 1.611.000 tonn. La fabbricazione della carta, la stampa dei libri e le industrie grafiche che ne dipendono, in tutto il mondo non trovano nulla che le uguagli. Si esercitano particolarmente a Berlino, Monaco, Stoccarda.

Alla produzione forestale da una parte e dall'altra all'allevamento si lega l'industria del cuoio. Le concerie devono essere distinte secondo la materia da concia di cui si valgono: l'Assia Renana, la provincia del Reno, il Palatinato renano e il Württemberg e anche la Vestfalia, l'Assia-Nassau, l'Alta Baviera e la Franconia sono i paesi dove tale industria, che si vale della corteccia di quercia, è stabilita da lunga data. Nella Germania settentrionale si usano materie importate da paesi transmarini. Le fabbriche di scarpe hanno le loro principali sedi nel Palatinato, nello stato di Sassonia, a Berlino, Breslavia, Weissenfels, Burg presso Magdeburgo, Monaco, Erfurt, Tuttlingen. I guanti si fabbricano specialmente in Sassonia, dove risiedono 2/5 dei guantai tedeschi.

Meno legate alle condizioni naturali sono le industrie dei tessuti. I lanifici lavoravano in passato materia prima nazionale, ora però ne importano gran parte. Nell'industria dei tessuti tiene il primato quella del cotone (Sassonia, Slesia, Turingia, provincia del Reno, Vestfalia, Svevia); i fusi per la filatura del cotone installati in Germania al 31 luglio 1931 erano 10.591.000 (11.250.000 nel 1929; 11.186.00 nel 1913); telai alla fine del 1930 erano 224.000 (230.200 nel 1913). L'industiia della lana ha pressoché le medesime sedi; più ristretta quella del lino. Assai notevole la tessitura della seta (Krefeld). Dalla produzione dei tessuti deriva quella dei vestiti fatti e della biancheria in gran parte fondata sul lavoro domestico.

La moderna industria della seta artificiale ha avuto anche in Germania uno sviluppo notevole: dai 3.500.000 kg. del 1913 si sono raggiunti i 25 milioni di kg. nel 1929 e i 27 milioni nel 1930.

Commercio. - La produzione essendo diversa da una regione all'altra della Germania ed essendo da una regione all'altra pure diversa la densità di popolazione, si rendono necessarî gli scambî, resi agevoli da una rete magnifica di comunicazioni. E la Germania forma essa medesima il maggior mercato di consumo della sua produzione. Ma siccome del commercio interno non si fanno statistiche, è impossibile conoscere con precisione il suo ambito e i suoi oggetti; senza dubbio è assai considerevole e importa annualmente parecchi miliardi di marchi oro. Le molte città sono i centri di questo commercio. Invece si possiedono dati numerici sul commercio esterno. Il commercio esterno della Germania, languente dopo la guerra nondiale, si è ripreso e ha già quasi raggiunto le cifre anteriori al 1914. Situata in una posizione centrale, la Germania ha rapporti commerciali non soltanto con gl'immediati vicini, ma anche con molti paesi d'oltremare, specialmente con quelli delle due Americhe. In particolare è degno di nota il fatto che, dopo la guerra, nonostante gli sforzi fatti dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per impadronirsi dei mercati dell'America Meridionale, le relazioni commerciali con la Germania sono continuate.

La bilancia commerciale della Germania si chiudeva in passivo anche prima della guerra, ma allora la differenza era esuberantemente coperta dagl'interessi dei capitali impiegati all'estero, dai proventi della navigazione e delle assicurazioni marittime e da altre entrate. E la bilancia dei pagamenti era attiva. I capitali all'estero furono perduti con la guerra e la passività aumentò notevolmente anche per l'obbligo imposto alla Germania di consegnare merci in conto riparazioni agli stati vincitori. In qualche anno tuttavia, specie nel 1926 e 1930, le esportazioni hanno superato le importazioni. Nelle importazioni prevalgono i prodotti greggi per le industrie e quelli alimentari. I più importanti paesi che forniscono queste merci sono gli Stati Uniti d'America, la Gran Bretagna, l'Austria, la Cecoslovacchia, la Francia, l'Italia, e l'Argentina. L'esportazione ha per oggetti principali i prodotti della tessitura, della metallurgia e delle industrie chimiche. Gli acquirenti maggiori sono la Gran Bretagna, l'Austria, gli Stati Uniti, l'Olanda e la Svizzera.

Dalle statistiche dell'ultimo decennio risulta chiaramente l'aumento della passività nel commercio con l'estero e a un tempo si rileva come la Germania dipenda dall'estero quanto alle materie prime e ai prodotti alimentari. Queste merci formano i 3/4 delle importazioni. D'altra parte l'alto conto in cui è tenuta l'industria tedesca nel mondo è dimostrato dal fatto che essa forma i 3/4 del valore delle esportazioni. La diminuzione delle importazioni di generi alimentari e di materie prime è segno manifesto dell'impoverimento il quale obbliga la popolazione a limitazioni e a rinunzie.

Le misure in uso sono quelle del sistema metrico decimale; sino al 1884 servivano pure altre misure decimali: Scheffel 50 lt., Schoppen 1/2 lt., Pfund 1/2 kg. (Per le monete, v. Finanze).

Lo specchietto seguente dà (in milioni di marchi) il valore delle importazioni e delle esportazioni della Germania per il 1913, il 1929 e il 1930.

Nelle importazioni, nel 1930, erano ai primi posti, per il valore della merce importata, gli Stati Uniti (per 1306,8 mil. di marchi), la Gran Bretagna (639), l'Olanda (560,8), la Francia (518,7); nelle esportazioni erano ai primi posti: l'Olanda (1205,8), la Gran Bretagna (1218,9), la Francia (1148,6), gli Stati Uniti (685,2), la Svizzera (627,6), il Belgio (600,6), la Francia (518,7).

Comunicazioni.

In seguito al meraviglioso sviluppo dell'attività economica negli ultimi decennî, le comunicazioni e i mezzi di trasporto in Germania furono molto migliorati; e questo miglioramento a sua volta impresse maggior impulso al commercio. Il miglioramento non consistette soltanto nel numero delle vie di comunicazione che vennero messe in ottimo stato, ma anche nelle facilitazioni che furono rese possibili al traffico dalla scelta dei mezzi di trasporto più adatti e dalla diminuzione delle tariffe. Le comunicazioni si svolgono per mezzo delle vie ordinarie, delle ferrovie, dei fiumi e dei laghi.

Strade. - La costituzione d'una rete di strade ordinarie tali da servire al trasporto comodo e sicuro di prodotti agricoli e industriali nei mercati o nei magazzini più vicini, fu la conseguenza necessaria dell'intensità del traffico. Sull'aumento e sul miglioramento delle strade ordinarie influirono assai le strade ferrate, le cui stazioni divennero punti d'arrivo e di partenza del movimento su strade ordinarie, che, per servire allo scopo di agevolare le comunicazioni dei punti più lontani con le stazioni della ferrovia, furono migliorate e aumentate di numero.

La costruzione delle strade ordinarie non presentò in Germania difficoltà particolari. Se si faccia eccezione per la piccola parte di regione alpina che entra nei confini politici della Germania, le forme del rilievo non sono tali da impedire la costruzione di strade carrozzabili. Ostacoli assai più serî delle Montagne Medie, che non opposero vere difficoltà, furono i fiumi, attraverso i quali si dovettero costruire molti ponti, senza tuttavia poter dare ai paesi situati sulle opposte rive bastante facilità di comunicare fra loro.

Il bassopiano è la parte della Germania meno fortunata per riguardo alle strade ordinarie. Le paludi costituiscono ostacoli insuperabili e le strade sono obbligate a descrivervi intorno lunghi giri. Anche il difetto di materiale adatto alle massicciate, per le quali non si può disporre che di erratici alquanto eterogenei, è un'altra difficoltà che s'incontra nelle costruzioni stradali. Invece nelle montagne della Germania si trovano ottime pietre e perciò, in generale, lo stato delle strade non potrebbe essere migliore. Alla fine del 1929 circolavano sulle strade della Germania 688.633 autoveicoli e 731.237 motociclette.

Ferrovie. - La Germania vanta un'assai densa rete ferroviaria (58.659 km. di linee alla fine del 1928: 12,5 km. ogni 100 kmq. di territorio). Anche sotto questo riguardo, la mancanza di serî ostacoli è stata favorevole allo sviluppo delle comunicazioni ferroviarie. Ai massicci delle Montagne Medie sono interposte le bassure a bacino che ne rompono la continuità; è facile girare gli ostacoli e valersi delle valli trasversali, mentre i fondi delle bassure sono dalla natura indicati come sedi ferroviarie, anche per il fatto che gli agglomeramenti umani più importanti hanno la medesima situazione. Da ciò conseguì che molte località montane rimasero lontane dalle arterie del traffico ferroviario, per modo che ancora oggi la rete ferroviaria è meno fitta nelle regioni montuose.

Queste sedi divennero necessariamente altrettanti nodi che, in relazione con la loro posizione geografica, acquistarono un'importanza proporzionata all'intensità del traffico ferroviario. D'altra parte tale intensità dipendeva anche dalle condizioni economiche, per modo che i centri di maggiore importanza economica divennero anche i nodi ferroviarî più importanti. Reciprocamente, le plaghe che furono lasciate in disparte dalle ferrovie non poterono seguire nel progresso economico i paesi meglio situati rispetto alle comunicazioni. Tale è il caso del territorio dell'Unstrut nel Bacino di Turingia, bacino attraversato da due linee ferroviarie da Lipsia a Halle e da Halle a Nordhausen. Ferve l'attività industriale e commerciale lungo le ferrovie stesse, mentre invece il territorio dell'Unstrut vive come isolato dal mondo moderno. Il Meclemburgo, alcune parti della Prussia e della Pomerania sono altri esempî di plaghe meno progredite per tale causa.

Tra i nodi ferroviarî la cui costituzione dipese dall'importanza economica del centro, è Berlino, sul cui sviluppo influirono tuttavia anche i fattori politici. Fra gli altri nodi ferroviari di grande importanza citiamo qui Amburgo, Brema, Colonia, Hannover, Magdeburgo e anche Breslavia, Halle, Lipsia, Erfurt, Kassel, Francoforte sul Meno, Karlsruhe, Stoccarda, Norimberga e Monaco. Moltissimi altri a ogni modo sono i punti ove s'incrociano le strade ferrate, e alcuni sono notevoli per il fatto che si tratta di piccole località scelte come tali per ragioni tecniche.

Alcune delle città sopra nominate, come Berlino, Colonia, Francoforte sul Meno, Monaco, Amburgo e Brema hanno un'importanza particolarissima, perché vi passano ferrovie che servono il traffico mondiale. In prima linea è Berlino, dove s'incrociano ferrovie dirette a Leningrado, Mosca, Copenaghen, Londra, Parigi, Roma, Vienna e Costantinopoli.

Le linee ferroviarie assumono importanza diversa anche in relazione alle velocità dei treni dai quali sono servite e alle coincidenze con altre linee. Se su una carta si congiungono con una linea i punti che si possono raggiungere in egual tempo partendo da una determinata stazione, si costruiscono le curve isocrone e si ottiene la rappresentazione delle condizioni del traffico ferroviario.

Appunto J. Maenss, nelle Mitteilungen della Società Geografica di Halle (1890), pubblicò la carta delle isocrone per Berlino in base all'orario estivo dell'anno 1889. Da questa carta, benché poi siano state introdotte modificazioni nel traffico ferroviario, risulta in modo assai chiaro la dipendenza della velocità dei convogli dalle grandi vie naturali.

Vie d'acqua. - Le comunicazioni per acqua hanno in Germania grande importanza. Prima della costruzione delle ferrovie, era più comodo e meno costoso viaggiare sull'acqua che per le carrozzabili, poi a mano a mano che si costruirono le ferrovie, queste assorbirono quasi interamente il trasporto delle persone. Sulle vie navigabili continua a effettuarsi il trasporto delle materie pesanti (carboni, pietre da costruzione, minerali, cereali, legname).

In relazione con la conformazione del terreno, quasi tutti i fiumi navigabili attraversano le Medie Montagne e il cosiddetto Bassopiano e perciò, come si è già osservato, permettono alla navigazione di arrivare pressoché in tutte le parti della Germania. L'Elba e il Reno sotto tale riguardo sono i più importanti. Più intenso nei corsi inferiori per la portata dei navigli, il traffico è tuttavia considerevole anche a monte. Il Reno da Leopoldshafen presso Karlsruhe in giù, è navigabile con vapori di migliaia di tonnellate; così l'Elba da Harburg, e più piccole imbarcazioni da 400 a 1000 tonnellate risalgono l'Elba e la Moldava sino a Praga.

Le attuali vie d'acqua della Germania sono tutte artificiali, non solo per il numero di canali che vi vennero costruiti, ma anche e soprattutto nel senso che tutti i fiumi opportuni alla navigazione vennero messi in stato da poter soddisfare nel miglior modo alle esigenze di essa. Le curve furono rettificate, gli alvei approfonditi o talvolta addirittura ridotti a canali; vennero inoltre costruite chiuse e conche per regolare la quantità d'acqua e superare i dislivelli. Secondo la pendenza naturale del suolo, i fiumi della Germania sono prevalentemente diretti verso NO. e, con grande vantaggio per la Germania, collegano le parti interne e orientali del paese con il Mare del Nord; per tale disposizione naturale, tutto un vasto territorio fa capo a una linea costiera relativamente breve, e trova in tal modo il proprio sbocco verso un mare che fa parte delle comunicazioni mondiali.

Si è già accennato come avendo i fiumi un decorso pressoché parallelo, si rese necessaria la costruzione di canali per i quali in più casi si presentavano come sedi prestabilite dalla natura i grandi solchi d'ablazione. Nel sec. XIV fu costruito un canale fra l'Elba e la Trave, fra l'Oder e la Sprea l'elettore Federico Guglielmo costruì il canale che porta il suo nome. Federico il Grande congiunse l'Oder con la Vistola per mezzo del Canale di Bjdgoszcz (Bromberg).

Nel territorio della Ruhr vi sono il canale da Dortmund all'Ems e il canale dal Reno a Herne per mezzo dei quali al Reno, che sbocca nel mare attraverso il territorio olandese, si diede in qualche modo una foce artificiale entro il territorio tedesco, mentre il territorio industriale renano-vestfalico ha uno sbocco al Mare del Nord.

Il Canale di Mezzo (Mittellandkanal) è destinato a congiungere la parte orientale, prevalentemente agraria, della Germania con la regione industriale d'occidente. Si diparte dal canale Dortmund-Ems e attraversa il Weser per mezzo d'un ponte-canale: sino a Hannover è già in attività, il tronco da Hannover a Magdeburgo è in costruzione. Il trasporto di merci dipende dalla capacità delle vie navigabili e dalle condizioni economiche del territorio che esse servono. Dopo la guerra, la diminuzione del traffico si è fatta sensibilissima, come risulta dalla seguente statistica.

Come via navigabile, il Reno mantiene quel primato che dipende dalla portata del fiume e dalle condizioni economiche del territorio circostante e che trova conferma anche nella quantità di merci che passano per i principali porti fluviali della Germania. Infatti Duisburg-Ruhrort nel 1925 ebbero un traffico di 24,1 milioni di tonnellate, Mannheim-Ludwigshafen di 9,8. Gli altri porti fluviali, Berlino compresa, restano alquanto al di sotto.

Il Canale del Nord, o dell'imperatore Guglielmo, aperto nel 1895, è lungo 98 km., serve a congiungere il Mar Baltico con il Mar del Nord evitando la lunga via degli stretti danesi: a rigore è un canale di navigazione marittima, non già interna, ma è opportuno parlarne qui. Il suo traffico dal 1896 in poi, è andato sempre crescendo (da milioni 1,8 di tonnellate di registro nel 1896, nel 1926 il traffico ammontò a milioni 18,2). La lunghezza complessiva delle vie di navigazione interna è di 12.200 km. dei quali 9350 sui fiumi e i laghi, 2200 in canali, 650 sugli Haffe e i Förden.

Navigazione marittima e porti. - Le comunicazioni ferroviarie e la navigazione interna negli ultimi decennî prima della guerra avevano ricevuto un impulso senza dubbio assai grande dalla navigazione marittima. Fra tutti gli stati del mondo, la Germania aveva raggiunto il secondo posto nella navigazione marittima, essendo sopravanzata dalla sola Inghilterra. Vinta in guerra, perdette il 91,8% del suo tonnellaggio complessivo e le restò solo la navigazione di cabotaggio. La maggior parte del traffico marittimo si esercita sul Mare del Nord, dove il numero delle navi è 4 volte maggiore che nel Baltico e il tonnellaggio 7 volte maggiore.

Il commercio dei porti tedeschi del Baltico comprende principalmente la Danimarca, la Svezia, la Finlandia e l'Unione Sovietica e in parte anche la Gran Bretagna, con il cui porto di Hull Lubecca ha regolari relazioni. I porti orientali (Rostock, Stettino con Swinemünde, Königsberg con Pillau) hanno relazioni commerciali molto simili, come sono omogenei i caratteri economici del retroterra. Invece i porti occidentali (Kiel e soprattutto Lubecca) sono molto più vicini alla zona industriale della Germania occidentale. Il Baltico non ha grande importanza per il traffico tedesco. Esso è un mare mediterraneo senza comoda comunicazione con il mare aperto e dall'interno è separato per mezzo dei ripiani lagosi poco popolati, attraverso i quali solo l'Oder apre un passaggio al territorio politicamente tedesco. E questo territorio ha una fisionomia prevalentemente agraria e il suo sviluppo economico è minore che nella parte occidentale della Germania. Inoltre l'agghiacciamento invernale rende per qualche tempo inattivi i porti del Baltico (Travemünde 12 giorni in media, Swinemünde 20 giorni, Stettino 61 giorni). Molto diverse sono le condizioni del Mare del Nord rispetto alla navigazione marittima. Esso è in libera comunicazione con l'Atlantico e le vie naturali del Bassopiano Germanico segnate dai fiumi, diretti da S. a N. e da SO. a NE., fanno della sua costa lo sbocco di un vasto e attivo retroterra. Ma siccome la costa meridionale del Mare del Nord è orlata da una zona di Watten (v. frisia; frisone, isole che rendono impossibile ai grossi navigli di avvicinarsi, i porti della navigazione marittima non potevano costituirsi se non negli estuarî entro i quali penetra l'alta marea. E tali porti (Amburgo con Cuxhaven, Brema con Bremerhaven, Wilhelmshaven, Emden) come sbocchi naturali di un retroterra industriale, assunsero un'importanza mondiale.

Marina mercantile. - Le orgogliose marine dei porti anseatici ebbero un colpo fatale sia dall'Atto di Navigazione di Cromwell, sia dai provvedimenti simili, adottati in altri paesi, che resero a esse quasi impossibile la navigazione di lungo corso; l'abrogazione dell'Atto (1851) costituì il segno dell'affrancamento, e le flotte di Amburgo e di Brema quasi si raddoppiarono in 7 anni (1851-57). Ma la marina tedesca non aveva, all'epoca della costituzione dell'impero, una situazione molto importante: nel 1870 essa era infatti costituita da 81.994 tonn. nette di navi a vapore, aumentate, nel 1890, a 723.652, in confronto a una diminuzione del tonnellaggio dei velieri (da 901.313 a 709.761). Il vero sviluppo della marina tedesca ebbe luogo dopo il 1890 (le 1.433.413 tonn. nette di quell'anno ascesero gradatamente a 3.153.724 al 31 dicembre 1912) per effetto dei seguenti fattori: espansione del traffico estero della Germania; controllo della maggior parte del traffico emigratorio europeo verso gli Stati Uniti; sviluppo dell'industria delle costruzioni navali in conseguenza del basso costo dei materiali metallici, e dell'obbligatorietà della costruzione in patria del naviglio adatto ai servizî sovvenzionati; tariffe preferenziali cumulative per l'avviamento delle merci ai porti tedeschi giudiziose sovvenzioni.

Ma il fattore più importante dello sviluppo della marina prebellica si può ravvisare nello spirito patriottico degli amatori, tutelati intelligentemente dallo stato. Dopo lunghe discussioni, nel luglio 1886, veniva approvata la creazione di 2 linee postali sovvenzionate verso l'Estremo Oriente e verso l'Australia; fu aggiudicatario il Norddeutscher Lloyd, che era stato fondato a Brema circa 30 anni prima; le linee sussidiarie dell'Estremo Oriente furono affidate dal Norddeutscher Lloyd stesso alla Hamburg-Amerika Linie. Un'altra linea sovvenzionata (istituita sempre nell'intento di facilitare l'accesso a nuovi mercati) fu la Deutsche Ost-Africa Linie. E una forma d'aiuto indiretto si ebbe con le tariffe combinate istituite nel 1890 a favore della Deutsche Levante Linie che concluse, all'uopo, accordi con le diverse amministrazioni ferroviarie. Analoghe agevolazioni furono estese all'Atlas Linie (che venne quindi assorbita dalla Deutsche Levante) e quindi anche alla Deutsche Ost-Afrika. Oltre a queste tariffe cumulative per destinazioni determinate, una Ausnahme Tariffe concedeva sensibili riduzioni in favore delle merci destinate alle esportazioni in genere. Ma il governo agevolava ancora in altri modi la marina, p. es. intralciando indirettamente il transito degli emigranti provenienti dall'Austria-Ungheria, Russia, ecc., qualora essi avessero biglietti di passaggio su navi di compagnie non tedesche. Per giudicare esattamente l'influenza di questo accaparramento del traffico emigratorio è però da rilevare, in primo luogo, che la marina mercantile tedesca era principalmente composta di liners. Delle 5.082.061 tonnellate lorde che essa contava al 30 giugno 1914, più di quattro milioni era ripartito fra compagnie addette a servizî regolari, e fra queste avevano parte predominante le seguenti: Hamburg-Amerika Linie (o Hapag), Norddeutscher Lloyd, Hamburg Süd-Amerikanische, Hansa, Deutsch-Austral, Kosmos Roland, Deutsche Ost-Afrika, Woermann, Hamburg-Bremen-Afrika, che possedevano un complesso di 3.194.000 tonn. lorde, erano associate fra loro e facevano parte della Reederei-Vereinigung, in modo che un contratto stipulato con una di esse valeva per tutto il gruppo. La forza principale di questo blocco era concentrata nei traffici atlantici e i servizî principali dei due più grandi componenti del gruppo, Hapag e Lloyd, erano negli Stati Uniti. Ne consegue che la prosperità dei traffici transatlantici influiva su tutto il gruppo e quindi su tutta la marina mercantile.

Subito dopo la guerra (10 gennaio 1919) la marina tedesca era composta di 1081 navi per tonn. lorde 2.882.200. Ma il trattato di Versailles (7 maggio 1920) imponeva la cessione ai governi alleati e assoiati di tutte le navi da 1600 e più tonnellate lorde, la metà del tonnellaggio delle navi la cui stazza lorda è compresa fra 1000 e 1600 tonn., la quarta parte del tonnellaggio degli chalutiers a vapore e degli altri peseherecci. La Germania s'impegnava inoltre a non mantenere controlli sugli emigranti in transito. La flotta tedesca si riduceva dunque alla settima parte delle sue proporzioni prebelliche: 773.000 tonn. lorde; ed era composta da navi inadatte alla navigazione transatlantica perché inferiori a 1600 tonn.

Già subito dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti (aprile 1917) e la conseguente confisca delle 600.000 tonn. di naviglio germanico che si trovavano nei porti nordamericani, il governo tedesco aveva studiato le prime misure per proteggere la marina mercantile dalle conseguenze della guerra (mutui agli armatori, concessi alle migliori condizioni). Ma dopo il trattato di pace bisognò seriamente provvedere alla ricostruzione della flotta. All'uopo fu stipulato, nel febbraio 1921, un accordo fra governo e armatori, in base al quale il primo concedeva, allo scopo di sostituire le navi cedute agli alleati o perdute, la somma di 4 miliardi e 700 milioni di marchi (aggiungendo a questa le precedenti somme stanziate allo stesso scopo si raggiungeva una somma complessiva di quasi dodici miliardi); in compenso gli armatori s'impegnavano a costruire in un decennio, a datare dal 10 gennaio 1920, 1.500.000 tonn. lorde, ossia un terzo del naviglio ceduto o perduto, ordinandone il 90% ai cantieri nazionali; una clausola imponeva altresì la costituzione d'una apposita società per azioni, la Schiffbau Treuhandbank, con sede ad Amburgo e con 100 milioni di marchi di capitale. Queste condizioni furono realizzate il 21 aprile 1921 e i cantieri si misero febbrilmente al lavoro varando 500.000 tonn. lorde nel 1921 e 575.000 nel 1922; alle costruzioni nuove si aggiunsero le navi riacquistate dagli alleati; ma il materiale così prodotto non bastava, e venne chiesto agli Stati Uniti il noleggio di un certo numero dei piroscafi già di proprietà tedesca; trovandosi ancora gli Stati Uniti in stato di guerra con la Germania, la richiesta fu respinta, ma tra le principali compagnie private di navigazione dei due paesi vennero conclusi degli accordi che prevedevano la gestione in comune delle linee prebelliche. A seguito di tali accordi i Tedeschi poterono con calma attendere alla costruzione delle nuove navi che rimisero gradualmente in linea, e ricostituire l'organizzazione riprendendo le linee d'anteguerra: la New York-Amburgo dapprima; quella del Plata poi; indi la linea per le Indie Olandesi, ecc.

La marina mercantile tedesca aveva già raggiunto nei primi del 1923, 2.590.073 tonnellate; tale cifra saliva, nel 1925, a 3.073.713 tonn. lorde; al 30 giugno 1931 a 4.254.601 tonn.; la flotta mercantile germanica veniva così a occupare il 4° posto fra le marine mondiali. Lo sviluppo della marina è stato inoltre agevolato da uno speciale regime di credito marittimo e dal ripristino delle tariffe ferroviarie di favore a vantaggio dei porti tedeschi. Il traffico tedesco di passeggieri ed emigranti negli Stati Uniti dai 403.288 del 1913 era caduto a 2268 nel 1921, ma è salito poi gradualmente a 84.604 nel 1926; comunque, a prescindere dalla crisi attuale, non è più da ritenere che esso, nei riguardi del movimento emigratorio, possa riprendere le proporzioni d'un tempo.

La caratteristica della marina tedesca nel dopoguerra è costituita dallo sviluppo dato al movimento di concentrazione in confronto agli anni prebellici. Nonostante l'inflazione, i bilanci-oro presentati nel corso del 1924 dalle grandi compagnie Hapag, Lloyd, Hansa, Hamburg-Süd mostrarono che esse avevano conservato una situazione sana; inoltre tali compagnie, dal 1920 al 1924, avevano potuto ricostruire la terza parte quasi delle loro flotte, cosicché mentre la vita delle società minori si rendeva difficile in conseguenza della contrazione monetaria derivata dalla rivalutazione, le quattro compagnie predette ottenevano nuovi capitali e la Hapag e il Lloyd iniziavano intorno alle loro flotte, prese come nucleo, due vasti movimenti di concentrazione ehe avevano lo scopo di diminuire le spese di esercizio dando modo di resistere meglio alla concorrenza delle marine straniere. Il movimento di concentrazione era ancora perseguito negli anni successivi, sinché si venne, con effetto dal 1° gennaio 1930, all'accordo per la durata di 50 anni della Hapag e del Lloyd: accordo diventato piü intimo nell'aprile 1932, mentre lo stato - in compenso di aiuti finanziarî concessi - ha posto un suo fiduciario nel consiglio d'amministrazione riunito delle due società e si è riservata l'approvazione della nomina di altri otto membri. Cosicché oggi gl'interessi di sei compagnie: Hapag, Lloyd, Hamburg-Süd, Hansa, Woermann, Deutsche Ost-Ajrika sono lo tanto collegati e connessi, che questo gruppo, il quale controlla circa 2 1/2 milioni di tonn. lorde, ossia il 60% circa della marina mercantile tedesca, dovrebbe essere considerato come un'unità. Le statistiche del 1931 rivelano nell'attuale flotta tedesca, come per il passato, una predominanza delle navi addette a servizî regolari poiché 3.395.364 tonn. lorde appartengono a 25 compagnie di navigazione.

Naturalmente, nel suo sforzo di ricostruzione, la marina è stata agevolata dai cantieri, il cui sviluppo rimonta pure al periodo successivo alla costituzione dell'impero. L'industria navale tedesca cominciò ad assumere importanza dal 1873 in relazione alle nuove cure per far sorgere una marina da guerra; già la media annua della produzione del quinquennio 1894-1899 era salita a 130.000 tonn.; quella del periodo 1899-1906 a 206.000; nel 1913 la produzione costituiva un record: 451.000 tonn. di piroscafi, 24.000 di motonavi, 90.000 di velieri; in tutto 565.000 tonn. lorde. Durante la guerra i cantieri lavorarono molto per costruzioni belliche; nell'immediato periodo postbellico ebbero, come si è visto, un grandissimo impulso; poi le costruzioni, per effetto della crisi, rallentarono. Nel 1925 il governo pose 50 milioni di marchi a disposizione dell'industria sotto forma di mutui; altri 18 milioni furono concessi verso la fine del 1926. Anche in questo campo si è avuto un movimento di concentrazione, meno spinto però che fra le compagnie di navigazione. Le condizioni attuali dell'industria non sono buone; essa può produrre 700.000 tonn. lorde all'anno (in confronto a 1 milione nell'agosto 1925), ma si ritiene che tale cifra dovrebbe venir ridotta alla metà.

Il naviglio attuale tedesco, per 4.254.601 tonn. lorde come si è detto, è composto di 1689 piroscafi per tonn. 3.598.543, 462 motonavi per tonn. 627.507, 20 velieri per tonn. 28.551. Fra queste navi un numero non grande di cisterne (32 per tonn. 149.683). La flotta è relativamente giovane; 884.365 tonn. sono di età inferiore a 5 anni; 1.240.651 fra 5 e 10 anni; soltanto 978.754 superano i 20 anni. La Germania possiede i due transatlantici più celeri del mondo, Europa e Bremen, a turbine, varati nel 1928 e nel 1929, velocità da 26 a 27 nodi; essi prendono anche posto fra le più grandi navi mondiali (49.746 tonn. e 51.656, rispettivamente).

Aviazione civile. - Il trattato di Versailles ha dato alla Germania la possibilità di mantenere l'aviazione civile e di conservare la sua industria aeronautica. La mancanza dell'aviazione militare ha indotto le autorità statali a concentrare i loro sforzi nei due fattori essenziali di ogni organizzazione aeronautica, e cioè: mantenere integra la tradizione scientifica, tecnica e costruttiva, e formare il personale di volo. L'aeronautica tedesca ha una direzione dipendente dal Ministero delle comunicazioni del Reich e comprendente 4 uffici: I. a) politica aerea; b) questioni internazionali; c) relazioni con la commissione aeronautica della Società delle Nazioni e il governo tedesco; II. a) servizio meteorologico; b) organizzazione della rete aerea; c) gestione delle linee aeree; III. questioni tecniche (motori, cellule). IV. a) industria aeronautica; b) informazioni. La direzione dell'aviazione civile è in contatto con il Ministero delle poste (organizzazione della posta aerea; linee e orarî), con quello dell'interno (polizia aerea) e con quello degli affari esteri (politica aerea all'estero, convenzioni aeree internazionali).

Il traffico aereo è affidato a 2 società: La Luft-Hansa A. G. e la Nordbayerische Verkehrsflug G. m. b. H. La Luft-Hansa è la più importante, ha un capitale di 25 milioni di marchi e possiede oltre 160 apparecchi del tipo Junkers, Fokker, Fokker-Wulf, Dornier, Rohrbach, Messerschmidt. Diverse compagnie straniere collaborano con essa, tra cui l'Air Union, la C. I. D. N. A., la Société générale de transports aériens-Lignes Farman, la Deruluft, la Österreichische Luftverkehrs Ges. e la Balair. La Nordbayerische Verkehrsflug ha un capitale di 500.000 marchi, possiede 20 apparecchi del tipo Messerschmidt e Fokker-Wulf.

La Luft-Hansa gestisce le seguenti linee: Berlino-Hannover-Amsterdam-Londra, km. 990, servizio giornaliero; Berlino-Magdeburgo-Hannover-Colonia, km. 560, id.; Berlino-Danzica-Königsberg, km. 595, id.; Berlino-Amburgo-Copenaghen-Malmö, km. 650, id.; Berlino-Colonia-Parigi, km. 890, id. (questa linea è gestita in collaborazione con la S. G. T. A. Lignes Farman); Berlino-Stettino-Stoccolma, km. 820, sospesa durante l'inverno, giornaliera d'estate; Berlino-Lubecca-Copenaghen-Oslo, 955, sospesa durante l'inverno; Berlino -Stettino, km. 130, id.; Berlino-Lipsia-Norimberga-Monaco, km. 550, servizio giornaliero; Berlino Francoforte-Parigi, km. 973, id. (gestita in collaborazione con la S. G. T. A. Lignes Farman); Berlino-Stoccarda-Zurigo, km. 700, sospesa durante l'inverno; Berlino-Amburgo, km. 260, servizio giornaliero; Berlino-Breslavia-Glenvitz, km. 440, sospesa durante l'inverno; Berlino-Vienna, km. 520, id.; Berlino-Lipsia-Erfurt-Francoforte s. Meno, km. 420, id.; Berlino-Breslavia, km. 300. servizio giornaliero; Breslavia-Gleiwitz, km. 150, id.; Stoccarda-Ginevra-Marsiglia-Barcellona, km. 1100, servizio trisettimanale; Berlino-Dresda-Praga-Vienna, km. 530, servizio giornaliero; Colonia-Dortmund, km. 75, id.; Monaco-Innsbruck-TrentoMilano, km. 350, sospesa durante l'inverno; Budapest-Monaco-ZurigoGinevra, km. 1100, id.; Monaco-Innsbruck, km. 120, id.; Monaco-Salzburg-Bad Reichenhall, km. 130, id.; Mannheim-Stoccarda, km. 100, id.; Friburgo-Stoccarda, km. 130, id.; Monaco-Norimberga-Francoforte s. Meno-Colonia, km. 500, servizio giornaliero; Francoforte-DarmstadtMannheim-Baden-Baden-Villingen-Costanza, km. 300, sospesa durante l'inverno; Monaco-Stoccarda-Karlsruhe-Saarbrücken-Parigi, km. 680, id.; Stoccarda-Friedrichshafen, km. 130, id.; Essen-Mühlheim-Norderney, km. 250, id.; Essen-Mühlheim-Osnabrück-Norderney-Borkum, km. 300; Saarbrücken-Colonia-Düsseldorf, km. 230, id.; Düsseldorf-Essen, km. 30, id.; Amsterdam-Essen-Dortmund-Francoforte-Monaco, km. 700, id.; Hannover-Erfurt-Norimberga-Monaco, km. 550, id.; Francoforte-Giessen-Hannover-Amburgo-Lubecca, km. 500, id.; Francoforte-Lipsia-Berlino, km. 420, id.; Brema-Hannover-Lipsia-Chemnitz-Praga, km. 525, id.; Brema-Norderney-Borkum, km. 175, id.; Brema-Wangeroog, km. 100, id.; Amburgo-Kiel-Flensburg-Westerland-Wyk, km. 250, id.; Lubecca-Kiel-Flensburg, km. 125, id.; Amburgo-Bremerhaven-Wangeroog-Langeoog-Norderney, km. 200, id.; Amburgo-Brema-Amsterdam, km. 380, id.; Berlino-Stettino-Stolp-Danzica-Marienburg, km. 470, id.; Stettino-Swinemünde-Stralsund-Hiddensee, km. 180, id.; Düsseldorf-Essen-Dortmund-Erfurt-Lipsia-Dresda-Breslavia, km. 725, id.; Chemnitz-Lipsia, km. 75, id.; Dresda-Berlino, km. 170, id.; Marienbad-Chemnitz-Berlino, km. 220, id.; Breslavia-Lipsia-Colonia, km. 700, id.; Breslavia-Monti dei Giganti-Kottbus-Berlino, km. 300, id.; Breslavia-Praga-Monaco, km. 530, id.; Amburgo-Magdeburgo-Lipsia-Norimberga-Monaco, km. 670, id.; Amburgo-Hannover-Francoforte-Stoccarda, km. 550, servizio giornaliero.

La Nordbayerische Verkehrsflug gestisce le seguenti linee: Norimberga-Bayreuth-Plauen-Zwickau-Lipsia, km. 250, sospesa durante l'inverno; Plauen-Rudolfstadt-Saalfeld-Bad Blankenburg-Erfurt, km. 100, id.; Dresda-Lipsia-Rudolfstadt, km. 200, id.; Dresda-Chemnitz-PlauenNorimberga, km. 260, id.; Plauen-Gera-Lipsia-Dessau-Berlino, km. 280, id.; Dresda-Kottbus-Guben-Francoforte-Stettino, km. 290, id.; Monaco-Regensburg-Plauen, km. 270, id.; Baden-Baden-Karlsruhe-Mannheim-Wiesbaden-Colonia-Düsseldorf, km. 370, id.; Dortmund-Borlīum, km. 240, id.; Krefeld-Colonia, km. 60, id.; Düsseldorf-Krefeld, km. 30, id.; Essen-Krefeld, km. 40, id.; Düsseldorf-Colonia, km. 35, servizio giornaliero; Krefeld-Aquisgrana, km. 70, sospesa durante l'inverno.

Le principali basi aeree sono: Amburgo: a 8 km. e 1/2 N. dal Bacino Alster e a circa 2 km. O. dalla stazione ferroviaria di Ohlsdorf: 2 grandi hangars (m. 60 × 30, 80 × 40), 5 piccoli, 2 magazzini materiale, officina, stazione radio, ecc.; Augusta: a 3 km. S. dalla città; 1 hangar di m. 50 × 30; Bamberga: a 3 km. NE. dal centro della stazione: 1 hangar in cemento di m. 46-12; Berlino: a 5 km. S. dal centro della città in località Tempelhof; costruz. a N. del campo: 5 hangars (3 di m. 64 × 25 e 2 di m. 88 × 30); direzione, uffici, alloggi, officine riparazioni, deposito carburante, stazione R. T. situata al centro dei fabbricati con 2 antenne alte 47 m.; Brunswick: a 3 km. e 1/2 SO. dal centro della città: 2 hangars di m. 66 × 22; Brema: a 4 km. S. dal centro di Brema: 2 hangars di m. 30 × 80 e m. 24 × 40, direzione, uffici, officina, stazione R. T. eec.; Breslavia: officina attrezzata per qualsiasi riparazione, deposito benzina, stazione R. T.; Erfurt: a 4 km. N. dal centro della città: 1 hangar di m. 52 × 32, direzione, uffici, officina per ogni riparazione, stazione R. T., ecc.; Friedrichshafen: sulla riva settentrionale del lago di Costanza, a 3 km. e 1/2 O. dalla stazione ferroviaria: 3 hangars, uffici, magazzini e officine; Norimberga: a 10 km. NO. dalla città: 2 hangars di m. 66 × 22; uffici, officina riparazioni, stazione R. T.; Lipsia: a 5 km. e 200 m. N. dalla stazione ferroviaria principale: 3 hangars, uno di m. 30 × 15, due di m. 17 × 16: uffici, officina riparazioni, deposito benzina, stazione R. T.; Hannover: a 4 km. e 12 N. dalla stazione ferroviaria: 1 hangar di m. 44 × 24: uffici, officina riparazioni, deposito benzina, stazione R. T.; Kiel-Holtenau: a 6 km. N. dal centro della città: 2 hangars, ufficio, officina piccole riparazioni; Kiinigsberg: a 4 km. NE. dal centro della città: 3 hangars, dei quali due di m. 54 × 22 e uno di m. 50 × 20; uffici, alloggi, officina riparazioni, deposito benzina, stazione R. T. con antenne alte 60 m.; Lubecca: a 15 km. NE. dalla città: 2 hangars di m. 60 × 20, uffici, officina piccole riparazioni; Monaco: a NO. di Monaco, 4 km. e 700 m. dalla stazione principale: 2 hangars di m. 80 × 60; uffici, officina riparazioni, deposito benzina; Stoccarda: a 16 km. SO. dalla città: 2 hangars di m. 60 × 30 e 66 × 22, uffici, officina riparazioni, deposito benzina, stazione R. T.; Swinemünde: a 1 km. e 1/2 SE. dal centro della città; Warnemünde: a 500 m. SE. di Warnemünde, tra il lago Breitling e il Baltico: 1 hangar di m. 140 × 66, uno di m. 87 × 28, uno di m. 72 × 31; officine varie, deposito benzina; a N.-O. 1 hangar di m. 80 × 15, uffici, alloggi, 1 deposito benzina; Würzburg: a 3 km. e 500 m. dal centro di Würzburg: 1 hangar di m. 55 × 10, uffici, officina piccole riparazioni, piccola stazione R. T.

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Vegetazione e flora: O. Drude, Deutschlands Pflanzengeographie, Stoccarda 1896; P. Graebner, Die Pflanzenwelt Deutschlands, Lipsia 1909; H. Hausrath, Der deutsche Wald, Lipsia 1907; J. Wimmer, Geschichte des deutschen Bodens, Halle 1905.

Geografia antropologica ed etnografica: A. Arnold, Ansiedlungen und Wanderungen d. Stämme, Marburgo 1875; A. Meitzen, Siedlungs- und Agrarwesen der Westgermanen und Ostgermanen, der Kelten. Römer. Finnen und Slaven, voll. 3 e atlante, Berlino 1895; E. H. Meyer, Deutsche Volkstum, 2ª ed., Lipsia 1903; H Hauser, Colonies allemandes, impériales et spontanées, Parigi 1900; Deutsche Erde, Gotha 1902-15; Das Bauernhaus in Deutschen Reich und seinen Grenzgebieten, Dresda 1906; le serie di monografie Deutsche Stämme, Deutsche Lande, Lipsia dal 1910; O. Weise, Die deutschen Volksstämme und Landschaften, 5ª ed., Lipsia 1917; E. H. Meyer, Deutsche Volkskunde, Berlino 1921; Deutsche Volkskunst, I-X, Monaco 1924; H. Günther, Rassenkunde des deutschen Volkes, 8ª ed., Monaco 1925; J. Meier, Deutsche Volkskunde, Berlino 1926; V. Boelitz, Grenz-und Auslanddeutschtum, Monaco 1926; Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens, Berino 1927; R. Mielke, Siedlungskunde des deutschen Volkes, Monaco 1927; Zeitschrift des Vereins für Volkskunde, Berlino dal 1891; Volkskundliche Bibliographie, ed. Hoffmann-Krayer, Berlino 1919 segg.; Tretzner, Die Slawen in Deutschland, Brunswick 1902.

Geografia economica: Handbuch der Wirtschaftskunde Deutschlands, voll. 4, Lipsia 1901; Statistisches Jahrbuch für d. D. Reich (dal 1881); L. Lafitte, Étude sur la navigation intérieure en Allemagne, Nantes 1899; K. Hassert, Das Wirtschaftsleben Deutschlands und seine geographischen Grundlagen, in Wissenschaft u. Bildung, Stoccarda 1923; E. Scheu, Deutschlands wirtschaftsgeographische Harmonie, Breslavia 1924; Thelwall e Edwards, Economic conditions in Germany to September 1931, Londra 1932; Comité central des armateurs de France, Le relèvement de la marine marchande allemande (circolare n. 1197); La marine marchande allemande du Ier Janvier 1923 au 30 Juin 1928 (circolare n. 1379).

Ordinamento.

Ordinamento costituzionale. - Secondo la costituzione, approvata dall'assemblea nazionale di Weimar e promulgata l'11 agosto 1919, il Reich tedesco è una repubblica, in cui la sovranità emana dal popolo. La designazione di Reich, che, dopo la fine del Sacro Romano Impero, non era più esistita nel diritto pubblico germanico fino alla proclamazione dell'Impero tedesco (Deutsches Reich) nel 1871, non ha un esatto equivalente in italiano: tuttavia essa implica, in un certo modo, il concetto di stato monarchico e quindi il suo mantenimento nella costituzione repubblicana ha provocato qualche sorpresa e qualche sospetto. Il territorio del Reich consta dei territorî dei paesi tedeschi, quali essi sono in conseguenza del trattato di Versailles; ma altri territorî possono venirvi ammessi se la popolazione ne fa domanda, valendosi del diritto di autodecisione: questa ultima disposizione può, fra altro, aprire la via all'unione dell'Austria quando non vi si oppongano più ostacoli derivanti da questioni di politica internazionale.

La costituzione di Weimar ha modificato sostanzialmente gli ordinamenti interni della Germania, non solo perché vi ha introdotto il regime parlamentare, ma anche perché ha considerevolmente trasformato, verso l'unificazione, i rapporti fra il Reich e le sue parti. L'antica Confederazione germanica era già quasi divenuta uno stato federale mediante la costituzione della Confederazione della Germania del Nord: l'unificazione era poi divenuta completa in conseguenza della proclamazione dell'impero. Tuttavia, le sue varie parti conservavano ancora la designazione ufficiale di stati e i rapporti fra questi e il Reich erano disciplinati con maggior autonomia rispetto ai primi.

Nella costituzione di Weimar quelli che erano gli stati, si denominano soltanto "paesi" (Länder) e la prevalenza del Reich si accentua molto considerevolmente. Il diritto dei singoli paesi a organizzarsi autonomamente viene molto ristretto. Ogni paese deve avere una costituzione liberale. In virtù di tale costituzione, tanto la rappresentanza popolare di ogni singolo paese, quanto i consigli comunali debbono essere eletti a suffragio universale, uguale, diretto e segreto da tutti i cittadini (uomini e donne) sulla base della rappresentanza proporzionale. Il governo del paese deve godere la fiducia della rappresentanza popolare.

La competenza legislativa del Reich è assolutamente predominante. La costituzione sancisce il principio che il potere legislativo del Reich prevale su quello dei paesi (Reichsrecht bricht Landrecht) e, in pratica si può dire che il Reich ha facoltà di estendere la sua legislazione fin dove vuole: le leggi esistenti nei singoli stati perdono senz'altro la loro efficacia se sulla stessa materia a cui esse si riferiscono viene emanata una legge dal Reich.

Il Reich ha potere legislativo esclusivo su: 1. le relazioni internazionali; 2. gli affari coloniali; 3. la cittadinanza, l'emigrazione, l'immigrazione e l'estradizione; 4. gli ordinamenti militari; 5. il sistema monetario; 6. il regime doganale; 7. le poste, i telegrafi e i telefoni. Il Reich ha inoltre la precedenza legislativa (la cosiddetta legislazione concorrente) su: 1. il diritto civile; 2. il diritto penale; 3. il diritto procedurale; 4. i passaporti e la polizia degli stranieri; 5. la beneficenza; 6. la stampa, le riunioni e le associazioni; 7. la politica demografica; 8. l'igiene e la veterinaria; 9. il lavoro e le assicurazioni operaie; 10. le rappresentanze professionali; 11. l'assistenza ai combattenti e ai loro eredi; 12. l'espropriazione; 13. le ricchezze naturali e le intraprese economiche; 14. il commercio, i pesi e misure, l'emissione di carta moneta, le banche e le borse; 15. il traffico delle derrate alimentari; 16. le industrie e le miniere; 17. le assicurazioni; 18. la navigazione marittima; 19. le ferrovie, la navigazione interna, il traffico di autocarri, l'aviazione, la costruzione di strade per quanto si riferisce al traffico generale e alla difesa nazionale; 20. i teatri e i cinematografi. Il Reich ha inoltre il potere legislativo: 1. circa le imposte, per quanto riguarda i suoi compiti; 2. circa l'assistenza sociale e la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza, in quanto sia necessario fissare norme uniformi. Il Reich può emanare i principî legislativi fondamentali circa: 1. i diritti e i doveri delle associazioni religiose; 2. le scuole; 3. i diritti degl'impiegati delle pubbliche corporazioni; 4. la proprietà fondiaria; 5. i cimiteri. Il Reich ha facoltà di stabilire principî circa le imposte dei paesi allo scopo d'impedire ciò che può danneggiare gl'interessi generali. All'infuori delle materie per cui il Reich ha il potere legislativo esclusivo, i paesi conservano il loro, finché il Reich non faccia uso del suo. Gli organi del Reich sono quattro: la Dieta, il Consiglio del Reich, il presidente e il governo.

La Dieta (Reichstag). - Si compone di deputati, i quali abbiano compiuto i 25 anni e possiedano da almeno un anno la cittadinanza tedesca. È eletto per 4 anni a suffragio universale, uguale, diretto e segreto da tutti i cittadini, che abbiano compiuto i 20 anni. La legge elettorale del 6 marzo 1924 stabilisce che si voti su liste di partito e che per ogni 60.000 voti espressi ci sia un deputato. Durante le sessioni i deputati non possono essere sottoposti a procedimento penale né arrestati senza l'autorizzazione dell'assemblea. Le sedute sono pubbliche; ma su domanda di 50 membri e a maggioranza di 2/3 l'assemblea può decidere che siano segrete. Il Reichstag può decidere con la preseriza di metà più uno dei suoi membri; ma la presenza di 2/3 è necessaria per le modificazioni della costituzione e per mettere in stato d'accusa il presidente o i ministri del Reich. Le decisioni sono prese a semplice maggioranza; ma la maggioranza di 2/3 è richiesta per le modificazioni della costituzione, per mettere in stato d'accusa il presidente o i ministri, per provocare un plebiscito circa la deposizione del presidente. Il Reichstag ha il potere legislativo per il Reich; può nominare commissioni d'inchiesta; costituisce una commissione permanente per gli affari esteri ed altre commissioni.

Il Consiglio del Reich (Reichsrat). - Rappresenta i paesi per quel che riguarda la legislazione e l'amministrazione del Reich. Ha preso il posto del Consiglio federale (Bundesrat) della costituzione precedente, ma la sua importanza politica è minore e i suoi poteri sono più lìmitati. Ogni paese ha almeno un seggio: i maggiori ne hanno diversi in proporzione del numero degli elettori, ma nessuno può avere più dei 2/5 del totale. Dopo ogni censimento, il Reichsrat stabilisce il numero dei seggi. Secondo quello del 1925 essi erano 66 (Prussia 26; Baviera 10; Sassonia 7; Württemberg 4; Baden 3; Turingia, Assia e Amburgo 2 ciascuno; gli altri 1 ciascuno). I paesi sono rappresentati nell'assemblea dai rispettivi governi; ma la metà dei delegati prussiani è designata dall'amministrazione provinciale di quel paese. Tanto l'assemblea quanto le sue commissioni sono presiedute da un membro del governo del Reich. Le sedute sono abitualmente pubbliche. Le decisioni sono prese a maggioranza semplice: solo per modificare la costituzione occorre quella di 2/3. Il Reichsrat può prendere l'iniziativa di disegni di legge, ma deve farli presentare al Reichstag per mezzo del governo del Reich. Esprime il suo voto sui disegni di legge del governo, ma, se è negativo, non li fa cadere: il governo può presentarli egualmente al Reichstag, comunicando tuttavia il voto contrario del Reichsrat. Contro le leggi approvate dal Reichstag, il Reichsrat ha solo un potere sospensivo. Se il Reichstag conferma la sua decisione a semplice maggioranza, il presidente del Reich può o lasciar cadere il disegno di legge o provocare un referendum popolare (Volksentscheid); se la conferma a maggioranza di 2/8 il presidente deve o promulgare la legge o provocare il referendum. Per le modificazioni della costituzione, lo stesso Reichsrat può chiedere il referendum.

Il presidente (Reichspräsident). - È eletto direttamente dal popolo tedesco. Sono eleggibili tutti i Tedeschi (uomini e donne) che abbiano compiuto i 35 anni. Perché l'elezione sia valida a primo scrutinio, occorre che un candidato ottenga la maggioranza assoluta dei suffragi: altrimenti si procede a una nuova votazione, in cui è eletto chi abbia riportato la maggioranza relativa. I poteri del presidente durano sette anni, ma sono consentite le rielezioni. Prima della scadenza del termine costituzionale, il presidente può essere destituito mediante una votazione popolare, provocata dal Reichstag: la decisione del Reichstag, che deve esser presa a maggioranza di 2/3, sospende il presidente dall'esercizio delle sue funzioni. La votazione popolare, qualora respinga la proposta destituzione, viene considerata come una nuova elezione del presidente e, dopo di essa, il Reichstag deve essere sciolto. Il Reichstag può anche mettere il presidente in stato d'accusa dinnanzi la Corte di stato (Staatsgerichthof) per violazione della costituzione o di una legge del Reich. Il presidente, prima di entrare in ufficio, presta giuramento dinnanzi al Reichstag. Egli è penalmente responsabile, ma può esser processato soltanto con l'autorizzazione del Reichstag. In caso di breve impedimento, il presidente è sostituito dal cancelliere: se l'impedimento dura più a lungo, o fino alla nuova elezione se la presidenza rimane vacante prima della scadenza, si provvede con una legge del Reich. I diritti del presidente sono più estesi di quelli del presidente della Repubblica francese, ma possono essere esercitati soltanto per mezzo del governo responsabile, il quale deve godere la fiducia del Reichstag: quindi, in realtà, sono sempre molto limitati e non possono essere paragonati con quelli del presidente degli Stati Uniti. Il presidente non può dichiarare la guerra né concludere la pace; ma può far dichiarazioni di neutralità e prendere provvedimenti difensivi in caso di aggressione. Ha il comando supremo delle forze armate del Reich e il diritto di grazia, mentre le amnistie sono di competenza del potere legislativo. Se un paese non adempie ai doveri che gl'incombono per la costituzione o per una legge del Reich, il presidente può costringervelo con l'aiuto delle forze armate. Il presidente può prendere i provvedimenti necessarî per ristabilire la sicurezza e l'ordine, quando siano notevolmente turbati o minacciati, e a tal uopo può tanto servirsi delle forze armate quanto sospendere temporaneamente in tutto o in parte i diritti fondamentali dei cittadini: egli è tenuto tuttavia a informare il Reichstag dei provvedimenti presi e a revocarli su richiesta del medesimo. Il presidente deve sanzionare e promulgare le leggi costituzionalmente approvate, ma può, se lo crede opportuno, previamente sottoporle al referendum popolare. Può sciogliere il Reichstag, ma non più di una volta per la stessa ragione, e può chiederne l'anticipata convocazione.

Il governo (Reichsregierung). - Si compone del cancelliere e dei ministri, i quali debbono godere la fiducia del Reichstag: se questa viene a mancare, ognuno di essi deve dimettersi. Il presidente nomina il cancelliere e, su proposta di questo, i ministri. Il cancelliere è il capo del governo e stabilisce le direttive della politica, di cui è responsabile dinnanzi al Reichstag. I membri del governo possono essere messi in stato d'accusa davanti la Corte di stato nello stesso modo del presidente. Il governo ha il diritto d'iniziativa legislativa e quello di sorveglianza sopra i paesi per le materie per cui il Reich ha il potere legislativo. Oltre ai casi citati, si deve addivenire a un referendum popolare: 1. quando 1/20 degli elettori iscritti lo richieda (Volksbegehren) circa una legge, già approvata dal Reichstag, la cui promulgazione sia stata sospesa su richiesta di 1/3 dei deputati; 2. quando 1/10 degli elettori iscritti lo richieda circa un disegno di legge, presentato al Reichstag, purché quest'ultimo non lo approvi senza modificazioni; 3. quando il presidente lo richieda circa leggi di bilancio o d'imposte.

Il Reich ha l'esclusiva amministrazione per quanto si riferisce agli affari esteri, alla difesa, alle colonie, al regime doganale, ai mezzi di comunicazione. Per il resto, l'esecuzione delle leggi del Reich è affidata alle autorità dei diversi paesi.

Una speciale disposizione della costituzione stabilisce che le popolaziohi del Reich di lingua straniera non possono, né in via legislativa, né in via amministrativa, essere ostacolate nel loro libero sviluppo popolare, specialmente nell'uso della loro lingua per l'istruzione, nell'amministrazione interna e dinnanzi alla giustizia.

Bibl.: P. Laband, Das Staatsrecht des deutschen Reiches, 5ª ed., Tubinga 1911-1914; O. Meissner, Das Staatsrecht des Reichs und seiner Länder, 2ª ed., Berlino 1923; F. Giese, Die Reichsverfassung, Berlino 1925; G. Anschütz, Die Verfassung des deutschen Reichs, 10ª ed., Berlino 1929.

Culti. - Della popolazione della Germania (statistiche del 1925) circa il 65% appartiene al protestantesimo, circa il 32% al cattolicismo, un po' meno dell'i % è costituito da israeliti; il resto è diviso fra varie confessioni cristiane (Vecchi Cattolici, Orientali, ecc.), altre religioni non cristiane (poche migliaia), e fra estranei a ogni religione o esplicitamente atei (questi circa il 2%).

I protestanti sono in grande prevalenza sui cattolici specíalmente in Prussia, Sassonia, Turingia, nel Meclemburgo (Schwerin e Strelitz), nell'Oldenburg, Anhalt, Waldeck, Amburgo, ecc.; i cattolici prevalgono in Baviera e nel Baden. I Vecchi Cattolici (v.), che si aggirano sui 33.000, hanno un vescovo a Bonn; gl'israeliti, sparsi più o meno dovunque, sono più numerosi in Prussia.

Dalla presente tabella è facile rilevare come negli anni della ripresa economica, seguita alla stabilizzazione, il continuo incremento delle spese pubbliche abbia assorbito quasi fin dall'inizio la crescente capacità contributiva della Germania, necessitando inoltre un largo ricorso al credito (nelle spese del Reich sono inclusi però anche i pagamenti in conto riparazioni che hanno assorbito in media il 121/2% circa del gettito fiscale complessivo). Nell'esercizio 1931-32 si è verificata invece una forte riduzione delle spese in seguito alla contrazione delle entrate, manifestatasi già nell'esercizio precedente, e solo in parte neutralizzata dai nuovi aggravî fiscali. Un'ulteriore contrazione delle spese, specie di quelle per l'assistenza sociale, e un ulteriore inasprimento del sistema tributario sono stati inoltre necessarî per assicurare il pareggio del bilancio preventivo 1932-1933, per cui era stato previsto un deficit di 920 milioni di marchi. Le imposte sul reddito, le tasse di consumo, quelle sulla cifra di affari e le dogane, hanno dato, negli esercizî considerati, i maggiori cespiti di entrata del bilancio del Reich, mentre i principali capitoli di spesa (esclusi i versamenti agli stati federali e ai comuni) sono stati quelli per le riparazioni e per le pensioni militari e di guerra; seguono a distanza quelli per la difesa, i trasporti e il servizio del debito pubblico. I servizî postali e telegrafici e le ferrovie, che dalla costituzione del 1919 erano posti sotto il controllo esclusivo del Reich, sono stati dal 1924 costituiti in aziende autonome con bilancio separato. Il Reich è però tuttora interessato agli eventuali utili della loro gestione. Le principali entrate proprie dei bilanci degli enti locali sono date dall'imposta sugli affitti e da quelle sui terreni e sui fabbricati; a essi spetta inoltre una parte delle imposte percepite direttamente dal Reich, e sono questi trasferimenti appunto (relativi soprattutto all'imposta sul reddito) che costituiscono il cespite più importante della loro entrata (nel 1931-32: 2314 milioni). Le spese maggiori a loro carico sono quelle per l'istruzione pubblica e per le amministrazioni sociali, economica e interna.

Dei 24 miliardi cui il debito pubblico complessivo ammontava al 31 marzo 1931 solamente 6 rappresentavano l'ammontare dei vecchi debiti e di quelli in corso o autorizzati prima del i° aprile 1924. Dei 18 miliardi del debito nuovo contratto dalla Germania dal 1924 al 1931, 3,4 erano stati inscritti sul libro del debito pubblico per risarcimenti di danni di guerra (prestiti Dawes, Young, ecc.) e il rimanente era stato assunto per lavori pubblici e opere assistenziali. Al 31 marzo 1932 il debito pubblico del Reich ha raggiunto gli 11.423 milioni di cui: 4560 di vecchi debiti interni, 3648 di nuovi debiti interni (2454 a lungo termine e 1194 a breve) e 3215 di debito estero (2691 a lungo termine e 524 a breve).

Moneta e credito. - Per ciò che riguarda l'unità monetaria della Germania e l'ordinamento della Reichsbank, v. sopra. Ci limitiamo a dare qui le cifre sull'ammontare dei biglietti in circolazione e delle riserve auree al 31 dicembre 1931: rispettivamente 4775,8 e 1156,3 milioni di Reichsmark; e al 23 maggio 1932: 3739,3 e 990,9.

Dei quattro maggiori istituti bancarî tedeschi: Deutsche Bank, Diskonto Gesellschaft, Dresden Bank e Darmstädter und Nationalbank (fondati rispettivamente nel 1870, 1851, 1872 e 1922 e aventi principalmente carattere di banche di sconto a succursali multiple oltre che di banche d'affari) i primi due si sono fusi nel 1929 allo scopo di ridurre le enormi spese generali, di porre fine alla reciproca concorrenza e di sostenere la lotta sul mercato mondiale con le grandi banche anglosassoni. È sorta così la Deutsche und Diskonto Gesellschaft. Dopo la grave crisi attraversata nel luglio 1931 dalla Darmstadter und national Bank (sorta a sua volta dalla fusione della Bank für Handel und Industrie di Darmstadt con la National Bank für Deutschland di Berlino, e specializzata nel commercio estero) anche la fusione di questa con la Dresden Bank è stata decisa (marzo 1932). La concentrazione è quindi sempre più caratteristica fondamentale del sistema bancario della Germania.

Bibl.: H. Schacht, Die Stabilisierung der Mark, Berlino 1927, trad. it., Milano 1931; M. Houdaille, La politique monétaire de l'Allemagne, in La politique monétaire de divers pays d'Europe, Parigi 1928; F. K. Mann, Deutsche Finanz-wirtschaft, Jena 1929; Società delle Nazioni, Memorandum sur les finances publiques, Ginevra 1929, pp. 9-33; W. Woytinsky, Zehn Yahre neues Deutschland, Berlino 1929; A. Cabiati, Da Versailles all'Aia, Torino 1930; H. Bonjour, La situation financière du Reich, in Revue de science et de legislation financières, XXVIII (1930), pp. 1-46; id., Le statut budgétaire du Reichet ses recentes modifications, ibid., pp. 432-448; id., Le budget du Reich, Parigi 1931; C. Bresciani-Turroni, Le vicende del marco tedesco, in Annali di economia, VII (1931); A. Rivaud, Les crises allemandes (1919-1931), Parigi 1932; Bollettino parlam., Roma 1928, II, p. 319; 1929, III, p. 337; 1930, III, p. 187; 1931, II, p. 209; III, p. 171; vedi inoltre i Rapports de l'Agent général des payements des réparations, Berlino 1925 e segg.; il Rapport du Comité constitué sur raccomandation de la conférence de Londres 1931, Basilea 1931, e il Rapporto del Comitato consultivo speciale della Banca dei regolamenti internazionali, Basilea 1931.

Preistoria.

La preistoria della Germania non coincide con la preistoria dei Germani, e tanto meno con quella dei Tedeschi. La preistoria vera e propria della Germania - basata quasi esclusivamente su documenti archeologici - non ha nulla a che fare con i Tedeschi, poiché essa giunge solo sino all'inizio dell'era volgare, e per le regioni del sud e dell'ovest sino all'età di Giulio Cesare: essa perciò tratta tanto dei Germani quanto dei Celti, che insieme con i Germani abitarono il suolo tedesco.

Le abitazioni, quanto più antica è l'epoca cui risalgono, tanto maggiormente risentono delle condizioni naturali del luogo, e cioè del clima e della conformazione geologica del suolo e del sottosuolo. Altre differenze derivano, data la situazione della Germania nel mezzo dell'Europa, dalla posizione geografica delle diverse località. La Germania centrale e la meridionale presentano una certa omogeneità nelle vicende della loro preistoria, distinguendosi così dalla Germania settentrionale, che si lega con il gruppo delle civiltà nordiche, come dalla Germania orientale e soprattutto dalla Prussia orientale e dalla Slesia. Attraverso i valichi montani e le valli dei fiumi, assai presto mercanti isolati o tribù o popolazioni intiere, che poi si stabilirono nel paese più o meno a lungo, fecero sentire nella Germania, con l'introduzione delle merci, le influenze dei paesi stranieri. In tal modo già sino dal secondo millennio a. C. si formarono vie commerciali, attraverso le quali giungeva al Mediterraneo l'ambra del Mare del Nord, vie che nei tempi più antichi muovevano dalle foci dell'Elba, più tardi da quelle della Vistola.

L'uomo fa la sua apparizione in Germania con l'homo geidelbergensis, di cui una mascella inferiore, di tipo assai primitivo, fu rinvenuta in un'ansa del Neckar presso Heidelberg: esso appartiene geologicamente al penultimo periodo interglaciale, ma è impossibile assegnargli una data assoluta; come è impossibile fissare in cifre esatte la data del periodo paleolitico, di cui si può dire soltanto che si prolungò per qualche millennio. Piìi chiaro ci appare il passaggio dal paleolitico al mesolitico, il cui massimo sviluppo va collocato verso l'8000 a. C. Seguono il neolitico (quarto e terzo millennio a. C.), l'età del bronzo (secondo millennio), l'età del ferro, che si suddivide in un periodo più antico, sino all'inizio del sec. V, e in un periodo più recente che va sino all'inizio dell'era volgare, e che si può chiamare anche celtico in senso stretto.

Età paleolitica. - Le epoche glaciali hanno esercitato un forte influsso sulla Germania. I ghiacciai discendenti dalla Svezia la coprivano all'incirca sino al cinquantesimo parallelo, e quelli provenienti dalle Alpi sino al Danubio. Restava libera dai ghiacciai, nelle regioni della Germania centrale e meridionale, solo una striscia di limitata ampiezza che congiungeva fra loro le due larghe zone coltivabili di formazione alluvionale, l'occidentale, che abbracciava la Francia e la Spagna, e l'orientale, che occupava il bacino medio e inferiore del Danubio. La prima rappresenta un centro di civiltà suo proprio, mentre la Germania, unita con l'altra, ne forma un secondo. Si distingue un paleolitico arcaico, caratterizzato dal predominio di asce di grandi dimensioni e da una fauna tropicale, durante il quale viveva allo stato di cacciatore nomade l'uomo di Neandertal (così chiamato da una località presso Düsseldorf, dove ne furono rinvenuti i resti), e un paleolitico più recente, caratterizzato da strumenti più piccoli e più delicati e da un tipo umano più magro, l'uomo di Aurignac e di Cromagnon. In questo secondo periodo, alle foreste, favorite dal clima caldo e umido, subentra la steppa del clima freddo e asciutto; al posto dell'elefante primigenio, il mammut villoso con altri animali della zona polare, come la renna, il cavallo selvatico, l'orso speleo, ecc. Tutte le fasi del paleolitico sono rappresentate in Germania, a eccezione delle più antiche; i rinvenimenti sono stati fatti per lo più in grotte, più raramente in stazioni all'aperto. I prodotti materiali di questa civiltà consistono in oggetti di pietra di ogni genere, in oggetti di osso e persino in prodotti d'arte, come ossi intagliati e statuette in avorio dei periodi aurignaciano (rinvenuti recentemente) e magdaleniano. Dal punto di vista economico si può dire che gli uomini vivono in questo periodo di ciò che trovano, e si cibano, oltre che dei prodotti della caccia, anche delle radici e dei bulbi che scavano dalla terra. Si sono anche rinvenuti avanzi di seppellimenti, già perfettamente sistemati. I territorî nei quali avvennero i principali rinvenimenti, sono la Renania, la Vestfalia, la Turingia (valle dell'Ilm), l'Assia, il Baden, la Baviera, e soprattutto il Württemberg, nella zona assai ricca di caverne delle montagne sveve.

Età mesolitica. - Il passaggio dal paleolitico al neolitico si effettua, come è naturale, assai lentamente, data la lentezza con la quale si restrinsero i ghiacciai nel periodo post-glaciale. Importanti sono a questo riguardo le osservazioni e i ritrovamenti della zona del Baltico, il cui livello si è nel corso dei millennî più volte modificato. Il primitivo mare aperto si trasformò dapprima in un lago chiuso, per trasformarsi poi ancora, in grazia di un nuovo abbassamento, in un mare aperto, nel quale vissero in grande quantità le ostriche. Immensi ammassi di avanzi di cibo, costituiti da gusci di ostriche, rivelarono per la prima volta l'esistenza di questa civilta di pescatori mesolitici, rappresentata da piccole punte di frecce, da coltelli, punteruoli, raschiatoi, spilloni, e, nelle regioni più settentrionali, da ami di osso e da vasi del tipo più antico. Questi "microliti" sono stati rinvenuti recentemente in larghe zone della Germania; sporadicamente si rinvennero anche abitazioni primitive. Agli avanzi di civiltà autoctone si aggiungono quelle importate, che portano i nomi di tardenoisiano e di paleo-campignano e più tardi quelle miste, come l'aziliano, l'azilio-tardenoisiano e il neocampignano.

Età neolitica (circa dal 4000 al 2000 a. C.). - L' agricoltura e l'allevamento del bestiame, con cui si collegano la sedentarietà, la costruzione di case e di cinte fortificate, e gl'inizî della convivenza in villaggi, portano con sé un enorme progresso nel vivere civile. In questo periodo la trasformazione e la messa a coltura del terreno incolto dischiusero per sempre all'opera dell'uomo le terre suscettibili di un civile stanziamento. Un contrassegno esteriore di questo stadio di civiltà è dato dal fatto che alla tecnica sinora in uso nella lavorazione della pietra, basata unicamente sulla percussione e sulla pressione, subentra quella della sfaccettatura e della levigatura. Grazie soprattutto allo sviluppo della ceramica, nella sua varietà di forme e di decorazione, ormai una forte differenziazione si osserva fra le singole civiltà della Germania meridionale e centrale, ancor più che fra quelle della Germania settentrionale.

La civiltà neolitica settentrionale comprende la parte della Germania del nord più prossima al mare, nonché la Scandinavia, e ci appare nel suo stadio più antico soggetta a influssi occidentali, pre-indoeuropei, nel più recente invece - nella cosiddetta civiltà megalitica - a influssi provenienti dalla Turingia. Alla civiltà nordica si contrappone l'altra proveniente dalla regione dei Balcani e del Danubio, che viene da lontano, dai classici paesi dell'agricoltura presso le foci del Danubio (v. danubiane, civiltà); essa culmina verso il 3000, nel cosiddetto pieno neolitico. Tutta la Germania centrale e meridionale soggiace al suo dominio. Questo è dimostrato dall'area di diffusione delle sue asce e dei suoi vasi con decorazione a nastro, tra i quali prevalgono quelli emisferici e quelli piriformi. Le popolazioni caratterizzate dalla ceramica con decorazione a nastro (in ted. Bandkeramik), s'incuneano tra quelle della Germania nord-occidentale, caratterizzate dalla ceramica con decorazione incisa profondamente, e quelle della Germania meridionale e del Reno, caratterizzate dai bicchieri a tulipano e dall'ascia a base aguzza. Un quarto ciclo infine è rappresentato dalla cosiddetta civiltà della Turingia, caratterizzata dalla ceramica (grandi anfore) con decorazione impressa a cordicella, che le ha valso anche il nome di civiltà della ceramica a cordicella (in ted. Schnurkeramische Kultur) e dall'ascia a base traforata e sfaccettata. Queste quattro civiltà, alle quali non è possibile dare nomi etnici, e di cui non si può nemmeno determinare la successione cronologica, in parte si sono mantenute pure, in parte si sono mescolate tra loro nei modi più varî, per poi espandersi, verso l'Est e il Sud-Est, espansione che coincide con la diffusione degli Indoeuropei nel resto d'Europa e in special modo nella penisola italiana. Così, come un apporto dell'Europa settentrionale, venne alla Grecia la casa rettangolare con pali, con ambiente antistante a quello principale - in opposizione alla casa seminterrata e a quella simile a un fortino -; tale casa con ambiente anteriore trova analogia nei palazzi fortificati di Troia, di Micene e di Tirinto e infine nel tempio greco. Un gruppo misto di speciale importanza fra il gruppo megalitico, quello turingio, e il danubiano, è rappresentato dagli abitanti di Rössen, così detti da una vasta necropoli nelle vicinanze di Merseburg, nella quale i morti sono seppelliti rannicchiati e con un ricco corredo di oggetti di ornamento, di asce, di vasellame decorato di ornamenti a incisione profonda, che ricorda i lavori di paglia intrecciata. Alla cerchia dell'Europa occidentale appartengono anche le palafitte e numerose abitazioni di terraferma, soprattutto castelli fortificati di forma ovale, circondati da palizzate e fosse. Nel periodo neolitico più recente, accanto all'inumazione col cadavere disteso e a quella col cadavere rannicchiato, abbiamo anche l'incinerazione. L'ultima fase del periodo neolitico è data infine dalla cosiddetta ceramica a zone, affine alla civiltà del bicchiere a campana, sorta nell'Europa sud-occidentale, che forma un anello di congiunzione con l'inizio dell'età del bronzo ed è già fornita di alcuni metalli, come il rame e l'oro.

Età del bronzo (dal 2000 circa all'800 a. C.). - Il bronzo da principio non fu prodotto in Germania, ma vi fu introdotto come materia di scambio sotto forma di sbarre, di asce, di anelli e di spirali. Però ben presto anche in Germania si prese a lavorare il nuovo metallo, e si produssero oggetti di bronzo fuso. I tipi degli oggetti - soprattutto di quelli eseguiti nelle provincie più settentrionali - sono originalissimi e indipendenti da quelli degli altri paesi. Armi e oggetti di ornamento, come pure oggetti di uso e vasi, si sviluppano con una straordinaria molteplicità, e raggiungono talora un alto grado di arte, mentre invece la ceramica decade. Questa eccellenza artistica viene raggiunta soprattutto nelle regioni settentrionali, nella patria dell'ambra; le regioni meridionali soffrono dapprima della dipendenza dai modelli stranieri provenienti dal sud, però alla fine la loro attività industriale riceve un grande incremento dagli scambî commerciali con le regioni del bacino del Mediterraneo. Fra i motivi ornamentali, importante fra tutti è la spirale. Il Montelius ha diviso l'età del bronzo della Germania del Nord in cinque periodi, basati sulla tipologia (v. bronzo: Civiltà del bronzo). Questa civiltà del bronzo della Germania settentrionale è certamente germanica: non cosi quella della Germania meridionale. Il suo sviluppo nella Germania centrale e meridionale, che fanno parte della zona centro-europea, pur potendosi in certo qual modo segnare parallelamente a quello dei cinque periodi assegnati dal Montelius alla Germania del Nord, ne è tuttavia indipendente, e il trapasso all'età del ferro avviene più presto. È vero che la civiltà del bronzo della Germania meridionale si sviluppa dal neolitico della Germania del Nord, ma ben presto essa acquista una fisionomia particolare, che è data principalmente nella regione danubiana dagli elementi ereditati dalle popolazioni della ceramica a nastro, nelle regioni occidentali dall'influsso dell'occidente europeo. Quest'ultimo si manifesta soprattutto nella prima fase dell'età del bronzo, la quale è ancora strettamente congiunta col neolitico, e non è in relazione con alcuna migrazione etnica.

Parallelamente fra loro procedono le civiltà di tre provincie, una orientale (civiltà di Aunjetitz), una occidentale (civiltà di Adlerberg, e una meridionale (civiltà di Straubing); tratti caratteristici comuni sono l'uso di collocare i cadaveri rannicchiati e a poca profondità nel terreno (ted. Flachgräber), i piccoli pugnali triangolari e le grosse collane di rame. Nelle popolazioni della civiltà di Aunjetitz il Kossinna vuole trovare il ceppo primigenio dei Celti, così che la civiltà del bronzo della Germania meridionale sarebbe stata celtica, mentre quella della Germania settentrionale sarebbe stata invece germanica. A differenza di questa fase primitiva, la fase susseguente, caratterizzata dai tumuli sepolcrali (ted. Hügelgräber), rappresenta - almeno nella Germania meridionale - una civiltà omogenea e longeva, di cui molti elementi persistono ancora nel periodo di Hallstatt. L'uso d'innalzare dei tumuli, già in voga nell'ultima fase neolitica presso le popolazioni caratterizzate dalla ceramica a cordicella, viene introdotto da un popolo nomade; il costume d'indicare il luogo della sepoltura con un segno visibile non presuppone soltanto un'intensificazione del culto dei morti, basata sull'intimo bisogno di una unione col defunto, ma anche l'esistenza di un sentimento ormai innato di rispetto verso i morti, per cui è resa sacra anche la tomba di famiglie spente da gran tempo, e persino quelle di stirpi straniere. Queste tombe contengono il più sovente cadaveri d'inumati, più raramente e in epoca più recente, di cremati; generalmente i cadaveri sono in gran numero, ciò che attesta trattarsi di sepolture collettive; il ricco corredo che accompagna i defunti è la fonte principale delle conoscenze nostre su questo periodo della media età del bronzo, conoscenze che invece sono piuttosto scarse per quello che riguarda le abitazioni. Più frequenti sono le notizie sulle abitazioni della tarda età del bronzo; di questo periodo infatti abbiamo ad es., fra l'Elba e la Vistola numerosi castelli fortificati, che usano il sistema di costruzione con pali; uno di essi è il cosiddetto "trincerone dei Romani" (Römerschanze) presso Potsdam. Parallelamente a questi castelli - probabilmente appartenenti a tribù germaniche - si svolge nella Germania orientale la civiltà di Lusazia (Lausitz), le cui propaggini si spingono sino alla Germania centrale. L'ultima fase dell'età del bronzo è costituita dalla civiltà dei campi di urne (ted. Urnenfelderkultur), così chiamata dall'uso di collocare le ceneri dei cremati in grandì recipienti fittili allineati e confitti nel terreno. Sembra che fra le popolazioni che cremavano e quelle che inumavano sussistesse una differenza etnica, analogamente a quanto pare possa asserirsi per l'Italia.

Prmia fase dell'età del ferro o di Hallstatt (circa 800-400 a. C.). - La civiltà del più antico periodo di Hallstatt nella Germania meridionale è il prodotto della fusione della popolazione primitiva - conservatasi ad es. sulle alture dell'Alb sveva - con le popolazioni immigrate probabilmente dalle regioni orientali della civiltà dei campi di urne. Questa civiltà rappresenta una fase di transizione, che scende anche nell'età di Hallstatt: in connessione con essa noi possiamo distinguere, per la Germania occidentale e meridionale, due periodi principali della civiltà di Hallstatt, uno più antico (800-600) e uno più recente (600-400). L'afflusso di nuove popolazioni dalla zona illirica delle Alpi Orientali, donde proviene anche il ferro, le dà la sua fisionomia caratteristica. Merce importante quanto il ferro diviene ora il sale, che è strettamente collegato con la civiltà di Hallstatt. Tipiche della fase di Hallstatt più antica sono, nella Germania occidentale e meridionale, la lunga spada di ferro e la ceramica policroma. Anche qui un abbondante materiale proveniente dai tumuli, nonché dalle abitazioni e soprattutto dai castelli fortificati sulle alture, ci attesta che questa prima fase del periodo di Hallstatt ebbe uno svolgimento relativamente pacifico. Verso il 600, con l'inizio delle migrazioni dei Celti e anche in conseguenza delle migrazioni germaniche causate dal peggioramento del clima nelle regioni settentrionali, subentra una certa irrequietezza. Si diffonde l'uso di costruire castelli, e si afferma il predominio di pochi individui sulle tribù. La produzione indigena cede sempre più il passo dinnanzi all'importazione dal sud. Tombe principesche del sec. VI e del V, magnificamente adorne, contengono vasi in bronzo provenienti dall'Italia settentrionale e centrale e oggetti d'oro. L'influenza della civiltà di Hallstatt si estende sino alla Slesia e alla Germania centrale e nord-occidentale; essa si manifesta con la massima intensità soprattutto nella fase più recente della civiltà di Lusazia. Le due tecniche, quella vecchia, locale, del bronzo fuso, e quella nuova, appresa dal Sud, del bronzo battuto e laminato, sussistono contemporaneamente. Il più importante ritrovamento fatto negli abitati germanici, è il tesoro aureo di Eberswalde, conservato entro un vaso fittile del tipo di Lusazia; lo Schuchhardt vuol vedere in esso il tesoro privato di un capo della tribù germanica dei Semnoni.

Seconda fase dell'età del ferro o di La Tène (400 - inizio dell'era volgare). - Già nell'epoca di Hallstatt i Celti avevano il predominio dal punto di vista culturale. L'apparire della civiltà di La Tène, tipica dei Celti veri e proprî, non rappresenta per la Germania del Nord e dell'Est un distacco così netto come per la Germania del Sud e dell'Ovest. Cominciano ora ad apparire le prime notizie storiche sui popoli germanici, prima presso gli storici greci, più tardi presso i romani; cominciano anche ad apparire nomi di tipo celtico, come ad es. quello della selva Hacynia, che corrisponde alla media zona montagnosa tedesca (Mittelgebirge), e molti di quelli dei fiumi ancor oggi in uso. Al nome greco di Celti corrisponde quello romano di Galli. Veniamo così a conoscere altresì il nome di singole tribù celtiche, come gli Elvezî, i Volci, i Boi, i Treveri e altri che, dopo essersi insediati in Germania provenendo dall'Occidente, invadono la Germania occidentale, quella meridionale e parte di quella centrale. Basandosi sulla distinzione fra tombe galliche a inumazione e tombe germaniche a incinerazione, si può stabilire la linea di confine delle due razze e il suo graduale spostamento, giungendo alla conclusione che la popolazione germanica nel corso degli ultimi secoli avanti l'era volgare esercitò una forte pressione sulle regioni del Sud-Ovest, che grandi parti della Germania non furono mai occupate dai Celti, che infine in altre zone la civiltà celtica in senso lato aveva già nell'epoca di Hallstatt subito una fine improvvisa. Lo stile di La Tène è a noi abbastanza noto per numerosi oggetti rinvenuti nelle tombe (da principio entro tumuli, più tardi in tombe scavate nel terreno o Flachgräber) e nelle abitazioni; ci è possibile in tal modo di determinarne bene i caratteri individuali e di distinguere quattro fasi, caratterizzate da un imbarbarimento sempre più pronunciato, che però si accompagna a una tendenza ognor più accentuata alla semplificazione. Eccetto pochi casi, questa civiltà di La Tène in Germania non rappresenta nulla di speciale rispetto a quella di Francia. Lo stile è il prodotto della mescolanza dello stile ionico-classico con un singolare stile decorativo a base di animali e di determinati motivi ornamentali, come la fascia a spirale rigonfia; e sempre più chiaro appare che gl'influssi non sono partiti tanto dal bacino del Mediterraneo, quanto dall'Europa orientale (con cui l'Europa centrale sino dall'età neolitica era in contatto assai stretto), soprattutto dai centri di fabbricazione greco-scitici. Caratteristiche dell'età celtica sono le numerose cinte fortificate, che si distinguono in due tipi: le une, specie di piccole città, corrispondono agli oppida di Cesare, e imitano prototipi delle regioni meridionali; le altre sono piccoli sistemi trincerati quadrangolari, che in parte giungono all'età delle guerre contro i Romani.

Lo sviluppo ulteriore della civiltà in Germania, sino alla caduta dell'Impero romano (400 d. C.) appartiene in massima parte alla storia, non più alla preistoria. Nella Germania non conquistata, la civiltà indigena continua a svilupparsi sulla base degli elementi ereditati dalla civiltà di La Tène. Ma sempre più si fa sentire sulle vie commerciali, a mano a mano che le comunicazioni fra l'Italia e il Danubio divengono più frequenti, la civiltà romana che oltrepassa il Danubio e il Reno. Con l'inizio dello spostamento dei popoli, le singole tribù germaniche sviluppano sempre più la loro propria individualità: sono gli Alamanni, i Franchi, i Baiuvari, i Turingi, i Longobardi, i Vandali, i Goti. Innumerevoli necropoli, in cui i morti sono messi rivolti verso l'Oriente circondati da armi e da oggetti di ornamento, ci forniscono un'idea dell'altezza cui era giunta l'arte applicata degli antichi Germani; giacché, anche tenendo conto di tutto l'influsso esercitato dall'arte romana del Basso Impero, notevole parte di quel che resta fu da essi creata per impulso proprio, ricorrendo al tesoro delle forme ricevute dal Nord e dall'Est. Per tutto il periodo fino alla conquista romana, v. germanici popoli.

Bibl.: Tra le opere generali possoon ricordarsi: G. Kossinna, Die deutsche Vorgeschichte, 3ª ed., Lipsia 1921; C. Schuchhardt, Vorgeschichte von Deutschland, Monaco e Berlino 1928.

Storia.

La provincia romana. - La conquista della Gallia aveva portato i Romani sul Reno: ma poiché questo non segnava alcun netto limite di divisione fra i popoli, era inevitabile che presto o tardi l'opera che Cesare aveva creduto di poter fermare, almeno per il momento, sulle rive di esso, venisse ripresa e portata più oltre verso oriente. Popoli di razza germanica abitavano egualmente sia al di qua sia al di là del Reno: e gli scambî fra le due sponde erano intensi e varî, e non limitati ai soli commerci: ché le tribù della riva destra spinte da quelle situate più lontano, e non ancora fisse nelle loro sedi, erano di necessità tratte a passare sulla riva sinistra e a cercare nuove terre nella Gallia; d'altro lato Cesare stesso, per aver più tranquillo il possesso di questa, aveva dovuto per due volte trasportare le sue legioni al di là del fiume. Siffatto duplice movimento continuò dopo la morte di Cesare: tanto più intenso anzi, quanto più si consolidava la conquista della Gallia, e la penetrazione commerciale e politica dei Romani nella Germania suscitava fra le tribù di questa più vivo fermento di lotte e di divisioni.

Nel 38 a. C. gli Ubî, già da tempo messisi sotto la protezione dei Romani, sono costretti a trasportarsi sulla riva sinistra, dove Agrippa assegna loro delle terre, fondando il primo nucleo di quella che sarà poi la città di Colonia; da parte sua Agrippa per due volte, nel 38 e nel 25, valica il fiume e impone alle tribù tumultuanti e ostili ai Romani la sua volontà. Nel 16 una generale insurrezione scoppia fra i popoli del medio Reno (Sicambri, Usipeti e Tenteri), che, sorti in armi, passano il fiume, venendo ad assalire i Romani nella Gallia: affrontati da una legione comandata dal legato Marco Lollio, la sconfiggono, conquistandone l'insegna. Fu forse questo il fatto decisivo che indusse Augusto, accorso allora nella Gallia, ad affrontare direttamente il problema della pacificazione delle terre al di là del Reno e della conquista fino all'Elba, non tanto per aggiungere nuove terre all'impero, quanto per dare la necessaria sicurezza al confine della Gallia, e indirettamente anche a quello delle regioni dell'alto e medio Danubio, con cui il primo si collegava. L'impresa, alla cui decisione non fu certo estranea la volontà di Druso, che nel 13 aveva assunto il governo della Gallia e il comando degli eserciti del Reno, cominciò sotto buoni auspici, per quanto attraverso difficoltà non lièvi. Nel 12 furono i Germani stessi che sembrarono prendere l'offensiva insorgendo di nuovo contro i Romani, uccidendo quanti di questi si trovavano nel loro territorio e tentando il passaggio del fiume: Druso lo impedì e passò a sua volta sulla destra del Reno, sottomettendo i Sicambri e i loro vicini. Ma la grande azione progettata doveva svolgersi soprattutto attraverso le terre del basso Reno e lungo la costa del Mare del Nord: un canale navigabile (fossa Drusiana) era stato scavato per congiungere il delta del Reno con il lago Flevo (Zuider Zee). Già da questo anno Druso provvide pertanto a far entrare sotto la soggezione dell'impero i Batavi e i Frisî: quindi navigando verso oriente giunse fino al territorio dei Cauci, alla foce del Visurgis (Weser), che divenne sul mare il confine romano.

L'anno seguente, mentre la flotta agiva di nuovo lungo le coste, l'esercito passò il Reno nel medio corso di esso, soggiogò i Sicambri, i Catti e i Cherusci, avanzando fino alle rive del Weser e ponendo una guarnigione nel territorio conquistato, ad Aliso (Haltern): una sorpresa dei nemici durante la ritirata sarebbe riuscita fatale, se la fermezza dei legionarî e l'indisciplina dei Germani non avessero fatto mutare la probabile sconfitta dei primi in una grande vittoria. Un'insurrezione dei Catti nel 10 diede motivo a Druso di ripassare l'anno dopo (9 a. C.) il Reno: questa volta egli si spinse ancora più verso oriente: ché al di là del Weser raggiunse le rive dell'Elba: ma per un doloroso incidente nel ritorno moriva.

Ne raccoglieva l'eredità il fratello Tiberio, che nei due anni seguenti (8 e 7 a. C.) riportò di nuovo l'esercito oltre il Reno, alcune popolazioni, come i Sicambri, trapiantando al di qua, altre respingendo più lontano, tutta la regione fra il Reno e l'Elba pacificando e considerando ormai come aggiunta all'impero. Non che venisse senz'altro trasportata più verso oriente la linea di difesa, che rimase invece per la massima parte appoggiata agli accampamenti situati sulla sinistra del Reno: ma al di là di questo una serie di posti fortificati fu impiantata lungo le due sponde della Luppia (Lippe), che costittiiva, di fronte a Vetera, la più facile via di transito verso l'interno della Germania, e soprattutto s'iniziò quella penetrazione civile che avrebbe dovuto in breve tempo far del paese una regione completamente soggetta. All'Elba si tendeva frattanto anche dal sud: allontanato Tiberio dalla Gallia, L. Domizio Enobarbo giungeva all'alto corso di essa dalla parte della Vindelicia. Lo stesso Domizio Enobarbo era nell'i d. C. governatore sul Reno, dove tuttavia non sembra che compisse grandi imprese. La Germania era peraltro lungi dall'essere tranquilla: la ribellione covava nei popoli ancora tutt'altro che sottomessi, e scoppiava di quando in quando in piccoli episodî locali.

Tornato Tiberio nel 4 d. C., l'opera che egli aveva lasciata interrotta fu ripresa: nell'inverno dal 4 al 5 l'esercito romano svernò per la prima volta nel territorio germanico, dove finora non si era avventurato di solito che nella stagione estiva; nel 5 e nel 6 fu di nuovo percorsa tutta la regione fra il Reno e l'Elba, e ricondotti in obbedienza i Cherusci e le altre tribù ribelli; anche i Longobardi, stanziati fra il Weser e l'Elba, riconobbero il dominio di Roma. E a questa fecero atto di omaggio sia i Cimbri dello Jütland, sia i Semnoni stanziati al di là dell'Elba: le legioni invero non valicarono questo fiume, ma una flotta ne risalì il corso dopo aver prima navigato al promontorio dei Cimbri (punta dello Jütland). La presa di possesso della regione era ormai completa e definitiva: si trattava soltanto di consolidarla sia moralmente, sia anche materialmente, distruggendo o piegando al protettoraio di Roma il regno dei Marcomanni, e congiungendo in tal modo la frontiera dell'Elba con quella del medio Danubio. Ma la rivolta dell'Illirico e della Pannonia obbligò Tiberio a rinunciare ai suoi piani. Il suo allontanamento dall'esercito del Reno e il malgoverno di chi gli succedette fecero maturare nei Germani i germi della rivolta; essa scoppiò nel 9 d. C., mentre al comando delle legioni era P. Quintilio Varo, uomo debole e inetto, e ne fu l'anima Arminio (v.), principe dei Cherusci.

L'esercito, composto di tre legioni e di varî corpi ausiliari, aveva passato l'estate dell'anno 9 presso il Weser: alla notizia che una delle tribù vicine si era sollevata, Varo iniziò la ritirata: ma sorpreso entro una foresta paludosa della Vestfalia, la selva di Teutoburgo, non fu capace di tener fronte all'assalto: l'esercito fu completamente distrutto. L'avvenimento, certo assai doloroso, non fu invero, nelle sue conseguenze immediate, più grave di tanti altri consimili: ché l'eccidio delle legioni non fu seguito, in parte per la discordia scoppiata nel campo dei Germani, in parte per il pronto intervento del comandante delle legioni di Magonza, da un assalto sul Reno: tuttavia esso segnò il tramonto di tutti i piani di annessione all'impero delle terre fino all'Elba. Il ritorno di Tiberio portò un rinvigorimento delle difese e dell'esercito, ma non una ripresa di operazioni al di là del Reno: nel 10 e nell'11 Tiberio passò sulla destra di esso, ma per azioni affatto limitate. Salito Tiberio al trono, Germanico, figlio di Druso, rimasto solo al comando dell'esercito di Germania, sembrò voler ritornare sulle orme del padre. Per tre volte, nel 14, nel 15 e nel 16, egli si trasportò al di là del Reno: la prima campagna fu breve; nella seconda furono ridotti in obbedienza i Catti e i Cherusci, e con l'azione combinata dell'esercito e della flotta, fu devastata la regione fra il Reno e l'Amisa (Ems): ritornando per la prima volta nella selva di Teutoburgo, furono ritrovati i resti dell'esercito di Varo. Invano Arminio tentò di rinnovare con Germanico l'agguato già teso a Varo: i Romani resistettero e poterono riguadagnare, non senza tuttavia gravi perdite, gli accampamenti del Reno. Nel 16 Germanico allargò ancora i suoi progetti, riprendendo i metodi di Druso: volle cioè soprattutto appoggiarsi al mare e alle popolazioni costiere più fedeli a Roma. Con una flotta portò l'esercito fino alla foce del Weser: quivi fu assalito dai Cherusci, ancora comandati da Arminio. Due furono le battaglie, e in ambedue la vittoria rimase ai Romani: ma le vittorie non furono decisive: d'altronde le tempeste autunnali dispersero al ritorno la flotta, causando a essa e all'esercito gravissime perdite.

La riconquista della Germania era così ricominciata, ma con successi ancora limitati, e contrastata da dolorosi accidenti: la gelosia di Tiberio verso Germanico finì per far precipitare la decisione che era già nell'animo dell'imperatore; nel 16 Germanico fu richiamato e inviato in Oriente, e il suo richiamo significò l'abbandono definitivo di ogni progetto di conquista della grande Germania. Anche dopo imperatori e governatori avranno ancora sovente da combattere sulla destra del Reno per sottomettere tribù ribelli o per allargare e consolidare il dominio romano: ma saranno guerre e ampliamenti di limitate conseguenze, di carattere puramente locale. Di un trasferimento della frontiera all'Elba non si parlerà più: e si lasceranno invece vivere e agitarsi in assoluta prossimità dei confini della Gallia quelle popolazioni che tre secoli dopo sommergeranno questa con la loro invasione.

Il richiamo di Germanico determinò la divisione del comando dell'esercito del Reno in due comandi minori: della Germania superiore e della Germania inferiore.

Il provvedimento era forse già stato progettato precedentemente, ma la sua applicazione doveva essere stata sospesa, al pari di quella dell'ordinamento augusteo della Gallia. Invero è molto probabile che già Augusto avesse avuto in animo di costituire una provincia della Germania, che comprendesse tutta la regione situata fra il Reno e l'Elba e i distretti a occidente del Reno abitati da popolazioni germaniche. L'ipotesi si avvalora sia dal passo del monumento ancirano, purtroppo lacunoso, nel quale l'imperatore ricorda di aver pacificato tutto l'occidente da Gades fino ad ostium Albis, sia ancor più dal fatto che, come per la Gallia, anche per la Germania Druso aveva, fra il 12 e il 9 a. C., consacrato l'altare, che della nuova provincia avrebbe dovuto a suo tempo costituire il centro religioso e politico: e tale ara era stata stabilita nel territorio degli Ubî sulla sinistra del Reno. Ma ogni applicazione di tale ordinamento, anzi forse anche la sua precisa definizione, erano rimaste in sospeso nell'attesa di consolidare prima la conquista. La sconfitta di Varo aveva travolto ogni progetto: quando, dopo gli sforzi riusciti quasi vani di Tiberio e di Germanico, si rinunziò definitivamente all'estensione dei confini fino all'Elba, esso fu ripreso e attuato: sennonché le nuove provincie, pur mantenendo il nome di Germania, non compresero che una minima parte di questa, una stretta striscia di territorio in prossimità del Reno, quasi tutta a occidente di questo, e ampliata con l'aggregazione di qualche distretto celtico: più che due provincie vere e proprie, esse potevano considerarsi come il territorio militare di confine della Gallia: con la quale, e particolarmente con la Belgica, esse rimasero infatti strettamente legate. Se la divisione del comando dei due eserciti comportasse subito una vera organizzazione dei due territorî a provincia, nel senso che ai comandanti delle legioni spettasse anche il governo civile, o se tale organizzazione venisse soltanto più tardi, al tempo dei Flavî, come qualcuno ha opinato, non si può ancora dire con sicurezza. Quel che possiamo affermare è che i due comandanti degli eserciti, e governatori delle provincie, furono sempre legati di rango consolare, quindi superiori a quelli delle tre Gallie; che invece per l'amministrazione finanziaria le due provincie rimasero sempre alle dipendenze del procuratore della Belgica, come dal punto di vista doganale esse formarono sempre un'unica circoscrizione con le Gallie. Le stesse tribù celtiche comprese in esse seguitarono a mandare i loro rappresentanti all'assemblea di Lione (vedi Gallia). Invero i confini delle due provincie fra loro e in rapporto alla Belgica non sono determinati con precisione: la Germania superiore si stendeva dal lago Lemano a mezzogiorno fino, sembra, alla confluenza del Vinxtbach col Reno fra Confluentes (Coblenza) e Bonna (Bonn), a settentrione; a occidente erano stati riuniti con essa i distretti degli Elvezî, dei Sequani e dei Lingoni: la sede del governatore era a Mogontiacum (Magonza). La Germania inferiore giungeva a settentrione fino al mare, comprendendo i distretti dei Tungri e dei Menapi a occidente del Reno e le isole dei Batavi nel delta del fiume; la sua capitale era a Colonia.

Quanto ai confini orientali, essi erano segnati dall'estensione del dominio romano verso oriente, varia a seconda delle due provincie e a seconda dei tempi. Nella Germania inferiore l'abbandono dei progetti di conquista portò senz'altro il confine alla linea del Reno, al di là del quale i Romani non mantennero che la testa di ponte di Colonia, rappresentata dal castello di Deutz, qualche altro posto fortificato lungo il corso della Lippe, e le terre dei Cannenefati e parte di quelle dei Frisî, tra la foce del Reno e quella dell'Ems. Nella Germania superiore invece fu anche, dopo la rotta di Varo, mantenuto il possesso del Tauno che, di fronte a Magonza, comandava la pianura del basso Meno, donde più facili erano le invasioni da parte dei Germani. A mezzogiorno del Meno, sulla destra del Reno, si stendevano dapprima i cosiddetti agri decumates, cioè, sembra, una larga zona di territorio di dubbia proprietà, nella quale coltivatori romani e celti potevano andare ad abitare (v. in riguardo il più recente studio di E. Hesselmeyer, Was ist und was heisst Dekumatland?, in Klio, XXIV, 1930, pp. 1-37). Sulla fine del sec. I la zona fu incorporata nel territorio dell'impero, e a seguito soprattutto delle guerre combattute da Domiziano contro i Catti, il confine fu portato e consolidato alquanto più a oriente, in modo da comprendere tutto il bacino del Nicer (Neckar) fino all'alto Danubio. Il confine, fortificato dai Flavî, e poi ancora da Traiano e da Adriano, finì per essere segnato dalla linea del limes. Questo si staccava all'incirca nella località di Lorch dal limes della Rezia e correndo in linea quasi diritta da S. a N. giungeva all'estremità orientale della catena del Tauno, girava a settentrione di questa, chiudendola nel territorio dell'impero, e scendeva quindi sul Reno. La sua lunghezza complessiva era di km. 382. Era costituito da una difesa continua rappresentata da un vallo di terra, rafforzato da pali (il Pfahlgraben dei Tedeschi), e preceduto da un fossato. A distanza variabile fra di loro erano situati dietro alla difesa di terra, non lontani da essa in generale più di mezzo km. o 1 km., i forti: ricordiamo fra i più noti e più compiutamente esplorati, quelli di Saalburg, di Nidda-Heddernheim, di Niederbieder, di Zugmantel, ecc. L'esercito della Germania era costituito nel sec. I da otto legioni: quattro nell'inferiore, stanziate due a Vetera (Xanten), una a Novaesium (Neuss) e una a Noviomagus (Nijmegen), e quattro nella superiore, a Magonza (due legioni), Argentoratum (Strasburgo) e Vindonissa (Windisch presso Zurigo): erano in più naturalmente varî corpi ausiliarî. Con il principio del secolo II la forza della guarnigione fu ridotta in ciascuna delle due provincie prima a tre, poi a due legioni; rimasero i corpi ausiliarî, i quali però, dopo l'esperienza della rivolta del 69 e 70 (v. oltre), soltanto in parte furono arruolati sul posto.

La storia delle due Germanie s'identifica per gran parte con quella delle Gallie. Più particolarmente interessano le prime gli avvenimenti del 69 e 70 d. C., che presero origine dall'insurrezione dei Batavi, e che ebbero come principale teatro il territorio delle provincie renane. L'esercito era stato qui grandemente indebolito dalla guerra civile, che aveva portato al trono il legato della Germania inferiore, Vitellio; onde gli insorti, guidati da Giulio Civile, e con i quali si erano unite molte tribù di oltre Reno spinte alla guerra da una fanciulla profetessa dei Bructeri, Veleda, ruppero facilmente la resistenza delle legioni, ponendo l'assedio a Vetera: alla liberazione di questa mosse l'esercito della Germania superiore, guidato, più che dal comandante effettivo, Ordeonio Flacco, vecchio e inetto, dal legato Dillio Vocula: Vetera fu liberata, ma nel ritorno le truppe si ribellarono e soltanto a fatica Vocula poté ricondurle all'obbedienza. Ai Germani si unirono ora le tribù della Belgica che proclamarono l'impero gallico: invano Vocula tentò di tener testa agl'insorti: Vetera, di nuovo assediata, capitolò al pari di Magonza, di Bonna e di Novaesium: tutto il Reno poteva dirsi perduto per i Romani: Colonia stessa stava per essere data alle fiamme, se a ciò non si fossero opposti lo stesso Civile e Veleda. Ma di lì a poco giunsero le nuove legioni inviate da Vespasiano sotto il comando di Annio Gallo nella superiore e Petillio Ceriale nell'inferiore: a quest'ultimo in particolare si deve il recupero delle provincie e la dispersione dei ribelli, vinti prima avanti a Treveri, poi a Vetera: Civile scampò al di là del Reno, Veleda fu condotta prigioniera a Roma (autunno 70). Le provincie furono da allora tranquille, né la loro pace fu grandemente turbata dalle guerre, in generale di limitata ampiezza, che furono combattute più tardi: fra le più importanti è da ricordare quella di Domiziano contro i Catti nell'83.

Lo sviluppo civile delle Germanie procede sostanzialmente sulle stesse linee di quello delle Gallie (v. gallia, alla quale voce si rimanda anche per l'evangelizzazione della regione): tuttavia la vicinanza degli accampamenti, vivo centro d'irradiazione di romanità, e il fatto che le maggiori città nacquero tutte da questi più che da precedenti centri indigeni, non poterono non dare alla vita e alla cultura delle terre renane un aspetto per certi riguardi diverso da quello deI resto della Gallia: è l'aspetto di una terra di confine, dove tutto vive in funzione della difesa di questo e dell'esercito che a questa difesa provvede, e dove si congiungono e si confondono insieme gl'influssi assai diversi che vi recano da un lato i soldati provenienti dall'Italia e dalle varie terre dell'impero, dall'altro i vicini Germani di oltre Reno.

Nel sec. III, quando i Germani si costituiscono in gruppi più saldi e più ordinati, compaiono, in luogo dei nomi delle vecchie tribù, i nomi nuovi: sono i Sassoni più presso al mare, tra la foce dell'Elba e quella del Reno, i Franchi sul Basso Reno, fra Noviomagus e Bonna, gli Alamanni sull'Alto Reno, da Magonza verso mezzogiorno. Ognuno di questi aggruppamenti preme sui confini dell'impero, e ogni volta che uno di essi li spezza (v. gallia), le provincie renane sono le prime a subirne gli effetti. La riforma dioclezianea non muta gran che l'ordinamento di esse: la Germania superiore viene divisa in Germania prima e in Maxima Sequanorum, la inferiore rimane quale è col nome di Germania secunda: tutte vengono riunite alla dioecesis Galliarum: di fronte ai governatori la massima importanza assumono i comandanti militari. Con l'inizio degli stanziamenti dei barbari nelle terre dell'impero, le Germanie sono le prime a essere occupate: sin dalla fine del sec. III Costanzo permette ai Franchi Salî di stabilirsi nell'isola dei Batavi.

Dalla seconda metà del sec. iv alla morte di Carlo Magno. - Germania e Germani. - Il Reno e l'alto corso del Danubio avevano definitivamente costituito il confine dell'impero romano, a oriente e a nord del quale si estendeva, sino alla Vistola e ai mari del Nord e Baltico, la vasta regione, coperta di folte foreste, rotta da grandi fiumi e da tratti paludosi, che, dal nome genericamente dato alle varie genti barbariche in essa sparse, era detta Germania. Questo nome era però stato attribuito anche a due delle provincie imperiali della diocesi di Gallia, che si affacciavano sul Reno, e ne comprendevano le regioni di riva sinistra, da Argentoratum (Strasburgo) alle foci, dove era già avvenuta una larga infiltrazione di genti germaniche: la Germania I o superior e la Germania II o inferior. Inoltre, terre anche di altre provincie dell'impero sarebbero state per secoli motivo di lotte, sul Reno tuttora non conchiuse, per deciderne l'appartenenza o agli organismi politici della Germania propriamente detta, o agli stati costituitisi ai suoi confini occidentali e meridionali. Nella diocesi di Gallia, a sud e ad ovest delle due Germaniae, la Maxima Sequanorum (regione del Giura e dei Vosgi meridionali, dalla Saona al Reno a valle del lago di Costanza) e la Belgica I (regione della Mosella, tra i Vosgi e le Argonne). Nella diocesi d'Italia, la Raetia I e la Raetia II (tra le Alpi e la destra del Danubio, sino alla confluenza con l'Inn); il Noricum Ripense, la Pannonia I o superior, la Pannonia II o inferior e la Valeria (tra le Alpi e la destra del Danubio, sino alla confluenza con la Sava). In queste provincie di frontiera, numerose le città sorte dall'occupazione e dalla civiltà dei conquistatori romani, le quali, o perpetuandosi, o rinascendo dalle loro rovine, avranno parte spesso non piccola nella storia della Germania: Argentoratum (Strasburgo), Mogontiacum (Magonza), Colonia Agrippina (Colonia), nelle due Germaniae; Divodurum Mediomatricorum (Metz), Virodunum (Verdun), Augusta Treverorum (Treviri), nella Belgica I; Augusta Vindelicorum (Augusta), Regina Castra (Ratisbona), nella Raetia II; Juvavum (Salisburgo), Lauriacum (Lorch), nel Noricum Ripense; Vindobona (Vienna), nella Pannonia I.

Lungo tutta questa estesa linea di confine premevano genti germaniche, avanguardia di altre popolazioni barbariche, disseminate sino alla Vistola. Sul litorale del mare del Nord, dalle bocche della Schelda all'estuario del Weser, i Frisii; sul Reno a valle della confluenza col Meno, i Franchi; a oriente di costoro, nell'interno, sino all'Elba, affacciandosi però al mare nella regione dell'estuario di questo fiume, i Sassoni, e nel bacino dell'Elba, ma in movimento verso sud-est, i Longobardi; sul Reno, a monte della confluenza col Meno sino all'alto Danubio a Regina Castra (Ratisbona), gli Alamanni, di stirpe suevica; a oriente di essi, altre genti sueviche, tra cui, dal secolo VI, cominceranno a essere ricordati specialmente i Baiuvari o Bavari; tra il mare del Nord e il mar Baltico, nella penisola dell'Jutland, gli Angli e gli Iuti; più a sud, nell'interno, i Turingi, e, nella regione del Meno, i Burgundî. Altri gruppi dalle regioni baltiche stavano spostandosi verso il Danubio, come i Rugi, gli Sciri, i Turcilingi, gli Eruli, i Gepidi, i Vandali, mentre le genti del gruppo gotico urgevano già alle frontiere del basso Danubio. Gravi, per la storia della Germania, le conseguenze di questo generale spostamento delle tribù germaniche verso ovest e verso sud. Da un lato, infatti, solo Franchi, Sassoni, Alamanni, Turingi e Baiuvari rimasero nel quadro della storia della Germania; dall'altro, a mano a mano che le masse germaniche, nei secoli dal IV al VI, si avvicinano al Reno e al Danubio, seguendo da vicino le altre che avevano ormai oltrepassato il limes e penetrato sempre più addentro nelle province imperiali, altri popoli barbari, provenienti dalle steppe sarmatiche, s'inoltravano nelle regioni da quelle abbandonate a oriente dell'Elba e nel bacino dell'alto e medio Danubio. Erano gli Slavi: tribù vendiche, come Vagrî e Abodriti, a oriente dell'estuario dell'Elba, Veleti o Vilzî, Liutizî, Miliziani, Sorabi o Sorbi, dall'Elba all'Oder; Cechi, nel bacino dell'alta Elba e più a sud-est, Moravi e Slovacchi; Sloveni, nelle valli delle Alpi orientali, da Vienna all'Enns, alla Mur, all'alta Drava, con irradiazioni sino nel Friuli e nell'Istria.

La Germania finì col trovarsi così divisa dalla Saale e dall'Elba sullo scorcio del secolo VII, in due parti disuguali. La maggiore, a oriente, era ormai del tutto occupata da popolazioni slave; la minore, a occidente, conservava le popolazioni germaniche rimaste sulla destra del Reno, Sassoni e Turingi, mentre, sulle due rive del Reno e del Danubio, Franchi, Alamanni e Baiuvari, si andavano ordinando in organismi politici più progrediti, sotto l'influenza della civiltà romana e del cristianesimo, con tendenza, nei Franchi, a orientarsi verso la Gallia. Per breve periodo (450-454), Slavi e Germani avevano piegato al giogo degli Unni di Attila, ma era stato solo un uggevole episodio nella storia della Germania. Ben diverse conseguenze doveva invece avere la formazione del regno franco.

Il periodo franco da Clodoveo a Pipino il Breve (496-768). - Infatti, se Clodoveo (481-511), il fondatore della potenza franca, estese i suoi dominî soprattutto nella Gallia, d'altra parte, con l'abbattimento del regno degli Alamanni (battaglia di Tolbiacum, 496), fece un passo della più grande importanza. Il regno degli Alamanni si estendeva dal Meno alle Alpi, dai Vosgi alla Lech. Sterminati gli abitanti, o ridotti nella parte meridionale del paese, fra l'alto Reno e la Lech, sotto la protezione del finitimo regno italico dell'ostrogoto Teodorico, questa sola conservò ancora il nome di Alamannia. Nella parte settentrionale, tra il medio Reno, il Meno e la Neckar, si trapiantarono, portandovi lingua, diritto e costumi, i Franchi conquistatori, che finiranno col darle anche il loro nome, Franconia. Per la prima volta, da secoli, una popolazione germanica accennava a invertire la direzione del suo moto, e si disponeva a ripercorrere a ritroso il cammino, che aveva portato i suoi antenati ad abbandonare agli Slavi le antiche sedi.

Nuovi progressi furono compiuti sotto i primi successori di Clodoveo. Il regno dei Turingi, che si estendeva tra la Fulda e la Werra e l'Elba, e al sud si spingeva sino all'alto bacino del Meno, fu abbattuto (531), e la regione tra il Meno e la Selva di Turingia colonizzata dai Franchi. La parte settentrionale, però, nella regione montuosa del Harz, fu occupata dai Sassoni, mentre quella orientale, tra la Saale e l'Elba, era invasa dai Sorabi. Pochi anni dopo (circa 536-538), la crisi del regno ostrogoto in Italia permise ai Franchi di completare la sottomissione dell'Alamannia anche a sud della Neckar, sino alla Lech, mentre la loro influenza si andava affermando anche sui duchi dei Baiuvari. In tal modo, quanto alle genti germaniche era rimasto a oriente del Reno e sulle due rive del Danubio sino alle Alpi e all'Inn, era caduto, o era in via di cadere, sotto il controllo diretto o indiretto dei Franchi. Dall'Elba al Danubio, costoro erano ormai a contatto con le genti slave, e dal principio del sec. VII dovettero cominciare a fronteggiarne le incursioni. Intanto, a sud-est sorgeva la minaccia degli Avari (v.), che dalla Pannonia, dove si erano stabiliti al seguito dei Longobardi, spinsero più volte (562, 566, 597) punte devastatrici nel cuore della Germania, sino alla Turingia. Si delineava così il compito storico riserbato ai Franchi in Germania: farsi prima, contro gli Slavi e gli altri barbari, che ancora rifluivano dall'inesauribile Oriente, baluardo della nuova civiltà occidentale in via di formazione sotto gli auspici della Chiesa di Roma e delle non mai spente tradizioni imperiali; passare poi alla controffensiva, che avrebbe conquistato al cristianesimo l'intera Germania.

Intanto anche nella Gallia era continuata la conquista franca, che nel corso del sec. VI si poteva dire compiuta. Come effetto e in corrispondenza di questa duplice direttiva seguita dal movimento di espansione, si venivano costituendo nel regno franco due maggiori centri di gravità, attorno ai quali si andavano precisando due organismi politici più importanti, con propria fisionomia e con proprî interessi. Il paese dei Franchi occidentali, o Neustria, gravitante sul bacino della Senna, dove, per il processo in pieno svolgimento di fusione tra Franchi e Latini, lingua e istituti di quelli stavano modificandosi sotto l'influenza di questi. Il paese dei Franchi orientali, o Austrasia, gravitante sui bacini della Mosella e del Meno, e quindi sulle due rive del medio Reno, dove l'elemento latino decresceva sempre più con l'avvicinarsi del Reno, e al di là di esso i Franchi e le altre genti germaniche costituivano la totalità della popolazione, e mantenevano ancora quasi intatti lingua, costumi e leggi. Erano così poste sino da allora le condizioni storiche per il distacco dei Franchi orientali dai Franchi occidentali. Ma se il progressivo indebolimento del potere monarchico sotto i Merovingi agevolò l'affermarsi delle tendenze autonomistiche, queste furono in certo qual modo bilanciate e tenute in freno dalle ambizioni del maggiordomo d'Austrasia verso il trono, onde non portarono anche qui, come invece accadeva nella Turingia, nell'Alamannia e nella Baviera, alla costituzione di un ducato indipendente. Così ancora per due secoli la storia della Germania rimarrebbe intrecciata con quella della Francia. Col decadimento dei re Merovingi, la sfera d'influenza del regno franco in Germania si era molto ristretta: toccava ai Pipinidi di riprendere la politica delle conquiste a oriente del Reno. Cominciò Pipino detto d'Héristal (morto nel 714), con una serie di campagne vittoriose contro i Frisî, i Turingi e gli Alamanni; continuarono i suoi successori. Carlo Martello (morto nel 741) rintuzzò i Frisî, che s'erano fatti arditi di scorrere le terre del basso Reno sino a Colonia (719), e ne devastò il paese, distruggendovi i templi pagani (733-734); condusse ripetute spedizioni contro i Sassoni, invasori nel 715 della regione tra il Reno e la Mosa, e si spinse sino al Weser (718, 720, 738); s'impose con le armi agli Alamanni (730) e ai Bavari (725 e 728). Carlomanno e Pipino il Breve (morto nel 768) prima, Pipino da solo, dopo che il fratello si fu fatto monaco (747), non diedero tregua ai Sassoni (742, 744, 751, 758), agli Alamanni (742-744, 746, 749), ai Bavari (742-743, 749); su questi due ultimi popoli l'alta sovranità franca fu riaffermata. Anche contro gli Slavi si ebbero, per merito loro, nuove avvisaglie della riscossa germanica. Ma il momento decisivo per la storia della Germania fu il dominio di Carlomagno, che non soltanto condusse a termine l'opera di conquista dei Pipinidi, ma al paese conquistato diede gli ordinamenti che furono base dei suoi ulteriori sviluppi.

Il periodo franco: Carlomagno (768-814). - Particolare importanza ebbe la sottomissione dell'ultimo popolo germanico che, sulla destra del Reno, era ancora riuscito a mantenere la propria indipendenza: i Sassoni. Stabiliti fra l'Ems, l'Harz e la bassa Elba, i Sassoni erano divisi nelle quattro tribù dei Vestfali, tra la Lippe e l'Ems; degli Angri, sul Weser e sul Hallep; degli Ostfali, tra il Weser e l'Elba; dei Nordalbingi, che si erano spinti nell'Holstein al di là dell'estuario dell'Elba. Con l'indipendenza, i Sassoni avevano conservato essenzialmente intatta l'antica struttura economica, sociale e politica dei Germani, e le antiche credenze pagane. Questo loro patrimonio materiale e spirituale essi, guidati dal loro eroe nazionale, il vestfalo Vitichindo, difesero in trent'anni di terribili lotte, sostenute con disperato accanimento contro la tenacia e il fervido impulso di propaganda cristiana, che animava il conquistatore. L'impresa, iniziata nel 772, solo nell'804 poté dirsi compiuta (v. carlomagno). Ma dopo la conquista il paese prese un aspetto del tutto nuovo. A decine di migliaia i Sassoni erano caduti o combattendo o giustiziati, o erano stati trasferiti in altre regioni. I sopravviventi e i rimasti avevano dovuto ricevere il battesimo, e al territorio occupato erano stati estesi gl'istituti amministrativi e religiosi del regno franco, imperniati quelli sulle contee, questi sui vescovati.

Grande importanza ebbe anche il definitivo assoggettamento della Baviera. I duchi che la reggevano, della dinastia nazionale degli Agilolfingi, svolgevano una propria politica interna ed estera. Questa, orientata verso i Longobardi, cui i duchi bavaresi si erano stretti anche con vincoli parentali, cercava nella loro amicizia un utile contrappeso alla minacciosa influenza dei Franchi, e aveva avuto di recente un nuovo suggello dalle nozze del duca Tassilone III con Liutperga, figlia di re Desiderio. Ma non mancava un partito favorevole ai Franchi; e il clero, in prima linea i vescovi di Salisburgo e di Frisinga, si sentiva attratto verso i Carolingi dalle loro benemerenze verso la Chiesa di Roma. Due anni (787-788) bastarono a Carlomagno per spegnere l'indipendenza bavarese. Tassilone III fu deposto e rinchiuso in un monastero; ugual sorte ebbero la moglie e i figli. Spezzati gli Agilolfingi, la Baviera fu retta dapprima da un cognato di Carlomagno, Geroldo; e dopo la sua morte (799), fu divisa in contee.

La sottomissione della Baviera portò il regno franco a diretto contatto con gli Avari della Pannonia. Fu la fine di questo popolo dì rapaci razziatori. Tra il 791 e il 796 con una serie di spedizioni i Franchi si spinsero sino al loro campo fortificato principale (Ring), presso il Tibisco e l'espugnarono. Gli Avari si sottomisero; dal principio del sec. IX anche il loro nome scomparve. Così, anche nel bacino del medio Danubio l'opera di Carlomagno creava dei rapporti con la Germania, che non sarebbero stati senza effetto per la sua storia futura. La conquista della Sassonia aveva analogamente portato il regno franco a più largo e diretto contatto con gli Slavi a nord-est. Su di essi non fu guadagnato terreno, perché Carlomagno non condusse contro di loro vere guerre di conquista, e anzi cedette agli Abodriti, che erano stati suoi ausiliarî nella lotta per l'occupazione della Sassonia, una parte delle terre tolte ai Nordalbingi sul versante del Baltico. Ma ebbe ugualmente importanza, per gli eventi futuri, la sistemazione a difesa del confine orientale. Terreno fu invece guadagnato verso nord, alle radici della penisola dello Jütland, dove i Danesi, che sotto il loro re Gotofredo avevano devastato il paese degli Abodriti (808-810), furono costretti a cedere la zona di riva destra dell'Eider.

Carlomagno era riuscito, là dove Roma, dopo alcuni tentativi, aveva dovuto abbandonare la sua opera. La Germania sino all'Elba entrava definitivamente a far parte del mondo civile occidentale, e riceveva l'ordinamento dal quale si sarebbe svolta la sua vita ulteriore con quella maggior coscienza delle proprie forze e della propria missione, che certo prima della conquista franca le sue popolazioni non potevano sentire.

Anche in Germania, base dell'ordinamento amministrativo furono le contee, in cui Sassonia, Alamannia e Baviera vennero ripartite, e che ebbero una particolare organizzazione militare alle frontiere nord-orientale e sud-orientale. Furono qui costituite le marche di Nordalbingia o Danese, Sorabica, e di Pannonia od Orientale (la futura Austria), convenientemente guarnite di nuclei di truppe scelte, che si appoggiavano a una linea di fortezze. In tal modo, era elevato il valido argine che avrebbe posto fine al secolare movimento verso occidente del mondo barbarico.

La diffusione del cristianesimo e l'ordinamento monastico-episcopale in Germania. - La conquista militare e politica non sarebbe però stata possibile o non avrebbe dato tutti i suoi frutti, se non l'avesse preceduta e accompagnata la conquista religiosa, che la preparò, la fiancheggiò, la consolidò, chiamando le popolazioni convertite, o in via di convertirsi, a nuovi modi di vita spirituale sotto l'egida del regno franco. I Pipinidi si resero subito conto del grandissimo vantaggio che avrebbero potuto trarre dalla propaganda del cristianesimo. Tra i Pipinidi e i missionarî si stabilì un'intensa collaborazione, che fu fertile di risultati così per la Chiesa come per lo Stato, e che fu agevolata anche dalle ottime relazioni per tempo stabilitesi tra quei principi e il papato. L'opera di conversione fu condotta da missionarî irlandesi, bretoni e anglo-sassoni professanti la regola di S. Benedetto. Trovò gli ostacoli maggiori nella Germania del nord, dove il paganesimo aveva messo tenaci radici tra i Frisi e i Sassoni, che meno delle altre genti germaniche avevano sentito l'influenza romana; fu agevolata nella Germania del sud dal fatto che le terre fra il Danubio e le Alpi erano già state provincie dell'Impero Romano, mentre anche le altre erano meglio preparate dai loro maggiori contatti con la civiltà romana-cristiana ad accogliere l'apostolato.

Nella Frisia la propaganda cominciò, intorno alla metà del see. VII, con S. Amando (v.), ma non fece molti progressi. Continuò con i missionarî anglo-sassoni, S. Wilfrido, arcivescovo di York (morto nel 709), che vi giunse nel 678, S. Willibrord (morto nel 739), suo discepolo, e S. Bonifacio (Winifrido), i quali le diedero il maggiore impulso. Nel 696, papa Sergio I istituì il vescovato di Frisia, che affidò, pregato da Pipino di Héristal, a S. Willibrord. Sede del vescovato fu Utrecht. Tra la fine del sec. VII e il principio del sec. VIII, fioteva dirsi convertita la Frisia meridionale, nel frattempo divenuta dominio franco; ma la lotta contro il paganesimo in Frisia, non ebbe con ciò termine, e lo stesso S. Bonifacio vi doveva cogliere, nel 755, la palma del martirio. La conversione della Sassonia si compì sotto la tutela della spada di Carlo Magno. Il paese fu ordinato, ecclesiasticamente, intorno ai vescovati di Münster (793) e di Osnabrück (773) in Vestfalia; di Paderborn e di Minden (780) nell'Angria; di Brema (787), Verden (785-789), Halberstadt (781?) nell'Ostfalia.

Nella regione fra il Meno, l'alta Saale, l'alto Weser e il Reno (Assia, Franconia, Turingia) l'opera di apostolato cominciò col bretone S. Kiliano (morto nel 689), con il quale la tradizione ricollega le origini della chiesa di Würzburg, e che convertì le genti del Meno. Ma anche qui i maggiori progressi furono merito di S. Bonifacio. L'istituzione nel 741 dei vescovati di Würzburg sul Meno, di Buraburg nell'Assia, di Erfurt nella Turingia, di Eichstätt sui confini con la Baviera (745); la fondazione di monasteri come Fritzlar nell'Assia, Kitzingen nella Franconia, Ohrdruf nella Turingia, Fulda, prediletto soggiorno e ultimo riposo di S. Bonifacio, furono il cospicuo frutto dell'instancabile zelo dell'apostolo, la cui attività si svolse efficacissima anche a sud del Meno, nell'Alamannia e in Baviera, dove condusse a termine e consolidò l'opera che dal sec. VII avevano iniziato i missionari irlandesi e i monaci franchi di Luxeuil, l'abbazia fondata da S. Colombano sulle pendici sud-occidentali dei Vosgi.

Tra gli Alamanni predicarono S. Colombano (morto nel 615), i suoi discepoli S. Sigeberto (morto circa nel 636) e S. Gallo (morto circa nel 627), che fondarono rispettivamente i monasteri di Disentis alle sorgenti del Reno e di S. Gallo a sud del lago di Costanza; e soprattutto S. Pirmino, originario di Meaux (morto circa nel 753), fondatore di numerose comunità monastiche, tra le quali la famosa abbazia di Reichenau (724), sul lago di Costanza. Nella Baviera cominciarono alla metà del sec. VII i monaci di Luxeuil, i quali trovarono amichevole appoggio in quei duchi. La conversione generale dei Bavaresi ebbe luogo a Ratisbona con S. Emmeramo, e culminò col battesimo dato al duca Teodone I da S. Ruperto (696 ?), che fu altresì fondatore di un'abbazia, il cui abate aveva la dignità episcopale, a Salisburgo, avviata a divenire città sulle rovine della romana Iuvavum, già sede di vescovi negli ultimi secoli dell'Impero. Poco dopo S. Corbiniano (morto nel 730) era il primo vescovo di Frisinga. Numerosi conventi, centri di future città, sorsero un po' dappertutto. S. Bonifacio diede l'ultimo suggello ordinando nel 739 la chiesa bavarese attorno ai quattro vescovati di Passavia, Ratisbona, Frisinga e Salisburgo, nel 798, elevato a sede metropolitana del paese; e vincendo con l'aiuto del duca Odilone la riluttanza del clero locale a riconoscere l'autorità del papa. S. Bonifacio (v.) fu senza dubbio il maggiore apostolo della Germania. Nel 745 egli fu assunto alla sede metropolitana della Germania, che avrebbe voluto fosse Colonia, ma che l'anno dopo fu trasferita a Magonza. Il centro religioso di tutta la parte orientale del regno franco, a cominciare dalla Frisia e dalla Mosa, perché da Magonza dipendevano anche i vescovi di Utrecht, Tongres, oltre quelli di Colonia, Worms e Spira, si trovava in tal modo spostata sulle terre della destra renana. Ma fu solo un momento. Sotto Carlomagno, rispetto alle diocesi più vicine al Reno, fu risollevata alla dignità di sede metropolitana Colonia; le altre rimasero subordinate a Magonza, che poi estese la sua giurisdizione a est e a sud, in corrispondenza degli ulteriori progressi del cristianesimo.

La Germania usciva dunque dalla conquista franca, e soprattutto dall'opera di Carlomagno, profondamente trasformata. In tutti i campi erano stati gettati i germi che presto si sarebbero sviluppati a darle una propria individualità storica. Il conglomerato vario di genti, socialmente, economicamente, politicamente e religiosamente ancora in condizioni arretrate, che troppo risentivano dell'originaria struttura sulla base della tribù e degli aggruppamenti cantonali, si veniva plasmando e facendo più omogeneo nel comune assoggettamento a uno stesso sovrano, nella comune credenza in una stessa fede, nel comune ordinamento, amministrativo intorno alle contee, ed ecclesiastico intorno ai vescovati. Foreste e paludi cedevano dinnanzi al lavoro di dissodamento, guidato dalle numerose comunità monastiche, che erano focolari di studio e, spesso, centro di nuovi aggregati di popolazione. La Germania, che a oriente del Reno aveva avuto sino allora soltanto villaggi, vedeva sorgere vere e proprie città. Mitigati i costumi, preparati gli spiriti, sotto l'azione della Chiesa, ad apprezzare i doni della cultura, la coscienza germanica era ormai occidentale. Ma, nello stesso tempo, le genti germaniche, per il rispetto sempre osservato da Carlomagno verso il diritto e verso gli usi delle varie stirpi dei suoi dominî, da questo più stretto contatto fra di loro e con gli altri popoli del vasto impero cominciavano anche a trarre coscienza di una propria personalità e di proprî interessi. Carlomagno, oltre il comune vincolo rappresentato dalla fede e dal rapporto personale, non aveva creato una stabile organizzazione centrale, politica e militare, giudiziaria e amministrativa. Ma l'unità religiosa non è da sola sufficiente a mantenere in vita l'unità statale; e non appena, con la scomparsa della grande figura del conquistatore (814), caddero quei rapporti personali, che avevano costituito il legame più solido col regno franco, la Germania si trovò pronta a proseguire per proprio conto il suo cammino storico. Da questo momento, le sue vicende nel sec. IX saranno tutte improntate al progressivo distacco, come regno indipendente, dalla Francia; alla successiva trasformazione dei Franchi orientali in Tedeschi (e Theotisci si diranno infatti dalla fine del sec. IX e dal principio del X), sulla destra del Reno, e al loro crescente differenziarsi dai Franchi occidentali, i Francesi, sulla sinistra, con una zona intermedia d'incerta attribuzione, sulla quale l'uno e l'altro popolo rifluiranno nei secoli con un'alterna vicenda di lotte sanguinose.

Dalla morte di Carlomagno all'avvento della casa di Sassonia (814-918). - Il periodo dei Franchi orientali (814-887). - Non era passata una generazione dalla morte di Carlomagno, e il fenomeno si manifestava, con tutta evidenza, nelle lotte impegnate tra i figli di Ludovico il Pio per ripartirsi l'impero. Per la prima volta nell'833 la Germania si trovò raccolta, come organismo a sé, sotto un proprio sovrano, con l'assegnazione della Sassonia, della Turingia, della Franconia, dell'Alamannia e della Baviera a Ludovico, che passò nella storia col nome appunto di Germanico, e che s'intitolò re dei Franchi orientali. Poi gli avvenimenti precipitarono. Il 25 giugno 841 Sassoni, Alamanni e Bavaresi combatterono insieme a Fontanetum, sotto Ludovico il Germanico, alleato al fratellastro Carlo il Calvo, contro Lotario I, che però nel suo esercito aveva anche Sassoni e Austrasiani. Il 14 febbraio 842 il giuramento solennemente pronunciato a Strasburgo, alla presenza degli eserciti schierati, da Ludovico in lingua romanza e da Carlo in lingua tedesca, per essere compresi dai guerrieri del rispettivo alleato, e dai capi dei due eserciti nella propria lingua, fu il riconoscimento ufficiale dell'esistenza delle due distinte nazionalità. Nell'agosto 843 il trattato di Verdun sanzionava anche l'indipendenza del regno di Ludovico il Germanico, a oriente dell'Ems, del Reno e dell'Aar, dal regno di Francia, e l'indipendenza di entrambi dall'Impero: vaga e senza contenuto era la supremazia lasciata, col titolo imperiale, a Lotario I.

Rimaneva il problema delle terre sulla sinistra del Reno. Esso fu posto ma non risolto a Verdun, assegnando al regno di Ludovico il Germanico le diocesi di Magonza, Worms e Spira, e creando tra esso e il regno di Francia una specie di stato cuscinetto con Lotario I come re, donde il nome di Lotaringia, fra le Alpi, il Giura e il Reno ad est, le valli del Rodano, della Saône, della Mosa e della Schelda a ovest, mentre verso il mare del Nord si estendeva a comprendere la Frisia oltre le bocche del Reno sino all'Ems e all'estuario del Weser. Ma uno stato di siffatta natura, privo di qualsiasi base unitaria etnica e territoriale, non poteva resistere a lungo alle forze che spingevano Ludovico a sconfinare oltre il Reno, e Carlo a contrastarne i progressi. Dopo essere stati per vent'anni in armi uno contro l'altro, finirono con l'accordarsi alle spese della Lotaringia, che nel frattempo aveva perduto le terre fra il Rodano e le Alpi, passate (863) all'imperatore Ludovico II. Nell'agosto 870 il trattato di Mersen segnò la scomparsa dello stato cuscinetto, e il suo territorio fu diviso in parti press'a poco uguali, in modo che il confine tra i due regni seguisse all'incirca la Mosa.

La comunità della lingua poteva dare al nuovo regno un'utile base per costruire l'unità nazionale al di sopra degl'interessi regionali e locali, sempre vivamente sentiti da Sassoni, Franconi, Alamanni e Bavaresi. D'altra parte, se anche in Germania l'evoluzione degl'istituti franchi portava le cariche laiche ed ecclesiastiche (duchi, conti, vescovi) a trasformarsi in feudi radicati nel possesso terriero, e i feudi a sottrarsi al controllo dell'autorità centrale come dominî territoriali autonomi, il fenomeno non aveva ancora raggiunto lo sviluppo che aveva preso in Francia. Soprattutto non era ancora scomparsa la classe dei piccoli proprietarî liberi, sui quali l'autorità del re poteva giungere direttamente, senza disperdersi nel passare attraverso infiniti gruppi frapposti, formatisi sulla base del beneficio, dell'immunità e del vassallaggio, che, al di sopra dell'obbedienza dovuta al sovrano, ponevano il vincolo personale di fedeltà fra il dipendente e il proprio signore territoriale diretto. Anche la Chiesa favoriva un'evoluzione in senso nazionale. A questo riguardo furono significativi i concilî tenuti a Magonza nell'ottobre 847 e 848, il primo per la decisione di usare anche la lingua tedesca nell'istruzione religiosa del popolo, il secondo per l'intervento, oltre che degli arcivescovi di Magonza e di Salisburgo con i vescovi da loro dipendenti, anche dei vescovi di Münster e di Osnabrück, la cui archidiocesi, Colonia, era allora posta fuori dai confini del regno. Ludovico il Germanico si adoperò ad aiutare le tendenze verso una maggiore unione dei suoi popoli, e questi gli si mostrarono in genere ossequienti; ma non seppe sottrarsi all'antico uso di dividere gli stati fra i figli, con le conseguenti rivalità che, in vista della divisione o a divisione compiuta, erano causa di continue lotte intestine. E tre furono le rivolte dei figli di Ludovico il Germanico, che però non ebbero la gravità di quelle dei figli di Ludovico il Pio. Cominciò Carlomanno, che reggeva la Marca Orientale (861-862); seguì (866) Ludovico il Giovane, malcontento della divisione stabilita nell'865; fu infine (871) la volta di Carlo il Grosso, che insieme con Ludovico il Giovane si ribellò a una nuova divisione, che favoriva troppo Carlomanno, seguita all'ampliamento degli stati di Ludovico il Germanico per il trattato di Mersen. Ma sempre, rapide conciliazioni impedirono ai dissidî di divenire insanabili. La divisione dell'865 costituì la base sostanziale dell'assetto definitivo, per il quale si venivano a costituire tre regni: di Baviera, con la Marca Orientale, la Carinzia e l'alta sovranità sugli Slavi di Moravia e di Pannonia, sotto Carlomanno; di Sassonia, con la Franconia e la Turingia, sotto Ludovico il Giovane; di Alamannia, sotto Carlo il Grosso. Nell'873 Ludovico il Germanico decise di lasciare che i suoi figli reggessero effettivamente i proprî regni, riserbandosi d'intervenire con le sue decisioni solo nei casi gravi. Come si vede, l'evoluzione nel senso nazionale subiva un grave colpo, e la Germania veniva ricondotta all'autonomia dei suoi antichi raggruppamenti etnici maggiori. Al confine orientale, fu continuata la lotta contro gli Slavi, con vittoriose campagne a nord dell'Elba contro gli Abodriti (844, 862) e minori fortune a sud-est, dove non fu possibile arrestare la crescente potenza dei Moravi. Ludovico il Germanico abbatté il loro capo Mojmir, e lo sostituì col nipote di lui, Rostislavo (846). Ma, ribellatosi anche costui, solo nell'870 il tradimento di un suo nipote, Svatopluk (Sventiboldo), ne permise la cattura. Posto a capo dei Moravi, Svatopluk a sua volta si ribellò e vinse i Bavaresi di Carlomanno (871 e 872). Allora Ludovico il Germanico fu costretto, nell'874, a riconoscere Svatopluk principe dei suoi Slavi, senza altri obblighi che un tenue tributo.

L'anno dopo, la morte dell'imperatore Ludovico II (12 agosto 875) portò d'un tratto in primo piano nella politica dei giovani regni tedeschi la questione italiana e imperiale, e rinnovò l'antagonismo del ramo tedesco col ramo francese dei Carolingi. Ludovico il Germanico disputò al fratellastro Carlo il Calvo la successione all'Impero e in Italia, e insieme col figlio Ludovico il Giovane invase la Francia, mentre gli altri suoi figli, scesi nella penisola, tentavano, senza riuscirvi, di impedire che lo zio prendesse le due corone. Ma la morte interruppe l'azione di Ludovico il Germanico (Francoforte sul Meno, 28 agosto 876). Carlo il Calvo mosse allora alla conquista della Lotaringia renana. Sul campo di Andernach fu combattuta una battaglia che, con la vittoiu̇a di Ludovico il Giovane, salvò l'indipendenza della Germania (8 ottobre 876). La minaccia francese indusse i tre fratelli ad accordarsi contro lo zio. Ma in un decennio i protagonisti scesero nella tomba, scomparendo uno dopo l'altro dalla scena: il 6 ottobre 877, Carlo il Calvo, imperatore, re di Francia e re d'Italia; il z2 settembre 880, Carlomanno, re di Baviera, che in Italia aveva potuto farsi proclamare re a Pavia (887), ma non conseguire la corona imperiale; il 20 gennaio 882, Ludovico il Giovane. Per poco sopravvisse Carlo il Grosso, in cui si vennero pertanto raccogliendo le varie corone, anche quella di Francia, dopo la morte di Ludovico III (882) e di Carlomanno (884), nipoti di Carlo il Calvo.

Per l'ultima volta l'Impero di Carlomagno si trovava riunito tutto sotto un solo sovrano, che apparteneva al ramo carolingio tedesco. Ma anche a prescindere dalle qualità personali di Carlo il Grosso, nessun uomo era ormai più in grado di contenere tanta varietà di forze etniche, faticosamente elaboratesi nel corso dei secoli VIII e IX, e fatalmente protese ognuna verso la propria via. E anche la Germania riprese la sua indipendenza, quando, deposto nel novembre 887 Carlo il Grosso (morto il 13 gennaio 888) dalla dieta di Tribur, fattasi strumento di queste forze, avvenne il definitivo distacco dall'Impero dei varî regni nazionali.

Gli ultimi Carolingi: Arnolfo di Carinzia (887-899) e Ludovico il Fanciullo (899-911). - Un innegabile senso di solidarietà nazionale indusse le varie genti germaniche, Sassoni e Turingi, Franconi, Alamanni e Bavaresi, a rendere omaggio, come a loro re, ad Arnolfo, che reggeva allora la marca di Carinzia. Figlio naturale di Carlomanno di Baviera, egli poteva considerarsi continuatore della linea dei Carolingi tedeschi. Tornava così a raccogliersi in un regno indipendente, sotto un solo sovrano tedesco, l'intera eredità di Ludovico il Germanico. Ma non facile era il compito da assolvere: il consolidamento dell'autorità regia e la fusione delle diverse parti del regno, all'interno; la difesa dei confini all'esterno. A nord-ovest e a sud-est due gravi minacce urgevano alle frontiere: i Normanni stabilitisi in Frisia con l'acquiescenza dei re franchi, che sottoponevano tutta la regione renana a periodiche feroci incursioni; i Moravi che, sotto il principe Svatopluk, avevano esteso il loro dominio a buona parte della regione carpatico-danubiana. La vittoria di Louvain sulla Dyle (i novembre 891) permise ad Arnolfo di sollevare la Germania occidentale dall'incubo normanno. Minori furono invece le fortune delle campagne condotte nell'892 e nell'893 contro i Moravi. Tuttavia la morte di Svatopluk (894), e le interne dissensioni degli Slavi valsero a neutralizzare anche qui il pericolo. Ma Arnolfo commise il terribile errore di valersi degli Ungheri come ausiliarî. I Moravi vennero, è vero, travolti sotto il dilagare di quegli spietati barbari, ma nello stesso tempo fu scatenato sull'Europa un nuovo spaventoso flagello.

L'ambizione di non lasciar decadere i diritti imperiali, che si erano trasferiti con Carlo il Grosso nei Carolingi tedeschi, distolse Arnolfo dai più vitali problemi della politica interna, e lo impegnarono in quelli della penisola italiana, traendolo alle due spedizioni dell'894 e dell'895-896. Unici risultati della politica imperiale di Arnolfo: le due corone, del regno d'Italia e dell'Impero, e un riconoscimento esteriore della sua supremazia da parte degli altri regni usciti dallo sfacelo carolingio. Ben poco, in confronto della effettiva debolezza della sua stessa corona in Germania, di fronte al malvolere dei signori più potenti. In Lorena gli riuscì tuttavia di far proclamare re suo figlio Sventiboldo (895), che però vi si resse a stento; e con l'appoggio del clero ottenne che alla dieta di Worms (897) fossero riconosciuti i diritti alla successione nel regno germanico dell'altro suo figlio Ludovico. Ma quest'ultimo, quando Arnolfo morì (8 dicembre 899), aveva soltanto 6 anni. Più volte doveva ancora ripetersi, nelle dinastie tedesche del Medioevo, il fatto delle successioni infantili, che acuivano la crisi per l'inevitabile affievolirsi del potere centrale sotto i governi di reggenza.

L'arcivescovo di Magonza, Attone, tenne ora il regno per il bimbo, che, mercé sua, fu proclamato re alla dieta di Forchheim (4 febbraio 900), e riconosciuto anche dalla Lorena, dove Sventiboldo non poté mantenersi più oltre contro l'opposizione dei signori locali. Ma la situazione del regno, minacciato a tutte le frontiere, dai Normanni a nord-ovest, dai Danesi e dai Vendi a nord-est, dai Moravi in temporanea riscossa a sud-est, divenne subito gravissima. Sopra ogni altra, prevalse ben presto la minaccia degli Ungheri dal 901 in poi. Le loro orde selvagge portarono la devastazione e la morte fin nel cuore della Germania. Rotti i Bavaresi in una battaglia, dove giacque sul campo il margravio Liutpoldo (907); battuto il margravio di Turingia Burcardo (908); disfatto sulla Lech presso Augusta un esercito regio (910), quei barbari parevano imbattibili. Il 24 settembre 911 Ludovico il Fanciullo moriva, mentre il regno cadeva nel più completo sfacelo, e tutti i progressi verso l'unità, che in ogni modo erano stati fatti dal tempo di Ludovico il Germanico in poi, venivano di colpo quasi annientati.

I grandi ducati. - Nel terrore e nel disordine generali, la necessità di trovarsi comunque una protezione e un capo, che assicurasse la difesa dai nemici imminenti, e insieme si assumesse la cura diretta degl'interessi locali, produsse finalmente anche in Germania il fenomeno del rapido diradarsi della classe dei liberi proprietarî, e lo stringersi dei signori minori attorno ai maggiori col vincolo del vassallaggio. La struttura interna del giovane regno, mentre le sue istituzioni erano ancora allo stato di embrione, si sfaldò nel violento sviluppo di un feudalesimo disgregatore, che soffocava sul nascere il potere monarchico centrale. Le vere forze fattive divennero i quattro grandi ducati di Sassonia, di Franconia, di Baviera e di Svevia (l'antica Alamannia meridionale), che si costituirono a detrimento del potere regio e dell'influenza politica della Chiesa, in corrispondenza dei quattro maggiori raggruppamenti etnici delle genti germaniche: manifestazione concreta dei particolarismi regionali, che la monarchia non aveva ormai più la capacità di contenere e tanto meno di risolvere; risveglio delle antiche tradizioni germaniche radicate nei capi gentilizî, condottieri in guerra della propria tribù, che la monarchia franca aveva compresso, ma non spento. Il fenomeno si compì con maggior rapidità ai confini: e cioè nella Sassonia e nella Baviera; si svolse tra più lunghi contrasti di famiglie rivali altrove.

Il ducato di Baviera si estendeva tra le Alpi e il Danubio, dall'Enns alla Lech. A ovest di esso, il ducato di Svevia comprendeva le terre che un tempo avevano costituito la parte meridionale del regno degli Alamanni, la regione alpina dell'alto Reno, il bacino dell'alto Danubio sino alla Lech, un tratto della regione renana con una parte della valle della Neckar sulla destra, sino ai Vosgi sulla sinistra del fiume. A nord della Svevia e della Baviera, il ducato di Franconia corrispondeva essenzialmente al bacino del medio Reno, con le valli della Neckar, del Meno e della Lahn sulla destra, sino alla bassa Mosella e alla Saar sulla sinistra del fiume. E infine, a nord della Franconia, tra il basso Reno, l'Elba e la Saale, il ducato di Sassonia, più degli altri fiero delle sue antiche tradizioni d'indipendenza, retto dalla famiglia dei Ludolfingi, che per un lato si faceva discendere dagli eroi nazionali della lotta contro Carlo Magno, e dall'altra era imparentata con la linea dei Carolingi tedeschi.

Questi quattro ducati erano entità concrete, che avevano base sugli idiomi, sul diritto e sul costume particolari alle singole popolazioni che ne abitavano il territorio. I duchi che li reggevano, intendevano spogliarsi della qualità di ufficiali della corona per assumere quella di veri principi territoriali, e affermare il principio dell'ereditarietà, nella famiglia, del dominio sul ducato rispettivo. Nei ducati persistevano le contee che ai confini mantenevano il nome di marche, cui erano preposti i margravî, con compiti di difesa, salvo a divenire base di operazioni offensive contro i barbari: la marca di Dania o Danese, contro i Danesi; di Turingia o Sorabica o di Sorabia contro i Sorbi; la marca di Boemia, contro i Cèchi; e, a protezione della Baviera contro Ungheri e Slavi, le marche orientale o d'Austria, e di Carinzia. All'orlo occidentale della Germania, poi, nelle valli della Mosa e della Mosella, si era costituito un altro grande ducato, quello di Lorena, l'antica Lotaringia settentrionale, ma con posizione ambigua rispetto al regno germanico: al principio del sec. X il duca Raineri (900-circa 916) l'aveva orientato verso la Francia.

Con la morte di Ludovico il Fanciullo, si era estinta la linea dei Carolingi tedeschi; era naturale che la corona cadesse in balìa dei duchi, e divenisse oggetto delle loro ambizioni personali dirette. La scelta infatti del successore di Ludovico cadde su di un duca, peraltro imparentato dal lato materno con i Carolingi, Corrado di Franconia, che fu eletto nel novembre 911 in seguito ad accordi intervenuti tra Sassoni e Franconi, sotto gli auspici di Attone, arcivescovo di Magonza. Il nuovo re, come già era avvenuto con Ludovico il Fanciullo, fu consacrato a Forchheim (10 novembre) in una solenne cerimonia religiosa, che mostrò l'interessamento della Chiesa tedesca alle cose della Corona, per ostacolare le ambizioni dei duchi su di essa. Alla proclamazione di Arnolfo, venticinque anni prima, i vescovi tedeschi non avevano partecipato. E su di essi si appoggiò Corrado I nel suo breve regno, senza però riuscire, nei suoi tentativi per distruggere, come illegittimi, i ducati, a superare l'irriducibile volontà d'indipendenza dei grandi feudatarî. Deciso avversario gli fu Enrico duca di Sassonia, contro il quale il re lottò senza risultati. Suonarono quasi irrisione le gravi pene comminate, contro chi avesse contrastato al potere regio, da grandi ecclesiastici e laici, riunitisi in assemblea, da cui però si astennero i vescovi sassoni, ad Hohenaltheim nel settembre 916. Né poté Corrado ritogliere la Lorena, dove condusse due infruttuose spedizioni (912, 913), all'influenza francese. Intanto il flagello magiaro continuava a infuriare fin nella Svezia, in Turingia, in Sassonia: nel 917 la stessa Alsazia fu raggiunta dalle orde distruggitrici. L'anno dopo (23 dicembre 918) Corrado I moriva, raccomandando come suo successore proprio il rivale Enrico di Sassonia, estremo riconoscimento nell'avversario delle qualità e dei mezzi necessarî al bene della monarchia, che a lui erano mancati.

La Germania sotto i sovrani della casa di Sassonia (919-1024). - Le raccomandazioni di Corrado furono ascoltate. Sassoni e Franchi s'intesero a Fritzlar (maggio 919) per proclamare re il duca di Sassonia. Episodio significativo, Enrico non volle la cerimonia religiosa della consacrazione, indizio che egli intendeva reagire all'influenza negli ultimi tempi acquistata negli affari dello stato dai vescovi tedeschi. Uomo di grande energia, e nello stesso tempo spirito eminentemente pratico, egli si mostrò consapevole che le immediate e più urgenti esigenze del regno erano la difesa dei confini e il consolidamento della monarchia.

Di fronte agli Ungheri, Enrico I si preoccupò anzitutto di assicurare un respiro alla Sassonia, nella quale stavano le basi della sua forza, e nel 924 stipulò una tregua di nove anni, obbligandosi in cambio a tributo. Per la Baviera e per la Svevia gli orrori delle incursioni unghere, che nel 926 giunsero sino in Lorena, non cessarono; ma il re ebbe modo di preparare nel suo dominio diretto la riscossa, che avrebbe dovuto portare alla liberazione di tutto il regno dal flagello. La sua opera in questo senso fu veramente feconda di risultati positivi. La creazione di numerosi centri fortificati, con l'obbligo a una parte della popolazione rurale di stabilirvisi, al resto di cercarvi rifugio in caso di pericolo, e con l'obbligo di tenervi giudizî, mercati, assemblee, feste, ecc.; al pari delle difese, costruite per ordine del re, intorno ai monasteri (Hersfeld, Gandersheim, Pöhlde), orientarono la struttura interna del paese, tuttora imperniata essenzialmente sugli aggregati rurali, verso lo sviluppo di comunità cittadine, sede delle principali manifestazioni della vita economica e sociale. Queste le origini di città come Goslar, Quedlinburg, Merseburg. D'altra parte le comunità monastiche, meno assillate dall'incubo dei saccheggi senza difesa, poterono ritornare alla loro missione più propriamente religiosa e culturale, da cui si erano andate allontanando. Con molta cura Enrico I provvide a riordinare e addestrare l'esercito, fondandosi particolarmente sul ceto dei suoi ministeriales, cioè di quei suoi dipendenti di condizione non libera, che lo servivano nelle sue proprietà private o nei dominî della corona, e sui quali poteva riporre maggiore fiducia che non nei feudatarî vincolati a lui dal vassallaggio, senza doversi attendere uguali pretese. Si preparavano così migliori fortune a questo ceto di modesta origine.

Una serie di vittoriose campagne contro gli Slavi servirono a temprare l'esercito. Tra il 928 e il 934 i Vendi tra la Saale e l'Oder furono assoggettati; la costruzione del castello di Meissen (928) sull'Elba aperse la via alla sottomissione dei Miliziani stanziati fra l'Elba e l'Oder; più a nord venne in potere di Enrico I Brennaburg (Branibor), nella regione del Havel e della Sprea: la futura Brandeburgo. Nel 929 anche il duca di Boemia Venceslao fu costretto a prestargli omaggio e tributo. E nell'estremo nord i Danesi, che minacciavano gli sbocchi della Germania sui due mari, furono battuti e costretti a riconoscere l'alta sovranità tedesca (934). Il confine della marca danese, che poi verrà detta dello Schleswig, era cosi riportato ai fiumi Treene e Schlee, e rafforzato, mentre nelle terre conquistate agli Slavi cominciava l'opera dissodatrice dei coloni tedeschi. Intanto, era spirata la tregua con gli Ungheri; e il 15 marzo 933 a Riade (Rietheburg o Ritteburg?) sull'Unstrut, Enrico I riportò su di loro una vittoria, che se non fu decisiva, li indusse però a lasciare la Germania per un certo tempo tranquilla.

Non appena eletto re, Enrico I non aveva esitato a imporre con le armi il suo riconoscimento ai duchi di Svevia e di Baviera, che si erano mostrati riluttanti a farlo spontaneamente (919-921); e negli anni successivi, aveva saputo trarre profitto delle lotte fra gli ultimi Carolingi e i Capetingi, che indebolivano il regno di Francia, per affermare l'autorità della corona anche nel ducato di Lorena, dove costrinse quel duca, Giselberto, al giuramento di fedeltà (925), e cercò di legarselo dandogli in moglie la figlia Gerberga (928). Ma in genere, egli rispettò le attribuzioni dei duchi, sanzionando l'esistenza dei ducati e lasciando loro la più ampia autonomia. Così Enrico I vide nella possibilità di giungere a una specie di stato federale la via per consolidare il potere monarchico. E se anch'egli non dovette rimanere insensibile alle tradizioni imperiali, se è vero, come racconta il cronista sassone Widukind, che dopo le sue vittorie sui barbari si disponeva a partire per Roma, seppe però anteporre ad esse le cure per i più reali interessi del regno. Sul principio del 936 un'assemblea di grandi, convocata a Erfurt dal re, riconobbe come suo successore sul trono germanico il figlio Ottone, designato, come primogenito, tra i fratelli. Era l'abbandono definitivo dell'antico uso invalso con i Merovingi e i Carolingi di dividere lo stato fra gli eredi, per il prevalere, sul principio ereditario, del più antico principio germanico, fatto rivivere alla proclamazione di Arnolfo, in virtù del quale il re doveva essere eletto dai rappresentanti dei varî gruppi gentilizî.

I progressi che Enrico (morto il 2 luglio 936) aveva conseguiti, furono subito sfruttati con la massima decisione dal figlio e successore, Ottone I. Eletto dai grandi a Fritzlar o a Forchheim, Ottone I volle essere incoronato e consacrato dagli arcivescovi di Magonza e di Colonia ad Aquisgrana (8 agosto 936) con un rito grandioso e suggestivo, con una serie di cerimonie, in cui si videro i duchi di Lorena, di Franconia, di Svevia e di Baviera, servirlo personalmente come ciambellano, senescalco, coppiere e marescalco, e che furono come la sintesi simbolica del programma di governo del nuovo monarca: l'eredità mistico-politica di Carlomagno, l'unità delle varie parti del regno e la sottomissione dei loro principi al sovrano come suoi funzionarî. Non fu un programma facile ad attuare. La reazione dei duchi non tardò a manifestarsi in aperta rivolta, cui si uni la ribellione dei fratelli stessi del re. Il maggiore di essi, Thankmar, cadde ucciso il 28 luglio 938; il minore, Enrico, si sottomise in occasione del Natale 941, e fu da allora devoto collaboratore di Ottone I. I duchi vennero sconfitti, e i ducati trasferiti a persone o della famiglia del re, o al re particolarmente devote: la Lorena a Corrado il Rosso (944), che poi sposò una figlia di Ottone I, Liutgarda (947); la Baviera al fratello Enrico (947); mentre il figlio Liudolfo, per le nozze con l'unica figlia del duca di Svevia, se ne assicurava la successione, che ebbe luogo nel 949. Il ducato di Franconia non fu più ricostituito, e così rimase spezzata in vantaggio della Sassonia l'antica importanza delle genti francone. La Sassonia rimase affidata a due fedeli margravî, Ermanno Billung (morto nel 973) e Gero (morto nel 965).

Ma con ciò Ottone I aveva soltanto spostato alcuni termini nel problema dei rapporti fra la corona e i ducati, non lo aveva risolto. E infatti, quando la sua politica italiana lo portò alla prima spedizione nella penisola (951) e alle nozze con Adelaide, infrangendo i sogni ambiziosi che sul regno d'Italia aveva concepito il figlio Liudolfo, questi riaccese la fiamma della rivolta, assecondato dal cognato Corrado, duca di Lorena, e trovando seguaci anche in Sassonia, in Franconia e in Baviera. Ottone I superò la nuova crisi (953-954), e passò ad altri duchi la Svevia e la Lorena. Quest'ultima fu data al fratello del re, Brunone, arcivescovo di Colonia, che la divise (959) in due minori ducati, dell'Alta Lorena, nella regione della Mosella, che conservò anche in seguito l'antico nome; e della Bassa Lorena, nella regione della Mosa, che più tardi si disse ducato di Brabante. I due nuovi ducati si vennero poi frazionando in un numero sempre crescente di nuclei signorili laici ed ecclesiastici, e di città dipendenti direttamente dal sovrano. Per altre due vie Ottone I cercò di raggiungere un più efficace controllo sulla potenza dei duchi: istituendo i conti palatini, funzionarî regi, che egli pose a fianco dei duchi, con mansioni analoghe a quelle dei missi dominici di Carlomagno; favorendo lo sviluppo della feudalità ecclesiastica, per farne un utile contrappeso alla feudalità laica. Vescovi e abati ebbero da lui possedimenti, immunità, giurisdizioni e dignità comitali: i quali, essendo esclusa nei concessionarî l'ereditarietà, venivano a mano a mano ricondotti a quella dipendenza verso la corona, cui erano andati sottraendosi. Ai confini occidentali giovò a Ottone I la lotta fra Carolingi e Capetingi, che continuava a paralizzare la Francia. Dal 939, Ottone I aveva assicurato al controllo del suo regno la Lorena: era dunque suo interesse impedire che una rapida vittoria dei Capetingi risolvesse la crisi, e permettesse alla Francia di risollevarsi. Egli si atteggiò di conseguenza a protettore del più debole, per quanto la cordialità dei suoi rapporti con i Carolingi fosse talora turbata dalle loro intermittenti velleità di riconquistare la Lorena. D'altra parte i ripetuti interventi nelle questioni francesi permisero a Ottone I di attribuirsi funzioni di arbitro, utili alle pretese di superiorità del regno germanico sugli altri eredi dell'impero carolingio.

Ai confini orientali, il flagello degli Ungheri, che da circa vent'anni era ritornato ad abbattersi periodicamente sulla Germania, nonostante la difesa dei duchi di Baviera, venne affrontato con tutte le forze del regno, non appena furono rese disponibili dall'esito felice dell'ultima crisi interna. Il 10 agosto 955, la grande vittoria riportata da Ottone I sulla Lech, presso Augusta, segnava veramente la fine del terribile incubo. Contro gli Slavi, l'azione offensiva iniziata con Enrico I fu proseguita con ottimi risultati. La conquista tedesca progredì verso l'Oder, in una serie di campagne sterminatrici, condotte a sud dal duca Enrico di Baviera, a nord dai margravî Ermanno Billung e Gero, mentre Ottone I in persona riaffermava (950) sulla Boemia l'alta sovranità del regno germanico.

Sulle terre strappate ai barbari tra l'Elba e l'Oder si venivano stabilendo coloni tedeschi e castelli, chiese e monasteri, nuclei di un nuovo ordinamento materiale e spirituale, propagati dal cristianesimo, che consacravano l'ingresso nel mondo civile occidentale, per opera del germanesimo, anche di queste regioni. Erano così sorti numerosi vescovati: Oldenburg, nel paese dei Vagrî (948), Havelberg (946 o 948), Brandeburgo (948), Merseburg, Zeitz e Meissen (968), tutti dipendenti da Magdeburgo, fondato nel 967 e da Giovanni XIII subito innalzato al grado di sede metropolitana delle regioni slave. L'influenza della Chiesa tedesca si estese anche oltre i confini del regno, là dove i barbari si andavano convertendo alla fede. Così Poznań, in Polonia, dove Miecislao I aveva preso il battesimo, verosimilmente dal 966 fu residenza, come centro di missione, di un vescovo, che più tardi, nel 1012, era soggetto, come pare, alla giurisdizione di Magdeburgo, e i vescovati di Schleswig, Ripen e Aarhus, istituiti intorno al 948 fra i Danesi, dipendevano da Amburgo. Tutta una catena di marche difendeva i nuovi confini dal Baltico all'Adriatico: marca del Nord, contro le varie tribù vendiche sulla destra della bassa Elba; marche dell'Est, o di Lusazia, di Turingia e di Misnia contro i Polacchi del medio Oder, con i quali ormai il germanesimo era venuto a diretto contatto, e contro le altre tribù vendiche tra l'Elba e l'Oder; Marca Orientale o d'Austria, ricostituita contro Cèchi e Ungheri; marche di Verona e di Aquileia, col Trentino, il Friuli e l'Istria, riunite al ducato di Baviera dopo la prima spedizione di Ottone I in Italia.

Ottone I si lasciò trascinare nel vortice delle tradizioni imperiali a riprendere in pieno l'eredità di Carlomagno, tanto più grave per l'organismo che se ne addossava l'onere e l'onore in quanto questo era appena al suo sviluppo iniziale, e d'altra parte aveva ancor più proceduto l'evoluzione di quelle forze nazionali, che non potevano essere contenute negli schemi irreali di un impero teocratico universale. Venivano a pesare sulla Germania un regno d'Italia vassallo, ma rotto da un agitato fermentare di energie irriducibili e insopprimibili, e la necessità di uno sforzo continuo e logorante per conquistare e mantenere il dominio religioso-politico dell'Impero sul Papato. In siffatta politica si ostinarono per secoli anche i successori di Ottone I, ed essa senza dubbio contribuì a ostacolare la formazione di una salda monarchia nazionale unitaria in Germania.

Queste le conseguenze che qui importa rilevare delle tre spedizioni italiane di Ottone I (951-952, 961-964, 966-972), e della sua incoronazione a imperatore (2 febbraio 962). D'altra parte, egli provvide a mantenere la corona reale e imperiale nella sua casa, facendo incoronare re ad Aquisgrana, il 26 maggio 961, dagli arcivescovi di Colonia, Magonza e Treviri, il settenne figlio Ottone II, dopo che i grandi del regno lo avevano eletto a successore; e poi ottenendo che papa Giovanni XIII lo incoronasse imperatore suo collega a Roma, il 25 dicembre 967. Tuttavia, la mancanza di stabili istituti legislativi e amministrativi, sicuro presidio del potere centrale oltre e più delle doti personali del sovrano, lasciò sommamente precaria la situazione costituzionale. Di qui l'inevitabile crisi a ogni successione: crisi che, pur superata, costava sempre alla monarchia perdita di prestigio e logorio di forze.

Quando Ottone I morì (7 maggio 973), i particolarismi regionali che egli, con la sua forte mano, aveva infrenato, risorsero con rinnovata violenza. La sorella di Enrico il Litigioso, duca di Baviera e cugino del nuovo re, Edvige, aspirava a succedere al marito Burcardo nel ducato di Svevia. La riunione della Baviera e della Svevia in quel ramo della famiglia reale avrebbe permesso la formazione di un vasto aggregato politico esteso a tutta la parte meridionale del regno, con larga sfera d'influenza nelle vicine Boemia, Ungheria e Italia, che avrebbe rotto l'equilibrio nel sistema di rapporti stabilito da Ottone I fra i ducati e la corona. In difesa dell'ambizioso disegno, Enrico il Litigioso fece insorgere tutta la Germania del sud, e cercò il sostegno della Boemia e della Polonia, quando Ottone II investì della Svevia l'omonimo nipote, figlio del fratellastro Liudolfo già stato duca di Svevia al tempo di Ottone I. Il re ebbe il sopravvento, e se in definitiva lasciò che la riunione dei due ducati avvenisse, perché trasferì la Baviera al nipote che aveva creato duca di Svevia, ne aveva però ridotta di parecchio l'estensione territoriale. Infatti ne erano state staccate la parte settentrionale, fra il Giura di Franconia, la Selva di Franconia, la Selva Boema e il Danubio (Nordgau bavarese), e la Marca Orientale o d'Austria, date rispettivamente ai fratelli Bertoldo e Liutpoldo di Babenberg; mentre la Carinzia aveva formato ducato a sé, con la marca di Carniola, prima sotto Enrico il Giovane, dell'antica famiglia ducale di Baviera, poi, dopo la sua adesione alla rivolta di Enrico il Litigioso, all'altro nipote omonimo del re, figlio della sorellastra Liutgarda (976-978). Anche il duca di Boemia fu costretto a prestare omaggio a Ottone II in Magdeburgo (978). Superata la crisi a sud e a est, si complicò la situazione a ovest. Da tempo i signori della Lorena erano in agitazione, Lotario II re di Francia giudicò opportuno il momento per tentarne la conquista. Nel giugno 978 lo stesso Ottone II fu sul punto d'essere catturato ad Aquisgrana; poi invase alla sua volta la Francia. In un convegno a Margut-sur-Chiers (980), Lotario II dichiarò di rinunciare alle sue pretese. La situazione della Germania era in complesso migliorata, e Ottone II avrebbe potuto riprendere l'opera di consolidamento all'interno, e di espansione verso oriente all'estero. Invece, egli preferì accorrere in Italia (novembre 980) per inseguirvi il miraggio imperiale, consumando le sue migliori forze militari nella sfortunata campagna calabrese del 982. Il 7 dicembre 983 Ottone II moriva a Roma quando non aveva ancora trent'anni; e un bimbo di tre anni ereditava un regno, su cui s'addensavano nembi di procella.

La spedizione italiana di Ottone II aveva costretto a sguarnire la Sassonia. Danesi e Slavi ne profittarono per dilagare nelle terre di recente perdute. Particolarmente gravi furono le conseguenze della riscossa slava. Distrutti gli stabilimenti dei coloni tedeschi, devastati i vescovati di Amburgo, Havelberg, Brandeburgo, Zeitz, l'espansione germanica verso oriente per un secolo rimase interrotta. Con Abodriti, Polacchi e Boemi si alleò per la conquista del trono un principe tedesco, lo spogliato duca Enrico il Litigioso, proclamatosi re a Quedlinburg (984), che in occidente aveva come alleato Lotario re di Francia, cui tornava a sorridere il pensiero di conquistare la Lorena. Ma l'energia dell'arcivescovo di Magonza, Willigis, e la fedeltà di Enrico il Giovane (che nel 983 aveva ottenuto, oltre il ducato di Baviera, anche la restituzione di quello di Carinzia), di Corrado duca di Svevia, dei signori della Franconia e di Bernardo, duca di Sassonia, permisero di conservare il regno al bimbo, che sin dal giugno 983 era stato riconosciuto successore del padre alla dieta di Verona, e nel Natale successivo era stato incoronato ad Aquisgrana. A Francoforte ebbe luogo la pacificazione generale (985). Enrico il Litigioso ottenne però di riavere il ducato di Baviera. Alla frontiera orientale la situazione fu ristabilita, nella regione del Havel e di Meissen, e di fronte a Polacchi e Boemi, per il valore di Eccardo I margravio di Misnia. Alla frontiera occidentale, Willigis seppe sfruttare nell'interesse del regno l'ultima fase della lotta fra Carolingi e Capetingi.

Ma nella mente di Ottone III da quando (995), giunto alla maggiore età, poté disporre di sé, predominò su ogni altro pensiero il sogno mistico della renovatio Imperii Romanorum, che lo rese insensibile ai problemi del regno tedesco e straniero alla patria, cui preferì l'Italia e Roma. Così egli non si preoccupò né dei pericoli che alla Germania potevano venire dal consolidarsi di Polacchi, Boemi e Ungheresi in più stabili aggregati nazionali e statali, né dell'opportunità che rimanessero almeno sotto gli auspici della Chiesa tedesca i progressi del cristianesimo in quelle terre. In Polonia non solo Ottone III acconsentì che fosse istituita una sede metropolitana a Gniezno (1000), con giurisdizione sui vescovati di Kolberg, Cracovia e Breslavia, cui si sarebbe presto aggiunto anche Poznań, sottratto alla giurisdizione di Magdeburgo, ma rinunciò anche al tributo sino allora prestato ai re tedeschi da quei duchi. Un solo vescovato in terra slava rimaneva legato con la chiesa tedesca: quello di Praga in Boemia, sorto nel 975 o 976 come suffraganeo dell'arcivescovo di Magdeburgo. In Ungheria, le possibilità date dalle nozze del principe Stefano con la figlia del duca di Baviera, furono neutralizzate dal fatto che egli prese la corona e il titolo di re sotto gli auspici del papa e non di Ottone III, mentre anche qui l'istituzione dell'arcivescovato di Strigonia creava un centro spirituale indipendente dalla Germania.

Come il padre, Ottone III morì in Italia (23 gennaio 1002). Con lui si estingueva la linea diretta della casa di Sassonia, ma rimaneva la linea collaterale rappresentata dal cugino Enrico duca di Baviera, figlio di Enrico il Litigioso. L'opera del potente Willigis arcivescovo di Magonza, e le adesioni trovate nei signori del proprio ducato, della Lorena e della Franconia orientale assicurarono a Enrico la corona alla dieta di Magonza (giugno 1002). Ancora una volta il principio elettivo si era contemperato con un certo riguardo a quello ereditario. Ma la mancata pienezza dell'elezione, cui non avevano partecipato né Svevi né Sassoni, e le difficoltà trovate da Enrico II a farsi riconoscere anche da loro, mostrarono chiaramente il regresso sofferto dall'autorità monarchica sotto Ottone II e Ottone III, e il risveglio avvenuto nelle forze autonomistiche locali. Non soltanto i duchi erano tornati a essere di fatto i capi riconosciuti dei popoli donde risultava la nazione germanica, ma anche i conti e i margravî, in teoria tuttora funzionarî del re, avevano talmente affermato l'uso di trasmettersi di padre in figlio cariche e dominî, e godevano di tali privilegi giurisdizionali e immunitarî, che la nomina e l'investitura regia si andavano sempre più riducendo a una mera formalità, ed essi più del sovrano erano i veri signori dei territorî compresi nella loro sfera di azione. Perciò Enrico II fu costretto a procedere con molta cautela, dimostrando spirito pratico e saggia valutazione delle sue forze, alternando l'energia con la tolleranza. Ripresa la politica del re Ottone I, diretta ad avere nella feudalità ecclesiastica un valido contrappeso a quella laica, la sviluppò nel senso di fare degli abati e dei vescovi altrettanti organi delle funzioni statali, ed esercitò sulla Chiesa e sui monasteri il più ampio e rigido controllo. Enrico II era d'altra parte animato da un sincero sentimento religioso, che gli fece vedere con molta simpatia il movimento riformatore che cominciava allora a irradiarsi da Cluny. Conscio della sua relativa debolezza, mirò a tutelare l'ordine interno con la cooperazione dei grandi, che convocava in assemblee, traendone occasione a far proclamare paci locali (Landfriede), come alle diete di Zurigo del 1004 e di Merseburg del 1012.

All'esterno, i Polacchi costituivano allora il pericolo maggiore per la Germania. Qui si manifestarono in tutta la loro gravità le conseguenze degli errori commessi da Ottone III nella sua politica orientale. I Polacchi, che sotto il duca Boleslao l'Intrepido avevano raggiunto un notevole grado di organizzazione politica, invasero le marche di Lusazia e di Misnia, spingendosi sino all'Elster affluente della Saale, e assoggettarono la Boemia, di cui Boleslao si proclamò duca, alteramente negando l'omaggio dovuto al re tedesco. Nel sistema difensivo del regno contro gli Slavi era così aperta una larga breccia, che, nonostante una lunga guerra, trascinatasi con interruzioni varie dal 1003 al 1018, non fu possibile riparare. Unico risultato fu l'aver potuto ristabilire in Boemia i duchi nazionali sotto l'alta sovranità tedesca, mentre con la pace di Bautzen (30 gennaio 1018) Enrico II dovette lasciare a Boleslao i territorî conquistati sino all'Elba, a titolo di feudo. Un fatto notevole fu la fondazione del vescovato di Bamberga, che Enrico II volle per assicurare la conversione delle popolazioni slave sui territorî adiacenti alla Franconia orientale, e che papa Giovanni XVIII dichiarò direttamente dipendente dalla Santa Sede (giugno 1007). Sulla frontiera occidentale, a nord mise piede nella Bassa Lorena il conte Baldovino IV di Fiandra, che Enrico II combatté (1006-1007), per poi lasciargli in feudo Gand, Valenciennes e l'isola di Walcheren; a sud, si aperse la possibilità di unire alla corona germanica quella di Borgogna, dove Rodolfo III, che era zio di Enrico II, e aveva bisogno del suo aiuto per sostenersi contro la nobiltà locale, gli si riconobbe vassallo e lo proclamò suo successore (1016). Ma il re tedesco non riuscì a imporsi alle forze locali. Senza dubbio, la Germania si era risollevata dal disordine del tempo di Ottone III. Ma Enrico II avrebbe però ottenuto ben altri risultati, se si fosse guardato dai rischi della politica transalpina. Se anche non se ne lasciò travolgere come gli Ottoni, il tempo e le forze consumati per le sue tre spedizioni italiane (1004, 1013-1014, 1021-1022) sarebbero stati molto più giovevoli agl'interessi tedeschi se spesi a nord delle Alpi.

La discendenza maschile della casa di Sassonia si estinse definitivamente con Enrico II (morto il 13 luglio 1024). Sotto di essa la Germania era stata salvata dagli Ungheri; aveva avuto nuovo slancio l'espansione tedesca verso Oriente; era stata presa la via del riordinamento interno e della fusione delle varie genti germaniche: d'altra parte, gl'imperatori sassoni, se avevano dato alla corona tedesca il prestigio della dignità imperiale, la sovranità dell'Italia, e una diretta influenza sul papato, le avevano però imposto, un compito troppo superiore alle sue possibilità.

La Germania sotto i sovrani della casa di Franconia (1024-1125). - Le circostanze in cui avvenne l'elezione del successore di Enrico II (dieta di Kamba, sulla destra del Reno tra Worms e Magonza, 4 settembre 1024) misero in piena luce le tendenze e forze politiche formatesi in Germania. Il principio elettivo-ereditario nella successione al trono: le oscillazioni degli elettori prima del voto si restrinsero alle persone legate di parentela, sia pure in via femminile, con la casa di Sassonia (la bisnonna dell'eletto, Corrado II dell'antica famiglia ducale di Franconia, era Liutgarda figlia di Ottone I). L'influenza dell'alto clero: il voto a favore di Corrado II, che si sapeva poco propenso al movimento riformatore di Cluny, fu deciso dall'atteggiamento dell'arcivescovo di Magonza, Aribone, che a quel moto era avverso. I particolarismi regionali: i Lorenesi non presero parte al voto, e in seguito riluttarono al riconoscimento; e i signori della Sassonia, dove i discendenti del margravio Ermanno Billung avevano fondato una nuova dinastia ducale, condizionarono il loro al riconoscimento da parte del re delle speciali autonomie del paese.

Ma nei riguardi appunto di queste forze, la storia della Germania entrò, per opera di Corrado II, in una fase di grande interesse. Fu da un lato reazione alla politica degl'imperatori sassoni in confronto con l'alto clero, e dall'altro ripresa, ma con un ulteriore sviluppo, della politica di famiglia, in cui Ottone I aveva cercato la soluzione del problema dei grandi ducati; e segnò anche un indirizzo del tutto nuovo. La politica ecclesiastica sino allora seguita aveva portato abati e vescovi a divenire rapidamente signori territoriale essi stessi, non meno pericolosi degli altri alla corona. Corrado II trasferì i suoi favori al numeroso ceto dei signori minori, agevolando (come fece anche in Italia col famoso edictum de beneficiis regni Italici, 28 maggio 1037) lo stabilirsi nei piccoli feudi dell'ereditarietà, mentre per i piccoli signori e per i cavalieri stabiliva l'obbligo di rispondere direttamente alle sue chiamate alle armi, anche se non erano suoi vassalli immediati. Veniva così sottratta alla potenza dei grandi signori una delle sue basi principali. I risultati si videro nei nobili svevi, che furono fedeli al re e non al proprio duca nelle ripetute ribellioni (1025-1026, 1030) del figliastro di Corrado II, Ernesto duca di Svevia, che dalla politica borgognona del patrigno si vedeva preclusa la via alla successione in quel regno. E lo stesso fu della Carinzia, quando Adalberone di Eppenstein, cui il re aveva tolto quel ducato (1035), cercò di suscitarvi una rivolta. Rimaneva il problema del potere ducale; e qui la soluzione fu cercata nel far subentrare alle diverse famiglie ducali, a mano a mano se ne spegneva la linea maschile, il futuro re: così nelle mani di Enrico, figlio di Corrado II, si vennero raccogliendo la Baviera (1027), la Svevia (1038) e, poco dopo la sua successione al trono, la Carinzia (1039). Il ducato di Sassonia rimase alla dinastia dei Billunghi; e la Lorena, perché fosse più valido antemurale alla Francia, fu ricostituita in un solo ducato (1033).

La situazione della Germania migliorò anche all'esterno. I Polacchi anche dopo la morte (1026) di Boleslao l'Intrepido, che, appena scomparso Enrico II aveva preso il titolo di re, avevano continuato la loro pressione al confine elbano, tanto che la sede vescovile di Zeitz era stata trasferita per necessità a Naumburg sulla Saale (1028). Ma l'indebolimento provocato tra di essi dalle lotte intestine, permise a Corrado II, dopo alcune campagne più o meno fortunate, di ricuperare le terre perdute col trattato di Bautzen, mentre i suoi alleati Boemi riacquistavano la Moravia, e di ottenere che Miecislao II si riconoscesse suo vassallo (1028-1033). Più a nord, una rivolta di Liutizi fu soffocata (1035-1036). Perdite territoriali si ebbero invece verso la Danimarca, cui fu ceduta la marca danese o dello Schleswig (1035), necessario sacrificio per mettere fine alla secolare inimicizia e procurarsi l'amicizia di quel popolo, che avrebbe potuto riuscire troppo pericoloso se avesse fatto causa comune con gli Slavi; e verso l'Ungheria, alla quale fu data una striscia sulla Leitha, dopo una guerra non fortunata (1030-1031). Queste perdite furono compensate dall'acquisto, in Occidente, della Borgogna, dove Rodolfo III (morto nel 1032) lasciò il regno a Corrado II, che riuscì a farvisi riconoscere (1034), battendo il conte di Blois e di Champagne, Eude, che cercava di opporglisi con le armi. Il dominio della Borgogna voleva dire il dominio delle valli dell'Aar, del Rodano e della Saône, e dei valichi alpini che immettevano in Italia, tra la quale e la Francia si poteva ora pensare di erigere una valida barriera. Ma gl'interessi di queste regioni erano troppo lontani dagl'interessi tedeschi, perché gli imperatori avessero modo di acquistarvi solida base. D'altra parte, le vicende delle due discese di Corrado II in Italia (1026-1027, 1036-1037) furono un chiaro indizio, che gl'imperatori tedeschi tornavano a straniarsi dai bisogni veri della Germania.

Comunque, alla morte di Corrado II (4 giugno 1039) le condizioni generali della Germania erano buone. Era cominciato un periodo di notevole prosperità economica, per le cure rivolte al mantenimento dell'ordine e della pace pubblica, per l'incoraggiamento ai primi accenni di attività municipale. Inoltre, si potevano dire gettate le basi per rendere ereditaria la monarchia. La designazione fin dal 1026 del figlio Enrico come suo successore da parte di Corrado II era stata accettata come un fatto naturale, e la successiva elezione e incoronazione ad Aquisgrana nella Pasqua del 1028 avevano preso quasi l'aspetto di una formalità; mentre così la saggia amministrazione paterna dei patrimonî personali e demaniali, come la riunione di due, cui fra poco si sarebbe aggiunto un terzo, su cinque ducati nelle sue mani, assicuravano all'erede larghezza di mezzi anche materiali.

Per la prima volta, da secoli, la Germania conobbe una successione senza immediate rivolte, e le sue varie parti resero omaggio al nuovo sovrano. A Costanza, a Treviri e a Utrecht fu solennemente bandito il "giorno del perdono" (1043), che, un po' analogamente con le "tregue di Dio" della vicina Borgogna e della Francia, si proponeva d'impedire le violenze e le guerre private. Ma era un espediente, che rivelava altresì la debolezza dell'autorità regia di fronte alle forze locali, solo assopite in superficie. Ribollirono quando in Lorena la morte del duca Gozelone (1044) indusse Enrico III a ritornare alla divisione di quel troppo esteso ducato in due ducati minori, dell'Alta e della Bassa Lorena. Il figlio maggiore del morto duca, Goffredo, quando si vide assegnata soltanto l'Alta Lorena, insorse, e gli furono naturali alleati la Francia, i conti di Fiandra, il conte d'Olanda e i signori borgognoni del partito antitedesco. La lotta durò in Lorena, con varie riprese, sino alla fine del regno di Enrico III, che non riuscì mai a dominare completamente la situazione. Più che sulle proprie, il re cercò di sfruttare, e quindi mise in valore, altre forze locali, che potevano avere contrasto d'interessi con quelle da cui egli era combattuto. Cosi Baldovino VI, figlio dell'omonimo conte di Fiandra, ebbe (1045) da Enrico III la marca di Anversa, il che accrebbe la sua influenza nella Bassa Lorena, senza trattenerlo dal riunirsi un'altra volta con i nemici del re. D'altra parte, allo stesso Goffredo, dopo che era stato spogliato dall'Alta Lorena, furono restituiti i feudi nella diocesi di Colonia, nella speranza di usarlo come contrappeso al nuovo aumento in potenza venuto al conte Baldovino VI dalle sue nozze con l'erede del Hainault (1051). Il che non impedì a Goffredo di riassumere il suo atteggiamento ribelle, quando il matrimonio con Beatrice, erede del marchese di Toscana (1054), gliene ebbe fornito i mezzi. Ausiliarî di Enrico III, nell'interesse proprio, minacciato dalle ambizioni territoriali dei ribelli, furono i vescovi di Utrecht, Liegi, Metz, Verdun: i primi tre misero in rotta il conte d'Olanda, Tierrico, che cadde nella lotta (1048-1049). La Lorena finì col rimanere a Federico di Lussemburgo, che ne aveva avuta la parte bassa (1046), e a Gerardo di Châtenois o d'Alsazia, parente dei Lussemburgo, che ebbe la parte alta (1048). Il contraccolpo della rivolta si fece sentire anche nella Svevia, dove Enrico III, allo scopo di avere anche qui forze locali da contrapporre a Goffredo, passò il ducato a Ottone, conte palatino della Bassa Lorena, e figlio di una sorella di Ottone III (1045), cui, nel 1048, subentrò Ottone di Schweinfurt, margravio del Nordgau di Baviera, che era un Babenberg. Le necessità della guerra contro l'Ungheria indussero a una simile misura anche per i ducati di Baviera e di Carinzia. La Baviera passò, dalle mani del re, prima a suo cugino Enrico di Lussemburgo (1042), poi, morto Enrico (1049), a Corrado di Zütphen, nipote di un fidato amico dell'imperatore, Ermanno arcivescovo di Colonia. Nella Carinzia, divenne duca (1047) il conte svevo Guelfo, altro parente dei Lussemburgo. L'opera di Corrado II era così distrutta, e risorgevano le dinastie ducali, in antinomia con gl'interessi della corona. Baviera e Carinzia furono presto in rivolta; Corrado non esitò a cercare aiuti negli Ungheresi nemici della sua patria, e solo la morte sua e di Guelfo ridiede un po' di pace a quei ducati (1052-1054). Con un ritorno alla politica di Corrado II, Enrico III trasferì la Baviera al figlio Enrico, sotto l'effettivo reggimento di Ghebardo vescovo di Eichstätt, mentre alla difesa provvedeva Adalberto margravio d'Austria, della famiglia dei Babenberg. Intanto, nella Germania settentrionale, il duca di Sassonia, Bernardo II Billung, guardava con viva preoccupazione l'interesse che il sovrano mostrava per il suo paese, dove andava costruendo castelli, e dove amava soggiornare a Goslar, che si avviava a svilupparsi come città. La nomina di un confidente di Enrico III, Adalberto di Eppenstein, ad arcivescovo di Brema (1045), e le ambizioni temporali di quest'ultimo crescevano tra i Sassoni i sospetti e il timore per le proprie autonomie.

Alle frontiere orientali, un decennio di guerre contro l'Ungheria (1040-1044, 1051-1054) permise di fissare stabilmente il confine (che poi si conservò sino al 1919) alla Leitha e alla Morava (1043), ma non di mantenere su quel trono, contro la reazione nazionale paganeggiante, il re Pietro, che si era riconosciuto vassallo del sovrano tedesco. Migliori successi furono conseguiti con la Boemia, cui fu impedito di assoggettare l'indebolita Polonia, lasciandole, delle sue conquiste, solo la Slesia, mentre la Polonia si dichiarava, da parte sua, vassalla di Enrico III (1040-1041). Ma a nord-est il germanesimo subiva un grave scacco sotto i colpi dei ribelli Liutizi, che a Prizlava, alla confluenza del Havel con l'Elba, misero in rotta un esercito del re: tra i caduti fu Guglielmo, margravio della marca del Nord (1056). In sostanza, quando Enrico III morì (5 ottobre 1056), sotto le apparenze di un'esteriore potenza si celavano le condizioni precarie della Germania e del regno. D'altra parte la sua politica italiana e religiosa, che s'inspirava alla riforma cluniacense, di cui era cresciuta l'azione in Germania per i cresciuti contatti con la Borgogna, se pareva segnare il trionfo dell'influenza tedesca anche al di qua delle Alpi, vi preparava la reazione antiimperiale e antitedesca, che avrebbe scosso il regno dei successori.

La riscossa feudale contro la monarchia ereditaria e la lotta per le investiture (1056-1125). - Enrico II si era preoccupato di far riconoscere come suo successore il figlio appena questi era nato (1050); tre anni dopo Enrico IV era stato eletto dalla dieta di Tribur (novembre 1053) e incoronato ad Aquisgrana (17 luglio 1054). Ma non appena la Germania si venne a trovare nelle mani di un debole governo di reggenza, guidato da una donna, l'imperatrice vedova Agnese, e da un vescovo, Enrico di Augusta, l'alta feudalità laica ed ecclesiastica mosse alla riscossa contro la monarchia, per toglierle il carattere ereditario, che aveva ormai acquistato, e per rivendicare a sé le più larghe autonomie; e a un tempo contro le correnti riformatrici, caldeggiate dalla reggente, che danneggiavano i suoi interessi materiali, e contro il ceto della nobiltà minore e dei ministeriales, su cui la corona si appoggiava, e dalle cui file traeva ufficiali e consiglieri. Fu dapprima la conquista dei grandi ducati. Il conte borgognone Rodolfo di Rheinfelden si ebbe la Svevia (1057); il conte svevo Bertoldo di Zähringen la Carinzia con la marca di Verona (1061); il conte sassone Ottone di Nordheim la Baviera (1061), mentre la dinastia dei Billung in Sassonia contrastava all'arcivescovo Adalberto di Brema l'ambito accrescimento dei beni temporali. Subito dopo fu la lotta, specialmente tra i vescovi, per conquistare il governo di reggenza, in cui prevalsero successivamente Annone, arcivescovo di Colonia, che riuscì ad allontanarne Agnese (1062), poi (1064) Adalberto di Brema, che però fu alla sua volta rovesciato da una coalizione di grandi ecclesiastici e laici condotta da Annone e da Ottone di Nordheim (gennaio 1066). Enrico IV intanto (29 marzo 1065) era stato dichiarato maggiorenne, ma solo intorno al 1070 cominciò il suo effettivo governo personale, che segnò l'aperta rivolta dell'opposizione feudale alla corona.

Quali forze si sarebbero trovate di fronte, schierandosi dietro il re o dietro l'opposizione feudale? All'originaria triplice divisione, fondata sul diritto di portare le armi, che distingueva gli antichi Germani nelle tre classi sociali dei servi, dei semiliberi e dei liberi, eminenti, tra questi ultimi i nobili (adalingi), si era sostituita, con lo sviluppo del feudalesimo, una varietà ben più complessa di ceti, sulla base della proprietà terriera e dei rapporti personali. Nella popolazione rurale erano ancora abbastanza numerosi gli uomini di condizione libera, ma con tendenza a discendere per confondersi tra quelli di condizione non libera ("l'aria della campagna rende servi"). Questi ultimi erano o liberi della persona, ma legati alle terre lavorate, e tenuti a determinate prestazioni verso i signori fondiarî (censuales), o servi, vincolati al padrone anche con la persona, tra i quali si erano venuti elevando, sino a distinguersi da essi, quelli addetti al servizio diretto del signore, e soprattutto del re, come amministratori e come soldati, i cosiddetti ministeriales. La popolazione rurale darà aiuti così al re come all'opposizione feudale, nella prima fase della lotta, poi soprattutto il re cercherà di appoggiarsi su di essa. Per i re staranno decisamente i suoi ministeriales. Innalzati al di sopra dell'originaria condizione servile, in virtù delle cariche militari e degli uffici politici, civili e amministrativi loro affidati dal sovrano, essi sono divenuti, o sono in via di diventare, per opera sua, membri della piccola nobiltà e del ceto cavalleresco, e solo con l'aiuto del re potevano sperare di conservare le posizioni raggiunte e di superarle ancora. Il re poteva contare anche sulla minore nobiltà e sui cavalieri di origine feudale, perché era il loro tutore naturale di fronte ai grandi. Preziosa alleata del re sarà una forza nuova, quella delle città, che cominciavano allora a fiorire, e dove la tendenza dei ceti sociali era nel senso inverso che nelle campagne: i non liberi vi si andavano innalzando a confondersi con i liberi ("l'aria delle città rende liberi"). Le città specialmente dalla corona potevano sperare i privilegi necessarî a favorire lo sviluppo delle loro industrie e dei loro traffici. Con l'opposizione feudale si schiereranno eontro il re i grandi in genere, i cosiddetti principes laici ed ecclesiastici, nelle loro varie gradazioni, naturalmente con maggiore o minore compattezza secondo le vicende e gl'interessi personali e del momento. In primo luogo i duchi, tipici rappresentanti dell'antica indipendenza dei maggiori raggruppamenti etnici germanici, le cui origini gentilizie sulla base dell'elezione del rispettivo raggruppamento si facevano ancora sentire nella pretesa dei nobili bavaresi, che il re li consultasse per la nomina dei loro duchi. Venivano poi i conti, tra i quali particolare importanza avevano i conti delle marche di frontiera, o margravî (Markgrafen), e quelli che reggevano più estesi territorî, e che nel secolo successivo cominceranno a distinguersi dagli altri col titolo di langravî (Landgrafen). Una posizione speciale avevano i conti palatini (Pfalzgrafen), uno per ciascuno dei quattro ducati propriamente tedeschi, Sassonia, Franconia, Svevia, e Baviera, che teoricamente continuavano ad assolvere funzioni giudiziarie e, nei dominî della corona, amministrative, come ufficiaii regi di controllo ai duchi, ma che in realtà s'avviavano a trasformarsi anch'essi in signori territoriali. Il più importante era il conte palatino di Franconia - dove non erano stati nominati duchi, e quindi il paese dipendeva direttamente dalla corona - con sede ad Aquisgrana, e col titolo di conte palatino di Lorena, mutato poi in quello di conte palatino del Reno. Alla testa della feudalità ecclesiastica stavano gli arcivescovi e gli abati. Essi dovevano le loro fortune temporali al re, che aveva contato così di procacciarsi il loro aiuto contro i grandi laici. Ma arcivescovi e vescovi non esiteranno anche a schierarsi contro il re, ogni qual volta i loro interessi coincideranno con quelli dei grandi laici.

La lotta ebbe inizio in Sassonia, dove maggiormente erano radicate le autonomie regionali, che in certo qual modo si concretavano nell'ereditarietà della dinastia ducale dei Billung, e dove avevano i loro vasti possedimenti allodiali capi dell'opposizione feudale come Ottone di Nordheim, duca di Baviera, ed Egberto di Brünswick, margravio di Misnia. D'altra parte nella Sassonia orientale e nella Turingia era la parte più cospicua dei patrimonî di Enrico IV, eredità dei sovrani sassoni, che gli offriva le basi per la sua opera di rafforzamento del potere regio. L'azione del re subì dapprima l'influenza di un accanito avversario dei Billung, l'arcivescovo Adalberto di Brema, che Enrico IV aveva richiamato al suo fianco (1069); ma continuò nello stesso indirizzo anche dopo la morte del ministro (1072). La rinnovata attività volta ad accrescere quei castelli, che già sotto Enrico III avevano suscitato le diffidenze dei signori locali, e il colpo sferrato contro Ottone di Nordheim, che, accusato di alto tradimento, il re spogliò della Baviera, trasferendola a un membro della nobiltà sveva, Guelfo di Altdorf (1070), furono il segnale della rivolta, che dapprima disordinata e presto contenuta (1071), riarse subito (1073) e fu generale nella Sassonia e nella Turingia. Le gelosie tra i principi della Germania meridionale e i signori sassoni giovarono al re, che ebbe i primi con sé al pari dei Lorenesi, oltre l'aristocrazia minore e le città; e il 9 giugno 1075 con la vittoria di Homburg sull'Unstrut schiacciò la ribellione. Nel Natale di quell'anno, a Goslar, i grandi giuravano di riconoscere come successore di Enrico IV il figlio Corrado, nato il 12 febbraio 1074, nelle cui mani infantili fu subito dopo posto, nel 1076, il ducato della Bassa Lorena, vacante per la morte di Goffredo il Gobbo.

Ma un elemento nuovo di grandissima importanza era intervenuto a determinare una nuova fase nel conflitto tra la corona e l'opposizione feudale: il divieto delle investiture agli ecclesiastici da parte dei laici, che Gregorio VII aveva fatto proclamare dal concilio romano del febbraio 1075. La deliberazione canonica colpiva così la struttura stessa del regno, per i rapporti di vassallaggio dell'alto clero con la corona, come gl'interessi temporali di quello. A Worms, 26 vescovi tedeschi si strinsero intorno a Enrico IV per dichiarare deposto Gregorio VII (gennaio 1076), che rispose con l'anatema del 22 febbraio 1076. Cominciava il grande duello per le investiture, di cui qui si dirà solo in quanto ebbe riflessi sulla storia della Germania. Già per il timore di un eccessivo accrescimento della potenza del re, che il suo trionfo in Sassonia aveva suscitato nei principi della Germania meridionale, era preparato il terreno allo stabilirsi di un fronte unico tra i grandi del regno; l'atteggiamento del papa offriva ora all'opposizione feudale una magnifica possibilità di risolvere per sempre la lotta con l'indebolimento della monarchia e col suo asservimento agl'interessi regionali e locali. La dieta di Tribur (ottobre 1076) e l'elezione a Forchheim (15 marzo 1077) di Rodolfo di Rheinfelden, duca di Svevia, a re, costituirono una vera e propria rivoluzione, i cui scopi si manifestarono nell'obbligo imposto a Rodolfo di non far valere diritti ereditarî alla successione nel figlio, e nell'affermata unica base costituzionale dell'assunzione al trono nel fatto dell'elezione da parte dei principi. Ma contro la minacciata egemonia dei grandi, le masse rurali, la minore aristocrazia, le città danubiane e renane, gran parte dei vescovi, si volsero a Enrico IV, che ebbe largo seguito in Lorena, in Borgogna, in Carinzia e quasi da per tutto nella Germania centrale e meridionale, salvo nella Svevia, dove era combattuto anche dai fautori della riforma religiosa, propugnata specialmente dal monastero di Hirschau, sotto l'abate Guglielmo (1069-1091). Ma anche qui la sua causa fece progressi per il valore del nobile svevo Federico di Hohenstaufen, dei conti di Büren, che Enrico IV investì del ducato (1079). La lotta si concentrò nella Sassonia e in Turingia, dove, alla battaglia di Hohenmölsen sull'Elster (15 ottobre 1080) cadde ferito a morte l'antiré Rodolfo. Un nuovo antiré fu eletto nella persona del conte lorenese Ermanno di Lussemburgo (Ochsenfurt, agosto 1081). Tuttavia la morte di Ottone di Nordheim (1083), i dissensi fra i signori sassoni, il riavvicinamento dei Billung a Enrico IV, l'opera di pacificazione di una parte dei vescovi tedeschi (tregue di Dio di Liegi 1082, Colonia 1083, Magonza maggio 1085, con l'intervento dell'imperatore) la stanchezza generale calmarono a mano a mano le furie della rivolta, che divampava ancora soltanto in una parte della Sassonia, e qua e là nella Svevia. Enrico IV poté trattenersi tre anni in Italia (1081-1084); e ritornato in Germania poté, nel maggio 1087, far incoronare e riconoscere re come suo futuro successore il primogenito Corrado. L'anno dopo Ermanno di Lussemburgo (morto il 28 settembre 1088) rinunciò alla corona, e si ritirò nei suoi possedimenti lorenesi. Nel 1090 scompariva un altro dei capi della coalizione feudale Egberto margravio di Misnia, la cui marca venne trasferita a Enrico margravio di Lusazia. La Sassonia poteva ormai dirsi pacificata, né ebbe gravi ripercussioni in Germania la ribellione di Corrado, fattosi incoronare re in Italia (1093). Gli ultimi guizzi dell'incendio languirono anche nella Svevia per la riconciliazione con l'imperatore del duca Guelfo (1096). Alla dieta di Worms (1098) i principi sentenziarono la decadenza di Corrado (morto nel 1105) da ogni diritto al trono; Guelfo fu reintegrato nel ducato di Baviera, a Federico di Hohenstaufen fu riconfermata la Svevia, e Bertoldo II di Zähringen, che in quegli ultimi anni gliel'aveva disputata, veniva accontentato con la Svizzera occidentale, Zurigo e il titolo di duca. Nella successiva dieta di Magonza i principi elessero re il secondogenito dell'imperatore, Enrico, che fu consacrato ad Aquisgrana (gennaio 1099), dove gli giurarono fedeltà. Gli avversarî, esausti dalla lunga lotta, avevano rinunciato dall'una e dall'altra parte a mantenere le posizioni da cui erano partiti, i principi riconoscendo di nuovo Enrico IV e riammettendo il principio ereditario nella sua famiglia, il sovrano piegandosi a trattare i principi più come pari che come inferiori. Nel 1103 la dieta di Magonza proclamò una pace generale per quattro anni. Pareva finalmente cominciato un lungo periodo di quiete, quando la Germania fu di nuovo sconvolta dall'impaziente ambizione dell'erede che, ribellandosi al padre (dicembre 1104), diede di nuovo un capo all'opposizione feudale e ai fautori delle dottrine papali. Fu l'ultima lotta in cui le città renane, specie Magonza e Colonia, sostennero Enrico IV. E in una città della Bassa Lorena, Liegi, egli chiuse la vita tutta spesa nelle più aspre battaglie, e un regno nel quale aveva dato alle città tedesche efficace impulso allo sviluppo della loro attività municipale (7 agosto 1106).

La morte di Enrico IV segnò la vittoria del figlio ribelle, che poteva ormai regnare come Enrico V. Ma egli aveva conquistato il trono contro le citta, la minore aristocrazia e i ministeriales, che ne avevano costituito il miglior appoggio di fronte all'opposizione feudale e religiosa, alla quale egli si era alleato. La sua era dunque soprattutto la vittoria dei principi, con i quali Enrico V si trovava costretto a dividere il governo della Germania. Quando volle reagire, e riprendere le orme paterne, le stesse forze che avevano combattuto Enrico IV per oltre trent'anni risorsero anche contro di lui, ed ebbero ancora il maggiore alimento nella Sassonia, però sotto nuovi capi. L'eredità dei conti di Nordheim, di Brünswick e dei Billung, le cui discendenze maschili si erano estinte rispettivamente nel 1103, 1090 e 1106, si raccolse, per via di donne, nel conte Lotario di Supplimburgo, che ai Billung subentrò anche come duca di Sassonia, mentre i loro possedimenti di famiglia passavano, sempre in linea femminile, ai Guelfi duchi di Baviera, nella parte occidentale, e ad Alberto l'Orso, di Ballenstedt, fondatore della potenza della casa Ascania, nella parte orientale. Nella Sassonia e regioni contermini mirava inoltre a formarsi uno stato territoriale il potente arcivescovo di Magonza, Adalberto. Adalberto e Lotario si misero alla testa dell'opposizione feudale (1112), quando Enrico V mostrò di voler tornare alla politica paterna; e le città, che non potevano avere in lui l'ugual fiducia avuta in Enrico IV, non mostrarono troppa costanza e slancio nel sostenere l'imperatore. Neutrali rimasero i principi della Germania meridionale; il duca di Svevia, Federico II di Hohenstaufen, si schierò anzi a fianco di Enrico V. Alla rivolta aderirono in genere tutti i principi laici ed ecclesiastici della Germania settentrionale, la Vestfalia e la Lorena, e, naturalmente, i fautori del papato, che avevano guadagnato molto terreno. Disfatto a Welfesholz (11 febbraio 1115), l'imperatore si vide a Magonza assediato nel suo palazzo dai cittadini, insorti in difesa del loro arcivescovo al quale erano grati del favore che questi mostrava verso gl'interessí economici della città (novembre 1115). La pace generale proclamata alla dieta di Würzburg (ottobre 1121) segnò in sostanza il sopravvento dei principi, i quali inoltre, si assumevano l'ufficio d'intermediarî tra l'imperatore e il papa. Sotto i loro auspici fu reso possibile il concordato di Worms (23 settembre 1122), e i principi riaffermarono la propria influenza nel governo dello stato ratificando il concordato alla dieta di Bamberga (novembre 1122).

Dopo avere infuriato per mezzo secolo, la lotta per le investiture si chiudeva lasciando stremata l'autorità monarchica e vittoriosa l'opposizione feudale. Non solo era fallita la politica degl'imperatori sassoni e franconi per l'assoggettamento dei duchi; ma la tendenza a sottrarsi al controllo del potere centrale aveva fatto nuovi progressi anche nei funzionarî regi, quali erano i conti, i margravî, perfino in quelli d'istituzione più recente, come i conti palatini. Di essi, coloro che non obbedivano come a veri sovrani ai loro duchi, erano riusciti a proseguire i loro sforzi per crearsi una propria signoria territoriale. In Baviera i Guelfi, nella Svevia gli Hohenstaufen, avevano consolidato i loro dominî, e lavoravano a trasformarli in uno stato ereditario e indipendente. Nella Sassonia Lotario di Supplimburgo esercitava già gli attributi sovrani nell'investire, contro la volontà dell'imperatore, della marca di Misnia Corrado di Wettin e della Marca dell'Est Alberto l'Orso (1123). L'influenza del papato si era affermata anche in Germania, dove il movimento riformatore aveva posto salde radici non solo nella Svevia, ma anche nella Carinzia, nella Baviera, nella Franconia, nella Turingia. A occidente in Borgogna e nella Lorena l'autorità imperiale era poco più di un nome. A oriente la Polonia, nonostante gl'interventi di Enrico V (1109), e l'Ungheria, non ostante gli sforzi militari del governo di reggenza sotto Agnese (1060 e 1063), di Enrico IV (1074) e di Enrico V (1108-1109), avevano scosso l'alta sovranità tedesca. Solo in Boemia l'influenza tedesca aveva potuto mantenere le sue posizioni, ma anche qui Enrico IV era stato imprudente nel conferire, "ad personam" il titolo di re al duca Vratislao (1085). D'altra parte, non più la monarchia, ma i principi dirigeranno in futuro l'espansione del germanesimo nell'oriente slavo. Questo il bilancio della politica imperiale e italiana dei re tedeschi. La morte di Enrico V (23 maggio 1125), che alla fine del suo regno non aveva nemmeno potuto farsi seguire dai suoi principi nella disegnata guerra contro la Francia, e che non lasciava prole, avrebbe ribadito il soccombere della monarchia unitario-ereditaria di fronte a quella feudale-elettiva.

La lotta tra 1 Guelfi di Baviera e gli Hohenstaufen di Svevia durante i regni di Lotario II di Supplimburgo (1125-1137) e di Corrado III di Hohenstaufen (1138-1152). - I principi infatti, sotto l'influenza di Adalberto arcivescovo di Magonza, il tenace avversario di Enrico V, non vollero dare il trono a quello tra di essi, che, come parente dell'imperatore defunto e da lui designato, prima di morire, a successore, poteva far rivivere l'ereditarietà della monarchia, Federico II di Hohenstaufen, la cui madre Agnese era sorella di Enrico V. Ne temevano inoltre la virile età, l'energia, la potenza, fondata sul ducato di Svevia, sulla Franconia orientale, dove suo fratello Corrado aveva avuto da Enrico V (1115) l'esercizio delle attribuzioni ducali, sui possedimenti già degl'imperatori franconi, specie nella regione dell'alto Reno. La dieta di Magonza gli preferì il capo della rivoluzione feudale contro la dinastia francone: il conte Lotario di Supplimburgo (30 agosto 1125). Lo svevo reagì, tanto più che le nozze di Geltrude, figlia di Lotario, con il guelfo Enrico il Superbo, duca di Baviera (29 maggio 1127), intervennero a turbare a suo danno l'equilibrio delle forze ducali, in quanto preparavano l'unione della Baviera con la Sassonia, dove, nel territorio di Lüneburg, già Enrico aveva i beni venutigli dai Billung per via di donne. Cominciava così il famoso duello fra Guelfi e Hohenstaufen, che sin verso la metà del secolo avrebbe di nuovo ridotto la Germania a campo di sanguinose lotte. Per gli Hohenstaufen combatterono con bravura anche le città danubiane e renane, come Norimberga, Ulma, Worms, Spira, ma il carattere anti-vescovile assunto da questo movimento municipale spinse l'episcopato tedesco dalla parte di Lotario. Corrado, fratello di Federico, fu dai signori di Svevia e di Franconia eletto re (18 dicembre 1127); ma il peso delle forze sassoni e bavaresi riunite prevalsero. Federico cedette per il primo, e la dieta di Bamberga (marzo 1135) poté proclamare una pace decennale per tutta la Germania; nell'autunno si piegò anche Corrado. I due fratelli conservarono però i loro dominî: Lotario, impegnato fuori dalla Germania nei contrasti politico-religiosi d'Italia, non poteva spingere più a fondo la lotta contro la potenza dei principi. Non gli erano del resto mancati i contrasti nel suo stesso ducato, repressi però con notevole energia e abilità, come mostrò togliendo la marca dell'Est (1131) ad Alberto l'Orso di Ballenstedt, e poi investendolo della marca del Nord (1134), per l'aiuto avutone nelle campagne d'Italia. In oriente, la situazione dei paesi slavi rispetto all'influenza tedesca ebbe un sensibile miglioramento. La Boemia, nonostante una sfortunata campagna di Lotario al principio del suo regno (1126), confermò la propria dipendenza dall'Impero; in Polonia il duca Boleslao III si piegò a riconoscere di nuovo l'alta sovranità tedesca, e il carattere di feudo dell'impero alle sue conquiste nella Pomerania; l'uno e l'altro paese vollero Lotario arbitro delle contese sorte tra loro per l'opposto parteggiare nelle lotte interne dell'Ungheria (1135). A nord-est, si ebbe una ripresa dell'espansione tedesca e della propaganda cristiana nelle terre dei Vendi, per opera di Lotario, che però agì come principe territoriale della Sassonia, più che come imperatore. Le regioni dei Vagrî e degli Abodriti, dopo la morte (1131) del principe danese Canuto, che le aveva avute in feudo da Lotario, furono divise fra due principi vendi, Pribislavo e Niclot, che prestarono omaggio al sovrano venuto in armi oltre l'Elba, e si videro costruire, per ordine suo, una fortezza (1134) sulle rive della Trave, Segeberg, presidiata da Sassoni, a freno degli Slavi e a tutela dei missionarî. A nord le guerre intestine che agitarono la Danimarca per la successione sul trono, si ripercossero sui coloni tedeschi di Roskilde, ma il vincitore, Erico II, si riconobbe vassallo di Lotario (1135), che già aveva condotto una spedizione sino all'Eider (1131), senza però impegnarsi a fondo, per le solite necessità della politica italiana. E in Italia, senza preoccuparsi delle cause di lotta che in Germania covavano ancora sotto l'apparenza della pace, trascorse Lotario gli ultimi due anni del suo regno. L'incendio tornò a divampare subito dopo la sua morte (4 dicembre 1137).

Come già nella scelta di Lotario, i principi s'inspirarono all'unico pensiero d'impedire il ristabilimento di una dinastia di re, perciò ebbero cura di scartare il successore, che Lotario aveva designato, e che era insieme il genero del defunto e il più potente della loro classe. Infatti Enrico il Superbo univa ora al ducato di Baviera quello di Sassonia, e il patrimonio privato venutogli da Lotario; inoltre la famiglia dei Guelfi aveva beni anche in Baviera, e il recente accordo (1133) del suocero col papa gli aveva per di più assicurato i cospicui possedimenti matildini in Italia. La dieta di Coblenza, a bilanciare questa forza, che, anche senza trono, appariva troppo minacciosa, si fissò (7 marzo 1138) su uno dei membri della famiglia nemica dei Guelfi, Corrado di Hohenstaufen, che fu subito consacrato re ad Aquisgrana. La Sassonia e la Baviera si ribellarono. Corrado III investì della prima il margravio della Marca del Nord, Alberto l'Orso, ma questi non poté vincere la resistenza ostinata dei Sassoni; la Baviera fu trasferita al fratellastro del sovrano, Leopoldo di Babenberg, margravio d'Austria, che vi guadagnò terreno. Mentre infuriava la lotta, sarebbe per la prima volta suonato, secondo una tarda tradizione del principio del sec. XV, all'assedio della fortezza guelfa di Weinsberg (1140), il grido di guerra delle due fazioni, "Hye Welff!", "Hye Giebelingen!", che avrebbe dato il nome ai partiti da cui Germania e Italia furono tormentate per secoli. La lotta non s'interruppe neppure alla morte prematura di Enrico il Superbo (20 ottobre 1139), e anche la pace proclamata alla dieta di Bamberga (maggio 1142) fu in realtà una semplice tregua. Enrico il Leone, figlio del Superbo, poté conservare la Sassonia, mentre la Baviera rimase ai Babenberg d'Austria, nella persona del fratello del margravio Leopoldo (morto il 14 ottobre 1141), Enrico Jasomirgott, il quale inoltre, sposando la vedova del Superbo, Geltrude, doveva suggellare la conciliazione con la famiglia nemica. In realtà Enrico il Leone e lo zio Guelfo VI non si rassegnarono alla perdita della Baviera. La situazione incerta della Germania non impedì a Corrado III di starne assente dal 1147 al 1149 per partecipare alla seconda crociata. Era appena tornato, che la guerra riarse (1150): l'imperatore non ne vide la fine poiché morì il 15 febbraio 1152. La gravissima crisi in cui si dibatteva la Germania aveva intanto avuto dannose ripercussioni sull'influenza tedesca nei paesi limitrofi, dove l'intervento dell'imperatore, continuamente richiesto come arbitro nelle incessanti guerre intestine, o mancava, come in Danimarca, rispetto alla quale, nell'assenza di un'azione da parte del potere centrale, si affermava quella del duca di Sassonia; o era inefficace, come in Polonia (1146). Solo in Boemia esso ebbe risultati concreti (1142). A NE. non l'imperatore, ma i signori locali salvarono il confine da una pericolosa rivolta dei Vendi. E in occidente, la monarchia era impotente ad arginare la disintegrazione feudale della Borgogna e della Lorena.

Lo Sviluppo e lo sfacelo della potenza dei Guelfi, e lo smembramento dei grandi ducati durante il regno di Federico I Barbarossa (1152-1189). - Quasi trent'anni di lotte tra Guelfi e Ghibellini, seguite, si può dire, senza interruzione al mezzo secolo di lotte per le investiture, avevano esaurita la Germania, che anelava alla pace. Di questo desiderio si erano già resi interpreti gli stessi capi degli Hohenstaufen. Il nuovo duca di Svevia, Federico III, che era figlio della guelfa Giuditta, sorella di Enrico il Superbo, aveva già colto più di un'occasione per svolgere opera conciliatrice. Corrado III si era indotto a designare come successore, invece del figlio secondogenito Federico (il primogenito Enrico, eletto re nel 1147, era morto nel 1150), che aveva appena sei anni, appunto Federico di Hohenstaufen, che era però suo nipote. Alla loro volta i principi tedeschi, nella dieta di Francoforte, si attennero unanimi all'indicazione di Corrado. Il principe svevo che saliva al trono, il 4 marzo 1152, per essere incoronato il 9 ad Aquisgrana, sarebbe divenuto famoso col nome di Federico Barbarossa. La pacificazione fu raggiunta, ma in modo che segnò, insieme col trionfo dei Guelfi, anche un nuovo passo verso il decentramento statale della Germania. Il ducato di Baviera ad Enrico il Leone; ad Enrico Jasomirgott l'elevazione del margraviato d'Austria, ingrandito di alcune terre al confine bavarese, in ducato ereditario nella famiglia dei Babenberg; a entrambi, larghi privilegi, che assicuravano a questi principi una posizione particolare nel corpo dell'Impero, argomento di gelosia e di uguali ambizioni anche per gli altri (diete di Goslar, giugno 1154, e di Ratisbona, 17 settembre 1156). Fra di essi e Federico I si veniva a stabilire il rapporto da alleati ad alleato, più che da sudditi a sovrano, che costituirà la caratteristica più saliente della situazione politica interna della Germania durante tutto il regno del Barbarossa. I principi furono i desiderati collaboratori dell'imperatore per la tutela dell'ordine e della pace pubblica, e si ebbero da lui ogni appoggio contro i dipendenti che riluttavano al loro potere, come mostrò punendo senza pietà Magonza per le sue ribellioni al proprio arcivescovo (1158-1163). Al supremo ufficio moderatore proprio dell'autorità sovrana Federico I, dopo la pace generale bandita al suo avvento, non provvide di persona che negl'intervalli tra l'una e l'altra spedizione italiana (proclamazioni e conferme delle Landfriede o paci locali ad Ulma, per la Svevia, 1152; per la Baviera, a Ratisbona, 1156; per la Franconia orientale, a Weissenburg, 1179; interventi nelle contese signorili). Lo stesso si dica per la tutela dei confini settentrionali e orientali, dove il sovrano agì direttamente solo nella vittoriosa campagna di Polonia del 1157, anche qui però col valido aiuto dei principi sassoni, ai quali soprattutto egli abbandonò le cure della difesa contro gli Slavi e dei rapporti con i Danesi.

Da ciò trasse i maggiori vantaggi il duca di Sassonia e Baviera, Enrico il Leone (v.), il quale poté costituire i suoi vasti dominî in un vero stato, che non solo estese contro gli Slavi, come diremo meglio poi, mentre stabiliva la propria influenza sulla vicina Danimarca, ma cercò di plasmare in un organismo omogeneo, eliminando le signorie feudali ecclesiastiche e laiche minori, di cui incorporava i possessi, e adoperandosi a ridurre a dipendenti proprî i vescovi e i conti che dipendevano dall'imperatore. Una coalizione di principi locali formatasi contro di lui, e di cui faceva parte anche Alberto l'Orso, fu spezzata con l'appoggio di Federico I (1166-1167); e la morte del margravio ascanio (1170), determinando la divisione dei suoi dominî tra cinque figli, fece scomparire una forza, che poteva ritornare pericolosa ai disegni del duca guelfo. Ma quando la potenza di Enrico il Leone fu tale, da suscitare le preoccupazioni dell'imperatore, questi finì con l'abbandonarlo all'odio degli altri principi tedeschi. Dopo una laboriosa procedura (diete di Würzburg, 13 gennaio, Gelnhausen, 13 aprile; Ratisbona, 24 giugno; Altenburg, 16 settembre 1180), il duca di Sassonia e Baviera fu condannato al bando dell'Impero e alla confisca di tutti i suoi beni; ed Enrico, tentata una vana resistenza con le armi, fu costretto a sottomettersi (dieta di Erfurt, novembre 1181), e ad esulare. La sua caduta determinò una trasformazione radicale nell'assetto territoriale e politico della Germania.

Dal ducato di Sassonia fu staccata la Vestfalia, e assegnata, con le attribuzioni ducali, all'arcivescovo di Colonia. Il resto, a oriente del Weser, conservando il nome di ducato di Sassonia, passò al più giovane figlio dell'ascanio Alberto l'Orso, Bernardo di Anhalt, previa la reintegrazione nei loro feudi di tutti i signori laici ed ecclesiastici che Enrico il Leone aveva spogliato, e nella diretta dipendenza dall'imperatore dei vescovi e dei conti che l'avevano perduta. Dal ducato di Baviera fu staccata la marca di Stiria, eretta in ducato sotto Ottocaro, già suo margravio; il resto passò al conte palatino Ottone di Wittelsbach. Erano così definitivamente scomparsi i grandi ducati gentilizî con relativa compattezza territoriale e omogeneità amministrativa, e la Germania veniva spezzettata in un mosaico di centinaia di signorie feudali ecclesiastiche e laiche, della più varia estensione e intersecantisi fra di loro senza nessuna continuità territoriale, tra le quali i nuovi ducati non avevano più la posizione eminente degli antichi. I loro principi infatti non erano sempre i più forti di fronte ad altri di titolo anche minore, come certi margravî e langravî e il conte palatino del Reno. Così Federico I aveva si distrutto il potere ducale, meta costante sua e di tutti i suoi predecessori, ma nello stesso tempo con le sue rinunzie a più di un'attribuzione della sovranità in favore dei principi negli ampî privilegi a diverse riprese loro concessi (1156, 1168, 1180), preparò la sanzione costituzionale al disgregamento già in atto dello stato germanico. D'altra parte l'abbattimento di Enrico il Leone, per le dannose ripercussioni sull'influenza tedesca nelle terre settentrionali e orientali, segnò il sacrificio di una politica veramente nazionale agl'interessi di una politica che, senza alcun vantaggio per la Germania, logorava in Italia le migliori energie del suo sovrano. Non bastarono a compensare questa nuova fase nell'indebolimento del potere centrale né la pace relativa goduta dalla Germania durante il regno di Federico I, né le sagge cure da lui rivolte all'incremento del patrimonio degli Hohenstaufen, che, tra beni della famiglia e beni demaniali mal distinti dai primi, si estendeva, soprattutto nelle regioni sudo-ccidentali dell'Impero, a buona parte della Franconia e della Svevia; né le maggiori risorse militari e amministrative, che egli ne seppe ricavare con l'impiego sempre più largo dei proprî ministeriales.

Dopo lo sfacelo dei Guelfi, il più potente principe della Germania settentrionale era divenuto l'arcivescovo di Colonia, Filippo di Heinsberg, che non tardò ad essere spinto dalle sue mire sulla Sassonia e sul basso Reno a mettersi alla testa di una coalizione feudale contro l'imperatore (1188). Il movimento non ebbe gravi conseguenze, perché l'arcivescovo si sottomise (1188), ma fu un altro chiaro indizio, che il sistema politico della Germania continuava a poggiare su basi troppo instabili. Sopraggiungeva intanto la terza crociata; e Federico I abbandonò ancora una volta il regno, partendo da Ratisbona nel maggio 1189 incontro al suo destino, che poco più di un anno dopo lo avrebbe portato ad annegarsi nel Salef, nella lontana Asia minore (10 giugno 1190). La reggenza dell'Impero restava al figlio Enrico, incoronato re ad Aquisgrana dal 1169, proclamato, nel 1186, a Milano, Cesare.

Ai confini orientali l'espansione tedesca era rimasta nelle mani dei principi locali, né Federico I aveva rinnovato l'impresa del 1157, quando si era spinto oltre l'Oder sino a Poznań per costringere il duca polacco Boleslao IV al tributo e all'omaggio. L'intervento di Vladislao duca di Boemia alla seconda spedizione italiana dell'imperatore era costato l'innalzamento definitivo a regno di quel ducato slavo (Ratisbona, 18 gennaio 1158), e la cessione del territorio di Bautzen. A occidente, Federico I aveva consolidato il dominio imperiale sulla Borgogna, che gli premeva soprattutto per avere liberi i passi alpini verso l'Italia, sposando (1156) Beatrice, erede della contea di Borgogna (poi Franca Contea), e facendosi incoronare re ad Arles (1178). Nella Lorena, dove la parte settentrionale rappresentava una zona particolarmente delicata per l'intreccio degli interessi politici dell'Impero con quelli dei signori non solo locali, ma anche francesi, e dei re di Francia e d'Inghilterra, Federico I aveva cercato di rafforzare il confine specie nel tratto di nord-ovest, dando la marca di Namur alla famiglia di Hainault (1188).

L'evoluzione costituzionale verso una confederazione di principi dalla fine del sec. XII alla fine del sec. XIII. - Nell'ottobre 1189 ricomparve nella Germania settentrionale Enrico il Leone, deciso alla riconquista dei dominî perduti, e l'anno dopo, il malcontento dei principi lorenesi e di molti signori tedeschi per il sospetto che Enrico VI fosse stato mandante nell'assassinio del loro candidato alla sede vescovile di Liegi, determinò contro di lui una potente coalizione, in cui predominavano l'arcivescovo di Magonza, i langravî di Turingia e di Misnia, gli Zähringen, e che si unì ai Guelfi. Dall'estero aiutavano l'Inghilterra, la Danimarca, e a sud delle Alpi il partito nazionale, che contro l'imperatore sosteneva Tancredi di Lecce. La cattura del re d'Inghilterra, Riccardo Cuor di Leone, mentre tornava dalla crociata, per parte di Leopoldo V di Babenberg duca d'Austria, e la sua consegna (1193) a Enrico VI mutarono di colpo una situazione, che per l'imperatore minacciava di farsi disperata. Per evitare che il re inglese fosse dato in mano al fratello Giovanni Senzaterra e al re di Francia Filippo Augusto, i suoi più terribili nemici, la coalizione rinunciò ai suoi disegni, e così ne ottenne il rilascio (1194). Il 6 agosto 1195 Enrico il Leone chiudeva la vita agitata a Brünswick, unico possesso, con il Lüneburg, rimastogli; e l'anno dopo una gran parte dei principi si lasciava strappare dall'imperatore alla dieta di Würzburg il consenso a un suo disegno di riforma costituzionale, che mirava a rendere la corona ereditaria nella famiglia degli Hohenstaufen. Il disegno non ebbe seguito, perché urtò in una irriducibile opposizione manifestatasi alla dieta di Erfurt, sotto l'impulso del langravio di Turingia (ottobre 1196), mentre Enrico VI era in Italia. L'imperatore non insistette. A sua stessa richiesta suo figlio Federico fu eletto re a Francoforte (dicembre 1196) secondo la procedura usuale. La scomparsa di Enrico VI, morto in Sicilia il 28 settembre 1197, dopo un regno in cui si era occupato soprattutto dell'Italia, lasciava la Germania in una situazione precaria e alla vigilia di un'altra gravissima crisi.

Federico II non contava ancora tre anni; gli stessi fautori degli Hohenstaufen ritennero necessario, per salvare il trono alla famiglia, eleggere re suo zio Filippo duca di Svevia (Mühlhausen presso Erfurt, 6-8 marzo 1198). Pochi mesi dopo il partito contrario, condotto dall'arcivescovo di Colonia, Adolfo dei conti di Berg, si riuniva ancora ai Guelfi, proclamando re (9 giugno) uno dei figli di Enrico il Leone, Ottone di Brunswick, che il 12 lugfio 1198 prese la corona ad Aquisgrana. La Germania aveva tre re, e tornava a essere dilaniata dalla lotta tra Guelfi e Ghibellini. I Guelfi avevano i loro aderenti specie nella Germania nord-occidentale, nella regione del basso Reno e nella Vestfalia, e scarse risorse venivano a Ottone IV dai suoi non ricchi possessi nel Brünswick-Lüneburg; ma aveva alleata l'Inghilterra. D'altra parte, l'avere tra i suoi fautori principi lorenesi, come il conte Baldovino V (VIII), che era insieme vassallo dell'Impero quale conte di Hainault, e riluttante al vassallaggio del re di Francia, quale conte di Fiandra, e l'alleanza con l'Inghilterra, rendevano particolarmente delicata la situazione della Bassa Lorena, per l'intreccio d'interessi inglesi e francesi con quelli tedeschi in quella regione, e l'inserirsi del duello tra Francia e Inghilterra nelle lotte interne della Germania. Questo doveva riuscire fatale ai Guelfi. Nella Franconia renana stava per Ottone IV il fratello Enrico, conte palatino del Reno; nella Sassonia orientale fu un po' con i Guelfi, un po' con gli Svevi il margravio di Turingia. Più forti apparivano gli Hohenstaufen, per i quali era schierata la maggioranza dei principi e stava Filippo Augusto re di Francia, mentre Filippo di Svevia poteva contare anche sui fedeli ministeriales, sul ricco patrimonio, sulle grandi tradizioni della famiglia. Ma nelle sorti del conflitto pesò soprattutto l'intervento di papa Innocenzo III. L'essersi dichiarato a favore di Ottone IV (1201) se dapprima parve valesse a equilibrare il prepotere degli Hohenstaufen, determinò in realtà una reazione generale in loro favore, per il malcontento suscitato dall'ingerenza del papato nelle questioni interne della Germania. L'episcopato tedesco si rese quasi tutto solidale con gli Hohenstaufen, mentre i partigiani dei Guelfi si assottigliavano. Lo stesso Ottone IV subì una grave sconfitta a Wassenberg (1206). Ma la situazione si capovolse per l'assassinio di Filippo (21 giugno 1208). La generale stanchezza della Germania indusse il partito svevo a un'intesa con Ottone IV, che fu di nuovo eletto re, riconosciuto anche dagli avversarî, a Francoforte (11 novembre), dove fu proclamata la pace generale. Il suo fidanzamento con la figlia decenne di Filippo, Beatrice, doveva suggellare la riconciliazione. Il 4 ottobre 1209 egli poteva prendere a Roma anche la corona imperiale. Fu una breve tregua. Quando il ritorno di Ottone IV alla tradizionale politica imperiale in Italia contraria agl'interessi della Chiesa indusse Innocenzo III a mettere avanti il pupillo Federico di Svevia, il partito degli Hohenstaufen, che vedeva in lui il legittimo successore al trono, risorse potente. Nel settembre 1211 Leopoldo VI di Babenberg, duca d'Austria, Ludovico I di Wittelsbach, duca di Baviera, il re Ottocaro di Boemia promossero, nella dieta di Norimberga, l'offerta della corona al giovinetto, che accorse in Germania. La guerra civile riarse; il 18-19 novembre 1212 Federico II si accordava con Filippo Augusto a Vaucouleurs, il 5 dicembre era eletto, a Francoforte, il 9 incoronato re, a Magonza. Due anni dopo la fortuna dei Guelfi tramontava per sempre sui campi di Bouvines, dove le milizie del re francese misero in rotta quelle di Ottone IV, di Giovanni Senzaterra, e dei loro alleati feudali di Fiandra (27 luglio 1214). Il 5 luglio 1215, Federico II veniva di nuovo incoronato re ad Aquisgrana; il suo rivale, dopo essersi sostenuto ancora per qualche tempo nella Sassonia orientale, morì a Harzburg (19 maggio 1218).

Gli Hohenstaufen erano dunque riusciti a conservare la corona contro la riscossa dei Guelfi. Ma i veri vincitori erano i principi tedeschi, che avevano deciso l'esito della lotta col peso della loro forza, ed essi raccolsero i maggiori vantaggi. Infatti l'importanza del regno di Federico II per la storia della Germania è data soprattutto dal fatto che esso segnò una fase decisiva nel processo di formazione delle signorie territoriali. Se il nuovo assetto costituzionale della Germania solo alla metà del sec. XIV avrà la sanzione legale, nei riguardi dei grandi principi ecclesiastici e laici, con la Bolla d'oro, si può dire che si fissa sin d'ora nelle sue linee essenziali. Federico II, che sentiva più suo il regno di Sicilia che quello germanico, apre veramente la serie degl'imperatori che, avendo un proprio stato più o meno legato nel corpo dell'Impero, per procurarsi la possibilità di assicurarne il consolidamento con la pace in Germania, sono disposti a legittimare, con tutte le concessioni, il profondo rivolgimento avvenuto nei rapporti fra la monarchia e i principi tedeschi, e perché sia concreto il dominio loro e della famiglia su questo stato personale, rinunciano a dare esistenza concreta al loro regno in Germania. Il loro stesso titolo già da tempo, del resto, era un indizio del fenomeno che si veníva manifestando: dal tempo di Enrico IV, esso, dopo le precedenti oscillazioni, non riesce a fissarsi nel termine concreto di rex Germaniae o Germanorum, o Theutonicorum, ma rimane stabilito nella vaga formula di rex Romanorum, la cui astrattezza bene corrispondeva a quell'entità indefinita e indefinibile, in cui aveva terminato col consistere il loro regno in Germania.

Il Privilegium in favorem principum ecclesiasticorum (26 aprile 1220), l'Edictum contra communia civium et societates artificum (dicembre 1231-maggio 1232), la Constitutio in favorem principum (maggio 1232), e le norme promulgate quando fu bandita la pace generale nella dieta di Magonza dell'agosto 1235 (constitutio pacis), diedero ai principi gli attributi essenziali della sovranità, e ostacolarono, specie nelle città dipendenti da vescovi, lo sviluppo delle attività municipali. La corona rinunciava a costruire castelli e città in pregiudizio degl'interessi dei principi, i quali potevano invece fortificare le proprie città; revocava i privilegi imperiali già concessi a cittadini o a collettività cittadine, i quali fossero di danno ai principi e all'Impero, e ne subordinava l'ulteriore concessione al consenso dei principi da cui dipendessero le città; aboliva tutti i magistrati e tutti gli organismi municipali sorti senza il consenso del vescovo, al cui beneplacito veniva sottoposta l'elezione dei funzionarî cittadini; sopprimeva tutte le corporazioni artigiane e mercantili; vietava ogni forma di associazione fra città, e dichiarava nulla la consuetudine che faceva considerare in possesso della libertà i servi dopo un anno e un giorno di residenza in città; le città, fossero anche imperiali, non potevano accogliere i servi fuggiti ai proprî signori; la loro giurisdizione era limitata alla cinta delle mura. La corona, infine, trasferiva ai principi, nei rispettivi dominî, il diritto di batter moneta, i diritti sui mercati, di percepire dazî, di nominare i giudici per la giurisdizione ordinaria. Come si vede, sin da questo momento si può parlare di veri e proprî principi territoriali, e infatti essi sono ufficialmente designati come domini terrae. Naturalmente la maggior parte delle disposizioni riguardanti le città rimase lettera morta, per la forza stessa delle circostanze, che ne rendeva materialmente impossibile l'integrale applicazione, di fatto, finirono con l'essere quasi tutte abbandonate dallo stesso imperatore, che di esse non rinnovò le più severe alla dieta di Magonza del 1235. D'altra parte in quest'ultima dieta un certo compenso, per quanto inadeguato, alla dispersione delle prerogative reali fu dato dalla riforma introdotta da Federico II nell'amministrazione della giustizia, con una certa analogia a quanto aveva fatto per il regno di Sicilia nelle sue Constitutiones di Melfi del 1232. Limitato il diritto della guerra privata ai soli casi di legittima difesa e di diniego di giustizia, egli riordinò il supremo tribunale dell'Impero proponendovi un iusticiarius Curiae, assistito da un notaio, il quale aveva anche il compito di registrare le sentenze e la procedura seguita, perché servissero di norma per il futuro. Federico II, tuttavia, non osando portare alle estreme conseguenze la riforma, sottrasse alla giurisdizione del nuovo magistrato, e avocò a sé le cause più gravi, che importavano il bando dall'Impero, e quelle riguardanti i principi.

I principi, dunque, specie gli ecclesiastici, furono il pernio su cui Federico II impostò il suo governo in Germania, dando pieno sviluppo a un sistema politico, le cui radici stavano nel regno del suo avo. Così egli raggiunse lo scopo cui soprattutto mirava: avere piena libertà d'azione in Italia. La Germania ebbe il suo sovrano per dieci anni in tutto dei suoi cinquanta circa di regno, e anche in due riprese: dal 1212 al 1220, e dal 1235 al 1237. Tuttavia, a parte il decisivo affevolirsi del potere centrale, il sistema assicurò la pace interna, e resse anche abbastanza a lungo alle prove della lotta impegnata dall'imperatore col papato. Specie durante la reggenza di Engelberto dei conti di Berg, arcivescovo di Colonia (1220-1225), che ricorse con larghezza all'espediente delle Landfrieden, il paese conobbe un periodo di relativa tranquillità. Questa fu minore con la reggenza di Ludovico I di Wittelsbach duca di Baviera (1225-1228), che preferì gl'interventi diretti nelle contese locali, e tentò anche un'effimera ribellione (1229), che però fu l'unico turbamento di una certa importanza in Germania.

Le cose cominciarono a mutare quando (1229) divenne reggente il figlio di Federico II, Enrico, dal 1217 duca di Svevia, dal 1220 rettore di Borgogna e re dei Romani (Francoforte, aprile). Il giovinetto (aveva 17 anni) si mise con imprudente arroganza a contrastare le direttive politiche paterne, favorendo città, ministeriales e nobiltà minore, le classi appunto con interessi opposti a quelli dei principi su cui l'imperatore fondava il suo sistema. Dopo aver fatto atto di sottomissione ad Aquileia (1232), Enrico prese un atteggiamento sempre più riottoso, non solo non appoggiando col fervore, che era nei voleri del padre, la feroce persecuzione condotta dai principi contro gli eretici nel 1232-1234, ma cercando di alienare a Federico II il re di Francia, Luigi IX, finché non si rese apertamente ribelle alleandosi alle città italiane con cui era in lotta l'imperatore (dicembre 1234). Le città tedesche si mantennero però fedeli, e tra i principi solo Federico II duca d'Austria, ultimo dei Babenberg, si mostrava propenso al ribelle. L'energica azione dell'imperatore, subito accorso in Germania, troncò il movimento sul nascere. Enrico, umiliatosi a Wimpfen sulla Neckar, dopo la dieta di Worms del luglio 1235 fu condotto prigioniero in Italia, dove morì nel 1242. Notevole importanza politica per la posizione degli Hohenstaufen nella regione del basso Reno, di cui già rilevammo gli stretti rapporti con l'Inghilterra, furono le nozze celebrate a Worms, in occasione della dieta, da Federico II con Isabella, sorella di quel re (15 luglio 1235). Il mese dopo si ebbe alla dieta di Magonza anche la definitiva riconciliazione dei Guelfi con gli Svevi. Dal 1214 si era estinto il ramo guelfo dei conti palatini del Reno, cui Federico aveva fatto subentrare i Wittelsbach di Baviera, i quali, con l'unione del Palatinato del Reno al loro ducato, avevano conseguito un notevole aumento di potenza. La discendenza maschile dei Guelfi rimaneva rappresentata da Ottone di Brünswick, nipote dell'imperatore Ottone IV. All'epoca della scomunica lanciata su Federico II, egli aveva declinato l'offerta fattagli dal papa della corona imperiale, scongiurando il riaccendersi di una lotta tra Guelfi e Ghibellini. A Magonza ne ebbe il compenso. Federico II lo infeudò del Brünswick-Lüneburg, con ampî privilegi, e col titolo ducale. Seguì la punizione del duca d'Austria, messo al bando dall'Impero. Nel gennaio 1237 lo stesso imperatore era a Vienna, che dichiarava città imperiale, mentre metteva alla diretta dipendenza dall'Impero anche la Stiria e si riserbava di fare lo stesso con l'Austria. A Vienna (febbraio) i principi elessero re dei Romani l'altro figlio di Federico II, Corrado, che aveva allora nove anni, e la cui elezione riconfermarono poi a Spira (luglio 1237). Federico di Babenberg poté tuttavia ricuperare quasi subito i suoi dominî, per la necessità in cui si trovò l'imperatore di lasciare la Germania per l'Italia.

Il re di Boemia e il duca di Baviera, per quanto incaricati della esecuzione del bando, non fecero nulla per opporsi al Babenberg. Era il primo segno della bufera che ancora una volta avrebbe trascinato la Germania in piena anarchia. Fra i tre principi fu stretto un patto, che si manifestò in aperta rivolta dopo che Gregorio IX ebbe di nuovo colpito di scomunica l'imperatore (20-24 marzo 1239). Sigfrido, arcivescovo di Magonza, arcicancelliere e procurator dell'Impero in Germania, isolò il moto, trattenendo dal prendervi parte i margravî di Turingia e di Misnia. Anche l'alto clero si mantenne in genere fedele. Nello stesso anno il re di Boemia e il Babenberg ritornarono all'obbedienza, il secondo guadagnandovi la reintegrazione nel ducato. Ma il prestigio dell'imperatore sofferse un grave colpo quando, minacciata la Germania dai Mongoli, non accorse a difenderla dall'Italia. I Mongoli, disanimati dalla resistenza disperata contro cui avevano urtato al confine austriaco e boemo, e poi nella Slesia, per quanto a Liegnitz (9 aprile 1241) avessero vinto quel duca Enrico, che cadde sul campo da eroe con la maggior parte dei suoi, e scossi dalle notizie sulla situazione in Asia per effetto della morte del loro gran khan Ogotai, ritornarono verso Oriente. La minaccia era svanita. Ma intanto è certo che Federico II aveva dato la sensazione d'esser mancato al suo dovere di sovrano tedesco. D'altra parte, l'asprezza assunta dalla lotta tra i Hohenstaufen e il papato era ormai tale, che non poteva non scuotere la fedeltà dell'alto clero tedesco. Già nel 1241 lo stesso arcivescovo di Magonza abbandonava il partito imperiale, e insieme con gli altri due arcivescovi renani, di Treviri e di Colonia, si faceva centro in Germania del movimento anti-svevo. La diserzione dei tre principi ecclesiastici preluse a quella dei principi laici. Quando il 17 luglio 1245 Innocenzo IV ebbe pronunciata solennemente nel concilio di Lione la deposizione di Federico II, e invitati i principi germanici a eleggersi un altro sovrano, proprio Enrico Raspe, il langravio di Turingia, che nella primavera del 1242 l'imperatore aveva nominato, insieme con Venceslao I re di Boemia, procurator dell'Impero in Germania, si fece eleggere antiré dai tre arcivescovi renani (Veitshochheim presso Würzburg, 22 maggio 1246). Il miglior appoggio al partito svevo venne ora dalle città, come Colonia, Worms, Spira, Ratisbona: il sistema politico di Federico II era mutato dalle basi. La lotta non si poteva dir decisa, perché né Enrico Raspe (morto il 16 febbraio 1247), né il nuovo antiré Guglielmo conte d'Olanda (eletto a Worringen presso Colonia il 3 ottobre 1247; incoronato ad Aquisgrana il i novembre 1248) riuscirono ad affermarsi al di là della regione del basso Reno, quando al partito svevo vennero improvvisamente a mancare i capi: Federico II, morto il 13 dicembre 1250; suo figlio Corrado IV, prima per la sua discesa in Italia nell'autunno del 1251, poi per la sua morte presso Melfi (21 maggio 1254).

Il disorientamento politico della Germania crebbe nel periodo successivo, che passò nella storia col nome di grande interregno, in quanto, se non mancarono i re, mancò a questi il riconoscimento della maggior parte della Germania, e anche i principi trascurarono gl'interessi comuni, badando solo a trarre in pro dei loro dominî le maggiori conseguenze delle concessioni ottenute da Federico II. Si ebbe allora un fatto, che parve dovesse determinare una svolta nella storia costituzionale della Germania: l'intervento delle città nella tutela dei comuni interessi. Già nel 1226 si era formata una lega tra alcune città renane, e nel 1246 era sorta una lega di città vestfaliche; il 13 luglio 1254 le città renane strinsero fra loro un vincolo federativo per la difesa della pace interna, e Guglielmo d'Olanda ne appoggiò l'azione. Nel 1255 i rappresentanti delle città apparvero accanto a quelli delle classi feudali; d'altra parte anche i membri di queste aderirono alla lega. Ma la crisi seguita alla morte di Guglielmo d'Olanda (28 gennaio 1256) troncò l'interessante evoluzione, che portava le città a concorrere nel governo dello stato. Quando i principi si divisero in due partiti, che elessero due re, Riccardo di Cornovaglia (13 gennaio 1257) e Alfonso X re di Castiglia (i aprile), entrambi imparentati per via di donne con gli Hohenstaufen, le città lasciarono senza conseguenze la solenne dichiarazione del 17 marzo e dell'agosto 1256, che avrebbero riconosciuto solo un re eletto all'unanimità, e si divisero anch'esse secondo il tornaconto degl'interessi egoistici. La lega non aveva superato la prova del fuoco, e si disgregò. Dei due re, Alfonso X non si vide neppur mai in Germania; Riccardo, vi fece solo fuggevoli comparse, e ne morì lontano il 2 aprile 1272. Il calcolo che aveva guidato i principi nella scelta dei due principi stranieri, dare cioè la corona a chi, per debolezza propria e per lontananza d'interessi, non avrebbe potuto ostacolare le loro ambizioni personali, era risultato esatto. Ne guadagnarono specialmente i Wittelsbach, e Ottocaro dì Boemia. I primi, al Palatinato del Reno e al ducato di Baviera unirono il ducato di Svevia per investitura di Riccardo; e, alla morte dell'infelice Corradino di Hohenstaufen (1268), acquistarono anche i possedimenti allodiali dell'antica famiglia imperiale. Ottocaro II di Boemia, il cui padre (morto nel 1230) aveva ottenuto nel 1198 da Filippo di Svevia il titolo ereditario di re, che Federico II gli aveva confermato nel 1212, ottenne ora (1262) da Riccardo la conferma dei ducati di Austria e di Stiria, dove si era estinta (1246) la casa dei Babenberg, e che del resto aveva già fatto proprî da tempo (1251, 1260). Inoltre, il re boemo era chiamato erede anche in Carinzia e in Carniola dall'ultimo duca, cui subentrò nel 1269. Nella Germania, abbandonata a sfrenati egoismi, imperversavano guerre private, di fronte a cui non avevano che ben scarsa efficacia le Landfriede qua e là bandite. Intanto la Francia scalzava nelle regioni alla frontiera occidentale l'influenza tedesca. A sud-ovest, l'occupazione della Provenza da parte degli Angioini (1246) apriva alla penetrazione francese anche l'Italia, infrangendo la barriera che Corrado II si era studiato di stabilire facendo suo il regno di Borgogna. A nordovest la Francia attirava nella sua sfera d'azione i feudi imperiali dei conti di Fiandra, intervenendovi come arbitra insieme con papa Gregorio IX nelle lotte per la loro successione (1244-1256).

Tuttavia, nella generale anarchia prodotta dalle guerre antisveve e dall'interregno, si erano anche venuti fissando alcuni elementi, che caratterizzeranno la storia della Germania nel periodo successivo: l'individuarsi, tra i principi, di una minoranza intesa a predominare nelle questioni di governo, e che per ora concreta questa sua posizione eminente nel farsi arbitra della scelta del sovrano; lo stabilirsi, negli strati inferiori delle classi feudali, di quello spirito di rapina e di violenza nel ceto cavalleresco, che sarà causa di tante miserie alla Germania; lo sviluppo delle autonomie municipali; e, soprattutto, il grande fenomeno dell'espansione tedesca nelle regioni nordiche e orientali.

L'espansione tedesca a nord e ad est. - Nel sec. XII, infatti, dopo circa cent'anni di sosta, riprende dal Baltico alle Alpi l'avanzata tedesca verso Oriente, e nei secoli XIII-XIV compie il suo massimo sforzo. In testa, non gl'imperatori, ma i principi di frontiera, e, sul litorale baltico, anche i cavalieri degli Ordini Teutonico e Portaspada, e le città della lega anseatica. Sul Baltico l'espansione tedesca, oltre alla resistenza delle popolazioni locali, dovette superare anche la minaccia dell'espansione danese, e finì con l'essere arrestata dalla riscossa delle genti polacche e lituane.

Le terre scandinave avevano conseguito l'autonomia religiosa rispetto alla Germania, con l'istituzione degli arcivescovati di Lund (1104), e di Trondheim (1148-1154), ma erano rimasti sotto il predominio politico tedesco per merito del duca di Sassonia, Enrico il Leone. Questi seppe abilmente sfruttare l'indebolimento prodotto in Danimarca dalle incessanti lotte per il trono, e dalla necessità di aiuti contro le continue scorrerie dei pirati slavi annidati nell'isola di Rügen e della Pomerania. Quando il re Valdemaro I s'impadronì di Rügen, Enrico il Leone fu pronto a impedire, intervenendo con le armi, che ne conservasse il pieno dominio (1168-1171). A est della bassa Elba l'opera di Ottone I e dei suoi fedeli margravî era stata quasi completamente distrutta dalla reazione nazionale-pagana di quelle tribù vendiche. I vescovati di Oldemburgo, Ratzeburg e Meclemburgo, in cui Adalberto arcivescovo di Brema aveva (1052-1054) diviso la giurisdizione dell'antico vescovato di Oldemburgo, rimasero per circa un secolo vacanti. L'apostolato di Vicelino poté fare progressi solo con l'appoggio militare di Lotario II, prima, di Enrico il Leone poi. La guerra civile che aveva dilaniato la Germania per la successione di Lotario II offerse ai Vendi, cui quell'imperatore aveva saputo imporre un certo freno, la possibilità di una nuova riscossa. Varcata la Trave, incendiata Lubecca, fu messa a rovina tutta la regione intorno, già intensamente colonizzata dai Tedeschi. Solo quando la lotta tra Guelfi e Hohenstaufen sostò, il germanesimo sferrò la controffensiva. Tra il 1142 e il 1162 Enrico il Leone e i suoi conti, specie Adolfo I di Schauenburg, conte di Holstein, e l'ascanio Alberto l'Orso di Ballenstedt, margravio del Nord, sottomise con una serie di aspre campagne Vagrî, Abodriti e Liutizi, portando i confini del suo ducato sino alla Peene. I tre vescovati vendici furono ricostituiti (1149); Vicelino, fatto vescovo di Oldemburgo, poté tornare alla sua opera missionaria (morì nel 1154). Il duca di Sassonia formò la contea di Schwerin con la parte occidentale dei territorî conquistati, e lasciò (1167) la parte orientale, il Meclemburgo, al principe vendo Pribislavo, fondatore della dinastia che resse la regione sino all'età contemporanea e vi riunì anche lo Schwerin all'estinguersi (1358) di quella famiglia comitale. Una colonizzazione tedesca intensiva ed estensiva mutò completamente l'aspetto demografico del paese dall'Elba alla Peene. Attirati dall'offerta di terre a condizioni assai favorevoli, contadini sassoni, vestfali, fiamminghi, frisî e olandesi aecorsero numerosi con le loro famiglie e i loro strumenti di lavoro a dissodare le vaste zone paludose e selvose, che avevano costituito la miglior difesa degli Slavi contro gli invasori, e dove invece sorsero comunità rurali e centri cittadini dotati di ampî privilegi. I vinti o scomparvero o si germanizzarono sino a dimenticare col tempo la loro origine slava. Nella Pomerania, che dalla regione di sinistra del basso Oder si stendeva sino alla bassa Vistola, e che era nominalmente sotto la sovranità della Polonia, l'influenza tedesca si era fatta sentire attraverso l'opera missionaria di Ottone vescovo di Bamberga, che nel 1124-1128, per iniziativa e eol favore del duca Boleslao III, ma anche con l'aiuto di Lotario II, aveva dato un impulso decisivo alla conversione dei Pomerani, e attraverso l'azione delle comunità monastiche stabilite nel paese da cisterciensi (monastero di Oliva, 1170) e premonstratensi. Enrico il Leone si era proposto la conquista anche di questa regione, ma ne fu impedito dalla crisi che travolse la sua potenza. Nel 1181 la Pomerania occidentale entrava nel corpo dell'Impero, ma come ducato retto da principi nazionali, che però si andarono anch'essi completamente germanizzando, al pari della popolazione.

La caduta del duca di Sassonia fu una vera iattura per la causa tedesca sul Baltico. Scomparso con lui il più valido baluardo contro la minaccia danese, questa divenne subito grave. Canuto VI non soltanto impose il riconoscimento dell'alta sovranità danese ai principi del Meclemburgo e della Pomerania e rese effettivo il dominio sull'isola di Rügen, ma, intervenendo attivamente in Germania a favore dei Guelfi contro gli Hohenstaufen, conquistò il Holstein (1201). A Valdemaro II fu addirittura ufficialmente ceduto da Federico II tutto il territorio a nord dell'Elba, e cioè, oltre il Holstein, il Lauenburg e lo Schwerin, con Amburgo e Lubecca (dicembre 1214). Nel 1210 i Danesi mettevano piede anche nella Estonia. Non si parla ormai più di dipendenza feudale della Danimarca dall'Impero; anzi, il Mar Baltico pareva dovesse divenire un lago danese. Il germanesimo ancora una volta fu salvato dai principi e dalle città della lega anseatica. I conti di Holstein, di Schwerin e del Meclemburgo, collegatisi con l'arcivescovo di Brema contro il comune nemico, riconquistarono tutti i loro dominî (trattato di Bardewieck, novembre 1225; battaglia di Bornhövede, 22 luglio 1227). Alla Danimarca non rimase che l'isola di Rügen, che però abbandonò nel 1325, e l'Estonia, che nel 1346 vendette all'Ordine Teutonico. Dalla seconda metà del sec. XIII nel compito di affermare l'influenza tedesca sul Baltico cominciarono ad avere parte sempre più grande le città della lega anseatica. La Danimarca si trovò ridotta verso di loro a condizioni di effettiva dipendenza ribadite nell'umiliante pace di Stralsunda (1370). Poco dopo perdeva anche lo Schleswig, divenuto (1386) feudo dei conti di Holstein.

Sul litorale baltico e nell'immediato retroterra l'espansione tedesca raggiunse il suo massimo sviluppo con le conquiste dei cavalieri dell'Ordine Teutonico e Portaspada: l'occupazione della Prussia (1230-1283), cui si aggiunsero le regioni a nord del Memel dopo che l'Ordine Teutonico ebbe assorbito (1237) i Cavalieri Portaspada, che analoga opera di conquista avevano condotto nella Livonia a cominciare dal 1204; e la Pomerania orientale, o Pomerelia (1309). Nel 1346 l'acquisto dell'Estonia portava i cavalieri dell'Ordine sino al golfo di Riga. Anche in tutti questi paesi si trapiantarono i contadini tedeschi, che resero fertili zone le selve e le paludi, e tra la Vistola e il Memel sostituirono quasi completamente le genti del luogo, i Prussiani del gruppo baltico, rimasti sempre tenacemente pagani, nonostante gli sforzi di S. Adalberto arcivescovo di Praga (morto nel 997), di S. Brunone (morto nel 1009), del monaco Cristiano che nel 1215 Innocenzo III aveva consacrato vescovo di Prussia. Dei Prussiani, sterminati durante la conquista, rimase pressoché solo il nome, passato ai nuovi abitanti della regione. E anche qui sorsero o ebbero definitivo sviluppo numerosissimi centri cittadini, attivi di tragici, in stretti rapporti con la lega anseatica. Solo tra la fine del sec. XIV e la metà del sec. XV, l'unione lituano-polacca (1386) arresterà prima i progressi, fiaccherà poi la potenza dell'Ordine Teutonico (battaglia di Tannenberg, 15 luglio 1410). Infine la pace di Thorn (19 ottobre 1466) avrebbe creato tra la Prussia orientale, lasciata ai cavalieri come feudo polacco, e la Pomerania ducale, il corridoio polacco della Pomerelia o Prussia occidentale.

A sud del Meclemburgo e della Pomerania l'espansione tedesca fu condotta dall'ascanio Alberto l'Orso, che estese i suoi dominî, e gli stabilimenti dei coloni fatti venire della Germania, verso l'Oder, ereditando dal principe slavo Pribislavo la regione del Havel e della Sprea (1150), che dal suo centro prese nome di Brandeburgo, nome a cui da allora egli appoggiò anche il suo titolo marchionale. I successori di Alberto si spinsero con la Neumark, formata nelle terre a nord della Netze e della Varta, sino ai confini della Polonia. Con gli Ascanî collaborarono i premonstratensi, che, introdotti nel Brandeburgo dal loro fondatore, Norberto arcivescovo di Magdeburgo (morto nel 1134), ebbero la loro sede principale a Jerichow presso questa città. A sud-est del Brandeburgo, nella Lusazia e nella Slesia, che, dopo varie vicende, nel sec. XIV rimasero definitivamente congiunte col regno di Boemia, nella stessa Polonia, la colonizzazione tedesca fu favorita dai principi slavi del luogo, per il bisogno di ripopolare quelle regioni desolate dalle scorrerie specialmente dei Mongoli. I contadini tedeschi si stabilirono nel paese, conservando costumi, leggi, reggimenti proprî, e avendo solo lievissimi carichi. Immigrarono anche elementi borghesi, e i villaggi slavi si vennero trasformando in città tedesche. Wroclaw, distrutta dai Mongoli, risorse per opera degl'immigrati tedeschi (Breslavia). La Bassa Slesia soprattutto si germanizzò sino a cessare col tempo di essere slava. Nella Polonia la penetrazione tedesca fu attiva soprattutto nelle città, come a Poznań, a Cracovia; ma anche la popolazione rurale polacca subì l'influsso delle comunità costituite dai coloni venuti di Germania e cercò di prenderle a modello, migliorando le proprie condizioni di fronte ai loro signori. Anche nella Slesia furono operosi i cisterciensi, che vi fondarono importanti monasteri, come a Leubus (1175) e a Heinrichau (1222). In Boemia e nell'Ungheria contadini e borghesi tedeschi furono invogliati a venire dai principi e dai sovrani, portando anche qui al decisivo miglioramento dell'economia agricola e allo sviluppo dei centri urbani, godendo, specie in Boemia, di ampie autonomie, fiancheggiati, nella loro opera di civiltà, da quella svolta dai premonstratensi e dai cisterciensi nel campo religioso, sempre sotto gli auspici del germanesimo. E finalmente, con caratteristiche non diverse, questo si fece strada nelle regioni alpine dominate dai duchi d'Austria, di Stiria, di Carinzia, e dai conti di Gorizia, non solo contro gli Slavi, ma altresì contro gl'Italiani, che però dalla loro civiltà superiore trassero forza per resistere con maggiore efficacia, e reagire vittoriosamente.

Nei secoli XII-XIV si poteva quindi dire compiuto il rovesciamento della situazione, che avevano creato nelle terre dell'antica Germania le immigrazioni slave al seguito dei Germani emigranti verso le terre dell'Impero romano. La riconquista, iniziata dai re franchi, portata da Carlomagno, fondatore dell'impero medievale, sino all'Elba e alla Saale, aveva cominciato a dilagare al di là con Ottone I, restauratore di quell'impero, poi aveva trionfato non sotto la guida unitaria del sovrano, nella coscienza di un comune interesse nazionale, come fu nella Spagna contro i Musulmani e in Francia contro gl'Inglesi, ma sotto l'impulso d'interessi particolaristici. Tuttavia il fatto storico rimane sempre grandioso. Quasi dappertutto dove hanno stabilito il loro dominio diretto i principi conquistatori e anche dove, come nel Meclemburgo e nella Pomerania, sono rimaste le famiglie principesche di origine vendica, di slavo non si conservarono col tempo che nomi di fiumi e di località. Il centro di gravità della Germania, dal Reno, al quale invece ritorna a protendersi la Francia, si è spostato verso oriente: tre dei quattro principi laici, ehe esercitano il privilegio elettorale per la scelta degl'imperatori, hanno i loro dominî in paesi tolti agli Slavi o rimasti Slavi (Brandeburgo, Sassonia-Wittenberg, Boemia); la scelta stessa del sovrano, finisce col fissarsi in famiglie che a est e a sud-est hanno il nucleo della propria potenza (Lussemburgo, Asburgo); in terre d'origine slava la dinastia destinata a unificare la Germania prenderà la corona regia (Königsberg), e ne deriverà il nome del nuovo regno (Prussia), nucleo del futuro Impero di Germania, il quale anche avrà la sua capitale, Berlino, nel cuore del Brandeburgo già slavo.

Le classi sociali in Germania alla fine del sec. XIII. Le città. L'amministrazione della giustizia. - Alla fine del sec. XIII la struttura sociale della Germania si può considerare stabilmente fissata in certe linee essenziali.

In alto stava la nobiltà feudale, distinta in classi, tra le quali una rigida separazione gerarchica poneva barriere difficilmente valicabili. La prima classe si riassumeva nella persona del sovrano, vertice della gerarchia. Nella seconda e nella terza erano distribuiti i principi dell'Impero, cimè coloro che ricevevano investiture feudali direttamente dal sovrano. A cominciare dal 1180 il titolo è attribuito agli arcivescovi (sei), ai vescovi (circa venti); ad alcuni abati; ai duchi di Sassonia, Svevia, Baviera, Austria, Carinzia, Stiria, Boemia, Lorena e Brabante; ai conti palatini del Reno e di Sassonia; ai margravî del Brandeburgo, di Misnia e di Lusazia; al langravio di Turingia, al conte di Anhalt. I principi ecclesiastici erano posti nella seconda classe; i laici, in quanto potevano trovarsi nella condizione di vassalli dei principi ecclesiastici, nella terza. I principi avevano la parte veramente effettiva nei lavori delle diete dell'Impero (Reichstage), in confronto dei rappresentanti delle altre classi. Tra di essi costituivano una casta a parte coloro che erano divenuti di fatto, in attesa di esserlo di diritto, i depositarî della facoltà di eleggere il sovrano, in teoria spettante tuttora all'assemblea generale del popolo in armi. Dalla metà del sec. XIII il numero e la qualità dei principi elettori non mutano; sette, tre ecclesiastici (arcivescovi di Magonza, Colonia, Treviri), quattro laici (conte palatino del Reno, duca di Sassonia, margravio del Brandeburgo, re di Boemia). Nella quarta classe stavano i vassalli dei principi, conti di minore importanza, burgravi, che erano conti con signoria di un castello o di una città fortificata, cavalieri di origine libera. Nella quinta erano annoverati i ministeriales, che, di origine non libera, di fatto erano saliti a parificarsi con i cavalieri di origine libera, acquistando la capacità di avere investiture di feudi; nella sesta e ultima classe erano i vassalli dei ministeriales, di rango cavalleresco, ma di condizione non libera, e quelli tra i ministeriales, che, pur essendosi innalzati sino al cavalierato, non avevano però potuto uscire dallo stato non libero. Tutti questi cavalieri formano nella piccola nobiltà un ceto a parte e chiuso, perché non vi entra chi non è figlio di cavaliere. Soprattutto uomini d'arme, i cavalieri costituirono il nerbo degli eserciti della corona nelle guerre combattute dai Hohenstaufen contro i loro nemici. Caduta la monarchia sveva, venne a mancare loro la fonte principale donde traevano i mezzi di vivere. La maggioranza non aveva altra risorsa all'infuori del mestiere delle armi, e continuò a esercitarlo, quando non prendeva parte alle guerre private, sotto forma di un vero e proprio brigantaggio sistematico, che fu per lunghi secoli tra le maggiori piaghe della Germania, e di cui soffersero specialmente le città, che ebbero nei cavalieri nemici spietati

Nella popolazione rurale, le correnti migratorie verificatesi all'esterno verso l'oriente nel corso del sec. XIII, come anche quelle richiamate all'interno verso le città dal loro livello di vita più elevato, determinarono uno spostamento nei ceti dal basso in alto. La servitù personale e della gleba tendono a sparire. Ai membri del ceto servile, dal quale inoltre sono già evasi i ministeriales per entrare nella piccola nobiltà, è dato modo d'innalzarsi al ceto dei semiliberi. Questi ultimi, alla loro volta, riescono a sostituire con fitti anche le prestazioni dovute ai loro signori, quando non riescono a riscattare del tutto i proprî fondi da ogni forma di dipendenza feudale, e vanno a ingrossare la classe dei piccoli proprietarî liberi, specie di aristocrazia rurale. Il fenomeno ebbe il suo massimo sviluppo nella seconda metà del sec. XIII, e una ripresa dopo le stragi prodotte dalla peste del 1348. In seguito, vi fu un processo involutivo.

Ma l'elemento veramente nuovo, nella struttura sociale germanica, è dato dalla borghesia cittadina, che risulta dal confondersi, nei centri urbani, per le particolari condizioni di vita di questi ultimi, degli abitanti, originariamente di varia condizione rispetto allo stato di libertà, in una comunità di membri, diversamente dalla popolazione rurale, tutti liberi pur nelle varie inevitabili gradazioni di ceti e di classi. Anehe in Germania il compito storico della borghesia fu innanzi tutto quello di rompere la rigidezza dell'economia feudale, fondata sulla statica ricchezza immobiliare, per creare le più varie ed elastiche forme della ricchezza mobiliare. Già nel sec. XI, e più ancora nei secoli successivi, l'ingresso della Germania nella vita economica europea, come intermediaria nel senso longitudinale e trasversale dei paesi mediterranei e atlantici con i paesi del Mar del Nord e dell'Oriente slavo-baltico, aveva determinato un risveglio di attività, che era naturalmente più sentito nei centri urbani, fossero di lontana origine romana, come nelle regioni del Reno e dell'alto Danubio, o, qui e nel resto della Germania antica e recente, di nuova fondazione. Ma le condizioni propizie allo sviluppo di attività più propriamente municipali nelle città tedesche furono poste, nei secoli XI-XIII, soprattutto dalla situazione interna creata in Germania dalle lotte fra Papato e Impero, tra Guelfi e Ghibellini. I capi delle forze in contrasto furono tratti a provocare, in virtù di concessioni immunitarie in materia di mercati, dazî, moneta, giustizia, finanze, un più rapido incremento delle nuove forze cittadine, delle quali intendevano farsi efficace sostegno contro gli avversarî. Così vennero a mano a mano rilasciandosi i vincoli che in origine assoggettavano tutte le città ai signori del territorio su cui si trovavano e sorgevano, onde erano o imperiali, se dipendenti direttamente dal sovrano, o feudali, se dipendenti da un principe o signore ecclesiastico o laico. Il fenomeno si verificò soprattutto e più largamente per le prime, e, tra le altre, per quelle soggette a vescovi o ad arcivescovi. Ma in tutte fu tenace la volontà di ampliare sempre più le autonomie conquistate e di difenderle, in conflitti ma i principi spesso sanguinosamente combattuti. In misura diversa e in tempi diversi, i cittadini ottennero così di amministrarsi da sé, con proprie norme statutarie e proprî istituti municipali, come i consigli (Räte, nelle città renane a cominciare dalla fine del sec. XII), i tribunali scabinali, le corporazioni di arti e mestieri (Gilden, Zünfte). Dal secolo XIII le città svolgono anche una politica propria, stringendosi in leghe, che a tratti si sostituiscono alle autorità pubbliche per la tutela dell'ordine (lega del Reno, 1254). Una posizione a parte occupa la grande lega anseatica, che divenne una vera e propria potenza quasi sovrana. Tuttavia il processo di svolgimento delle autonomie municipali nelle città tedesche non arrivò mai, come avvenne invece per le città italiane, a maturare nella forma della città-stato, nucleo di più ampî stati regionali. La differenza sta nel fatto, che mentre la borghesia italiana ebbe la capacità di dissolvere le forze feudali che ne contrastavano lo sviluppo, sia distruggendole, sia riassorbendole in sé come fu della nobiltà minore, la borghesia tedesca finì invece con l'essere sopraffatta dai signori territoriali più potenti, mentre l'irriducibile ostilità dei cavalieri le fu continua fonte di grave debolezza. Altra fonte di debolezza furono le lotte interne per il dominio dell'amministrazione municipale tra le famiglie più antiche, che costituivano il patriziato cittadino, e le nuove, strette nelle corporazioni, forma organizzativa che fu poi adottata anche dai patrizî. La lotta doveva portare nella Germania del sud, dove prevaleva l'economia a tipo industriale, a una progressiva democratizzazione per l'abbandono del principio ereditario nelle cariche cittadine; mentre nelle città settentrionali, in cui prevaleva l'economia mercantile, il reggimento aristocratico offerse maggiore resistenza.

Le città tedesche furono in attivi rapporti commerciali con l'Italia, dove mandavano commercianti e uomini d'affari a Venezia (Fondaco dei Tedeschi, 1228), a Genova, nelle città lombarde e toscane, a Roma e a Napoli. Augusta e Norimberga erano tra i centri più fiorenti del commercio di transito tra gli sbocchi italiani e il retroterra tedesco. Ma fiorirono di rigogliosa vita economica anche Ulma, Francoforte sul Meno, le città renane, le città anseatiche. Tra le industrie, operosa fu quella delle stoffe ad Augusta; dei metalli ad Augusta, Monaco, Norimberga; delle fabbriche d'armi a Norimberga, Ratisbona, Solingen.

Le città ebbero inoltre parte notevolissima nel promuovere un più fecondo sviluppo delle fonti e della vita del diritto. Uno degli aspetti caratteristici del particolarismo germanico è dato dall'amministrazione della giustizia, che non conobbe né un ordinamento uniforme né un diritto comune. La giurisdizione regia era stata ristretta a un campo assai limitato dalle successive concessioni immunitarie a signori e città, onde l'attività del tribunale palatino (Hofgericht) non portò alla formazione di una legislazione imperiale valida per l'intera Germania. La giurisdizione rimaneva spezzata fra i numerosi tribunali signorili, che giudicavano in base al diritto feudale o ai costumi locali o regionali, e secondo la diversa condizione sociale di coloro che convenivano davanti a essi. Solo intorno alla metà del sec. XIII si cominciarono a codificare questi costumi in raccolte in origine private, che anche nel nome manifestano il loro carattere regionale, come il Sachsenspiegel (1215-1235) e lo Schwabenspiegel (verso il 1270). Carattere regionale e locale avevano le norme formulate in occasione delle Landfrieden per giudicare delle eventuali trasgressioni, e alle quali l'imperatore dava poi la sanzione sovrana, quando veniva sul posto. Natura particolare ebbero i tribunali della Veme (Vemegerichte) vestfalica, che acquistarono il maggiore sviluppo nei secoli XIV e XV, specialmente durante il regno di Sigismondo (1410-1437) nella lotta contro le guerre private, per poi decadere quando anche la Germania ebbe un più ordinato sistema giudiziario. Proprî tribunali avevano le città; ma appunto perché le originarie differenze di condizione rispetto allo stato sociale e di libertà dei suoi abitanti erano venute contemperandosi e scomparendo, il diritto fu per tutti i cittadini comune, sulla base della legislazione statutaria che si svolse dai privilegi sovrani e signorili, e con l'aggiunta dei decreti dei consigli e della giurisprudenza dei tribunali scabinali. La diffusione degli statuti dalle città in cui prima si vennero formando a quelle in rapporto con loro fu grandissima e superò anche i confini della Germania. Così fu per gli statuti di Magdeburgo rispetto alle città della Germania settentrionale e dei territorî germanizzati sul Baltico; per gli statuti di Brandeburgo rispetto alle città dei territorî orientali riconquistati agli Slavi o entrati nella sfera d'influenza tedesca, come la Slesia e la Polonia; per gli statuti di Aquisgrana e di Strasburgo rispetto alle città renane.

L'affermazione del predominio dei principi elettori sugli altri principi nel sec. XIV. - Il bisogno generale di uscire da una situazione, che si faceva sempre più confusa, spinse i principi elettori a porre termine all'interregno, col dare la corona a chi non fosse così estraneo alla Germania, come era sempre rimasto Alfonso X di Castiglia. La potenza dei Wittelsbach e del re di Boemia li indusse tuttavia a scartare tanto Ottocaro II quanto Ludovico II conte palatino del Reno, che oltre le terre del suo palatinato nell'angolo fra il Reno, la Mosella e la Saar, reggeva anche l'Alta Baviera (aveva ceduto la Bassa Baviera al fratello Enrico nel 1255). La scelta (Francoforte, 1 ottobre 1273; incoronazione ad Aquisgrana, 24 ottobre) cadde sul conte Rodolfo d'Asburgo, assai meno potente di loro, nonostante i suoi estesi dominî nelle valli dell'Aar e della Reuss, nelle terre del lago di Costanza, e, sulle due rive dell'alto Reno, nell'Alsazia e nella regione della Foresta Nera. Unico dissenziente fu il re di Boemia; ma la battaglia sui campi della Morava, in cui Ottocaro fu sconfitto dal rivale e perdette la vita (26 agosto 1278), permise all'asburghese di fondare su basi sicure la potenza della sua casa. L'investitura dei ducati d'Austria e di Stiria con la Carniola ai figli di Rodolfo I (1282) fu il frutto della vittoria; un duplice vincolo nuziale tra i figli dei due re apriva agli Asburgo la possibilità di subentrare ai Premislidi anche nel regno di Boemia. Il ducato di Carinzia passò al conte Mainardo del Tirolo; ma gli Asburgo non perdettero di vista neppur questo. Allarmati di così rapide fortune, i principi elettori non vollero accedere al desiderio di Rodolfo I, che gli fosse riconosciuto a successore il primogenito Alberto (1291). L'energia dimostrata dal nuovo sovrano contro il brigantaggio dei cavalieri; l'istituzione di tribunali, con particolare competenza in materia di trasgressioni alle norme delle Landfrieden, sotto la presidenza di un giudice (Landfriedenrichter) scelto tra i signori locali; il riordinamento dell'amministrazione dei beni della corona con l'istituzione di speciali funzionarî regi (Reichslandvögte) per i complessi più importanti, segnarono un certo risollevarsi dell'autorità monarchica. Ma d'altra parte rimaneva insanabile la debolezza delle sue basi finanziarie, dato l'inaridimento dei redditi della corona così per il loro trasferirsi nei principi e nelle città con le concessioni immunitarie, come per la dispersione avvenutane con la catastrofe dei Hohenstaufen. I principi elettori dividevano di fatto il governo dell'Impero col sovrano, e con la sua sanzione tendevano a escluderne gli altri. Nel 1281 essi ottennero un privilegio, per il quale la validità delle decisioni del re in materia di alienazioni di diritti e di beni della corona sussisteva solo con la loro ratifica scritta (Willebriefe); degli altri principi non si faceva cenno. D'altra parte, la necessità di poter tranquillamente attendere al consolidamento delle nuove fortune della sua famiglia impedì a Rodolfo I di ostacolare i continui progressi dell'influenza francese nelle regioni del confine occidentale nel regno di Arles e nei feudi dipendenti dai conti di Fiandra.

Il proposito ben fermo nei principi elettori di impedire che si ricostituisse una monarchia ereditaria determinò, alla morte di Rodolfo I (15 luglio 1291), l'elezione, invece di suo figlio Alberto, di un modesto nobile renano, il conte Adolfo di Nassau (Francoforte, 5 maggio 1292). Ma poi una parte degli stessi elettori ricorse ad Alberto, proclamandolo re a Magonza (23 giugno 1298), dopo aver deposto Adolfo, quando si vide minacciata nei suoi interessi dalla politica di quest'ultimo, che, con l'appoggio dei Wittelsbach della media nobiltà donde usciva, e delle città, mirava a formarsi un proprio dominio a spese dei Wettin, margravî di Turingia e di Misnia. Il 2 luglio 1298 Adolfo era vinto e ucciso a Göllheim. Subito dopo gli elettori renani si coalizzarono contro Alberto I, per la questione dei dazî sulla navigazione nel Reno, da cui essi traevano larghi guadagni, e che il sovrano volle abolire per svincolare dal loro peso i commerci delle città. Se Alberto I li poté piegare con le armi (1301-1302), più forti di lui si mostrarono i Wettin, che difesero vittoriosamente (1307) i loro margraviati contro le ambizioni asburghesi, ed Enrico duca di Carinzia cognato dell'ultimo Premislide boemo, Venceslao III, che, nel conflitto per la successione scoppiato alla morte di quest'ultimo (1306), ebbe il sopravvento sull'altro cognato, Rodolfo duca d'Austria figlio di Alberto I, il quale era stato investito del regno di Boemia. Anche il conte di Hainault riuscì a impedire che Alberto I s'impadronisse dell'eredità dei conti d'Olanda. Significativi per il regredire dell'influenza tedesca al confine occidentale in confronto di quella francese furono l'aiuto dato al conte di Hainault da Filippo IV il Bello, l'annessione da parte del re di Francia del Vivarais (1305) e del Lionese (1307), che fu definitiva, e della contea di Borgogna, o Franca Contea, che fu temporanea (1307-1322). Anche ai confini meridionali, negli stessi antichi dominî degli Asburgo, si ebbero sintomi della tendenza delle terre svizzere a staccarsi dal corpo dell'Impero, con la confederazione cantonale di Uri, Schwyz e Unterwalden (i agosto 1291), e con la sua rivolta al principio del 1308. Poco dopo (i maggio 1308), Alberto I cadeva sotto il pugnale di un nipote; e solo dopo centotrent'anni gli Asburgo risalivano sul trono con un altro Alberto.

La storia della Germania dopo la fine dell'interregno era stata sino allora caratterizzata da una ripresa dell'autorità monarchica, orientata però verso gl'interessi particolaristici dei principi assunti al trono contro quelli degli altri principi, e non verso gl'interessi comuni del regno. Così, e non con finalita nazionali, va spiegato anche l'abbandono da parte di Rodolfo I, di Adolfo, di Alberto I, delle antiche tradizioni imperiali universalistiche, che nei fatti si riducevano a ripetuti interventi logoranti nelle vicende d'Italia, per mantenersi nei limiti di una più pratica azione in Germania. Il successore invece di Alberto I, se non trascurò gl'interessi della famiglia, volle riprendere in pieno la missione, che le teorie medievali avevano assegnato all'Impero. I principi elettori, per i soliti motivi, diedero la preferenza a un altro modesto nobile renano, Enrico, conte di Lussemburgo (27 novembre 1308), dal quale ottennero subito il ristabilimento dei dazi fluviali e misure restrittive contro le città. Da parte sua, Enrico VII non si lasciò sfuggire l'occasione di danneggiare gli Asburgo, riconoscendo ai confederati svizzeri una posizione analoga a quella delle città imperiali, e di assicurare alla sua casa il regno di Boemia facendo sposare alla sorella dell'ultimo Premislide il figlio Giovanni, che investì di quella corona (1310). Subito dopo Enrico VII lasciava la Germania per la sfortunata avventura italiana, che doveva chiudersi con la sua morte immatura (24 agosto 1313).

Due opposti partiti di principi, Asburgo e Wittelsbach del Palatinato del Reno, contro Wittelsbach dell'Alta Baviera, scesero in campo per la successione, concordi tuttavia nel cercarla fuori dei Lussemburgo; e ad un sol giorno di distanza si ebbe una duplice elezione: il 19, a Sachsenhausen, di Federico duca d'Austria; il 20 ottobre 1314, a Francoforte, di Ludovico IV, duca dell'Alta Baviera. Le città renane della Germania meridionale, favorite nei loro interessi, e i Confederati svizzeri, confermati nelle loro libertà, parteggiarono per Ludovico IV contro l'avversario. E appunto la vittoria degli Svizzeri su Leopoldo duca d'Austria a Morgarten (15 novembre 1315) segnò il declino delle fortune asburghesi, tramontate poi a Mühldorf (28 settembre 1322), davanti alle armi riunite di Ludovico IV, di Federico IV di Hohenzollern, burgravio di Norimberga, e di Giovanni di Boemia. Il vincitore fu pronto a investire senza attendere il consenso degli elettori (1324) il figlio primogenito, dello stesso suo nome, della marca del Brandeburgo, dove sino dal 1320 si era estinta la linea degli Ascanî. Pochi anni dopo, Ludovico IV impegnava l'Impero nell'ultima lotta medievale col Papato, lotta in cui si videro i papi di Avignone appoggiare con le dottrine teocratiche gl'interessi politici francesi di là e di qua dalle Alpi, dove i signori della regione padano-appenninica, minacciati dagli Angioini, provocarono la discesa in loro aiuto del sovrano tedesco. Questa (1327-1330) si risolse in un pieno insuccesso. Ma l'azione combinata dalla Francia e dal papato aveva determinato in Germania un vasto movimento, in cui pareva si dovessero finalmente accomunare tutte le classi sociali dai principi alla borghesia. Se ne fecero interpreti i principi elettori, a Rense, assente il solo Giovanni di Boemia, dichiarando solennemente (16 luglio 1338) la piena capacità all'esercizio del potere imperiale e regio e il pieno diritto a portare il titolo regio in colui, che essi avessero eletto senza bisogno di nessun intervento sotto qualunque forma della Sede Apostolica. La dichiarazione fu subito dopo (agosto) sanzionata dalla dieta di Francoforte, presieduta dall'imperatore, e pubblicata come legge dell'Impero. L'Impero si svincolava così dal Papato; cessava, come fu argutamente detto, di essere Sacro e Romano, nel significato universalistico e trascendentale attribuito a questi termini nel Medioevo, per avviarsi a divenire laico e nazionale, e quindi tedesco. Ma l'Impero non acquistava efficacia unificatrice e accentratrice, neppure col nuovo carattere, perché questo era determinato da un atto non d'iniziativa del sovrano, ma voluto dai principi elettori, intesi a ribadire contro ogni dubbio che essi, e non altri, disponevano della corona. L'aspetto nazionale del movimento si manifestò nella stessa dieta di Coblenza del settembre 1338, nella quale, se Ludovico IV, nell'assidersi arbitro della contesa per il trono francese fra due re, Edoardo III e Filippo VI, era l'imperatore nell'esercizio tradizionale dei suoi poteri universali, in realtà, nel decidere a favore del re inglese contro il francese agiva come sovrano tedesco. La conseguenza fu la guerra contro la Francia, a fianco della sua naturale nemica, l'Inghilterra. Ma Ludovico IV sentiva gl'interessi della famiglia, e non quelli della Germania, e non colse l'occasione favorevole a plasmarsi un regno nazionale. Si ritirò dalla guerra (1341), illudendosi in una Francia mediatrice di riconciliazione tra lui ed il papato; si alienò l'animo di Edoardo III affrettandosi a occupare i domini del conte d'Olanda, che era suo cognato, non appena venne a morte (1345), senza aver nessun riguardo alle aspirazioni dei re inglesi su quelle terre. Così il movimento nazionale, rimasto senza un capo, languì, e si spense. Intanto i principi guardavano. preoccupati l'aumento della potenza lussemburghese. La marca elettorale del Brandeburgo al primogenito di Ludovico IV; il langraviato d'Alsazia a un altro suo figlio; riunita l'Alta e Bassa Baviera (1340) nella propria linea; infine, l'eredità tirolese. Ludovico IV aveva convenuto con gli Asburgo che, alla morte di Enrico di Carinzia, egli si sarebbe preso il Tirolo, lasciando ai duchi d'Austria la Carinzia. Ma quando Enrico morì (1335), non aveva osato dar corso al patto per quanto lo riguardava, perché l'erede Margherita Maultasch aveva sposato un figlio di Giovanni di Lussemburgo, Giovanni Enrico, che l'imperatore infeudò del Tirolo. Le discordie fra gli sposi, e l'ostilità mostrata a Giovanni Enrico dalla nobiltà locale indussero Ludovico IV a dichiarare nullo il matrimonio di Margherita, che fece sposare al proprio figlio già margravio del Brandeburgo (1342). Conseguenza diretta fu l'intesa dei Lussemburgo con la Francia e con il papa contro di lui. L'11 luglio 1346 i tre elettori ecclesiastici, il re di Boemia e il duca di Sassonia-Wittenberg raccoglievano l'invito rivolto da Clemente VI ai principi perché si scegliessero un altro sovrano, eleggendo a Rense il primogenito di Giovanni di Lussemburgo, Carlo, marchese di Moravia. Di nuovo la Germania si trovava alla vigilia di una guerra civile; ma i principi tedeschi non mostrarono troppa voglia di affrontarla. D'altra parte la morte di Ludovico IV (11 ottobre 1347) facilitò la soluzione del conflitto senza spargimento di sangue. Falli anche il tentativo dei Wittelsbach di suscitare una coalizione antilussemburghese, facendo eleggere re (30 gennaio 1349) il conte Günther di Schwarzburg, che, non trovando fautori, rinunciò alla corona e morì dopo pochi mesi (18 giugno). I Wittelsbach si riconciliarono con Carlo IV, che li confermò nei loro dominî.

Egoismi di sovrano e di principi avevano impedito che avesse il suo logico svolgimento la solenne proclamazione dell'indipendenza dell'Impero dal Papato e dalla Francia, fatta a Rense, otto anni prima che in quello stesso luogo l'elezione di Carlo IV avvenisse in condizioni tali, da significare l'oblio di quel principio. Tuttavia l'idea non era morta del tutto; ed entrò tra i fattori che determinarono un'altra fase essenziale nell'evoluzione costituzionale della Germania con la famosa Bolla d'oro (1356; v.). La ritroviamo infatti nella riaffermazione della norma, che il solo fatto dell'elezione a maggioranza ingenera di per sé il diritto nell'eletto a esercitare il potere imperiale e a portare il titolo di re; alla Sede Apostolica rimaneva solo la cerimonia dell'incoronazione imperiale. Ma soprattutto la Bolla d'oro fu la grande vittoria dei principi elettori così sugli altri principi come sul sovrano. Da questo momento essi costituiscono una casta a parte, cui si attribuivano poteri eminenti e si riconfermava la sovranità effettiva sui rispettivi dominî. Il sovrano accettava di riconoscersi primus inter pares, sì che la Bolla d'oro fu definita non a torto un trattato fra i principi e Carlo IV, non un atto indipendente della volontà imperiale rispetto a sudditi. Così l'evoluzione costituzionale, di cui vedemmo i germi con Federico I ed il primo sviluppo con Federico II, maturava a esclusivo vantaggio dei principi elettori. Rimanevano insoddisfatte tutte le altre forze politiche, che fermentavano in Germania. Illustri famiglie principesche, come i Wittelsbach della linea ducale di Baviera in confronto a quelli del Palatinato del Reno; gli Ascanî duchi di Sassonia-Lauenburg, in confronto a quelli di Sassonia-Wittenberg; gli Asburgo duchi d'Austria, si vedevano escluse dal privilegio elettorale e dai benefici che ne conseguivano. A esse, come ai principi, gli elettori avevano mostrato la via da seguire. Si era quindi all'inizio di un ulteriore sviluppo, che avrebbe portato a una dispersione anche maggiore della sovranità. S'aggravava il pericolo che la Germania si spezzasse in tanti stati e staterelli indipendenti, se le tendenze centrifughe non si fossero equilibrate nelle forme di una confederazione presieduta da uno dei principi, che solo nella dignità imperiale avrebbe fondato una sua nominale preminenza sui membri confederati, rimanendo per il resto soprattutto il sovrano del proprio stato. Era la fine del concetto dell'imperatore inteso come dominus mundi, così caro alle dottrine politiche del Medioevo. D'altra parte, siccome la Bolla d'oro non si era affatto curata né di determinare i rapporti tra i principi e il governo dell'Impero, né di creare gli organi amministrativi, giudiziarî, militari e politici del governo stesso, il problema costituzionale rimaneva insoluto proprio negli elementi essenziali. I tentativi fattì in varie riprese per uscire da questa stranissima situazione daranno un suo carattere a tutto il periodo successivo della storia tedesca. D'altra parte le città, danneggiate dalla rievocazione nella Bolla d'oro di alcune delle misure restrittive del tempo di Federico II, e minacciate dai principi intesi a rendere assoluto e ad estendere il loro dominio, si riuniranno in leghe per provvedere alla loro difesa. E poiché allo stesso mezzo ricorreranno principi, nobili minori e cavalieri, e manca un organo centrale tutorio dell'ordine pubblico, le leghe e le guerre fra leghe costituiranno un altro degli elementi tipici della storia della Germania. Tutto ciò, e la sanzione sovrana data al principio elettorale per la successione al trono, proprio mentre nei grandi stati dell'Europa occidentale, e soprattutto nella vicina Francia, trionfavano nell'evoluzione costituzionale gli opposti principî, sarà la precipua causa dell'insanabile debolezza, che paralizzerà la Germania di fronte ai grandi problemi della politica internazionale.

Decadeva intanto una delle famiglie principesche, che avevano avuta cospicua parte nella storia tedesca nella prima metà del secolo. I Wittelsbach perdettero infatti il Tirolo, occupato da Rodolfo IV d'Asburgo duca d'Austria, all'estinguersi della linea di Ludovico IV (1363); l'Alto Palatinato di Baviera, Sulzbach e la marca del Brandeburgo, passati a Carlo IV di Lussemburgo (1373). I dominî lussemburghesi raggiungevano così la massima estensione, e Carlo IV apriva alla sua famiglia altre prospettive di nuovi accrescimenti, per le nozze del secondogenito Sigismondo con l'erede dei regni di Polonia e d'Ungheria (1374) e del fratello Venceslao con l'erede del duca di Brabante e di Limburgo. Per gli Asburgo, ebbe decisiva importanza il patto successorio con i Lussemburgo, stretto a Bruna il 10 febbraio 1364 tra Carlo IV e Rodolfo IV e i suoi fratelli, in virtù del quale i dominî della famiglia in cui si fosse estinta la discendenza maschile sarebbero passati all'altra.

Carlo IV raccolse i frutti dell'alleanza con i principi elettori quando questi, in deroga alle norme della Bolla d'oro, acconsentirono a eleggere come suo successore il primogenito Venceslao (10 giugno 1376). L'amicizia della Francia, tanto necessaria per non avere ostacoli nella sua politica di famiglia, fu dall'imperatore pagata con la nomina del figlio del re francese a vicario imperiale nel regno di Arles, ripiego che mal copriva la definitiva rinuncia dell'Impero alla valle del Rodano in favore della Francia, che, d'altra parte, dal 1316 si era annessa il Valentinois e il Diois, e dal 1349 il Delfinato. Eppure nel 1365 Carlo IV sembrava avesse voluto rivendicare i diritti imperiali su quelle regioni, prendendo la corona ad Arles, fatto che non si verificava più dal 1178, quando vi era stato incoronato Federico I. Intanto gli effetti dell'assenza di un governo centrale in Germania, già duramente provata dalla peste del 1348, si manifestavano nell'infuriare delle guerre tra leghe di città e leghe di nobili. L' imperatore, per proteggere la pace, non trovava di meglio che aiutarsi con l'opera dei giudizî della Veme vestfalica. Negli ultimi anni del suo regno scoppiò una terribile lotta tra le città sveve, strette in lega (1370) attorno a Ulma, e i nobili del contado, guidati dal conte Eberardo del Württemberg, e favoriti dall'imperatore. La guerra, dopo essersi trascinata a lungo con varie alternative, si chiuse nel 1377 con la peggio dei nobili. L'anno dopo l'imperatore moriva (29 novembre 1378).

La Germania meridionale non tardò a essere di nuovo teatro di guerre feroci fra leghe di città e di nobili, che si estesero anche alla Germania occidentale. Alla lega delle città sveve si era unita (1381) una lega delle città renane; a quella dei nobili, una confederazione tra i quattro principi renani; nel 1385 alle città tedesche si allearono i Confederati svizzeri, e la lotta divampò dovunque (1388), con l'intervento anche degli Asburgo. Gli Svizzeri, vittoriosi a Sempach (9 luglio 1386) e a Naefels (9 aprile 1388), con la pace del 1394 ottennero il riconoscimento di fatto della loro indipendenza. Invece le città tedesche furono sopraffatte, le sveve a Döffingen dal conte Eberardo del Württemberg (23 agosto), le renane a Worms dal conte palatino del Reno, Roberto di Wittelsbach (6 novembre 1388), e rimasero prostrate dal colpo sofferto. Indebolite anche dalle lotte interne fra le classi superiori e le inferiori, lanciate alla conquista dell'amministrazione municipale, le città tenderanno a disinteressarsi dei problemi politici per occuparsi soprattutto delle attività economiche. L'andamento del conflitto aveva chiaramente mostrato l'impotenza dell'autorità imperiale. Venceslao aveva tentato, senza riuscire, di prevenirne lo scoppio, ed aveva mostrato che le sue simpatie erano per le città; ma era rimasto inerte, lasciando così che fosse fiaccato un fascio di forze utile alla corona contro i principi. D'altra parte costoro erano malcontenti di Venceslao, che incolpavano di trascurare gl'interessi della Germania per quelli del suo regno di Boemia. Gli elettori, riunitisi a Oberlahnstein deposero l'imperatore (20 agosto 1400), che accusavano anche di aver mutilato il corpo dell'Impero con la concessione del titolo di duca di Milano a Gian Galeazzo Visconti (1395). Il giorno dopo, a Rense, fu eletto al suo posto il conte palatino del Reno, Roberto di Wittelsbach. Il nuovo sovrano, col quale i Wittelsbach fecero un'ultima e non felice apparizione tra i protagonisti della storia tedesca, rimase per i più come un usurpatore. Gli stessi principi che lo avevano portato al trono l'abbandonarono senza mezzi, quando si trattò di conquistare il Milanese. L'esito umiliante della spedizione condotta da Roberto III contro il Visconti (1401) abbassò ancor di più il prestigio della monarchia, che avrebbe presto ricevuti altri colpi ancora. Nel settembre 1405 si costituì la lega di Marbach tra l'arcivescovo di Magonza, alcuni altri principi e numerose città sveve; l'anno dopo l'imperatore fu costretto a riconoscere nei membri dell'Impero il diritto a riunirsi in associazioni anche senza il consenso del sovrano, mentre egli s'impegnava, da parte sua, a non stringere alleanze senza intesa con l'arcivescovo di Magonza. L'avvilimento della corona non poteva risultare più chiaramente da questa sanzione legale dell'anarchia data da chi aveva il dovere d'impedirla. La morte di Roberto III (18 maggio 1410) non permise di vedere se egli avrebbe saputo trarre profitto dal disciogliersi della lega di Marbach (1409). Intanto al confine occidentale anche il Limburgo, il Lussemburgo e il Brabante passavano a un ramo collaterale della famiglia regnante francese; e a oriente l'influenza tedesca riceveva un colpo decisivo con la disfatta dei Cavalieri teutonici a Tannenberg (1410).

Il problema costituzionale e 1 disegni di riforma nel secolo XV e al principio del XVI. - Parve per un momento che alle ripercussioni dello scisma d'Occidente in Germania si dovesse aggiungere il danno di uno scisma politico: gli elettori si divisero tra il fratello e il cugino di Venceslao, Sigismondo e Jost, marchese di Moravia, quest'ultimo appoggiato da Venceslao. Entrambi furono eletti, il 20 settembre e il 1 ottobre 1410; ma la morte di Jost e il ristabilirsi del buon accordo fra i due fratelli portò al trono Sigismondo (21 luglio 1411).

La Germania entrava in uno dei periodi più critici della sua storia. Minacciata al confine orientale dalla riscossa slava, che, dopo aver prostrato a nord-est la potenza dell'Ordine Teutonico, si preparava a prorompere a sud-est nella terribile rivoluzione nazionale, sociale e religiosa degli Ussiti di Boemia; lacerata all'interno dal brigantaggio dei cavalieri e dal cozzo degli egoismi locali, che l'assenza di un governo centrale degno di questo nome abbandonava alla loro opera disgregatrice; agitata dalla crisi religiosa, aveva le sue energie paralizzate dall'incombere del problema costituzionale. Ne urgeva la soluzione. Eppure tutti i tentativi fatti per trovarne una non ebbero esito pratico nemmen quando, dilagando gli Ussiti in armi nelle contigue regioni della Germania (1424, 1428-1431), vittoriosi anche di eserciti dell'Impero, le classi superiori si videro sotto il pericolo diretto di un sommovimento sociale da parte di quelle inferiori, per il sinistro echeggiare delle rivendicazioni dei contadini boemi tra le masse rurali tedesche che, lasciate senza difesa in balìa delle prepotenze signorili, erano decadute in penoso asservimento. Le città non seguirono Sigismondo nel suo primitivo disegno di appoggiarsi ad esse, costituite in lega con il sovrano a protettore. Il bisogno della riforma costituzionale era così vivo, che l'argomento fu fatto oggetto anche di scritti politici, come la Concordantia catholica di Nicola di Cues (1433), e la quasi temporanea Reformation Kaiser Sigmunds, di anonimo. Ma i principi fecero in modo, che non uscissero se non in piccola parte dalla fase delle discussioni oziose e delle deliberazioni platoniche tutte le proposte presentate in materia alle varie diete (Norimberga, luglio-settembre 1422; Francoforte, novembre-dicembre 1427; Basilea, novembre 1433-maggio 1434; Ratisbona, autunno 1434), come divisione dell'Impero in circoscrizioni rette da funzionarî di nomina regia; introduzione d'imposte per procurare i mezzi necessarî al riordinamento degl'istituti finanziarî, giudiziarî, militari, e alla creazione e funzionamento degli organi amministrativi corrispondenti ecc. Del resto troppi interessi, ormai ritenuti legittimi da chi li godeva, sarebbero stati feriti, perché l'applicazione di simili proposte fosse possibile se non era imposta da una forza superiore. Ma Sigismondo non aveva questa forza; di fronte al dilagare del brigantaggio cavalleresco si era visto costretto all'espediente di riconoscere validità legale alla giurisdizione dei Vemegerichte; ed era d'altronde troppo impegnato nella crisi del suo regno di Boemia e nel contemporaneo conflitto tra il concilio di Basilea e papa Eugenio IV. Quando egli morì (9 dicembre 1437) il problema costituzionale non aveva fatto un passo verso la soluzione. Mentre l'autorità imperiale nulla contava di fronte alle questioni più vitali, salivano in potenza i Wettin, gli Hohenzollern, gli Asburgo. I Wettin, già margravî di Turingia e di Misnia erano stati investiti (1423) da Sigismondo del ducato elettorale di Sassonia Wittenberg, all'estinguersi anche di quest'altra linea degli Ascanî. Gli Hohenzollern, già signori di cospicui beni nella Franconia e burgravî di Norimberga, ricevevano la marca elettorale di Brandeburgo, concessa da Sigismondo a Federico VI (1415-1417), a compenso della parte essenziale, ch'egli aveva avuto nella sua elezione. Ma agli Hohenzollern solo un più lontano avvenire riserbava un compito decisivo nella storia della Germania. Gli Asburgo si trovarono invece chiamati subito a riprendere la parte eminente già toccata ai loro antenati nei secoli XIII-XIV.

Infatti i principi elettori prescelsero (18 marzo 1438) Alberto II d'Asburgo all'Hohenzollern divenuto margravio del Brandeburgo. Alberto II, nella sua qualità di genero di Sigismondo, ultimo maschio della sua famiglia, gli subentrava in tutti i suoi possessi, e quindi anche nei regni di Boemia e d'Ungheria. La riunione dei dominî lussemburghesi e asburghesi, che era stato il sogno di Carlo IV, si attuava giusta il patto di Brünn, ma a vantaggio degli Asburgo e non dei Lussemburgo. La necessità di accorrere alla difesa dell'Ungheria contro i Turchi distolse subito il nuovo sovrano dalla Germania. Il 27 ottobre 1439 egli cadeva in battaglia sulla Raab. Aveva però avuto il tempo di veder anch'egli fallire nella dieta di Norimberga una sua proposta per risolvere in via giudiziaria le contese causa di guerre private.

L'elezione del cugino di Alberto II (2 febbraio 1440) ebbe una grande importanza. Da allora in poi, la scelta degli elettori cadrà sempre su membri della casa d'Asburgo, nella quale si venne perciò di fatto radicando il principio ereditario per la successione al trono imperiale; e d'altra parte il centro di gravità dell'Impero rimaneva definitivamente spostato verso le regioni periferiche sudorientali. L'ereditarietà eflettiva della corona poteva essere l'inizio della fase risolutiva per il problema costituzionale, e segnare una grande ora nella storia così della Germania come degli Asburgo. Ma, prescindendo dalle qualità negative di Federico III, la stessa posizione eccentrica, rispetto alla Germania, dei domini su cui gli Asburgo fondavano la loro potenza, e alle cui sorti erano dunque particolarmente legati, indusse gl'imperatori di questa famiglia a sentirsi troppo spesso estranei alla Germania, e come estranei furono sentiti in Germania. Una difficoltà di più si aggiunse quindi alle molte, che già ostacolavano la soluzione del problema costituzionale, perché alla volontà dei principi di opporsi alla formazione di un forte governo accentratore, si aggiunse la riluttanza in tutte le classi sociali ad accettare i sacrifici connessi con l'attuazione di una riforma, per vederne poi andare i benefici ad altri. Il concetto negativo che l'imperatore aveva dei rapporti tra i suoi interessi egoistici di piincipe territoriale e quelli comuni della Germania apparve ben chiaro quando egli, per la piega sfavorevole presa da una sua guerra impegnata (1442) contro gli Svizzeri, non esitò a ricorrere alla Francia per aiuti, che si risolsero in una duplice invasione dell'Alsazia e della Lorena. La prima ne sofferse di più, perché solo nell'autunno del 1445 fu sgombrata dalle bande feroci di mercenarî armagnacchi, che l'avevano orrendamente devastata. Anche la Lorena fu sgombrata, ma Toul e Verdun dovettero riconoscere il protettorato del re di Francia, le cui ambizioni di portare il confine al Reno ricevevano un pericoloso incentivo proprio dal sovrano che avrebbe dovuto contrastarle. Né i principi tedeschi si mostrarono migliori del loro imperatore, lasciando che l'onore dell'eroica difesa contro l'invasore fosse tutta delle città e della popolazione rurale.

Sul terreno religioso, il concordato di Vienna (17 febbraio 1448) aveva per il momento represso quelle tendenze verso una chiesa nazionale e verso la ribellione alle molteplici ingerenze della Curia nel paese, che dieci anni prima avevano indotto la dieta di Magonza (marzo 1439) a dichiarare la neutralità della Germania nel conflitto gerarchico tra il concilio di Basilea e il papa, accettando però i decreti conciliari. Ma persisteva negli spiriti un grave turbamento spirituale, foriero di non lontana tempesta. Incancreniva poi in tutta la Germania la piaga delle innumerevoli guerre private tra principi, signori minori, cavalieri, città, in un groviglio inestricabile di vicende, di persone, di divisioni e suddivisioni di dominî tra le varie linee famigliari, che non è qui possibile seguire. Elemento predominante, nel generale disordine, la lotta dei Wittelsbach contro gli Hohenzollern, per difendersi dalle loro mire di espansione territoriale. La lotta si ripercosse nelle relazioni tra i principi e l'imperatore, e nello schieramento delle tendenze circa il problema costituzionale. Infatti gli Hohenzollern, che con Alberto l'Achille elettore del Brandeburgo, cercavano di sfruttare il favore di Federico III, erano propensi a una riforma che rafforzasse il potere monarchico. I loro avversarî, guidati dal conte palatino del Reno, Federico I, volevano invece che il governo dello stato passasse stabilmente nelle mani dei principi elettori. Le diete si susseguirono perdendosi in vani dibattiti, molte nell'assenza dell'imperatore, che tra il 1444 e il 1471 non mise piede in Germania. Intanto l'Ungheria (1444) e la Boemia (1458) si erano sottratte al dominio asburghese. Le nozze di Massimiliano, figlio di Federico III, con Maria erede del ducato di Borgogna (19 agosto 1477), e la vittoriosa guerra del principe contro i Francesi (battaglia di Guinegatte, 7 agosto 1479), impedirono che la maggior parte del vasto stato costituito da Carlo il Temerario, con feudi francesi e dell'Impero, tra il Mare del Nord e la Mosella, e nelle valli del Doubs e della Saône, specie di nuova Lotaringia tra Francia e Germania, cadesse, dopo la sua catastrofe, in possesso della prima. Ma l'acquisto di queste terre fu inteso dagli Asburgo non come difesa del confine occidentale dei Tedeschi, ma come affermazione delle proprie ambizioni territoriali; e d'altra parte gettò la Germania nel viluppo dei problemi internazionali, quando la mancanza di un'adeguata attrezzatura statale la rendeva del tutto incapace di affrontarli con unità nazionale di intenti. Nel 1485 la Germania accolse Federico III, esule dal suo vero regno: Mattia Corvino gli aveva strappato l'Austria, e negli anni successivi s'impadronì anche degli altri dominî ereditarî asburghesi nella regione delle Alpi orientali. L'elezione di Massimiliano a re dei Romani (16 febbraio 1486) salvò la dinastia. Da allora, per quanto Federico III fosse sopravvissuto sino al 19 agosto 1493 l'iniziativa negli affari di stato passò di fatto a Massimiliano I.

Al nuovo sovrano davano particolare prestigio, oltre le passate vittorie sui Francesi, anche la riconquista dei dominî ereditarî perduti dal padre (pace di Presburgo, 7 novembre 1491), e la promessa ottenuta dal successore di Mattia Corvino, Ladislao II, che i regni di Boemia e d'Ungheria, sarebbero ritornati agli Asburgo, nel caso egli fosse morto senza eredi. Sotto l'impulso personale di Massimiliano I gli sforzi per risolvere il problema costituzionale furono ripresi con maggiore intensità. Ma d'altro lato svolsero una grande attività anche due principi elettori, Bertoldo dei conti di Henneberg, arcivescovo di Magonza, e Federico III il Saggio, duca di Sassonia-Wittenberg, i quali, sostenendo gl'interessi della propria classe, si fecero centro del partito riformatore anti-imperiale, e alle proposte di Massimiliano I, intese a dare consistenza effettiva al potere dell'imperatore, come capo del governo centrale, essi ne opposero ogni volta altre, la cui applicazione avrebbe impresso definitivamente all'Impero il carattere di una repubblica federale, a reggimento aristocratico, sotto il predominio dei principi elettori. Fu un successo positivo per Massimiliano I l'esser riuscito, nel 1487-1488, a promuovere la grande Lega sveva, in cui si federarono città, associazioni di cavalieri, e principi, con forze militari e organi dirigenti e finanziarî proprî, allo scopo precipuamente di tutelare la pace pubblica. L'anno dopo, si ebbe un sostanziale sviluppo dell'evoluzione costituzionale, col riconoscimento del diritto nelle città imperiali di avere una regolare rappresentanza nelle diete.

Fondamentali furono poi le deliberazioni prese dalla dieta di Worms del 1495, la quale per altro segnò l'inizio del conflitto tra Massimiliano I e il partito riformatore di opposizione, che sino alla fine del regno disputerà vittoriosamnente al sovrano il dominio delle risorse finanziarie e militari dell'Impero, nonché dei poteri giurisdizionali e degli altri organi nuovi, che per il suo governo si dovevano creare. È però vero che Massimiliano I voleva questo dominio soprattutto per ricavarne i mezzi, di cui aveva bisogno, per fare dei possessi asburghesi una grande potenza europea. Le sue seconde nozze con Bianca Maria Sforza (1493), come le nozze del figlio Filippo con la principessa spagnola Giovanna (1496), erano state altrettante mosse del gioco, che avrebbe impegnato gli Asburgo in un duello secolare con la Francia per l'egemonia dell'Europa occidentale e meridionale; e alle necessità del primo urto dovette conformarsi Massimiliano I nella sua condotta di fronte agli oppositori del partito riformatore. Il 7 agosto 1495 veniva proclamata la pace generale per tutto l'Impero (Reichslandfriede), poi detta "eterna", perché senza limiti di tempo. La guerra privata (Fehde) era finalmente posta fuori legge al pari della giustizia privata. Come supremo organo giudiziario fu istituito il tribunale camerale dell'Impero (Reichskammergericht), con un corpo stabile di giudici stipendiati, la cui designazione però, salvo il presidente, che era di nomina regia, spettava agli stati dell'Impero, e con sede fissa (Francoforte, Worms, infine Spira). Il tribunale doveva funzionare secondo una procedura scritta, sentenziare in base al diritto romano e ai costumi locali, e aveva competenza anche in materia di bando dell'Impero, sino allora riservata al sovrano. Nel campo finanziario, fu decisa l'esazione per quattr'anni in tutta la Germania di una imposta, che fu detta del "centesimo comune" (gemeiner Pfennig), il cui gettito doveva essere amministrato da un tesoriere nominato dagli stati dell'Impero. La dieta dell'Impero, si attribuiva poteri esecutivi circa le norme della pace e le sentenze del tribunale, nonché la competenza a decidere sull'impiego dei fondi ricavati dall'imposta del centesimo, sui trattati di pace e di guerra, sulle questioni militari. La riforma si risolveva nel sopravvento delle tendenze federalistiche del partito riformatore, e cioè nel sopravvento dei principi elettori sull'autorità imperiale. Massimiliano I si adattò, dopo esser riuscito con la sua resistenza a far cadere proposte anche più radicali, perché solo a tale prezzo poté ottenere i sussidî che gli erano necessari per la sua politica antifrancese, e la dichiarazione della guerra alla Francia come guerra dell'Impero. Da parte loro avversi alla riforma, pur così ridotta, si mostrarono in genere i membri dell'Impero; tra i quali fu diffusa la tendenza a ostacolarne l'applicazione, o almeno a deluderla nelle sue conseguenze pratiche. Di ammettere per il loro territorio la competenza del tribunale camerale e l'obbligo di pagare l'imposta del centesimo si rifiutarono nettamente gli Svizzeri. Il tentativo di piegarli con la forza delle armi finì con la sconfitta di Massimiliano I e con la pace di Basilea (autunno 1499), che riconobbe il principio affermato dai Confederati, e con ciò il loro definitivo distacco dal corpo dell'Impero. La conquista del Milanese da parte di Luigi XII obbligò il sovrano, in compenso dei mezzi militari messi a sua disposizione, a cedere anche sul nucleo del problema, che aveva sino allora tenacemente contrastato aglì oppositori. La dieta di Augusta (1500) deliberò l'istituzione di un organo centrale di governo, nella forma di una Reggenza dell'Impero (Reichsregiment), formato di venti membri, e presieduto dal sovrano o da un suo rappresentante, che per il suo carattere di corpo rappresentativo degli stati dell'Impero, col solito predominio dei principi elettori, e per gli estesissimi poteri anche in materia di politica estera, riduceva ad una larva l'autorità regia. Il Reichsregiment non ebbe lunga vita, perché si disciolse nel 1502, per il conflitto scoppiato con Massimiliano in seguito alle trattative da esso iniziate con Luigi XII in senso tale da danneggiare la politica verso la Francia dell'imperatore. Vi fu un'aperta rottura, che pareva dovesse portare alla scissura dell'Impero in due governi contrarî e alla deposizione di Massimiliano I, quando il partito riformatore d'opposizione perdette il suo capo più influente e fervido con la morte di Bertoldo arcivescovo di Magonza (1504). Nello stesso tempo le lotte interne fra i Wittelsbach per la successione del ramo di Baviera-Landshut, estintosi nel 1503, indussero molti principi a coalizzarsi con la Lega sveva e col sovrano contro il conte palatino del Reno, Roberto. Era questi uno dei più decisi oppositori di Massimiliano, il quale pertanto, non appena, dopo una guerra rovinosa, fu deferita la contesa al suo arbitrato, colse pronto l'occasione per colpire duramente con la sentenza (1505) il suo avversario. Il partito riformatore, indebolito, attenuò la sua opposizione. Degli istituti introdotti, rimasero solo il tribunale dell'Impero e l'imposta del centesimo, che perdette però essenzialmente la sua efficacia accomunatrice, perché ne furono esclusi principi e cavalieri e pesò solo su borghesia e ceti rurali. Neppur questa volta tuttavia essa diede pratici risultati. Si parlò (dieta di Colonia, 1512) anche di estendere ai territorî dei principi le norme giurisdizionali della pace eterna; di dividere l'Impero in dieci circoscrizioni rette da funzionarî nominati dagli stati dell'Impero, ma tutto ciò rimase, per allora, come puro disegno. Il problema costituzionale non fece, sotto Massimiliano I, altri progressi. Esso era ormai giunto a un punto morto, per il neutralizzarsi delle tendenze accentratrici del sovrano con quelle federalistiche degli stati dell'Impero. Soprattutto recava grave danno la persistente deficienza di efficaci organi esecutivi. Eppure la Germania era parsa a tratti disposta a sollevarsi in movimento nazionale sotto gli auspici dell'Impero, solidale quindi con la politica di Massimiliano I, per la conquista di un più degno posto in Europa. Così, quando era stata decisa la guerra contro la Francia, come guerra dell'Impero; così, quando gli Stati dell'Impero avevano sentito offesa la dignità della nazione tedesca nel rifiuto posto dai Veneziani, d'accordo con i Francesi, al passaggio di Massimiliano I sul loro territorio per recarsi a Roma a ricevere la corona imperiale, e quindi avevano largheggiato nel deliberare aiuti militari al sovrano. Ma ogni volta l'intesa tra la Germania e il sovrano nei problemi di politica estera, come per i problemi di politica interna, si era rotta. A ciò avevano contribuito così i colpi sofferti dal prestigio di Massimiliano I per l'infelice esito delle sue campagne di guerra, come il brusco mutamento della politica imperiale quando, aderendo alla lega di Cambrai (10 dicembre 1508), Massimiliano I si unì proprio con la potenza prima additata come il nemico nazionale, la Francia, per combattere al suo fianco una guerra rovinosa agl'interessi commerciali della Germania meridionale, e umiliante nei risultati negativi, contro Venezia, in cui s'individuava il più vicino e diretto ostacolo all'espansione dei dominî asburghesi alpini verso sud-ovest e verso sud. Né l'intesa si ristabilì più. L'ulteriore partecipazione di Massimiliano I ai grandi avvenimenti europei; il ritorno all'alleanza col re d'Inghilterra contro la Francia con la lega di Malines e la vittoria delle loro armi riunite a Guinegate (1513); la nuova sfortunata campagna in Italia contro Veneziani e Francesi (1516); l'adesione al trattato di Noyon mediante quello di Bruxelles (3 dicembre 1516), avvennero senza che la Germania sentisse identità d'interessi proprî con quelli dinastici. E negli ultimi anni di regno di Massimiliano I, i principi elettori giunsero a mercanteggiare il proprio voto per la successione anche col nemico più pericoloso della Germania, Francesco I re di Francia.

La Germania al principio del sec. XVI. - La Germania si presentava ormai nel suo aspetto definitivo di complesso di numerosissimi stati territoriali, della più varia estensione, retti da dinastie principesche di fatto indipendenti dal potere imperiale.

Nella Germania settentrionale i Guelfi, dal 1267 divisi nei rami di Brünswick e di Lüneburg, avevano ulteriormente frazionato i loro possessi nelle quattro linee di Grubenhagen, Kalenberg, Brunswick-Wolfenbüttel e Lüneburg. Gli Hohenzollern avevano invece assicurato l'indivisibilità della marca elettorale del Brandeburgo nella linea maschile primogenita con la Constitutio Achillea emanata nel 1473 da Alberto l'Achille. Sul litorale baltico, nella Pomerania e nel Meclemburgo-Schwerin, rimanevano le antiche famiglie principesche vendiche, però completamente germanizzate; anche il Meclemburgo era stato eretto a ducato, da Carlo IV. Il Holstein dal 1480 si era unito con la corona danese nella persona di un conte di Oldenburg, Cristiano, assunto a quel trono nel 1448. A sud dei dominî degli Hohenzollern si estendevano quelli dei Wettin duchi di Sassonia-Wittenberg, dal 1485 divisi nei due rami degli Ernestini, che reggeva la Sassonia intorno a Wittenberg e gran parte della Turingia, con la dignità elettorale, e degli Albertini, che aveva la parte settentrionale della Turingia e la Misnia. Ormai il nome di Sassonia rimane legato alla regione elbana a nord dell'Erzgebirge. Dal 1263 si era venuto formando il langraviato d'Assia nella parte occidentale della Turingia, sulla sinistra del Weser e della Werra. Nella Germania meridionale la famiglia più potente era pur sempre quella dei Wittelsbach, i cui possessi, dopo la divisione tra la linea del conte palatino del Reno e quella del fratello avvenuta nel 1255, e la successiva ripartizione per opera di Ludovico IV, col patto di Pavia del 1329, si erano ancor più suddivisi con le linee di Straubing, Ingolstadt, Landshut e Monaco. Ma estintesi le prime tre rispettivamente nel 1425, 1447 e 1503, la maggior parte dei dominî dei Wittelsbach in Baviera si raccolse nella linea di Monaco, e nel 1506 fu da Alberto IV dichiarata indivisibile nella linea maschile primogenita. Alla linea comitale rimaneva poi sempre il Palatinato del Reno. Nel territorio dell'antica Svevia, oltre il margraviato del Baden, svoltosi lungo il Reno da Basilea a Karlsruhe dagli antichi possedimenti dell'antica famiglia ducale degli Zähringen, estintasi nel 1218, aveva acquistato notevole estensione la contea del Württemberg, che Massimiliano I innalzò nel 1495 a ducato, mentre nell'angolo nord-orientale stavano i dominî del burgraviato di Norimberga, appartenenti agli Hohenzollern. Gli Asburgo avevano i loro posssessi nelle regioni sud-orientali, meridionali e occidentali dell'Impero: ducati d'Austria (che Federico III nel 1453 aveva eretto ad arciducato), Stiria, Carinzia, Carniola; Trieste (1382); contea di Gorizia (1500), con le dipendenze sull'Isonzo e in Val Pusteria, e del Tirolo; terre sveve e renane, tra cui l'Alta Alsazia e la Brisgovia; il retaggio borgognone, Franca Contea, Lussemburgo, Hainault, Namur, Brabante, mentre più a nord il ducato di Gheldria e la contea d'Olanda sfuggivano alle rivendicazioni asburghesi fondate su quel retaggio. Incuneato fra le parti estreme dei nuovi dominî degli Asburgo rimaneva il ducato di Lorena, da considerarsi ormai tutto preso nella sfera d'azione francese. Dal 1431 al 1473 vi aveva regnato un ramo degli Angioini di Napoli, cui era successa la famiglia dei conti di Vaudémont. Numerose dinastie principesche si erano formate nelle terre tra la Mosa e la Lippe: duchi di Jülich, di Berg, di Kleve; conti di Ravensberg e di Mark. Vi erano poi i principati ecclesiastici: oltre i tre elettori renani, arcivescovi di Colonia - che reggeva anche il ducato di Vestfalia - di Treviri e di Magonza, avevano importanti dominî territoriali il vescovo di Münster nella Vestfalia; l'arcivescovo di Brema tra il basso Weser e l'estuario dell'Elba; i vescovi di Würzburg e di Bamberga nel medio e alto Meno; l'arcivescovo di Magdeburgo tra il Brandeburgo e la Sassonia; l'arcivescovo di Salisburgo nella valle della Salzbach; il vescovo di Trento; altri ancora, che non è possibile enumerare qui.

Anche nei principati il particolarismo tipico della storia tedesca si manifestava nell'opera svolta dalle rappresentanze degli stati territoriali (Landstände: clero, signori e cavalieri, città nelle diete provinciali (Landstage) per contrastare ai principi il pieno dominio dell'amministrazione finanziaria e giudiziaria, e della tutela dell'ordine pubblico. La reazione, verso una maggiore uniformità giurisdizionale, fu possibile solo dopo che fu cominciata, al principio del sec. XVI, la recezione del diritto romano in Germania. Le forze particolaristiche erano meno intense nella Germania settentrionale, specie ad oriente del Weser, per il prevalere di principati laici abbastanza estesi, la scarsità di città imperiali, lo sviluppo dell'economia rurale. Erano assai più attive nella Germania occidentale e sud-occidentale, per il gran numero di principati ecclesiastici, di città imperiali, specie nella Svevia; per la presenza, in Franconia e Svevia, di un folto ceto di piccoli nobili e di cavalieri; infine, per la prevalenza dell'economia a base industriale e commerciale.

La vita tedesca dava sempre i suoi battiti più frequenti nelle città, che, oltre a centri economici, si facevano ora anche centri culturali di grande importanza. Ne davano testimonianza le università che erano sorte in parecchie di esse, aggiungendosi alle più antiche, sorte alla periferia dell'Impero per cura dei Lussemburgo con Carlo IV a Praga (1347) e degli Asburgo a Vienna col duca Rodolfo IV (1365), cui si erano poi aggiunte, in relazione all'esodo di professori e di allievi dall'università di Parigi in lotta con la corona per lo scisma d'Occidente, quelle di Heidelberg (1385), Colonia (1388), Erfurt (1378-1392). Nel sec. XV ebbero università Lipsia (1409), Rostock (1419), Greifswald (1456), Friburgo in Brisgovia (1459), Basilea (1459), Ingolstadt (1471), Treviri (1473), Magonza (1476), Tubinga (1477). Nei primi anni del secolo XVI, Wittenberg (1802) e Francoforte sull'Oder (1506). Focolari di studî che, alimentati dallo spirito umanistico irradiantesi dall'Italia, e contribuendo a diffonderlo, preparavano anch'essi il terreno alle correnti riformatrici e rivoluzionarie, destinate a scuotere profondamente la Germania.

Aggravavano il disordine interno le violenze impunite dei cavalieri, tra cui spiccavano vere e proprie figure di banditi, mentre le gravi condizioni dei contadini traevano origine dal processo involutivo, cui accennammo parlando della popolazione rurale alla fine del sec. XIII. Cessate infatti le condizioni favorevoli create dalle correnti migratorie verso la periferia e all'interno verso la città; venuto meno il potere imperiale ai suoi doveri tutorî delle classi più deboli, i signori avevano potuto procedere al graduale riasservimento dei varî ceti rurali, non escluso quello dei liberi fittavoli. La servitù della gleba era ricomparsa e si allargava. In tanta miseria, nelle masse abbrutite cominciarono, dalla fine del sec. XV, le rivolte sociali e religiose.

Così l'insanabile distacco fra gl'interessi dei principi e quelli dinastici degli Asburgo; l'inquietudine lasciata negli spiriti dalla mancata riforma della Chiesa; il generale malcontento per il fiscalismo della Curia; la rivolta serpeggiante tra i contadini, rendevano inevitabile una prossima rottura dell'equilibrio instabile in cui da secoli si reggeva la Germania. Già il 31 ottobre 1517 Martin Lutero affiggeva le sue tesi alle porte della Chiesa del castello di Wittenberg. L'anno dopo la dieta di Augusta sentiva l'eco di uno stato d'animo assai diffuso fra i Tedeschi, che accomunava nella stessa avversione papa e imperatore. La Germania era ormai all'immediata vigilia della terribile rivoluzione sociale, religiosa e politica, che avrebbe segnato l'inizio anche per lei di una nuova storia, quella dell'età moderna.

La Riforma. - Il movimento trovava in Lutero il suo banditore. Predicatori di riforma, interpreti del diffuso sentimento contro Roma e l'avidità romana, riecheggiatori delle dottrine conciliari, si erano avuti anche prima di Lutero: diatribe violentissime si erano già scatenate fra questo e quell'ordine religioso, fra agostiniani e domenicani. "Beghe fratesche", per dirla con Ulrich von Hutten. Anche questa di Lutero parve, sulle prime, del genere. Ma non era mai avvenuto che un principe, l'elettore di Sassonia, le coprisse con la sua autorità; erano sempre state fenomeni limitati a una regione, a brevi momenti, dispute teologiche, non materia viva nel sentimento di tutti. Altra figura Lutero, affascinante nella tenace fermezza dell'uomo uscito dal popolo. Non sottili disfide in magno latino: ma discorsi vibranti di fede e d'ardore nella lingua di Turingia, tutti scritti nel giro di quattro mesi, diffusi a stampa in ogni casa, nobile e borghese, argomento di febbrile interesse in ogni terra tedesca, dalla Svizzera alla Prussia, dal Reno all'Oder. Roma è, sul momento, visibilmente impreparata ad arginare questa vampata di passione religiosa; non agiscono le sue leve nemmeno fra molti dei suoi pastori: il basso clero, simpatizzante senz'altro per Lutero; molti dei monaci già avviati a seguirne l'esempio; l'episcopato incerto e irresoluto. È alla realtà di questa situazione, all'eloquente linguaggio del sentimento pubblico che si richiamano anche i principi per spiegare come non si possa eseguire l'editto di Worms (5 maggio 1521), che metteva l'eretico al bando, additandolo alla pubblica vendetta. Non si trovò l'esecutore. Non che mancassero, anche subito, gli zelatori della Chiesa romana: il duca di Baviera e Ferdinando d'Austria, fratello dell'imperatore, ad esempio, fecero subito buona guardia alle loro terre, che non vi penetrasse e allignasse la peste luterana. Ma se altrove altro principe chiudeva gli occhi, peggio per lui. Ogni stato dell'Impero era già da troppo tempo avvezzo a badare solo ai fatti suoi; solo a questo patto di reciproco disinteressamento si salvava la pace, nei rapporti fra gli stati; e, già da molto, quasi soltanto alla funzione di tutore della pace interna si era ridotto l'Impero.

Difatti la pace era salva: la fede luterana penetrava nelle coscienze senza turbamenti esteriori. Turbamenti, invece, - si giudicava in Germania - sarebbero inevitabilmente avvenuti se si fosse voluto eseguire l'editto di Worms; d'altra parte, la nuova fede si presentava come il puro Vangelo: non si doveva "soffocare la verità evangelica e dar mano ai gravissimi abusi indegni del nome cristiano". Parole tanto più significative, perché del rappresentante del principe e vescovo di Bamberga alla dieta di Norimberga (1524). Linguaggio chiaro: non i principi, né - tanto meno - le città, erano disposti a dar corso all'editto e liquidare con la condanna di un uomo la controversia, che non era più solo di un uomo, ma di una nazione. Alla nazione tedesca spettava di regolare da sé, provvisoriamente, la cosa ecclesiastica, in un'assemblea nazionale a Spira; poi, in un concilio, in terra tedesca, papa e imperatore avrebbero, nella pienezza dei loro poteri, coronato l'opera riformatrice.

Ma al papa mal risonavano all'orecchio i ricordi conciliari: l'imperatore, da quattro anni, era in Spagna preso da mille altre faccende. Così cadde, per sempre, l'illusione di stringere in fascio, in una comune fede, il popolo tedesco. Il moto, non trovando i suoi strumenti e i suoi canali nel frusto organismo dell'Impero, doveva necessariamente rifluire nel quadro degli stati territoriali, trovare in essi la via per realizzarsi, scardinare ancor più il tessuto connettivo dell'Impero, approfondire quel processo - già avanzato - per cui l'Impero doveva ridursi a una libera unione di stati, anche ecclesiasticamente sovrani. La pace di Vestfalia (1648) fu il coronamento giuridico di questo processo. Ma per quasi un secolo e mezzo quale alterna vicenda, quale complicato intrecciarsi con tutti i fili della politica-europea, con quella coscientemente nazionale di Francia, di Olanda, di Svezia! Quel grande impeto dello spirito nazionale, che è alla Radice della riforma, si sperde e isterilisce via via per mille rivoletti: e alle grandi idealità religiose, al senso virile della dignità della nazione, sottentra la formula meschina: "libertà dei principi".

Già le esperienze dei primi anni convinsero Lutero che solo nella forza degli stati costituiti era la salvezza; al di fuori di essi, la rivoluzione sociale e il caos: le furie evocate dalla passione religiosa minacciavano di soffocare la vita stessa. Il radicalismo religioso e sociale degli anni 1524 e '25 gli aperse gli occhi: l'idea del sacerdozio come attributo di ogni credente già di per sé predisponeva ad allentare i legami sociali, a svuotare l'autorità politica di ogni sostrato religioso. A ciò si aggiungevano i fermenti sociali che già covavano e che, nella crisi della fede tradizionale, erano portati ad esperimenti anarcoidi. Soprattutto grave l'agitazione della classe cavalleresca nella Germania media e meridionale: regioni che avevano sempre dato il fior fiore dei cavalieri agli eserciti imperiali, finché la cavalleria era stata il nerbo degli eserciti. Ora il primato tornava ai fanti: la cavalleria era socialmente ed economicamente rovinata, più specialmente in queste regioni dove più, ma vanamente, vantava le sue libertà, rilevando i feudi direttamente dall'Impero. Gli odî si appuntavano contro i principi maggiori, contro vescovi e abati, contro le città; oberati di debiti, senza un avvenire, questi cavalieri, ridotti a vivere in miseria nei loro castelli cadenti, a misurare la loro povertà con l'opulenza dei grassi borghesi di Svevia, del Reno, di Franconia, si davano spesso al brigantaggio di strada, accattando pretesti assurdi di brighe che velassero la natura vera delle loro rapine. Figura tipica e non senza qualche tratto eroico il cavaliere Franz von Sickingen, mulinatore, in tutta la sua vita tumultuosa, di disfide temerarie, finché quella contro l'arcivescovo di Treviri, grossa impresa in nome del "vangelo", gli scatenò contro una coalizione di nemici e gli costò la vita (1523). E accanto ai cavalieri, altro motivo di agitazione i contadini, spremuti fino all'osso da nobili e da cittadini, e più nei piccoli stati territoriali che nei grandi, quindi più nella Germania media e meridionale. Resi fanatici da una propaganda che volentieri adattava il Vangelo a strumento di rivendicazioni sociali, che in bocca allo stesso Lutero aveva aspre parole contro l'usura, contro i Fugger e la mercatura sedotti dalla torbida eloquenza di Thomas Münzer, da sogni di riforma agraria che si attribuivano, erroneamente, al defunto imperatore Sigismondo, essi alimentarono focolai di rivolte armate prima in Turingia (1523), poi in Svevia, nell'Allgäu, sull'alto Danubio (1524), tanto più pericolosi in quanto i contadini, ora, spesso, reduci dalle milizie mercenarie (Landsknechte) trovano non di rado i capi fra la piccola nobiltà malcontenta, e alleati nel basso artigianato cittadino. Una riunione a Memmingen, fissò, anche, in 12 articoli, le rivendicazioni dei rurali: ma dopo un breve smarrimento i vecchi padroni ripresero il sopravvento. Più grave fu il fenomeno in Franconia, ad Heilbronn, a Würzburg, a Bamberg, dove il moto, cui in maggior numero parteciparono elementi borghesi, ebbe più accentuato carattere radicale; ma alla prova delle armi, anche la sollevazione di Franconia non resse: nel giugno 1525 i principi avevano già avuto ragione dei rivoltosi, disfrenando una reazione spietata e atroce (v. contadini, Guerra dei).

La vittoria sul radicalismo religioso e sociale rafforzò i principî, ma soffocò i germi più fecondi della nuova fede. Lutero, preoccupato degli sviluppi inopinati della sua dottrina, vide i pericoli della mancanza di una gerarchia e di una disciplina ecclesiastica: espressamente invitò i principi evangelici a compiere le visitationes delle chiese dei loro stati, come, prima, i vescovi: cioè, a prendere essi in mano la direzione delle rispettive chiese. Da questo atteggiamento il luteranesimo non si dipartì più: nei rapporti politici, in meno di un decennio, aveva già compiuta la sua parabola. D'ora in poi, la stessa sua diffusione fu fatto essenzialmente politico: penetrò dove il principe volle o permise: con più facilità là dove, rotti i legami con Roma, il principe stesso si sostituì ordinatore e capo della chiesa. Solo per le città imperiali, rette dai loro consigli, si può parlare di libera gara tra la vecchia e la nuova fede.

Assente ancora l'Impero o impotente, come nella prima dieta di Spira (1526), non doveva tardare a verificarsi la formazione di gruppi di stati cattolici, e di gruppi di stati luterani: a Dessau (1525) si ha il primo nucleo cattolico (Magonza, Brandeburgo, la Sassonia non elettorale); l'anno dopo il primo nucleo luterano (l'elettore di Sassonia, il giovane langravio d'Assia, e Alberto di Brandeburgo, passato non solo dalla vecchia alla nuova fede, ma anche dalla dignità non trasmissibile di Gran Maestro dell'Ordine Teutonico, a quella, resa ereditaria, di duca di Prussia sotto la sovranità polacca).

Il luteranesimo dilaga: sul modello di Wittenberg si procede all'ordinamento delle chiese (reformatio ecclesiae) nella contea di Mansfeld, nel margraviato di Brandeburgo-Ansbach, nel ducato di Brunswick-Lüneburg, nelle città di Amburgo, di Brunswick, di Magdeburgo, poi sempre fedele e a volte eroica cittadella del luteranesimo. Non perfetta unità, però, nel campo evangelico: le città alsaziane e sveve, centri, allora, ferventi di vita tedesca (Strasburgo, Ulma, Kempten, Essligen, Costanza, ecc., oltre a Norimberga), gravitavano attorno a Zurigo e a Zwingli, suo profeta; proprio in questi anni, 1527-29, la disputa fra i due campioni di Wittenberg e di Zurigo era aspra, a volte irosa, a colpi di libelli. Contrasto di due mentalità, di cui il punto controverso, l'interpretazione della transustanziazione, reale (per Lutero), simbolica (per Zwingli) era l'espressione: buon suddito dell'elettore di Sassonia l'uno; l'altro, figlio del comune cittadino di Zurigo. Invano nel convegno di Marburg, il langravio Filippo d'Assia, la sola vera personalità politica degli evangelici, cercò di sanare il dissidio fra luterani e zwingliani (sacramentarî: sul dissidio mirava, evidentemente, a far leva l'Impero, come era apparso dai deliberati della seconda dieta di Spira (1529), nella quale i protestanti avevano presentato la famosa protesta. Lutero e Melantone furono irreducibili: "Voi avete un altro spirito" dissero, rivolti a Zwingli, a Jacob Sturm, a Ecolampadio. Così alla dieta di Augusta (1530), alla quale, dopo nove anni di assenza dalla Germania, presiedeva lo stesso Carlo V, gli evangelici non si presentarono uniti: la celebre Confessio redatta da Melantone fu sottoscritta solo dai protestanti dell'anno prima, più Norimberga e Reutlingen; ma non dalle città meridionali, delle quali solo alcune, in prosieguo di tempo, aderirono; mentre quattro, fra cui Strasburgo, presentavano una confessio a parte (tetrapolitana). E in quella storica adunata, si videro i principi protestanti seguire Carlo V nella processione del Corpus Domini: e Melantone - non però Lutero - disposto a cedere e ad accordarsi con Roma, piuttosto che con i sacramentarî. L'imperatore sembrava deciso ad agire severamente, secondo i deliberati della dieta: a revocare, anche con la forza, le "riforme" arbitrarie dei singoli principi e delle città. Il margravio d'Assia vede l'ineluttabilità del conflitto. Scrive al margravio di Brandeburgo-Ansbach le parole così significative di una nuova mentalità politica: "Un principe ha da rispondere solo ai sudditi e al futuro, anche a costo di doversi opporre alla maestà imperiale", e si dà gran da fare per allargare l'unione protestante. La lega difensiva protestante di Smalcalda (1531) fu opera sua: sei principi (Assia, Sassonia elettorale, Lüneburg, Grubenhagen, Mansfeld, Anhalt) e venti città (Brema, Magdeburgo, ecc., e ora, di fronte al pericolo, anche le meridionali compresa Strasburgo - vedi smalcalda). Da scaltro politico, non ha scrupoli a tentare approcci presso potenze cattoliche: Francia, Inghilterra, Venezia e specialmente presso il cattolicissimo duca di Baviera, per tradizione familiare rivale degli Asburgo. Appunto con l'aiuto francese e in odio agli Asburgo, che gli avevano sequestrato il ducato, riesce a riportare nelle sue terre (1534) il proscritto duca di Württemberg e, con lui, il protestantesimo anche in questa parte di Germania.

In sostanza le vane minacce della dieta di Augusta, fecero più bene che male alla causa protestante. Augusta e Hannover, passano decisamente al protestantesimo; non diversamente i duchi di Pomerania (1534). Anche il dissidio fra Strasburgo e Wittenberg si attenua: nell'edizione del 1540 della confessione augustana Melantone adotterà qualche punto di vista di M. Butzer. L'imperatore, costretto ad adoperare la maniera dolce con gli stati, per non alienarsene l'aiuto specialmente contro i Turchi, mette avanti l'idea di un concilio, poco gradita ai protestanti, alla Francia e all'Inghilterra. E infatti per allora il concilio non si fa: indetto dapprima a Mantova (1537), poi a Vicenza, di proroga in proroga, non si aprirà, assenti i protestanti e perfino i più dei cattolici tedeschi, se non nel 1545 a Trento. Superata la tempesta, ugualmente paurosa per cattolici e protestanti, del fanatismo religioso cosiddetto anabattista che aveva imperversato (1534-35) specialmente nella Vestfalia cattolica, ma venata di protestantesimo, a Münster, la "Nuova Gerusalemme" (v. anabattisti; bokelzoon, Jan), i due partiti consolidano le posizioni: i cattolici si vengono stringendo in lega. Rispondono i protestanti (1538) accogliendo nell'unione il re di Danimarca e il margravio di Brandeburgo-Küstrin. L'anno seguente lo stesso elettore di Brandeburgo, Gioacchino II, passa alla Riforma, e, altro fatto grave per la causa cattolica, muore Giorgio, duca della Sassonia non elettorale, e gli succede il fratello Enrico, simpatizzante per i riformati. Lutero può predicare indisturbato a Lipsia, Butzer a Bonn, sotto gli occhi indulgenti dell'arcivescovo di Colonia. Le necessità della situazione internazionale costringevano imperatore e papa a mostrarsi arrendevoli: si permisero convegni di teologi delle due parti, a Worms, a Ratisbona (1540-41) che giunsero fino ad accordarsi su una mezza dozzina di articoli: conciliantissimo si mostrò Carlo V, che a Ratisbona (1541) rilasciò ai rappresentanti degli stati protestanti la promessa, segreta, di non esigere il ripristino dell'antico stato di cose. Ma la promessa non rassicurava pienamente: era una soluzione che l'imperatore doveva, necessariamente, considerare provvisoria. Tuttavia molti dei luterani si cullarono nell'illusione che il provvisorio potesse divenire, senz'altro, definitivo. Fu destino che, in questo momento, gli stati protestanti non potessero contare sull'uomo, che solo aveva le attitudini di capo: Filippo, langravio di Assia, avviluppato in un'assurda vicenda familiare, accusato di bigamia dagli stessi suoi correligionarî, si lasciava attrarre nell'orbita di Carlo V, e con lui ambivano al favore imperiale l'elettore di Brandeburgo, e il giovane Maurizio di Sassonia, protestante, ma erede dell'odio avito della sua casa contro il ramo consanguineo della Sassonia elettorale. Per suggerimento di Granvelle, Carlo V gli faceva balenare la speranza della dignità elettorale ereditaria, da togliere alla rivale linea ernestina. Intanto la lega smalcaldica restava inerte, o s'indeboliva in guerriglie interne: le due Sassonie in lite per certi vescovadi, l'Assia e la Sassonia elettorale contro Brunswick-Wolfenbüttel. Ben deciso era ora l'imperatore di risolvere con taglio netto la questione religiosa tedesca, dove le discussioni dei teologi non approdavano a nulla. Preparativi coperti e assaggi: a Spira (1544) si fa garantire mezzi e truppe contro la Francia e viene ammassando milizie spagnole e italiane; sconfigge il luterano duca di Cleve e restaura il cattolicesimo; si allea col duca di Baviera (1546). La lega smalcaldica non si muove o si muove timidamente: occupa e poi sgombera le chiuse di Ehrenberg, verso il Tirolo, scaramuccia sull'alto Danubio. Lutero muore. Maurizio di Sassonia, sicuro della promessa dignità elettorale, rompe gl'indugi, penetra nella Sassonia elettorale, verso la quale risale dal sud l'imperatore. La giornata di Mühlberg (24 aprile 1547), più che battaglia, sterminio di un esercito in fuga, decise della guerra: l'ernestino elettore di Sassonia, Giovanni Federico, cadde e rimase per anni prigioniero, perdette l'elettorato e ai figli, col titolo di duchi, poté dare solo poca terra, fra Coburgo e Weimar. Tutti gli stati si piegarono alla potenza imperiale: le città pagarono grossi tributi, il duca di Württemberg si umiliò a chieder perdono, l'arcivescovo di Colonia, oramai apertamente luterano, fu deposto e sostituito, il langravio d'Assia, compromesso agli occhi di tutti, non trovò perdono, benché Maurizio di Sassonia intercedesse per lui: fu destituito e tenuto prigioniero. Sola, la città di Magdeburgo, chiusa nella sua fiera fede evangelica, non si piegò né aperse le porte al Cesare vincitore. Il quale poi, guastatosi col pontefice Paolo III per la questione del concilio, temporeggiò nella dieta di Augusta (1548) e concesse il cosiddetto interim, fino alla decisione del concilio (v. augusta). Ma l'interim non ebbe fortuna né fra cattolici né fra protestanti; la coscienza popolare, inasprita da una furibonda agitazione a base di libelli, di satire, di poesie, alle quali non era estraneo un qualche sentore di fierezza nazionale, come nella bella Klag und Bitt eines sächsischen Mägdeleins, fu ostile all'interim; ostilissimo il gruppo dei dotti "Centuriatori di Magdeburgo".

I principi protestanti non rimasero insensibili a questa ondata di sentimento popolare e cercarono d'incanalarla, a loro profitto, ribadendo la necessità di una soluzione definitiva della questione religiosa, cui i principi fossero chiamati nel pieno delle loro "libertà", all'infuori dei deliberati del Concilio Tridentino che essi, assenti, non potevano accettare. E la "libertà dei principi" fu, infatti, la parola d'ordine, nella quale i principi protestanti si unirono a Torgau (1551): promotore Maurizio di Sassonia, che molto doveva farsi perdonare dai correligionarî; aderenti, fra gli altri, il duca di Prussia e Guglielmo langravio d'Assia, figlio del prigioniero Filippo, e Alberto Alcibiade, margravio di Brandeburgo-Kulmbach, che presto, però, divenne, per le sue rapine a danno di vescovi e abati, sospetto agli stessi confederati di essere un agente provocatore. Aderente anche il re di Francia, che prometteva soccorsi finanziarî, si atteggiava a difensore libertatis germanicae e intanto occupava, come vicario dell'Impero, Metz, Toul e Verdun, città imperiali.

Carlo V, troppo sicuro del suo primo successo, si trova sprovveduto, con poche truppe, lontane e disperse, di fronte all'insurrezione dei principi: dopo la precipitosa fuga in Carinzia, s'intavolano trattative a Linz e a Passavia (1552). I principi prigionieri vengono rilasciati: la decisione rimandata a una dieta, non più al concilio. È la vittoria degli stati; l'imperatore, persuaso della vanità dei suoi sforzi, ma risoluto a non dichiararsi, formalmente, sconfitto, lascia che il fratello prosegua le trattative: non in nome dell'imperiale maestà, ché Carlo V, come il papato, ora in sede vacante, non porrà la sua firma in calce alla pace di Augusta (25 settembre 1555; v. augusta). Questa fu, nonostante i germi di future lotte che conteneva, la soluzione che gli stati desideravano e che, in quel momento, corrispondeva alla situazione reale. Pochi, oramai, erano gli stati di dubbio colore religioso: per numero di aderenti le due confessioni si equivalevano. Solo il sistema di votazione nelle diete e nel collegio dei principi elettori, permetteva una leggiera maggioranza ai cattolici. Contavano questi il re e (l'anno di poi) imperatore Ferdinando, i duchi di Baviera, di Cleve, di Wolfenbüttel, i vescovi (meno i secolarizzati); annoveravano i protestanti i tre principi elettori laici, gli Ernestini di Sassonia, l'Assia, le linee cadette del Palatinato e di Brandeburgo, il Württemberg, le principali città imperiali. Le quali ultime, sole, ebbero vera libertà religiosa, laddove negli altri stati, questa libertà era limitata al signore territoriale benché una dichiarazione, aggiunta alla pace, garantisse la protezione dell'Impero ai cavalieri e alle città protestanti dipendenti da vescovi. I calvinisti furono esclusi dalla pace.

La Controriforma e la guerra dei Trent'anni. - Sulle basi della pace di Augusta, nel cinquantennio successivo i principi rafforzarono le loro posizioni; in senso cattolico gli uni, protestante gli altri. Tra i cattolici, primi, per non dire degli Asburgo (v. austria) i Wittelsbach di Baviera, e principalmente Alberto V, il quale instaurò un'attiva politica dinastico-religiosa, che la sua casa seguì per secoli, appoggiato in ciò e in tutta la politica di restaurazione cattolica dai gesuiti, e specialmente dall'infaticabile Pietro Canisio (v.). L'università bavarese di Ingolstadt divenne il centro della dottrina e della controriforma cattolica in Germania, e non nella sola Germania: qui si stamparono le più celebri apologie del cattolicesimo, come le Disputationes de controversiis fidei del Bellarmino (1586). Oltre la Baviera, agirono efficacemente in senso cattolico i vescovi di Salisburgo, di Bamberg, di Würzburg e fra questi ultimi soprattutto il vescovo Julius Echter von Mespelbrunn, che, animato da sincero spirito religioso non disgiunto da certa fierezza principesca, nei suoi 44 anni di vescovato (1573-1617) riguadagnò a Roma molta parte dei suoi sudditi.

Più contrastate le posizioni sul basso Reno: qui, se la vittoria rimase, in definitiva, ai cattolici, ciò si dovette assai più o esclusivamente ai gesuiti che ai vescovi e al clero secolare. Con dura e pertinace fatica, la Compagnia di Gesù, nel suo collegio di Colonia e poi altrove in Renania, educò una nuova generazione di sacerdoti zelanti e spiritualmente preparati, che riuscì a riguadagnare molte delle posizioni perdute, a conservare le pericolanti. E ciò spesso in contrasto con l'arcivescovo e con l'università: così a Paderborn, a Minden, a Münster, a Osnabrück. Ma appunto in queste regioni più fieramente contrastate fra cattolici e protestanti venivano esacerbandosi due problemi connessi con la pace di Augusta: il problema riguardante i principati vescovili e abbaziali i cui titolari fossero passati al protestantesimo dopo il 1555; il problema della tolleranza verso i sudditi protestanti nelle signorie ecclesiastiche.

La pace di Augusta, nel cosiddetto reservatum ecclesiasticum, era precisa sul primo punto: il vescovo che passava al luteranesimo, doveva perdere la dignità con i relativi benefizî e redditi, e lasciare libero il capitolo di eleggergli un successore. Così aveva fatto (1577) l'arcivescovo di Colonia Salentin von Isenburg; ma il successore, Gebhard Truchsess von Waldburg, dopo poco pensava non solo di abbracciare la fede luterana e di sposare una monaca, ma anche di trasformare l'arcivescovado in una signoria laica protestante (1582). Perdere questo elettore cattolico sarebbe stato un grave colpo per gli Asburgo. Dopo tre anni di guerriglia l'arcivescovo dovette cedere a un successore cattolico. Ma l'esito era diverso altrove. Incerta poi, la posizione giuridica di quei molti principati ecclesiastici, specie della Germania settentrionale, i cui titolari, prima o dopo la pace di Augusta, erano passati al protestantesimo, secolarizzando il vescovado. Di regola questi vescovi già cattolici erano membri delle grandi famiglie principesche, Brandeburgo, Brunswick, Anhalt, ecc., le quali, morto il titolare, non intendevano lasciar la preda e, alla peggio, si accontentavano di tenerla sotto le specie di administratores. I cattolici, richiamandosi alla pace di Augusta, gridavano all'abuso e si ostinavano a negare agli amministratori il diritto, che era stato dei vescovi, di sedere alle diete imperiali. Più grave ancora il problema della tolleranza verso gli eterodossi nei principati ecclesiastici: più grave perché i cattolici più zelanti non l'ammettevano, benché sancita nella pace di Augusta. Subito erano avvenuti soprusi nelle terre dell'abate di Fulda e del vescovo di Würzburg; nell'arcivescovado di Neuss, poi, punto in questi anni politicamente e strategicamente delicato per la vicinanza ai Paesi Bassi insorti, la restaurazione cattolica venne con le soldatesche di Alessandro Farnese: i calvinisti ribelli, rei di aver bruciato le reliquie di S. Quirino, furono sterminati, il paese spopolato (1586). Anche nelle città imperiali, la convivenza fra le varie confessioni non era sempre facile: lotte vivacissime si scatenavano nei consigli cittadini. Così ad Aquisgrana (1582), così a Strasburgo (1592), complicata qui, per l'inframmettenza del duca di Lorena e dei re di Francia; così a Donauwörth (1607), dove i protestanti reagirono contro i cattolici, onde la città fu messa al bando dell'Impero e il duca di Baviera assunse e assolse con troppo zelo l'incarico di punirla. Tutti questi problemi aperti avrebbero dovuto e, forse, potuto risolversi nelle diete imperiali: ma i successori di Ferdinando erano più di lui deboli, incerti o addirittura inetti. Nelle diete si trattava, quasi soltanto, degli aiuti per le guerre contro i Turchi; quando, come nella dieta di Ratisbona nel 1608, si toccò a fondo la questione religiosa, si vide che l'intransigenza delle due parti era insormontabile. I principi protestanti si ritirarono e, per la prima volta, la dieta si sciolse senza prendere deliberazioni.

O prima o poi, la decisione doveva, dunque, essere di nuovo alle armi. E infatti, subito nello stesso anno, da un lato si forma l'Unione protestante, iniziatrici le città meridionali minacciate dalla Baviera; dall'altro, l'anno di poi (1609), in risposta, per iniziativa bavarese, la lega cattolica, capo militare il brabantino conte di Tilly (v. lega). Parve che le due parti dovessero subito scontrarsi per la questione della successione nel ducato di Jülich-Cleve, cattolico e, per la sua posizione, di capitale importanza per gli Asburgo d'Austria e di Spagna, per i Francesi e gli Olandesi. I due pretendenti, entrambi luterani, non solo non avevano tenuto nessun conto dell'ordine imperiale che voleva il ducato amministrato dalla vedova del duca, ma, per giunta, si erano schierati nei due campi, passando l'uno, il conte palatino di Neuburg, al cattolicesimo, l'altro, l'elettore di Brandeburgo, al calvinismo. Infine (1614) si venne a una pacifica divisione: Cleve e Mark al Brandeburgo, Jülich e Berg al Palatino.

La lotta guerreggiata non era che differita: scoppiò cinque anni più tardi, quando gli stati boemi, profondamente imbevuti di luteranesimo, di calvinismo o aderenti ad altre denominazioni religiose di più vetusta origine nazionale, preferirono come nuovo re il calvinista Ferdinando V, elettore palatino, al cattolicissimo Ferdinando d'Asburgo, nuovo imperatore. In questo momento decisivo, l'imperatore ebbe l'appoggio della Lega cattolica e del suo capo, il duca Massimiliano di Baviera, che superò la tradizionale rivalità in cambio della promessa dignità elettorale da togliere al Palatino. L'esercito della Lega pose fine, alla Montagna Bianca, presso Praga (8 novembre 1620) alla breve avventura di Ferdinando V "Winterkönig" (per i particolari delle vicende militari: v. trent'anni, Guerra dei). L'unione protestante, priva del suo capo, ora esule all'Aia, si sciolse: l'elettore di Sassonia, in odio ai calvinisti, era, fin dagl'inizî, passato alla parte imperiale, mentre i suoi predicatori sostenevano che "il credente luterano è più vicino al cattolico che al calvinista". Anche il Palatinato renano era conquistato e con i gesuiti il cattolicesimo rientrava a Mannheim e a Heidelberg. Trionfava il duca di Baviera che nel 1623 otteneva l'agognata dignità elettorale, mercé l'abilissima opera diplomatica dell'infaticabile padre Giacinto cappuccino (al secolo il conte Federico Natta bolognese); trionfava la causa cattolica. Tutta la Germania media e meridionale era tornata a Roma, tranne qualche città e qualche principe). La Lega si preparava a dilagare nel settentrione, dove tutto, da Nassau alla Prussia, era o protestante o calvinista (Brandeburgo). Si trattava qui di salvare qualche isola cattolica e, soprattutto, di ricuperare quei principati già ecclesiastici che erano tenuti - indebitamente, secondo i cattolici - da amministratori protestanti. Ma toccare questi, voleva dire toccare i più forti principi protestanti: l'elettore di Brandeburgo, "amministratore" di Magdeburgo, gli Holstein-Gottorp di Brema e Lubecca; i Meclemburgo-Lüneburg di Halberstadt, i duchi di Brunswick-Wolfenbüttel di Verden e Osnabrück. E la guerra continuò, anche per una necessità divenuta oramai quasi organica delle bande soldatesche mercenarie che vivevano acquartierate nei paesi ripuliti dall'eresia luterana, a furia di saccheggi sistematici, di onerose contribuzioni di guerra; quando il paese era esaurito fino all'ultima stilla, passavano altrove. Passarono ora nella Bassa Sassonia; accorse il re di Danimarca, che era anche capo militare di questo circolo (Kreis), nonché bramoso di porre le mani sui vescovadi della regione; ma fu battuto a Lutter (1626) dalle truppe della Lega del Tilly e da quelle imperiali del Wallenstein, il quale invase lo Jütland, invano assediò Stralsunda (1628), ma ottenne dall'imperatore il Meclemburgo tolto agli antichi signori. La sconfitta dei protestanti era intera: la parte cattolica impose la pace al re di Danimarca per emanare l'editto di restituzione del 6 marzo 1629: cancellazione di 70 anni di evoluzione politica; tutte le terre ecclesiastiche passate a protestanti dopo il 1555, dovevano tornare ai cattolici.

Ma se l'imperatore intendeva di far passare l'editto di restituzione come una vittoria dell'autorità imperiale, i deliberati della dieta di Ratisbona del 1630 dovevano farlo convinto del contrario: i principi elettori, cattolici compresi, pretesero che l'armata imperiale del Wallenstein fosse diminuita di forza e il comando dato a un principe dell'Impero. Le tendenze all'autonomia assoluta dei principi erano insopprimibili. L'imperatore congedò il Wallenstein.

Era il momento in cui Gustavo Adolfo re di Svezia sbarcava in Pomerania, a restaurare le sorti del protestantesimo. Lo animava entusiasmo religioso, ma anche il calcolo politico inteso a chiudere il Baltico ai cattolici; più tardi, dopo tanti successi, forse anche il sogno di un impero protestante. Non ebbe, fra i protestanti, esclusi Magdeburgo e Assia, l'accoglienza festosa che sperava; troppo onerose le "alleanze" che imponeva (lo seppe subito il ducato di Pomerania), insopportabili, come quelle di Tilly e di Wallenstein, le requisizioni e le ruberie delle sue truppe. I due principi elettori di Brandeburgo e di Sassonia si schermirono, mirando a mantenere una posizione intermedia fra la Svezia e la Lega e attendendo gli eventi. Tanto più che la situazione era poco chiara: la Francia finanziava l'impresa svedese, ma, rivelando le sue mire antiasburgiche, si legava anche con la Baviera, che era pur parte non piccola della Lega. Come a Mühlberg, così ora l'atteggiamento sassone dette il tracollo: l'elettore passò agli Svedesi, contribuendo alla loro vittoria di Breitenfeld (1631) e invadendo poi Slesia e Boemia. Anche la Baviera, finora preservata dagli orrori delle guerre, fu corsa dagli Svedesi e messa a sacco: ma Ingolstadt, contraltare di Magdeburgo, si difese: il re dovette passare oltre e parare la minaccia di Wallenstein, rimesso nel suo grado. La giornata di Lützen (16 novembre 1632) non fu decisiva: ché anzi A. G. Oxenstierna, il cancelliere del re caduto, si mostrò più avveduto del re nel maneggiare con tatto gli stati alleati, stringendoli nella Lega di Heilbronn, mentre le truppe svedesi, sotto il comando di Horn, di G. K. Bernardo di Weimar, di J. K. Banér, proseguivano le loro scorrerie. Decisivo fu di nuovo il contegno della Sassonia; la quale, desiderosa di pace, si mostrò disposta a trattare con l'imperatore verso compensi in Lusazia e sulla base dell'anno 1627 quale termine da applicare nell'editto di restituzione (Pace di Praga, 30 maggio 1635). Alla pace aderirono Baviera, Brandeburgo, tutti gli stati della media Germania, tranne l'Assia e Sassonia-Weimar.

I malanni della guerra, erano già troppo sentiti: eppure, fra la stanchezza degli stati tedeschi, la guerra proseguì su terra tedesca per 13 anni ancora. Alla fine del 1634 truppe francesi passano il Reno e si scontrano con imperiali, bavaresi, spagnoli; soldatesche svedesi corrono la Germania da capo a fondo. Specie le regioni occidentali soffrirono crudelmente: e spesso i principi tedeschi dovettero rimanere spettatori impotenti di una guerra da cui non potevano trarre che malanni. Nonostante il bisogno di pace sempre più insistente e più insistentemente conclamato, dopo la dieta di Ratisbona del 1640-41, l'Asburgo, legato ai consanguinei di Spagna, non voleva ancora cedere; ma già nel 1644 cominciarono le prime trattative. I principi, ad uno ad uno, si obbligavano separatamente ad armistizî: nel 1644, con la Svezia, la Sassonia e Federico Guglielmo di Brandeburgo "il grande elettore"; nel 1647, con la Francia, Massimiliano di Baviera. Si giunse infine alla pace generale (Münster e Osnabrück, 24 ottobre 1648) con grave disappunto dei generali, che in quella guerra, spesso più sanguinosa per l'inerme popolazione che per le soldatesche, trovavano il fatto loro.

Qui importano meno le clausole territoriali della pace (vestfalia, Pace di): i diritti degli Asburgo in Alsazia, Breisach e Philippsburg ceduti alla Francia; gran parte della Pomerania, con Rügen e Stettino alla Svezia; il Palatinato superiore alla Baviera. Più importa di rilevare che la pace convalidò, di diritto, l'autonomia assoluta dei singoli stati nell'ambito dell'Impero, concedendo ad essi il ius foederis e il ius territoriale, che fu interpretato come assoluta sovranità. Assopì la questione religiosa; negli ultimi decennî la controriforma cattolica era già venuta temperandosi e perdendo molto della sua combattività; fissato l'anno 1624 come termine per le secolarizzazioni, era tolta alla dieta la podestà di deliberare in materia religiosa con la sempfice maggioranza dei voti, ancor sempre dei cattolici, nonostante che vi fosse ora un ottavo principe elettore (il calvinista conte Palatino) e che i titolari protestanti dei vescovadi secolarizzati potessero sedere nel Reichstag; per tale materia gli stati dovevano cercare amichevolmente un accordo (la cosiddetta itio in partes). Il principio di tolleranza aveva fatto grandi progressi: nel Brandeburgo furono estesi ai calvinisti i diritti acquisiti dai protestanti nella pace di Augusta; in moltissimi stati, specie nella Renania, cattolici e luterani convissero pacificamente, né da allora in poi il passaggio del sovrano territoriale ad altra confessione ebbe più alcuna conseguenza per i sudditi. Il vecchio Impero era veramente finito: al suo posto esistevano gli stati, alcuni d'importanza europea (Austria, Brandeburgo elettorale con la Prussia ereditata dal ramo collaterale nel 1618, Sassonia, Baviera). L'Impero era divenuto un'inutile cornice, una curiosità archeologica e araldica: la dieta di Ratisbona (1653-54) non seppe dargli nuova vita e, dopo il 1663, le diete e la commissione permanente (ordentliche Reichsdeputation) furono innocui tornei di abilità oratoria e diplomatica.

Lo sviluppo degli stati territoriali. - I singoli principati manifestarono le loro innate tendenze all'assolutismo, basandosi sull'esercito e sulla burocrazia e lasciando addietro nobiltà e istituti rappresentativi (Landtage) se recalcitranti. Ogni principato volle avere la sua capitale, la sua corte, la sua università, il suo esercito; e in ciò qualche volta rasentò il ridicolo.

La moda straniera domina la vita dei ceti più elevati; mai i Tedeschi si sentirono meno tedeschi d'ora. Le corti sono gremite di stranieri: letterati, filosofi, musici, artisti, pedagoghi: i principi seguono la moda di Francia, fanno lunghi viaggi all'estero, si dànno alle collezioni di opere e oggetti d'arte, alle sontuose costruzioni di palazzi e di ville, o a ridicole manie. Spente le passioni e le guerre religiose, nei più di questi principì è spento anche lo stimolo a comparire sulla scena del mondo: vivono nel loro staterello, paghi al più di qualche onorifico comando negli eserciti imperiali o del ruolo di incettatori di soldati fra i sudditi, per conto di più ricche potenze europee: l'Assia, ad esempio, non si fece un bel nome in tal genere di affari. Ma la Germania era povera, più povera in seguito alle guerre: tramontata la Hansa, diminuito il commercio con Italia e Francia, ridotta di numero la popolazione, scarsissimo il bestiame. Solo le dinastie di Brandeburgo-Prussia, di Sassonia e di Baviera nutrivano ambizioni territoriali; ma nessuna giungeva a coordinarle e orientarle secondo i fini di una politica nazionale. Il germanesimo era sentito come categoria essenzialmente intellettuale (lingua, cultura, ecc.) e debolmente anche in tal senso, in quest'età di spiriti così apertamente cosmopolitici: né la politica poteva costruire su un sentimento così vago e inconsistente. Che gli Svedesi fossero insediati in Pomerania, e a Brema e a Verden, che in quanto tali avessero voce alle diete, non sorprendeva per nulla; come non sorprendeva che la Francia tenesse qualche piazzaforte sul Reno. Anzi, ai medî e piccoli stati non dispiaceva affatto, ché vedevano in ciò una salvaguardia contro le bramosie degli stati maggiori. I quali battono le vie della grande politica europea secondo l'interesse dinastico: che non è qui, come in Francia, in Inghilterra, in Svezia, in Spagna, concomitante col sentimento della nazione, ma, al contrario, il momento unico ed essenziale della vita dello stato, come necessariamente doveva essere per la secolare evoluzione del frammentarismo statale tedesco. Quindi, nessuna velleità di unificazione germanica, inconcepibile e assurda, né di predominio in Germania; gli stati maggiori non si misurano soltanto con gli altri stati tedeschi in quella evanescente entità che è l'Impero, ma, direttamente, con gli stati europei, Svezia, Polonia, Olanda, Francia. Anche uno stato egemonico come poteva sperare di rianimare quel vecchio arnese dell'Impero? L'Austria, con implicita rinunzia, preferiva ora volgersi altrove. Così, con varia fortuna, anche Brandeburgo-Prussia, Baviera, Sassonia; onde la difficoltà, ora anche maggiore, di trovare un filo conduttore nella storia di Germania, in quanto storia della nazione tedesca.

Soccorrendo il senno del poi, potrebbe essere la storia degli Hohenzollern di Prussia-Brandeburgo; ma essi sono ben lungi ancora dal rappresentare in Germania l'elemento essenziale. Tuttavia i problemi che ad essi s'impongono sono tali da spingerli ad avere necessariamente, una parte notevole nel cuore della Germania. L'ambizione, la tenacia, a volte il talento di questi principi, fu pari alla difficoltà del loro compito: gettare dei ponti fra i tre nuclei delle loro terre e farne un fascio solo. Nucleo centrale e maggiore: il Brandeburgo con la Pomerania orientale; a occidente Cleve e Mark con Ravensberg e Minden, a oriente la Prussia. Dapprima nemmeno Federico Guglielmo, il grande elettore, sortì qualche successo: dopo vent'anni di abili mosse fra Svedesi, Danesi e Polacchi, fu molto se ottenne lo scioglimento dalla dipendenza feudale dalla Polonia, e la sovranità piena sulla Prussia (trattato di Oliva, 1660). Ma terre nuove non ne ottenne: nemmeno dopo la vittoria di Fehrbellin (1675) che pure pose i fondamenti alla fama europea dell'esercito prussiano. Anzi, proprio in quegli anni, come spesso nei successivi, le lontane terre renane erano esposte quasi indifese ai colpi di mano del nemico e buon pegno in sue mani nelle trattative di pace. Eppure, anche senza gli acquisti territoriali, Brandeburgo-Prussia viene a porsi in prima linea in Germania, in quegli anni; mentre, infatti, nemmeno l'imperatore osava uscire da un prudente riserbo, il grande Elettore, solo principe tedesco, accorreva in aiuto dell'Olanda contro la Francia (1672). Ciò che era anche un modo di difendere l'integrità nazionale: dal 1670 Luigi XIV aveva invaso, in piena pace, la Lorena, terra dell'Impero; e nessuno si opponeva. Si era sciolta, sì, la lega renana, creata dalla diplomazia di Mazarino (1658), con il concorso di Magonza, Colonia, Palatinato-Neuburg, Assia-Cassel, Brunswick-Lüneburg, Treviri, Münster, Württemberg, Assia-Darmstadt, variopinto conglomerato di cattolici e protestanti; ma di quegli stati molti riannodavano i fili con la Francia, e la casa bavarese dei Wittelsbach architettava, d'accordo con Versailles, folli piani per lo sperato prossimo evento dell'estinguersi del ramo maschile degli Asburgo. Per allora non se ne fece nulla: ma per un secolo ancora questo fu il pensiero dominante alla corte di Monaco: o parte almeno delle terre asburgiche d'Austria e di Boemia, o i Paesi Bassi spagnoli (e poi austriaci). La Francia alimentava le speranze: e intanto si assicurava appoggi negli stati clienti, sapendoli in ogni caso, se non aperti alleati, almeno benevoli e soccorrevoli neutrali. Non mancava, tratto tratto, qualche vampata di risentimento nazionale contro i Francesi: così nel 1670 per l'invasione della Lorena, così nel 1681 per l'occupazione di Strasburgo, vera sfida alla dignità dell'Impero: ma erano fuochi di paglia. La Francia contava sempre un suo seguito in Germania: ora anche nel Brandeburgo, inimicatosi con la corte di Vienna. Magro compenso contrapporre ad esso e alla Francia la lega dei principi minori di Franconia e del Reno, preoccupati per gli appetiti francesi (1682).

Solo dopo il 1684 l'influenza francese sugli stati tedeschi comincia a declinare: la Baviera si riavvicina, sia pure per non molto, all'Austria: l'elettore di Brandeburgo si convince, alfine, che nemmeno la Francia gli procurerà l'acquisto della Pomerania; e sul seggio arcivescovile di Colonia, considerata non a torto la longa manus della politica francese in Germania, il partito nazionale impone il suo candidato contro quello francese. La brigantesca incursione nel Palatinato, la devastazione di Heidelberg alienarono a Luigi XIV le ultime simpatie. Sicché nella guerra della grande coalizione europea (1688-97) contro di lui, quasi tutti i principi tedeschi, più o meno attivamente, gli furono avversi e la pace di Ryswick corresse, almeno in parte, a beneficio dell'Impero, gli effetti disastrosi della politica francese delle "riunioni". Anche l'elettore di Sassonia, sorretto dall'Austria, la spuntava in Polonia sul candidato francese principe di Conti, e assicurava per un settantenio alla sua casa quel trono troppo più ricco di sangue che di allori (1697-1763).

Ma presto questa momentanea concordia fra i principi tedeschi illanguidisce: l'imminente successione sul trono di Spagna contrapponeva, rivali, Austria e Baviera; e come questa trovava aderenze e incoraggiamenti presso i Borboni francesi, quella traeva dalla sua il Brandeburgo: compenso il conferimento della dignità reale (1701). La guerra (v. successione, Guerre di) vide di nuovo Tedeschi contro Tedeschi su terra tedesca: a Hochstädt (1704) tramontò il sogno dei duchi di Baviera. Proprio negli stessi anni Augusto II di Sassonia raccoglieva tristi frutti dal suo trono polacco. Poi, ci fu la ripresa: Prussia, Hannover, Inghilterra, Sassonia-Polonia, Danimarca, Russia, tutti coalizzati contro lo Svedese, stanco delle sue scorribande dal Baltico al Bosforo. E di nuovo la Germania settentrionale fu teatro di dura guerra; che, almeno, fruttò alla Prussia la Pomerania, al Hannover - così era venuto in uso di chiamare il ducato guelfo di Brunswick-Lüneburg, dal 1714 unito nella persona del sovrano con l'Inghilterra - Brema e Verden (1720), ad Augusto II di Sassonia la restituzione del trono polacco. Dubbio dono, però, che fra il 1733 e il 1738 trascinò il suo successore in nuove lotte e gli costò nuove amarezze, come all'Impero fu causa, indiretta, della perdita definitiva della Lorena, data per indennità al Leszczyński e, dopo di lui, a suo genero re di Francia.

L'affermarsi della Prussia. - Anche i rapporti fra Austria e Prussia, dal 1725 si erano guastati per l'annosa questione dell'eredità del ducato di Jülich-Berg, e per le coperte ambizioni prussiane sulla Slesia. I nuovi acquisti, il possesso della costa baltica, le profonde riforme dei principi nel campo economico, amministrativo, militare, l'autorità loro sciolta da qualunque impaccio di poteri rappresentativi, la collaborazione intelligente dei réfugiés, ugonotti specialmente, facevano della Prussia (v.) una degna e pericolosa rivale dell'Austria. Tutti gli altri stati erano rimasti addietro: solo il Hannover rappresentava un peso non trascurabile, non per sé, ma per l'unione con la corona inglese. Tutta questa situazione si manifesta nella guerra cosiddetta di successione austriaca: sono contro l'Austria la Prussia, per il possesso della Slesia, la Sassonia e la Baviera, spalleggiata, quest'ultima, dalla Francia, secondo vecchio costume: è allato all'Austria il Hannover-Inghilterra, perché timoroso della Prussia in quanto Hannover, della Francia in quanto Inghilterra. Che durante la guerra, un Wittelsbach, Carlo Alberto, potesse cingere perfino al corona imperiale (Carlo VII: 1741-45), ha poca importanza: non solo perché dignità di breve durata, ma anche perché di poca consistenza come dimostrava la storia tedesca da un buon secolo, durante il quale solo eccezionalmente l'Impero aveva mostrato un fronte unico, una sola faccia.

La guerra consacrò, con la conquista della Slesia, la potenza europea della Prussia e la fama del gran Federico; ma dimostrò anche la vitalità dell'Austria e la decadenza della Baviera, mero strumento della politica francese. Non diverso risultato uscì dalla successiva guerra (v. sette anni, Guerra dei), nonostante le mutate posizioni: con l'Austria, la Francia, la Russia (fino al 1762), la Svezia, poi la Spagna, la Sassonia e la maggior parte degli stati tedeschi: contro l'Austria, la Prussia e il Hannover (Inghilterra).

Che, oramai, la Prussia fosse su un piede di parità con l'Austria e al grado di grande potenza europea, si vide nella prima spartizione della Polonia (1772): acquisto non grande territorialmente per la Prussia, ma di capitale importanza: finalmente, attraverso la Prussia occidentale, era gettato un ponte fra la vecchia Marca e la Pomerania da un lato, la Prussia orientale dall'altro. Dei tronconi del dominio degli Hohenzollern, due erano saldati in uno. Che cos'era al confronto della Prussia, la politichetta degli stati e staterelli dell'Impero?

Moralmente e materialmente meschina, nei più di essi: lo spirito dell'illuminismo che informa di sé la corte di Potsdam, non penetra, ad esempio, nella Baviera né in altri degli stati meridionali e occidentali; o dell'illuminismo assolutistico adottano essi soltanto il livellamento di tutte le classi sociali di fronte all'unica podestà del principe, ma non anche il sentimento (che, in diverso modo, fu di Federico il Grande e di Giuseppe II) di servire al bene dei proprî popoli. In tal senso la Prussia contribuì all'educazione politica del popolo tedesco, mentre esso, e per tutt'altre vie, veniva formandosi, attraverso ideali cosmopolitici di cultura, attraverso i suoi grandi poeti e pensatori, attraverso reviviscenze religiose, come, già dalla fine del secolo precedente, il pietismo, una più concreta coscienza della sua fisionomia nazionale. Certo, non è dato di vedere una rapporto diretto fra l'azione degli stati e questa primaverile fioritura dello spirito tedesco; ché anzi i più ardenti focolai della vita spirituale tedesca non sono né in Prussia, né in Austria, ma nei principati minori e minimi, a Lipsia, a Halle, a Gottinga, a Weimar: mecenatismo di piccole corti, irradiazione di qualche università. Ma il fatto è che entro gli stati, anche se non assorbita e potenziata in essi, circola una vita nuova; e il Tedesco, e specialmente il Tedesco protestante, non può non aver l'occhio alla Prussia e non sentire riflessa su di sé, anche se non prussiano, un po' di quella sorpresa ammirazione onde l'Europa intellettuale circondava quello stato e quel sovrano nella seconda metà del secolo; e pur nel suo innato scarso senso politico non poteva non sentirsi attratto verso quella potenza, come più "tedesca" che non l'Austria, ingolfata in tante faccende non "tedesche".

Sicché quello che avvenne, nel 1778-79 e, più chiaramente, nel 1785, non fu solo dovuto ad accorti calcoli della politica di equilibrio dei principi, ma fu accompagnato anche dal favore di larga parte del sentimento, in certo senso nazionale dei Tedeschi: quando, cioè, le aspirazioni di Giuseppe II su una parte almeno dell'eredità bavarese dei Wittelsbach furono contrastate non solo dalla Prussia, ma da quasi tutti gli stati tedeschi; e quando, poco dopo, non sortirono effetto, di fronte alla stessa opposizione, i tentativi di sedurre l'elettore bavarese con l'offerta dei Paesi Bassi austriaci. A vero dire, questi piani di Vienna erano naufragati anche per l'avversione delle corti di Parigi e di Pietroburgo, oltre che di quelle tedesche: ma il Fürstenbund che, nel 1785, radunò attorno a Prussia, prima il Hannover e la Sassonia, poi molti altri principi, anche cattolici, anche ecclesiastici, tedeschi, fu, per la prima volta, dopo due secoli e mezzo d'intelligenze con gli stranieri, soltanto tedesco e già contenne, in germe, idee e sviluppi del secolo successivo.

La Rivoluzione francese e la Germania. - I quali tuttavia, furono arrestati sul nascere dalle novità di Francia e dalla bufera rivoluzionaria e napoleonica. Nell'incontro di Reichenbach (27 giugno 1790) sembrò appianato l'antagonismo austro-prussiano; Federico Guglielmo II di Prussia, maldestro prosecutore della politica estera del gran Federico, che egli concepiva come obbligo per la Prussia d'impicciarsi ad ogni modo in tutte le grosse e piccole faccende, si accordò con l'imperatore contro la Francia rivoluzionaria. Ma questa crociata dei principi tedeschi contro il disordine, non ebbe poi - malgrado il proposito di rivendicare all'Impero il possesso dell'Alsazia - quel seguito universale, fra i principi e i popoli, che si sperava. Non che le idee rivoluzionarie avessero, in Germania, moltissimi ammiratori, anzi più perdono simpatie quanto più volgono all'estremismo; ma non si può nemmeno dimenticare che la Francia è stata, tradizionalmente, la protettrice dei piccoli stati tedeschi contro i maggiori, anche se questa protezione si mostra ora in ben curiosa maniera, con l'annessione al dominio francese dei possessi che molti principi tedeschi avevano in Alsazia. Né i medî e piccoli stati possono non preoccuparsi del contemporaneo ingigantirsi di Prussia con la seconda e di Prussia e Austria con la terza spartizione della Polonia (1793-1795): la Polonia fino al medio Niemen e al Bug, con Poznań e Varsavia. Sicché la partecipazione di molti principi alla guerra contro la Rivoluzione fu fiacca e praticamente nulla; altri, come la Sassonia e il Meclemburgo, rimasero neutrali; altri, come Baden e Württemberg, preoccupati per la vicinanza francese e per l'inoculazione intensiva del virus rivoluzionario nelle terre renane "liberate" (Magonza, Worms, Spira, Francoforte, ecc.) si affrettano a far paci separate. Perfino la Prussia, paga dei compensi a oriente, segna la pace (Basilea 1795) che porta la frontiera francese sul Reno, e riprende libertà d'azione rispetto all'Austria e all'Impero. La Prussia non entrò, infatti, nella coalizione antifrancese del 1799 e si mantenne vigilante, come i più degli stati tedeschi, sia sull'esito della guerra, sia, quando questa volse, dopo Marengo e Hohenlinden, a favore di Francia, sul seguito che avrebbero avuto le trattative, interrotte a Rastatt, circa un punto importante confermato anche nella pace di Lunéville (9 febbraio 1801): la secolarizzazione dei principati ecclesiastici tedeschi. Si trattava d'interessi cospicui: principati vasti e ricchi come quello di Colonia, Münster, Osnabrück, Paderborn, Hildesheim, Eichsfeld, Würzburg, Bamberga, Augusta, Salisburgo, ecc., l'abbazia di Fulda scomparivano: i più degli stati laici, Prussia, Baviera, Assia-Cassel, Baden, Württemberg, ecc., ne speravano profitti.

Non era certo da pensare che il Reichstag o la commissione a ciò deputata riuscissero a regolare da soli e in via amichevole tanto arruffata matassa, a saziare tanti appetiti: l'atto che passa col nome di Reichsdeputationshauptschluss (25 febbraio 1803), fu, in realtà, il risultato della volontà del Primo Console, innanzi tutto, poi della Prussia e della Russia. Atto di capitale importanza nella storia tedesca: perché con un solo intervento chirurgico, dette un potente avviamento all'unificazione del paese. Con quest'atto un residuo di Medioevo scompariva: fra stati ecclesiastici, città e terre di cavalieri, erano 112 enti statali che perdevano la loro oramai anacronistica sovranità, assorbiti dai maggiori organismi politici contermini. Non fu, certo, un assetto definitivo: anzi, nei trambusti degli anni successivi, la Germania dovette vedere ben altri mutamenti nella sua carta politica; ma gli stati soppressi non tornarono più in vita, a impacciare con i loro vetusti diritti storici il processo di amalgamazione del popolo tedesco. Se questo assetto non si può più dire vantaggioso per la Francia, in quel dato momento rappresentava un reale successo della politica di Napoleone. L'imperatore accusò il colpo assumendo il titolo d'imperatore d'Austria (1804); infatti con lo scomparire dei principati ecclesiastici, fra cui due elettori, la dignità dell'Impero era compromessa; con l'accentuarsi dell'importanza di altri stati, oltre la Prussia, diveniva anche più illusoria la sua autorità. Al contrario Napoleone poteva contare sugli stati meridionali, favoriti nella spartizione del bottino ecclesiastico, accarezzati con il conferimento di più alte dignità esteriori ai loro sovrani, sensibilissimi a queste attestazioni (i duchi di Baviera e del Württemberg ebbero titolo di re, il duca del Baden di granduca, 1806), aperti poi, realmente, alle idee innovatrici francesi mescolate con ricordi di illuminismo federiciano: così il Baden, così la Baviera del ministro Montgelas dopo il 1799, cosi la Sassonia. Nessuno di questi stati entrò nella coalizione anglo-austro-russa, che fu infranta ad Austerlitz (1805); rimase ambigua la Prussia ma si riebbe a tempo, e l'atteggiamento finale le portò il Hannover. La pace di Presburgo colmò di nuovi favori gli stati del sud, Baviera, Württemberg, Baden, e proseguì a danno di superstiti signorie comitali e cavalleresche la politica dell'atto di secolarizzazione del 1803. Quel che di arbitrario era in questo modo di procedere è accentuato con la creazione del granducato di Berg (a Gioacchino Murat) e della Confederazione del Reno; sistema per organizzare gli stati clienti del sud e dell'ovest ai fini della politica, specialmente militare, della Francia, antemurale alla vigilata frontiera renana. È cosi precaria la situazione di questi anni, così tumultuoso il variare della fortuna degli stati, che i principi tedeschi del Mezzogiorno si acconciano, supinamente, a queste manipolazioni territoriali dell'imperatore francese, ben persuasi però dell'instabilità di esse. È chiaro anche ai meno avveduti che tutto dipendeva dal gran duello fra Inghilterra e Francia, e, subordinatamente, da quello con l'Austria e la Russia; ma nessuno di essi crede giunto il momento di gettarsi come elemento determinante nella lotta; ognuno, per ora, preferisce un atteggiamento di vigilante passività. In tale situazione l'Impero, cessa, per esaurimento, la sua assurda e umbratile esistenza: il 6 agosto 1806, l'imperatore depone la sacra corona.

Oramai la potenza militare francese era contermine con il regno di Prussia. Da dieci anni esso manteneva le polveri asciutte; ma adesso era premuto alle spalle dalla Russia, che non dimenticava Austerlitz, e attraverso il Baltico dall'Inghilterra, inasprita per la perdita del Hannover; ed era sospinto dal sentimento popolare, non solo dei Prussiani, infiammati d'odio contro i Francesi, ai quali si rimproveravano atti di sopraffazione. Non potrà durare in quell'attesa: il patriottismo prussiano, di cui si fa interprete la regina Luisa, l'orgogliosa fierezza della casta militare, allevata alla scuola di Federico II, si ribellano alla sensazione che la Prussia ha guadagnato terre, ma perduto autorità e credito in cospetto ai Tedeschi e all'Europa.

La campagna del 1806-07, da Jena a Eylau, a Friedland, è una serie di sconfitte per la Prussia, per la Sassonia e per la Russia alleate. Nella pace di Tilsit (7 luglio 1807) il nuovo Cesare vuol mostrare, ad ammonimento di tutti, e specie dei Tedeschi, che egli sa parcere subiectis et debellare superbos: il duca di Sassonia si affretta a entrare nella Confederazione del Reno e ha il titolo di re e di granduca di Varsavia; la Prussia è umiliata, dimezzata, sottoposta a tributo di guerra, invigilata dalle truppe di occupazione e dai due nuovi stati vassalli della Francia che Napoleone le fa crescere ai fianchi: il regno di Vestfalia e il granducato di Varsavia, parodistica imitazione della vecchia Polonia.

Nella sconfitta della Prussia molti Tedeschi, prima di allora non teneri verso quello stato, greve nella sua armatura militare e burocratica, sentirono un'umiliazione dell'intera Germania: ed è sintomatico che, traendo dalla sconfitta l'energia per la riscossa, molti furono i Tedeschi non prussiani che contribuirono alla restaurazione della Prussia. Nel 1809, per un istante, le simpatie tedesche si volsero verso l'Austria: e in varie parti di Germania, anche in Prussia, si formarono compagnie di volontarî pronti a dare il loro braccio alla guerra contro i Francesi. Ma sconfitta l'Austria, i patrioti appuntarono di nuovo le speranze loro sulla Prussia: Fichte, un tempo imbevuto di giacobinismo e di umanitarismo, si converte all'idea nazionale e scrive le Reden an die Deutsche Nation; insorgono poeti come E. M. Arndt, Th. Körner, H. v. Kleist, educatori come F. L. Jahn; soprattutto, con riforme sociali e amministrative, con nuovi e accorti ordinamenti militari, ridanno vita alla vecchia Prussia uomini come il barone von Stein, K. A. Hardenberg, G. J. D. Scharnhorst, N. Gneisenau, G. L. Blücher. Uomini questi, non prussiani per natali, ma convenuti in Prussia come nella vera patria.

Certo il risentimento contro il despota non era dappertutto in Germania così vivo come nella Prussia; negli stati meridionali non c'era una tradizione di potenza statale da tenere alta e incontaminata. Nella Baviera, e più nel Baden e nel Württemberg, la potenza era venuta di fresca data, con i Francesi. Tuttavia anche qui fremeva uno spirito nuovo e le cose di Spagna e di Russia erano seguite con appassionato interesse e con il cruccio profondo che sangue tedesco, sotto bandiere straniere, si spargesse in quelle terre. Onde, prima assai che i governi si decidessero a prendere posizione, fu un'insurrezione di spiriti e, dove si poté, anche di armi, quando Napoleone tornò dalla Russia su suolo tedesco con i resti della grande armata. L'insubordinazione del generale York, comandante del contingente prussiano ai servizî della Francia, il quale, senza il consenso del suo re, strinse un armistizio (30 dicembre 1812) con i Russi penetrati in Prussia alle calcagna delle truppe imperiali, interpretava l'unanime sentimento dei patrioti tedeschi. I voti del popolo, l'entusiasmo dei giovani volontarî, spingevano alla guerra di liberazione: e le ultime esitazioni dei sovrani furono vinte. Cominciano le defezioni fra i confederati renani: primo il Meclemburgo, poi, alla vigilia di Lipsia (8 ottobre 1813), la Baviera; subito dopo, il Württemberg, il Baden, la Sassonia, ecc. Nel dicembre i Francesi ripassano il Reno: il resto è vicenda militare che non si svolge più su suolo tedesco. La parola è ora ai sovrani e ai diplomatici riuniti a congresso in Vienna (v.); non poteva essere alla nazione tedesca, esauritasi, come in una vampata, nell'esplosione d'odio contro il despota. Ma l'odio non è un programma politico; e però, su quella momentanea unione di sentimenti, non si costruì nulla, nemmeno l'Impero; solo il Deutscher Bund. Superata per la rinascente rivalità austro-prussiana, la pretesa, invero assurda, di trattare gli stati compromessi con Napoleone per la Confederazione Renana come terra di conquista da spartire, non restò altra via che di tenerli in vita, per vicendevole equilibrio, press'a poco come Napoleone li aveva circoscritti nel 1803 e 1806; ingrandita la Baviera, diminuita la Sassonia. La Prussia, se dovette cedere alla Russia terre della Polonia, ne ebbe altre nella Germania renana, nella regione dei principati ecclesiastici secolarizzati di Colonia, Münster, Treviri, ecc.; liberata dalle troppe immistioni polacche, fu perciò portata a convergere la sua politica sul popolo tedesco, a fondare su di esso il suo avvenire, a essere uno stato nazionale: in altre parole, a presentarsi naturalmente candidata a capeggiare la Germania dei Tedeschi nella tradizionale rivalità con l'Austria. Klein Deutschland o Gross Deutschland.

Il problema dell'unità nazionale. - Il sentimento della patria comune si era indubbiamente diffuso dopo la guerra di liberazione; ma, in realtà, il pensiero dell'unità nazionale non era penetrato nelle massa del popolo, mentre, al di sopra di essa, spiriti romantici inseguivano ancora il chimerico sogno di un nuovo Sacro Romano Impero e pensatori e poeti restavano tuttavia fedeli ai loro ideali cosmopolitici, fissi all'universo e noncuranti o quasi dimentichi del mondo troppo angusto della patria reale.

RANDE LETT-G 32esimo 17

Così per il Novalis il concetto di nazione è inteso in senso esclusivamente culturale, né diverso è su questo punto il pensiero di Guglielmo di Humboldt; germanicità è, secondo A. G. Schlegel, cosmopolitismo, cui per nulla contraddice l'affermarsi e l'espandersi della più spiccata personalità. Il convincimento d'una missione universale del popolo tedesco è comune a tutti i romantici e ai cosmopoliti, come lo Schiller, mentre il Goethe giunge a considerare il nazionalismo come un ritorno alla barbarie. Per il Fichte cosmopolitismo e patriottismo sono intimamente connessi e inscindibili; nei Discorsi, in cui è chiaramente annunciata l'essenza del pensiero pangermanistico, egli mostra come il vero cosmopolitismo diventi di necessità patriottismo. Lo stesso Stein concepisce sì lo stato nazionale tedesco, ma non autonomo, sibbene fondato su principî universali. Soltanto con Hegel s'inizia il movimento per la liberazione del pensiero politico, e quindi dello Stato nazionale, dalle idee universali. E sulle orme di Hegel si fonderà la concezione storica del Ranke e maturerà il pensiero politico di Ottone di Bismarck.

La Restaurazione e gli stati tedeschi. - Gli stati germanici non subirono grandissimi mutamenti nel Congresso di Vienna. Ai tre regni già esistenti s'aggiunge ora il Hannover che acquista nuovi territorî; la Baviera ha ottenuto le terre del Palatinato, sulla sinistra del Reno, con Lindau, inoltre Ansbach e Bayreuth, Würzburg e Aschaffenburg; viceversa, la Sassonia ha perduto metà del suo territorio, incorporato dalla Prussia; il principato elettorale di Assia s'è arricchito del vescovado di Fulda; la Prussia ha acquistato, oltre una parte della Sassonia, la provincia di Poznań e Danzica, che erano già sue, ed è stata compensata per le terre cedute alla Baviera con Colonia e Treviri ed altri territorî del Reno e della Westfalia. Infine, il granducato di Assia ha acquistato Magonza e Worms; gli staterelli di Oldenburg, di Sassonia-Weimar, di Meclemburgo e di Lussemburgo sono diventati granducati; il Württemberg è stato ingrandito; il Baden ha conservato il rango di granducato e i territorî attribuitigli da Napoleone; le tre città anseatiche, Amburgo, Brema e Lubecca, e Francoforte sono restate "città libere".

In complesso trentanove stati, comprese le "città libere", retti da principi o governi, la più parte gelosi delle proprie prerogative e conservatori intransigenti, ligi alle direttive reazionarie della Santa Alleanza. Non si disconosce che l'idea della ricostituzione dell'Impero, sia pur vaga e imprecisa, è cara tuttora all'anima popolare, è propugnata da politici, come lo Stein, e non è rifiutata da molti fra i minori principi tedeschi; ma tale idea per avviarsi a diventare realtà non potrebbe che appoggiarsi all'Austria o alla Prussia, delle quali la prima teme l'opposizione dei re e dei principi, gelosi dei loro pieni diritti sovrani, né annette gran valore alla corona imperiale, mentre per l'altra, malgrado la sua storia e la sua potenza e il peso sopportato nella guerra di liberazione e la sua perfetta organizzazione statale naturalmente la designino già ad assumere tale compito, i tempi non sono ancora maturi.

Così l'esigenza etnica e politica d'una unione del popolo tedesco deve pel momento appagarsi della costituzione d'un Deutscher Bund, il cui scopo dichiarato è quello di garantire la sicurezza interna ed esterna e l'indipendenza e l'intangibilità dei singoli stati tedeschi. L'8 giugno 1815, dopo lunghe discussioni e trattative si giunge alla formulazione della costituzione, in forza della quale entrano a far parte del Bund l'Austria con i suoi territorî tedeschi, la Prussia senza le provincie orientali, in quanto queste terre non erano comprese nell'antico Reich, e tutti gli altri stati tedeschi. I rappresentanti di tutti gli stati del Bund, fra i quali sono compresi il re d'Inghilterra per il Hannover, il re di Danimarca per il Holstein e Lauenburg e quello di Olanda per il Lussemburgo, formano il Bundestag che si riunisce a Francoforte sul Meno sotto la presidenza del delegato austriaco (v. deutscher bund). Sostanzialmente, il Bund si risolve in una cattiva sostituzione dell'Impero e a tutto danno dell'unità e della libertà del popolo tedesco, in quanto da una parte esso consolida la piena sovranità dei principi ed è posto, dall'altra, attraverso la sua costituzione approvata dal Congresso di Vienna, sotto la garanzia delle potenze europee. Il Deutscher Bund è ancora indice ed espressione della debolezza e della disunione del popolo tedesco; costituzionalmente conservatore, esso segna altresì la delusione dei patrioti, di fronte ai quali non potrà tardare ad assumere atteggiamenti reazionarî.

Burschenschaft e reazione. - L'opposizione contro i principi e i governi era finora rimasta isolata e inefficace nella protesta e nell'accoramento dei singoli; ma ecco d'un tratto la gioventù studiosa tedesca, entusiasmata dalla parola e dagli scritti di professori, come H. Luden, J. F. Fries, L. Oken, e fatta politicamente matura dalla diretta esperienza della recente guerra, scioglie le vecchie sue organizzazioni e fonda a Jena (12 giugno 1815) una nuova grande Burschenschaft, la quale accoglie in breve migliaia di fervidi aderenti, pervasi di spiriti nuovi. Il suo motto è Dio, onore, libertà, patria; i suoi colori nero, rosso, oro. Da Jena, attraverso soprattutto le organizzazioni ginnastiche del Jahn, il padre della gioventù tedesca, la Burschenschaft si diffonde rapidamente e conquista quasi tutte le università. Qui si riafferma il profondo sentimento per il germanesimo e un vivo idealismo politico contro la grettezza, il filisteismo, il particolarismo e la rozzezza della vita studentesca.

I governi del Deutscher Bund e della Santa Alleanza vigilano questo movimento della gioventù tedesca pieno di fermenti e di ardore; lo vigila la stessa Russia per mezzo di osservatori prezzolati, fra i quali è considerato il drammaturgo A. v. Kotzebue. Ma gli studenti non lasciano occasione per riaffermare i loro ideali ed esaltare le loro speranze. Alcune centinaia di essi, provenienti da molte università, si raccolgono alla cosiddetta festa di Wartburg per celebrare il terzo centenario della Riforma e l'anniversario della battaglia di Lipsia: la liberazione dalla potenza spirituale di Roma e la liberazione dal giogo napoleonico; fra grida e canti vengono bruciati libri di scrittori nemici della libertà e parrucche e bastoni da caporale, simboli del regresso e della tirannide (18 ottobre 1817). Meno di due anni dopo Karl Sand, uno studente, uccide a Mannheim il xotzebue. Il delitto appare la prova dell'esistenza d'una congiura rivoluzionaria. Suscitato l'allarme, si corre ai ripari, e a Karlsbad, sotto la presidenza del Metternich, si riunisce una conferenza di ministri tedeschi che delibera lo scioglimento dell'Associazione degli studenti e delle istituzioni ginnastiche, la sorveglianza sulle università, la limitazione della libertà di stampa e la installazione a Magonza d'una commissione d'inchiesta. Segue immediatamente una cieca persecuzione contro i cosiddetti demagoghi del patriottismo: L. Jahn è arrestato, poi, scarcerato, è messo quasi al bando in una piccola città; lo stesso Arndt è perseguitato; gli si lascia il titolo di professore, ma gli si vieta di tener lezioni; Görres è costretto a fuggire in Prussia; Gneisenau, G. di Humboldt, ministro dell'istruzione, H. v. Boyen, ministro della guerra, K. v. Grolman, capo dello . Stato maggiore, e Hardenberg cadono in disgrazia e sono obbligati a dimettersi. La reazione giunge all'abolizione di fatto della legge Stein sull'emancipazione dei contadini; specialmente la Prussia, il cui governo obbedisce ai suggerimenti del Metternich, fa su questo punto un passo indietro verso il Medioevo.

Non mancano tuttavia in alcuni stati segni precursori di nuovi tempi. Già nel 1816 il granduca Carlo Augusto di Sassonia-Weimar uno dei principi illuminati, concede la costituzione e il suo esempio è presto seguito dagli stati meridionali, la Baviera, il Württemberg, il Baden. La stessa cosa non avviene negli stati del nord, ché vere e proprie costituzioni non si possono chiamare quelle del Hannover (1819) e del Brunswick (1820), nelle quali sono gelosamente conservati i privilegi della nobiltà, mentre il re di Sassonia resta assolutista e feudale e Federico Guglielmo III di Prussia non mantiene la promessa fatta nel 1815 di dare al suo popolo una costituzione e un'assemblea rappresentativa. Il re rimane intransigentemente fedele al principio della sua sovranità assoluta e la Prussia fin d'ora chiaramente mostra che, non già indulgendo al liberalismo, ma seguendo una politica di costrizione militare ed economica, si porrà alla testa del popolo tedesco. La formazione del suo esercito - essa è il solo paese in Europa che conservi il servizio militare obbligatorio e la Landwehr - e la sua politica economica - la legge doganale del 1818, per cui la Prussia percepisce dagli altri stati tedeschi un diritto di transito nel suo territorio costituito in unità doganale, preannuncia e prepara lo Zollverein tedesco del 1834 - dicono già che l'unità germanica sarà il risultato di una politica di forza e d'imperio piuttosto che l'amplesso d'amore fra popoli della stessa stirpe.

Conseguenze della rivoluzione di Parigi del luglio 1830. - Si è, dunque, tuttora in piena reazione specialmente negli stati tedeschi del nord, quando fulminea scoppia a Parigi la rivoluzione del luglio. Notevole è in Germania la ripercussione degli avvenimenti parigini; la costituzione è di nuovo reclamata nei paesi che non l'hanno ancora o l'hanno monca e inefficace; di nuovo s'accendono gli spiriti all'idea dell'unità nazionale. Il principe elettore d'Assia deve firmare un progetto di costituzione ed è poi costretto ad abdicare in favore del figlio che rifiuta di giurare su di essa; il duca di Brunswick è esiliato; il re di Sassonia è costretto a concedere la costituzione (1831); e lo stesso deve fare il re di Hannover (1833), il cui successore però, quattro anni dopo, rinnega il patto fra re e popolo. La Prussia, chiusa nel suo rigido sistema politico, risente appena le conseguenze della rivoluzione parigina, ma accresce la vigilanza e raddoppia le persecuzioni.

Comunque la rivoluzione del luglio provoca, immediatamente, in quasi tutti gli stati tedeschi un notevole passo innanzi sulla via dell'accettazione da parte dei principi di un regime costituzionale e suscita e incoraggia nello stesso tempo una diffusa e intensa propaganda liberale e democratica fra le masse popolari per opera soprattutto di agili e fervidi scrittori aderenti al Junges Deutschland (v. giovine germania). Börne, Heine, Gutzkow, Laube e accanto ad essi Hoffnann von Fallersleben, Herwegh, Freiligrath e altri non pochi, dottrinarî o poeti, sono d'accordo nel condannare gli esistenti regimi e nell'inneggiare alla luce che ancora una volta viene da Parigi. Sono questi scrittori che d'un balzo portano il giornalismo politico tedesco, appena nato, a un'altezza che anche più tardi sarà raramente raggiunta. Il movimento liberale-democratico, soprattutto negli stati tedeschi meridionali, dove è più facile la predicazione delle idee rivoluzionarie, assume tendenze e atteggiamenti nettamente repubblicani e provoca immediate reazioni. Lo stesso Bundestag delibera rigorose limitazioni alla libertà di riunione e di stampa e al cosiddetto Putsch di Francoforte (1833), inscenato dai democratici, seguono altre restrizioni, la persecuzione dei principali agitatori rimasti su suolo tedesco, l'arresto del Gutzkow e la proibizione degli scritti degli aderenti al Junges Deutschland.

Federico Guglielmo IV e le speranze tedesche. - Nel 1840 sale al trono di Prussia Federico Guglielmo IV, un principe che ha alimentato non poche speranze nel popolo tedesco ed è indubbiamente ben intenzionato a venire incontro alle generali aspirazioni unitarie. I primi atti sembrano confermare in lui anche la tendenza a svincolarsi dai sistemi di governo metternichiani del suo predecessore, libera molte vittime della reazione e interviene con una soluzione pacificatrice nel conflitto fra cattolici e protestanti (Colonia 1837). Tuttavia le grandi speranze riposte in lui vanno presto deluse. Perché, in fondo, egli è un intransigente legittimista. Ha fede solo in Dio e in sé stesso; pavido d'ogni sistema egalitario, ha orrore per il solo nome di rappresentanza popolare. Insieme col re di Baviera, Luigi I, egli è il principale rappresentante dell'assolutismo con forti tinte romantiche, e con lui s'inizia veramente il dramma del popolo tedesco ormai in lotta aperta per la sua unità nazionale.

Verrà essa da un atto liberale o da un atto di forza? Se la Prussia non può diventare costituzionale e decentrarsi, la futura Germania potrà accettare alla sua testa una Prussia reazionaria? E la soluzione del problema dominante il popolo tedesco, se deve ritenersi tramontata la formazione di una Grande Germania con l'inclusione dell'Austria, s'inizierà dal centro prussiano o dal centro germanico? Da Berlino o da Francoforte? Domande gravi che implicano complessi problemi e che sono lontane dall'avere una risposta, agl'inizî del regno di Federico Guglielmo IV. Tuttavia già in questi anni, si susseguono avvenimenti tali da commuovere l'intero popolo. Così, quando la Francia per rifarsi della sconfitta subita nella questione egiziana tenta d'impedire alla Prussia e all'Austria di allearsi con l'Inghilterra e la Russia, con la minaccia di chiedere come compenso il confine del Reno, tutto il popolo tedesco si solleva in un impeto di indignazione e di solidarietà nazionale - di questo tempo è la Wacht am Rhein e di appena un anno più tardi il Deutschland über alles -; né senza significato sono il patriottico discorso del re di Prussia in occasione del centenario dell'erezione del duomo di Colonia, celebrato da tutti i Tedeschi (1842), e la prima esposizione industriale tedesca tenuta a Berlino nel 1844 e, di nuovo, la commozione generale di fronte all'atteggiamento del re di Danimarca verso i territorî dello Schleswig-Holstein, minacciati di essere snazionalizzati (1846).

Gli occhi di tutti i patrioti si volgono dunque alla Prussia, ma il re, passati i giorni della generosa indulgenza, è sempre più deciso a rifiutare ogni forma di costituzione. Egli ritiene di spingersi all'estremo limite delle concessioni, accettando di convocare a Berlino in un'unica assemblea le diete provinciali. Non s'avvede che questo è soltanto un principio, e mentre proprio in questa occasione riafferma che "giammai acconsentirebbe che fra Dio e la sua terra s'intrometta un foglio scritto per governare colle clausole in esso contenute e sostituire l'antica sacra fede", le diete provinciali riunite rifiutano di approvare la proposta d'un prestito necessario alla costruzione della ferrovia orientale. Notevole il voto contrario degli stessi deputati della Prussia orientale (1847). Con questo atto la lotta fra monarchia e popolo è apertamente dichiarata.

La rivoluzione del '48. - Il fermento per la costituzione che pervade ora la Prussia coincide con una ripresa rivoluzionaria che corre gran parte dell'Europa. Già gli Svizzeri hanno spezzato il Sonderbund, costituito da alcuni Cantoni su basi del tutto aristocratiche; ora, ecco, gl'Italiani insorgono a Milano, gli Ungheresi lottano per staccarsi dall'Austria; si sollevano anche i Polacchi, e i Francesi rovesciano il trono di Luigi Filippo. Soprattutto questa nuova rivoluzione francese ha influssi decisivi sul popolo tedesco. Quasi tutti i sovrani cedono, senza opporre resistenza, alle generali richieste del popolo, cominciando col chiamare ai rispettivi governi uomini nuovi di parte liberale. I Bavaresi profittano del momento propizio per rovesciare Luigi I, il quale ha perduto la stima del popolo con lo scandalo sollevato dalla sua passione per la ballerina Lola Móntez. E il 13 marzo Metternich è costretto ad abbandonare Vienna, dove, per il momento, scompaiono ogni ordine e ogni autorità. Sotto l'impressione degli avvenimenti viennesi il re di Prussia, cinque giorni dopo la fuga del Metternich, fa esplicite e solenni promesse: sollecita concessione d'una costituzione, libertà di stampa, riforma del Bund con una stabile rappresentanza, convocazione del Landtag per il 2 aprile. Tali concessioni giungono troppo tardi: il popolo, inasprito anche dalla carestia, da malattie epidemiche e da abusi sociali, è ormai risoluto a insorgere; anche Berlino vede le barricate intorno al castello reale. Ma subito dopo i primi inevitabili scontri sanguinosi, il re non osa affrontare l'insurrezione popolare.

La prima Assemblea nazionale. - Mentre la Prussia prepara la sua costituzione, seguono avvenimenti decisivi per l'unità tedesca. La questione della riforma del Bund è diventata scottante. Anche l'Austria si piega ormai alla necessità di tale riforma, ma una riunione in Heidelberg di deputati tedeschi appartenenti in maggioranza agli stati meridionali, reclamando l'ammissione nel Bundestag di una rappresentanza popolare, fa precipitare gli eventi. Il Bundestag non osa opporsi a un cambiamento della costituzione, ma si richiama alla deliberazione presa alla fine del marzo dal Vorparlament, apertosi nella chiesa di S. Paolo a Francoforte (Paulskirche), secondo la quale doveva essere convocata un'Assemblea nazionale tedesca da eleggersi a suffragio universale da tutte le regioni della Confederazione, più lo Schleswig, insorto contro Federico VII di Danimarca. Il Deutscher Bund è così virtualmente finito, e già il 18 maggio 1848 si riunisce per la prima volta l'Assemblea nazionale (v. francoforte) col compito di gettare le fondamenta d'uno stato tedesco, libero e unitario. Appartengono all'Assemblea i più bei nomi del liberalismo: Welcher, Bassermann, H. v. Gagern, Eisermann e uomini di scienza e poeti, come Gervinus e Droysen, G. e. W. Beseler e Dahlmann, Waitz e v. Raumer, Grün, Albrecht, Jordan, J. Grimm e Uhland. Quello della chiesa di S. Paolo è il primo parlamento nazionale tedesco. Esso inizia una discussione protrattasi assai a lungo, sui diritti fondamentali del popolo, durante la quale le incertezze e i numerosi contrasti favoriscono l'alleanza fra i particolarismi non mai spenti e la resistenza dei principi. Si ravviva soprattutto, attraverso l'ultramontanismo, il dissidio fra nord e sud, si acuisce quello fra Prussia e Austria, mentre, sul momento dominante sugli altri, si rivela il contrasto fra Berlino e Francoforte, fra la sovranità d'un singolo stato e la sovranità nazionale.

L'Assemblea nazionale chiede che durante l'elaborazione della costituzione non si radunino altre costituenti, ma la Prussia risponde con la convocazione d'una costituente prussiana, mettendo a soqquadro il faticoso complesso lavoro di quella di Francoforte. La lotta diventa drammatica. Gli estremisti della chiesa di S. Paolo chiedono che si dichiari nulla ogni singola costituzione. Finisce poi per prevalere una proposta moderata, approvata quasi all'unanimità, secondo la quale tutte le disposizioni delle costituzioni singole che non concordino con quelle della costituzione nazionale debbono essere considerate valide solo nell'ambito di quest'ultima. Il Gagern fa un estremo tentativo per impedire una particolare costituzione prussiana: in un colloquio con il re cerca di indurlo ad assumere la corona imperiale, e Federico Guglielmo lo abbraccia e lo guarda poi "con un misto di ammirazione e di orrore".

Il 5 dicembre la lotta ha un epilogo che apre un abisso tra Francoforte e Berlino, fra Germania e Prussia: la Prussia ha la sua costituzione, riaffermando così di essere e di voler rimanere una personalità statale a sé. Nel proclama del giorno successivo, emanato per giustificare la promulgazione della costituzione, è detto fra l'altro: "La costituzione dell'Impero germanico sarà compiuta entro poche settimane. E allora, se gli sguardi del popolo tedesco cercheranno la mano cui affidare il potere supremo, la Prussia dovrà comparire alla rassegna con le sue forze spezzate, ancora vacillante e incerta tra l'assolutismo e l'anarchia? No, la situazione della Patria e e del mondo esige una Prussia forte e ordinata; ma forte può essere solo una Prussia libera". Giustificazione abilissima, se si pensi che la costituzione prussiana, secondo le riserve contenute già nel bando di promulgazione, è suscettibile di revisione, e questa avverrà infatti nel corso del '49; ciò che autorizza ad affermare che il re non solo l'aveva concessa malvolontieri, ma, sostenuto dalla nobiltà, si era mostrato ad essa avverso. Tuttavia la promulgazione della costituzione prussiana è un avvenimento importantissimo nella storia della Germania. Giustamente osserva il Meinecke: quello del 5 dicembre "fu un fatto conservatore e creatore ad un tempo; conservatore in quanto mantenne rigidamente la caratteristica della Prussia, creatore in quanto sfruttò le forze nazionali e liberali". Da una Prussia libera e forte, dominante su tutti gli stati tedeschi, muoverà infatti Bismarck, il costruttore dell'Impero.

La "costituzione dell'Impero" e il rifiuto del re di Prussia alla corona imperiale. - Ardenti e tumultuose discussioni si susseguono in seno all'Assemblea nazionale. Ancora un tentativo di prevalere da parte dei fautori di una Grande Germania è sopraffatto dai sostenitori dell'unità nazionale con esclusione dell'Austria. E finalmente nel marzo 1849 si giunge alla pubblicazione della costituzione dell'Impero, fondata sulla base dell'unità e della sovranità del popolo, con una forte limitazione dei diritti dei singoli stati a vantaggio del potere imperiale, e all'elezione, con piccolissima maggioranza, del re di Prussia a imperatore ereditario dei Tedeschi. Ma dopo qualche settimana di riflessione Federico Guglielmo IV rifiuta la corona imperiale, non solo perché all'accettazione ritiene necessaria la libera approvazione dei principi, ma anche perché teme una guerra da parte dell'Austria e dei quattro regni tedeschi. In realtà egli obbedisce soprattutto a un suo profondo convincimento sulla sovranità di diritto divino che gl'impedisce di accettare una corona dalla volontà del popolo.

Tanto vero che, mentre il primo parlamento tedesco cessa di esistere fra la generale delusione e solo una piccola minoranza dei suoi deputati resta fedele alla bandiera nero-rosso-oro, lo stesso Federico Guglielmo IV prende l'iniziativa d'un'intesa fra i principi sovrani per giungere all'unificazione della Germania sotto la guida prussiana. Il progetto di unione sembra poco dopo concretarsi con la riunione d'un'assemblea a Erfurt (Unionsparlament), nella quale il re di Prussia crede di poter contare sull'appoggio dei re di Sassonia e di Hannover, a lui legati da un trattato d'alleanza - secondo la proposta fatta da Ottone di Bismarck al parlamento di Erfurt, la futura confederazione dovrebbe avere tre organi principali: il re di Prussia, come presidente, coi suoi ministri dell'Unione, la Camera dei principi nella quale non sarebbe rappresentata la Prussia, e la Camera bassa -, ma l'energico intervento dell'Austria, appoggiata dalla Baviera e dal Württemberg e in pieno accordo con la Russia, costringe Federico Guglielmo ad abbandonare ogni speranza di successo, non senza umiliazione della Prussia.

L'Austria contro l'unità iedesca. Olmtz. - Perché l'Austria mentre non è ancora sciolto il parlamento di Erfurt, invita i governi tedeschi, con esclusione di quello prussiano, a inviare plenipotenziarî a Francoforte col mandato di procedere a una revisione della costituzione del Bund. Essa riesce così a dividere in due gruppi avversi i principali stati tedeschi e, non paga di questo, è sul punto di scatenare una guerra fratricida. Infatti il principe elettore d'Assia, autocratico e reazionario, entrato nell'Unione prussiana, si scioglie dall'impegno per gettarsi in braccio all'Austria, la quale gli ha promesso di liberarlo dal peso della costituzione. Il popolo d'Assia si solleva e una guerra pare inevitabile, quando la Baviera invia un esercito a proteggere il principe elettore e la Prussia è costretta a sua volta a mobilitare per la difesa del suo prestigio e dei suoi interessi. Sennonché la mobilitazione prussiana non ha altro scopo che quello di mascherare una ritirata diplomatica; ché quando le riserve dell'esercito di Prussia accorrono ancora sotto le bandiere, il nuovo presidente dei ministri, O. Th. v. Manteuffel, è già in viaggio per Olmütz, dove conchiude con l'Austria il trattato che segna la più dura umiliazione per la Prussia (1850). Le truppe prussiane vengono ritirate, l'Unione è sciolta e si torna all'antico ordinamento federale e al Bundestag, che è convocato a Dresda.

Gli avvenimenti che si conchiudono con lo scacco prussiano di Olmütz chiaramente dimostrano che, mentre Federico Guglielmo IV vede pur sempre nell'Austria e nella Russia due potenze amiche in quanto rappresentanti il principio legittimista, il problema dell'unità tedesca difficilmente potrà essere risolto senza o contro di esse; dimostrano altresì che, mentre il re di Prussia è tuttora lontano dal proposito di costringere i principi tedeschi a rinunciare, sia pure a una parte della loro sovranità, gli stessi principi non sono affatto disposti a fare, nell'interesse nazionale, alcuna rinuncia, e, infine, che l'unità tedesca fatalmente troverà sempre avversa l'Austria, la quale solo con una Germania disunita potrà essere sicura della sua coesione statale e della sua potenza.

La Prussia non ancora matura all'unificazione tedesca. - Le riunioni di Dresda, sotto la presidenza del cancelliere austriaco F. v. Schwarzenberg, caratterizzate da un'intransigenza reazionaria alla quale dà il suo appoggio anche la Prussia, non giungono ad alcuna soluzione concreta della progettata riforma della costituzione del Bund; anzi il problema nazionale unitario corre il pericolo d'essere maggiormente compromesso dalla richiesta dell'Austria di entrare oltre che nel Bund anche nel Zollverein con il peso di tutto il suo impero, di crearsi cioè una posizione predominante in seno alla Confederazione. Il tentativo fallisce, raggiungendo il solo scopo di acuire l'aperto dissidio fra Austria e Prussia; ma d'altra parte, le due potenze sono troppo legate dal vincolo di una comune politica conservatrice, perché si possa ora pensare a un gesto energico della Prussia di svincolarsi da Vienna a favore dell'unità tedesca. Così anche nel campo economico, si rifiuta di far entrare l'Austria nel Zollverein, ma due anni dopo Berlino e Vienna conchiudono un trattato di commercio per dodici anni. Un più deciso atteggiamento prussiano si verificherà contro la volontà del re, solo in conseguenza di avvenimenti esterni: la guerra di Crimea e la guerra austro-franco-piemontese. L'Austria non si lascia sfuggire l'occasione di partecipar alla prima a fianco delle potenze occidentali contro la potente rivale e invano cerca di trascinare nella lotta anche la Prussia, sulla cui politica vigila già il genio di Bismarck, rappresentante prussiano presso il Bund. Intanto, dopo la pace di Parigi (1856), due grandi correnti politiche dominano gli avvenimenti in Europa: da una parte la rivalità fra Austria e Francia per il predominio europeo, acuita dalla necessità di Napoleone III di consolidare il trono e dalle rinate ambizioni imperialistiche francesi, dall'altra l'accentuarsi degli sforzi dei popoli tedesco e italiano per la conquista dell'unità nazionale. Le due correnti non restano senza un legame. Napoleone III crede di servirsi delle aspirazioni unitarie tedesche e italiane per raggiungere il suo scopo: nell'imperialismo francese è dunque la possibilità e il pericolo del ripristino, pur sotto diversa forma e gravità, di un dominio straniero tanto per la Germania quanto per l'Italia. Di fronte alla politica di Napoleone III e alle aspirazioni nazionali anche l'Austria ha il suo piano: assicurarsi l'aiuto della Prussia e del Bund nella lotta ch'essa stessa ritiene inevitabile e conquistare, con la vittoria, il predominio in Europa. Ma sbaglia i suoi calcoli. La Prussia e il Bund non sono impegnati da trattati a difendere l'Austria nei suoi possedimenti italiani; tuttavia, se le aspirazioni italiane trovano profondi echi di simpatia nel popolo tedesco, un eventuale accrescimento della potenza francese desta nella Prussia le più vive preoccupazioni. Spinto più da spirito di solidarietà reazionaria e dall'influsso della moglie che non consigliato da tali preoccupazioni, il principe di Prussia, Guglielmo, che dal '57 ha assunto la reggenza per l'inguaribile malattia del fratello, Federico Guglielmo IV, crede di troncare le velleità italiane, appoggiando l'Austria. Chiede per altro, nell'eventualità di un intervento, il comando supremo delle truppe non austriache, riaffermazione concreta e solenne di considerarsi a capo della Germania. Aggiunge poi di esser pronto, sempre sotto questa condizione, a entrare in guerra nel caso che le truppe franco-piemontesi oltrepassino il Mincio. La Prussia esce diminuita nel suo prestigio dagli avvenimenti del '59; ha scontentato l'Austria, ed ha resi più tesi i suoi rapporti con la Francia, ed è apparsa, agli occhi del mondo, esitante e preoccupata di battersi, mentre l'Austria conserva il suo prestigio, specialmente presso i Tedeschi meridionali.

Il "Deutscher Nationalverein" e la sconfitta dei conservatori al "Landtag" prussiano. - Tuttavia tutti i patrioti riconoscono ormai che solo la Prussia può unificare la Germania e già nel '59, con le riunioni dei democratici ad Eisenach e dei liberali a Hannover, si va organizzando nel popolo quel moto unitario che presto conduce alla creazione del Deutscher Nationalverein. Il suo programma è ben chiaro. Poiché i pericoli che minacciano l'unità tedesca hanno origine nella costituzione, occorre innanzi tutto cambiare tale costituzione e sostituire il Bundesiag con un saldo e stabile governo centrale della Germania. E poiché solo la Prussia è in grado di prendere un'iniziativa in questo senso, in attesa della costituzione del governo centrale, deve essere a lei affidato il comando delle forze militari tedesche. L'organizzazione del Nationalverein rapidamente si allarga in tutti gli stati tedeschi, incontrando l'opposizione dei governi e suscitando fra il popolo entusiasmi e speranze che si rinnovano centuplicati per la celebrazione del centenario schilleriano, in cui per la prima volta tutta la Germania si sente unita in una sola potenza spirituale (1859).

Ma qual è l'atteggiamento della Prussia? Il principe Guglielmo, poco dopo assunta la reggenza, ha sostituito il reazionario Manteuffel, col principe K. A. Hohenzollern-Sigmaringen, liberale costituzionale, e il gesto è stato salutato come l'inizio d'una "nuova era", ciò che pare confermato dalle stesse parole del reggente: "la Prussia deve fare conquiste morali in Germania e dappertutto è pronta a difendere il diritto"; mentre la formazione della Camera dei deputati, composta in maggioranza di liberali moderati, serve in certo modo di contrappeso alla Camera Alta che resta tuttora la rocca forte della reazione. Inoltre in seno al Bund vengono fatte dalla Prussia proposte moderate, per la nuova costituzione dell'esercito, fra le quali la divisione del comando supremo fra Prussia e Austria; ma esse falliscono soprattutto per l'opposizione degli stati medî, fermi all'idea e al programma trialistici. Sicché allo stesso reggente sembra ora non doversi più oltre prorogare la riforma militare; e un segno chiaro della sua decisione è dato dalla nomina del generale von Roon a ministro della Guerra.

È su questa questione che si accende il conflitto fra governo e parlamento. In sostanza, si delinea la lotta per il potere nello stato: la Prussia, e quindi la Germania, sono a un punto decisivo della loro storia. Fino al 1861 - anno della morte di Federico Guglielmo IV e dell'incoronazione del successore, Guglielmo I - si susseguono varî compromessi. La lotta si acuisce con la fondazione da parte di un gruppo di liberali del partito progressista tedesco (Deutsche Fortschrittspartei), il quale d'accordo col Nationalverein sostiene che i ministri siano responsabili dinanzi ai rappresentanti del popolo. Il nuovo re, che pure ha alimentato durante la reggenza giustificate speranze, riafferma, nell'assumere la corona, la sua regalità di diritto divino. Nelle elezioni che hanno luogo subito dopo, il partito progressista conquista oltre un terzo dei seggi, mentre il vecchio partito liberale si scinde ancora e i conservatori riescono a conservare un'insignificante minoranza. È una sfida aperta. Il re l'accetta, sostituisce nel ministero i liberali coi conservatori e scioglie la Camera. Le nuove elezioni rafforzano ancora la posizione del partito progressista, e le spese per la riforma militare sono respinte con 308 voti contro 11. Si può parlare di abdicazione, tanto ormai nella lotta è impegnato il re, ma il giorno stesso in cui il governo è clamorosamente battuto alla Camera, Guglielmo I riceve nel castello di Babelsberg il principe Ottone di Bismarck (12 settembre 1862).

La politica bismarckiana "del ferro e del sangue". - La guerra prussiano-danese. - Fino a questo momento la Germania non ha ancora raggiunto la sua unità nazionale, perché tre principali ostacoli hanno impedito la soluzione del massimo problema tedesco: lo spirito e la volontà del re di Prussia, legittimista e conservatore e il suo atteggiamento verso gli altri principi; i particolarismi dei singoli stati, alimentati e acuiti da ragioni storiche, politiche e religiose, e la tenace resistenza dei principi stessi a rinunciare anche a una parte delle loro prerogative sovrane; infine, la decisa e tenace opposizione dell'Austria. Il nuovo presidente dei ministri (v. bismarck) ha già la visione chiarissima dei mezzi indispensabili per arrivare alla soluzione de) problema unitario. Non l'aiuto dei partiti e tanto meno quello dei singoli principi sono necessarî, quanto la potenza del popolo tedesco. Bismarck è deciso a difendere lo stato prussiano contro il liberalismo e la democrazia, ma nello stesso tempo a servirsi di tutte le forze rivoluzionarie. Si potrebbe dire che egli è conservatore per la Prussia e liberale per la Germania. Perché per lui lo stato o è forte o non esiste; anche le questioni costituzionali sono questioni di forza. Così, in piena coerenza di idee e di azione, mentre promette, all'atto di assumere il potere, di governare anche contro la maggioranza, pochi giorni dopo afferma dinanzi alla Commissione del bilancio che "i grandi problemi dell'ora non si risolvono coi discorsi o con le deliberazioni della maggioranza, bensì col sangue e col ferro". Quanto all'Austria, potenza rivale e nemica del Bund, Bismarck, pienamente consapevole del programma politico annunciato dallo Schwarzenberg "la Prussia deve essere prima umiliata, poi abbattuta", e realizzato già, nella prima parte, a Olmütz, afferma, nei Pensieri e ricordi, essere stato per lui chiarissimo fin dal 1862 che "il nodo gordiano delle condizioni tedesche non poteva dualisticamente sciogliersi con l'amore, ma doveva essere troncato con la spada". E di fronte alle perplessità del re di Prussia aggiunge: "si trattava di guadagnare al servizio della causa nazionale il re, conscio o inconscio, e con esso l'esercito; dovesse poi considerarsi come scopo principale, dal punto di vista prussiano, l'egemonia della Prussia, ovvero, dal punto di vista nazionale, l'unificazione della Germania, i due scopi coincidevano". Evidentemente, dunque, il programma di Bismarck vuol dire, per il re, radicale rinuncia alla politica delle cosiddette "conquiste morali" vuol dire altresì dittatura larvata o aperta all'interno, sostituzione della Prussia al Bund di fronte al problema dell'unità tedesca, imposizione ai diritti dei principi e ai particolarismi dei singoli stati della volontà unitaria del popolo, lotta contro le invadenti velleità danesi, contro la rivalità e l'ostilità austriaca, contro l'imperialismo francese. Ond'è che da questo momento la storia della Prussia diventa, in certo senso, la storia stessa della Germania.

Già durante il primo anno di governo bismarckiano si fa sentire la forza dell'uomo di stato deciso a portare a compimento il suo programma di unificazione nazionale. La dispensa dal servizio di funzionarî e di ufficiali della Landwehr stupisce, suscita malumori e proteste, ma resta. L'opposizione parlamentare non osa insorgere. Altrettanto deciso è l'atteggiamento di Bismarck di fronte al nuovo tentativo dell'Austria di riaffermare il suo predominio in seno al Bund: poiché quando l'imperatore Francesco Giuseppe, fatto preparare un progetto di nuova costituzione, invita a Francoforte tutti i principi confederati per approvarlo, la riunione fallisce interamente per l'assenza della Prussia. La tensione così si acuisce, ma la generale attenzione è subito dopo rivolta altrove, quando la morte di Federico VII di Danimarca (1863) risolleva la questione grave e complessa dei ducati dello Schleswig-Holstein (v.).

Secondo infatti il Landesrecht, alla morte di Federico VII, ultimo discendente maschio della casa danese, i ducati elbani avrebbero dovuto staccarsi dalla Danimarca e passare al duca di Augustenburg. Ma in previsione di questa eventualità, già nel 1852, un accordo stipulato fra l'Austria e la Prussia e le altre grandi potenze (Protocollo di Londra) stabiliva che "per il generale interesse dell'equilibrio europeo" il principe di Glücksburg succedesse al trono di Danimarca e nei ducati. Evidentemente, la Russia e l'Inghilterra, soprattutto, avevano cercato così di impedire lo spezzarsi dell'unità danese, per garantirsi contro uno sviluppo marittimo tedesco. Sennonché, due giorni prima della morte di Federico VII i nazionalisti danesi avevano ottenuto una nuova costituzione, in forza della quale lo Schleswig doveva essere incorporato alla Danimarca, ciò che avrebbe risolto anche la questione del Holstein, staccandolo dal Bund. Ecco, dunque, il nuovo re Cristiano IX, il cosiddetto "Protokollprinz", di fronte a questo dilemma: o accettare la nuova costituzione o correre il rischio d'essere rovesciato dal partito nazionalista danese. Il re sottoscrive la costituzione, ma si pone così contro la volontà dei ducati, i quali hanno solennemente dichiarato che per effetto della morte di Federico VII è cessato ogni loro rapporto di dipendenza dalla Danimarca e che essi riconoscono per signore solo il principe Federico di Augustenburg, con tanto maggiore diritto in quanto questo principe non ha riconosciuto la rinuncia fatta in precedenza da suo padre. E Bismarck appoggia naturalmente questa deliberazione.

Ma egli ha bisogno questa volta dell'appoggio dell'Austria, e l'ottiene abilmente, ché l'Austria ha l'illusione di trovarsi in posizione nettamente vantaggiosa verso la Prussia, come al tempo degli avvenimenti che avevano condotto a Olmütz. Così, mentre il Bund che non aveva sottoscritto il Protocollo di Londra occupa con truppe sassoni e annoveresi il ducato di Holstein, la Prussia e l'Austria, strette da un patto d'alleanza, chiedono categoricamente al re di Danimarca il ritiro della nuova costituzione, in quanto essa nei riguardi dello Schleswig è contro i diritti del Bund. La Danimarca, illusoriamente sicura di sé e dell'appoggio delle grandi Potenze interessate alla questione, respinge l'ultimatum; ma la Francia, delusa dalla politica inglese e impegnata nell'avventura messicana, e la Russia desiderosa di non creare ostacoli alla Prussia, sua collaboratrice contro l'insurrezione polacca, rimangono spettatrici, mentre l'Inghilterra è sorpresa dalla rapidità degli eventi. La guerra, ormai inevitabile, è infatti brevissima (v. prussiano-danese, Guerra). Le truppe austro-prussiane occupano lo Schleswig e, fallito il tentativo inglese di una conferenza per scongiurare il peggio, la Danimarca, sconfitta, è costretta con la pace di Vienna ad abbandonare alle potenze vittoriose lo Schleswig, il Holstein e il Lauenburg.

Evidentemente, i ducati hanno per la Prussia un immenso valore economico, commerciale e militare; per l'Austria essi rappresentano solo un peso; le spese dell'occupazione non mancano infatti di sollevare proteste da parte di quelli che si erano opposti a che l'Austria si gettasse nell'avventura danese. Ma Vienna non può né vuole lasciar mano libera alla rivale nei ducati. Si parla di compensi; si fa cenno anche d'una garanzia prussiana per la Venezia. Infine l'Austria propone alla Prussia l'Augustenburg come duca dello Schleswig-Holstein. Bismarck cerca di guadagnar tempo; non si oppone a una soluzione con la scelta di uno dei pretendenti, ma in questo caso si riserva di chiedere un indennizzo. L'Austria minaccia di rompere l'alleanza e intanto si accentua l'agitazione nei ducati, dove si vuole bensì sfuggire al giogo danese, ma ugualmente evitare di cadere sotto quello prussiano, e Bismarck deve impegnare una dura lotta alla Camera prussiana.

L'alleanza fra le due potenze non ha attenuato, anzi ha contribuito ad acuire, la loro rivalità d'altronde, una guerra austro-prussiana non da questo momento è da Bismarck considerata come inevitabile. Ma l'ora propizia non è ancora arrivata; bisogna prima consolidare la posizione della Prussia. Le trattative per un'alleanza con l'Italia, incominciate nell'estate del 1865 - già nel '61 il Cavour aveva pensato a un'alleanza italo-prussiana e i primi approcci prussiani risalgono al '62 -, e quelle per un riavvicinamento con la Francia vanno per le lunghe, da una parte perché Bismarck non intende impegnarsi a fondo, dall'altra perché Alfonso La Marmora, interrogato nel luglio del '65 da K. G. von Usedom quale sarebbe stato il contegno dell'Italia nel caso di una guerra austro-prussiana, vuole interpellare Napoleone III e questi, pur consentendo, non nasconde il proposito di profittare in ogni modo dell'eventuale conflitto austro-prussiano per trarne vantaggi. In tale situazione Bismarck non esita ad affrettare, con sorpresa dell'Italia, la soluzione per i ducati, ciò che avviene, in via evidentemente provvisoria, con il trattato di Gastein (14 agosto 1865).

La guerra austro-prussiana. - Gastein segna dunque una battuta d'arresto nello sviluppo della politica bismarckiana: la guerra è prematura, è necessario preparare con tranquillità la vittoria. Intanto, sono del successivo novembre il convegno di Biarritz, dove Napoleone dà assicurazioni di pace, ma senza precisi impegni, e fa intendere che a ogni modo è necessario accordarsi con l'Italia, e il trattato di commercio italo-prussiano - ciò che vuol dire innanzi tutto il riconoscimento del giovane stato italiano da parte del Bund. Nel gennaio 1866 un vivace scambio di note fra la Prussia e l'Austria rabbuia l'orizzonte e fa credere imminente la tempesta. Nella primavera il generale H. von Moltke, il quale aveva espresso la propria convinzione sulla necessità di un'alleanza italo-prussiana, si reca, per trattare, in Italia, nello stesso tempo in cui è annunciata la partenza per Berlino del generale G. Govone. Le trattative si svolgono in un'atmosfera di scarsa fiducia, e quindi di perplessità da parte dell'Italia, la quale, dopo la recente esperienza, non ha mancato nel frattempo di sondare il terreno a Vienna al fine di ottenere pacificamente la Venezia; finché si giunge alla stipulazione di un trattato d'alleanza (8 aprile), valido per tre mesi, che ha per la Prussia il duplice vantaggio di assicurarle l'aiuto militare italiano e almeno la non ostilità di Napoleone, il quale si atteggia a protettore dell'Italia. In una nota segreta l'Austria manifesta non solo l'intenzione di rimettere al Bundestag la soluzione della questione dello Schleswig-Holstein, ma parla senz'altro di mobilitazione dell'esercito confederato contro la Prussia. Bismarck ha immediata conoscenza della nota, e chiede ai governi tedeschi quale sarebbe il loro contegno nel caso di un attacco dell'Austria e annuncia nello stesso tempo l'improrogabile necessità d'una riforma del Bund. Seguono proposte di un'immediata riunione del Bundestag per discutere sulla riforma della costituzione. Tutto ciò trova scarsa risonanza, per l'improvviso violento risorgere di particolarismi e confessionalismi, e ha pericolose ripercussioni anche sulla posizione di Bismarck, assalito da varî partiti i quali chiedono il suo allontanamento. Il contegno non del tutto chiaro della Francia e la scarsa fiducia generale di una vittoria prussiana accrescono d'altra parte la perplessità del re, influenzato dalla regina e dall'erede al trono. Bismarck esce illeso da un primo attentato. Intanto, Napoleone III, propone la convocazione d'un congresso, per regolare, sia la questione dei ducati, sia quella della Venezia, ma l'Austria declina la proposta, preferendo di accordarsi con la Francia. La violazione del trattato di Gastein da parte dell'Austria spinge la Prussia a occupare il territorio del Holstein e provoca la rottura diplomatica fra le due potenze e la richiesta austriaca presso il Bund di mobilitare l'esercito federale contro la Prussia. La richiesta è accettata a maggioranza; il rappresentante prussiano abbandona l'assemblea e la Prussia annuncia alle potenze europee lo scioglimento del Bund. Essa segue ormai una via sua. Il 16 giugno anche il re, sicuro ormai della neutralità russa, è persuaso dell'inevitabilità della guerra.

Le fulminee vittorie degli eserciti prussiani (v. austro-prussiana, guerra) provocano il generale sbalordimento. La Francia aveva cercato di evitare la guerra e aveva anche preparato un programma per definire il conflitto austro-prussiano; da parte sua, l'Austria aveva promesso a Napoleone di cedergli la Venezia, purché intervenisse come mediatore fra Austria e Italia. Lo scopo evidente dell'offerta era quello di spezzare l'alleanza italo-prussiana e di poter combattere su una sola fronte. Ora ecco che due giorni dopo la vittoria prussiana di Sadowa, considerata dalla Francia, allarmatissima, come una propria sconfitta, e cioè nello stesso momento in cui, cessati nel comando italiano i dissidî che avevano portato a Custoza, l'esercito, quasi doppio di quello avversario, si preparava a passare il Po per cercare l'agognata rivincita, Napoleone fa pubblicare nel Moniteur che l'Austria cede all'imperatore di Francia la Venezia e lo prega d'intervenire come mediatore presso la Prussia e l'Italia. La Prussia è sorpresa e indignata di questa non chiesta mediazione, mentre l'Italia si solleva con un grido unanime di protesta, non volendo deporre le armi né ricevere la Venezia dalla Francia. Ma Napoleone insiste e fa intendere che la Prussia deve accontentarsi della Germania del Nord, poi propone la linea del Meno come estremo confine meridionale dell'influenza politica prussiana. Bismarck, temendo ulteriori e pericolose ingerenze francesi, ha ora urgenza di concludere la pace e riuscendo a vincere, questa volta con l'appoggio del principe ereditario, l'opposizione del re, che, restio dapprima ad accettare la guerra, ora vuole larghi compensi, chiede e ottiene l'annessione del Hannover, dell'Assia elettorale, delle città di Nassau e Francoforte. Siamo così, rapidamente, ai preliminari di pace di Nikolsburg, conclusasi prima che giungesse l'approvazione dell'Italia, alla quale viene assicurata la cessione della Venezia, ma non quella del Trentino che tutto il paese reclamava. La pace, conclusa poi a Praga il 23 agosto, è ancora resa complicata dalle pretese russe e dalla richiesta, da parte della Francia, di compensi tali da parere eccessivi allo stesso ambasciatore V. Benedetti; ma Bismarck risponde che se la ripulsa di siffatte pretese deve significare la guerra, la Prussia ne assume tutta la responsabilità. Napoleone non insiste, e Bismarck profitta delle richieste francesi per sviluppare il suo piano. È riuscito, infatti, a ottenere il documento scritto delle pretese della Francia, dannosissime agl'interessi degli stati meridionali - viceversa, accortamente, egli rinuncerà all'annessione di alcuni territorî bavaresi posti a nord del Meno - e se ne serve per guadagnare la simpatia e la fiducia di essi e concludere, alla vigilia stessa della pace di Praga, trattati di alleanza difensiva e offensiva con il Württemberg, il Baden e la Baviera. Così, con la guerra del 1866, Bismarck ha annesso alcuni staterelli del nord e i ducati dell'Elba, ha eliminata l'influenza diretta dell'Austria negli stati tedeschi, senza tuttavia umiliare la fierezza della nemica, già pensando a un'alleanza austro-prussiana, ha infine legato alla Prussia con trattati di alleanza militare gli stati meridionali, ciò che vuol dire che in caso di guerra tutta la Germania è unita sotto la direzione militare della Prussia.

Ma Bismarck non riposa sugli allori di Sadowa. La vittoria militare gli ha senza dubbio resa enormemente meno aspra la lotta interna di fronte ai partiti, i quali non possono ora sottrarsi neppure essi alla necessità di adattarsi alla nuova situazione. Così il partito progressista, tenace oppositore della riforma dell'esercito, subisce nelle nuove elezioni, svoltesi nella calda atmosfera delle vittorie prussiane, una clamorosa sconfitta, a vantaggio dei vecchi liberali e dei conservatori, e, subito dopo, una frattura, col distacco di un gruppo notevole di suoi rappresentanti che formano il partito nazionale (Nationalliberale Partei) e si pongono a disposizione del governo. Anche i conservatori si scindono, e una parte di essi forma il partito dei conservatori liberali (Freikonservative Partei). Per modo che la politica di Bismarck ha ormai salde basi anche nel Parlamento e può continuare il suo sviluppo, malgrado alcune difficoltà che le provengono dalle resistenze degli stati annessi.

Con la pace di Praga l'Austria ha dovuto accettare lo scioglimento del Bund tedesco e riconoscere il Norddeutscher Bund, formato dalla Prussia, il quale comprende ventidue stati (v. germania del nord, Confederazione della). Non è ancora il momento, malgrado le patriottiche e disinteressate insistenze del granduca di Baden, di pensare a raccogliere intorno alla Prussia anche gli stati meridionali, dove tuttora molti guardano con nostalgia e speranza all'Austria; ma se l'unità politica è prematura, la soluzione del problema economico, pare a tutti improrogabile, e Bismarck, alla fine del 1867, presenta il progetto di un nuovo Zollverein che, dopo non poche tergiversazioni e resistenze, è accettato da tutti gli stati tedeschi. Il relativo trattato ha valore per otto anni, al termine dei quali s'intende rinnovato per altri dodici, se non è intervenuta nessuna denunzia. Così, intorno alla Prussia, Bismarck stringe ancora più l'anello del suo programma unitario. Ora manca soltanto la saldatura politica.

La guerra franco-prussiana. - Bismarck parlando delle vicende del '66, afferma nelle sue Memorie: "che alla guerra austriaca dovesse poi tener dietro una guerra francese era nella logica della storia, anche quando avessimo potuto compensare l'imperatore Napoleone, come egli si attendeva, delle spesucce sostenute per la serbata neutralità". E, dopo il '66, egli conferma: "Non avevo alcun dubbio che una guerra fra Prussia e Francia avrebbe dovuto essere combattuta prima che si effettuasse l'unificazione della Germania". Con questa certezza egli mira, dunque, solo a protrarre il conflitto, finché la Prussia sia pronta: "ogni anno di ritardo nella guerra, il nostro esercito aumentava di centomila soldati istruiti". D'altra parte, lo sviluppo della politica francese costantemente conferma la convinzione di Bismarck. Napoleone non può rinunciare ai suoi propositi di egemonia europea. I vani e clamorosi tentativi di mediazione nella guerra austro-italo-prussiana e le pretese su territorî tedeschi lo provano: lo confermano, in seguito, il tentativo di accordarsi con l'Olanda per la cessione o l'acquisto del Lussemburgo, e le mene per impedire legami fra la Prussia e gli stati tedeschi meridionali e quindi ostacolare l'unità germanica. La questione della candidatura del principe Leopoldo Hohenzollern Sigmaringen, discendente d'un ramo collaterale della dinastia prussiana, al trono di Spagna, s'impernia anch'essa nel sistema della politica francese sotto Napoleone III. È il pretesto per la guerra che le due potenze ritengono ormai, concordemente, matura; le schermaglie diplomatiche che accompagnano tale questione sono solo altrettanti tentativi, dall'una parte e dall'altra, per creare l'alibi della responsabilità del conflitto inevitabile.

Alla protesta francese per la candidatura offerta al principe Leopoldo, la Prussia aveva già risposto che tale questione riguardava la famiglia reale e non la Prussia o il Norddeutscher Bund; tuttavia, il re fa in modo che il principe rinunci alla candidatura. La Francia, non soddisfatta del successo, chiede una dichiarazione di rinuncia, impegnativa anche per il futuro. Il re rifiuta e, alle reiterate insistenze dell'ambasciatore Benedetti, una prima volta tronca il colloquio sulla passeggiata di Ems, poi si rifiuta di ricevere ancora l'ambasciatore, rimandandolo per tale questione al suo ministro degli Affari esteri. Il 13 luglio, mentre Bismarck è con il capo di Stato maggiore, Moltke, e il ministro della Guerra, Roon, riceve da Ems un telegramma cifrato con la relazione di quanto era avvenuto fra il re e l'ambasciatore francese. Alla lettura, Bismarck e gli ospiti restano costernati. Il telegramma, alla fine, lascia tuttavia all'arbitrio di Bismarck di "comunicare sia ai nostri rappresentanti all'estero sia alla stampa la nuova pretesa del Benedetti e il rifiuto a essa opposto", e Bismarck, pienamente consapevole delle conseguenze della sua decisione, fa una pubblica comunicazione dalla quale appare che "il re ha ricusato di ricevere ancora l'ambasciatore francese e ha fatto sapere per mezzo del suo aiutante di campo di servizio che non aveva più nulla da dire all'ambasciatore" (v. bismarck; ems). Bismarck, riportando, nelle Memorie, le due comunicazioni, afferma che non aggiunse né mutò una parola al testo del telegramma di Ems, limitandosi a cancellarne alcune; ma il giudizio più esatto sulla differenza formale delle due comunicazioni resta quello dato immediatamente dal Moltke: "Così ha un altro suono, prima era quello di una ritirata, ora quello d'una fanfara che risponda a una sfida". Certo, Bismarck non ricusa la guerra perché, mentre il Moltke gli assicura che, militarmente, ormai nessun vantaggio porterebbe il dilazionarla, egli sa che una ritirata diplomatica scuoterebbe il prestigio della Prussia presso i Tedeschi meridionali e che nulla, d'altra parte, potrebbe più di una nuova vittoria cementare tutto il popolo tedesco. E la dichiarazione di guerra della Francia giunge il 19 luglio 1870.

Ora tutta la Germania è col re di Prussia. Il dissidio fra nord e sud, malgrado alcuni tentativi fra gli ultramontani bavaresi è, sul momento, sanato e l'unità spirituale del popolo tedesco ha giorni di patriottica esaltazione dopo le prime fulminee e strepitose vittorie. In sei settimane la guerra è già perduta per la Francia imperiale (Sedan: 10 settembre); ancora cinque mesi e anche la Francia repubblicana è costretta a capitolare (28 gennaio 1871). Anche questa volta Bismarck vuole sollecitare la pace per evitare l'intervento di neutri e il 10 maggio è firmata la pace di Francoforte con la quale la Francia cede l'Alsazia e la Lorena con Metz e s'impegna a pagare un'indennità di cinque miliardi (v. franco-prussiana, guerra).

Ma il risultato piú grande della vittoria sulla Francia è quello dell'unificazione politica della Gemiania e la costituzione dell'Impero. Il Baden, il Württemberg e infine la Baviera entrano ora nella Confederazione della Germania del Nord, pur dopo difficoltà e resistenze non lievi. Così la Baviera, pur non ottenendo l'avvicendamento del titolo d'imperatore, conserva alcune sue prerogative, quali la rappresentanza diplomatica all'estero, il comando supremo del proprio esercito in tempo di pace, l'amministrazione delle poste e delle ferrovie. Altra difficoltà da superare era stata la riluttanza del re a far passare in secondo piano, di fronte al titolo d'imperatore, quello di re di Prussia (v. guglielmo 1). La soluzione che trionfava era dunque quella del Klein Deutschland. L'Impero germanico non era, in fondo, come fu presto notato, che l'antico regno di Prussia, accresciuto dei territorî conquistati da quel re e degli stati entrati a far parte dello Zollverein prussiano. Elementi stranieri scontenti venivano così a far parte dell'Impero, mentre ne restavano fuori i Tedeschi d'Austria: Polacchi in Posnania e in Prussia, Danesi nello Schleswig e le popolazioni dell'Alsazia e della Lorena. Queste ultime non furono annesse direttamente alla Prussia, ma governate con regime particolare come "territorio dell'Impero" (Reichsland). Il Bund era così diventato il Reich e obbediva ad uno dei suoi sovrani, forte per la signoria su due terzi della popolazione totale, per la grande potenza militare e per l'ascendente della dignità imperiale. E non primus inter pares era l'imperatore, perché gli altri sovrani erano rispetto a lui nella posizione di subordinati, non di uguali.

La Germania fino alla caduta di Bismarck. - Politica interna. - L'Impero germanico si presenta sotto forma di una lega fra i varî stati che lo compongono, ma Bismarck riesce a salvaguardare interamente il predominio prussiano nella nuova Confederazione, ciò che renderà meno agevole l'opera sua successiva alla formazione dell'unità tedesca. Organizzare e consolidare l'impero al di sopra o con la collaborazione o magari l'opposizione dei varî partiti: ecco il nuovo compito del "Cancelliere di ferro". Così, persuaso che le forze conservatrici debbano continuare a essere preponderanti in Prussia, e, attraverso il Bundesrat, nell'Impero, è deliberato a difendere il vecchio stato conservatore; tuttavia non sdegna l'appoggio dei liberali, anzi abilmente se ne serve per ottenere risultati rapidi e notevolissimi nello svolgimento del suo programma, come l'unificazione della moneta e dei pesi e misure, l'organizzazione delle poste, dei telegrafi e telefoni, il codice penale dell'Impero, il codice di procedura, i lavori preparatorî per il codice civile, l'organizzazione dei tribunali, per combattere cattolici e socialisti. Con tutte le forze si oppone però a una anche piccola estensione dei poteri del Reichstag, la cui ingerenza resta pressoché limitata alla vita giuridica ed economica. Nulla o quasi nulla l'influenza di esso sulla politica estera, mentre, con la minaccia di dimettersi, Bismarck ottiene che i fondi chiesti dallo Stato maggiore per il riordinamento dell'esercito gli siano consentiti per sette anni.

Il "Kulturkampf". - Nel 1870 si era costituito il partito del Centro (Centrumspartei) prussiano al fine di "proteggere la libertà della Chiesa e di conservare la scuola primaria confessionale". Nello stesso anno, nelle elezioni al Landtag prussiano, il Centro conquista 57 seggi, di cui 40 nella Renania e Vestfalia. Il vescovo di Magonza che più volte aveva avuto contatti con Bismarck, aveva chiesto che fossero inseriti nella costituzione dell'Impero gli articoli contenuti nella costituzione prussiana, riguardanti la libertà della Chiesa nella questione dei matrimonî misti. E lo stesso vescovo, nelle elezioni per il primo Reichstag, aveva fissato al gruppo del Centro il compito di ottenere che i cattolici vivessero liberamente secondo la fede, "nella pienezza dei proprî diritti anche nella nuova Germania", senza dipendere dal buon volere d'una maggioranza ostile. Sennonché il movimento cattolico con la lotta che ne derivò non mancava di avere forti riflessi politici: così i "guelfi" del Hannover, i quali negavano qualunque validità all'annessione, si riuniscono al Centro; così anche, nei territorî polacchi sottoposti alla Prussia, il clero cattolico ostentatamente è alla testa della resistenza e della lotta contro il dominio tedesco. D'altra parte, dopo il concilio vaticano in cui era stata proclamata l'infallibilità del pontefice nelle definizioni solenni su questioni di fede e di morale, i vescovi tedeschi si erano sottomessi, ma non così un certo numero di professori delle facoltà teologiche e delle scuole medie e molti maestri incaricati dell'insegnamento religioso dei quali il Centro aveva chiesto la destituzione. Ma Bismarck, che da lungo tempo accarezzava l'idea di formare una Chiesa cattolica tedesca indipendente da Roma, volle scorgere in tutto ciò una vera e propria "mobilitazione contro lo stato"; con l'alleanza dei liberali, passò quindi a una spietata offensiva. Del 1872 sono la legge contro i gesuiti e lo scioglimento delle congregazioni che provoca la rottura dei rapporti con la Germania da parte della S. Sede; l'anno seguente, l'insegnamento primario è sottratto al controllo del clero e sottoposto allo stato, finché, nel 1873, le cosiddette "leggi di maggio" tolgono al clero diritti e privilegi, fino a esigere che un sacerdote non potesse avere un uffizio ecclesiastico se non avesse frequentato il liceo dello stato e una università tedesca. Tali prescrizioni provocarono una lettera-protesta del pontefice all'imperatore e una risposta di Guglielmo I, corretta nella forma ma netta e decisa nel richiamo alla costituzione. Conseguenze di tale offensiva sono un rapido aumento dei rappresentanti del Centro al Landtag prussiano e al Reichstag (100 seggi nelle elezioni del 1878) e la quasi totale vacanza dei seggi episcopali nella Prussia; ond'è che Bismarck, preoccupato, profitta dell'elevazione al pontificato di Leone XIII per entrare in rapporti con lui e abolire gradualmente, ma con alcune eccezioni, le leggi contro le congregazioni e il clero.

La socialdemocrazia. - Proficua alla vita dell'Impero e al progresso sociale tedesco fu la lotta di Bismarck contro il socialismo e la socialdemocrazia. La Germania, già molti anni prima dell'unificazione nazionale, era il paese classico del socialismo. L'utilizzazione del vapore e la conseguente diminuzione della richiesta di mano d'opera, l'impiego su vasta scala di donne e fanciulli, meno costosi, avevano contribuito di per sé alla formazione d'una coscienza proletaria. Nel '60 si stacca dal liberalismo borghese una corrente che segue vie proprie. Tre anni dopo Ferdinando Lassalle fonda l'Associazione generale degli operai tedeschi (Allgemeiner Deutscher Arbeiterverein): pochi sono gli aderenti, ma il terreno è favorevole per accogliere le idee di Carlo Marx. Nove anni dopo A. Bebel e W. Liebknecht scindono dal partito popolare democratico le associazioni operaie della Sassonia e della Germania meridionale e formano ad Eisenach il partito operaio socialdemocratico (Sozialdemokratische Arbeiterpartei). Violente dispute suscita la formazione di queste organizzazioni operaie. Nel 1875 i seguaci di Lassalle si uniscono ai marxisti e fondano il partito operaio socialista tedesco (Sozialistische Arbeiterpartei Deutschlands), il quale già due anni dopo ha la possibilità d'inviare al Reichstag dodici rappresentanti. La predicazione contro il capitale, contro lo Stato e i suoi sostegni, l'esercito e la Chiesa, raggiunge in questo momento un punto culminante. Bismarck si serve di armi legali per combattere il socialismo, ma dopo un secondo attentato in cui resta ferito l'imperatore, fa sciogliere il Reichstag e fa accettare dalla nuova Assemblea leggi restrittive della libertà - interdizione di riunioni e divieti di pubblicazioni socialiste - e pene severe contro i delinquenti, iniziando tuttavia, subito dopo, quella grandiosa opera di legislazione sociale - assicurazione contro le malattie, gl'infortunî, l'invalidità e la vecchiaia, ecc. - che, ripresa e integrata più tardi, anche oggi si ammira. Sennonché essa non riesce a conciliare la classe operaia allo stato, perché questo mostra d'averla data più come un beneficio che come un riconoscimento d'un diritto.

Politica estera. - Poco dopo la pace di Francoforte, quando l'Europa è, si può dire, ancora sotto lo sbalordimento delle vittorie prussiane e tedesche che hanno sconvolto alla radice il vecchio equilibrio, appare a tutti chiaro che una nuova grande Potenza si è formidabilmente costituita al centro del continente e che d'ora innanzi sarà impossibile prescindere da essa per qualsiasi politica. Senza dubbio, il consolidamento e la rapida ascensione politica, economica e commerciale dell'Impero tedesco suscitano gelosie e preoccupazioni soprattutto nelle potenze continentali, né d'altra parte Bismarck s'illude che la Germania possa restare isolata in Europa, specie di fronte alla Francia. Logico è quindi un avvicinamento della Germania alla Russia - favorito anche dai personali rapporti esistenti fra i due imperatori - che si concreta, già nel 1872, in un accordo segreto, al quale partecipa anche l'Austria, conosciuto col nome di "lega dei tre imperatori" (Dreikaiserbund). Con esso Bismarck si garantisce lo statu quo territoriale creato dalle vittorie tedesche e prepara maggiore libertà di movimenti alla partecipazione della Germania nelle questioni che inevitabilmente rendono già antagoniste l'Austria e la Russia nella politica orientale. Tuttavia, prima ancora che tale antagonismo abbia occasione di rivelarsi chiaramente al Congresso di Berlino, la Russia, che non ha cessato di coltivare ottimi rapporti con la Francia e si è accordata, mediante un patto particolare, con l'Austria circa eventuali modificazioni nei Balcani, nettamente si oppone al disegno della Germania, asserito dal cancelliere russo A. M. Gorčakov, di attaccare ancora la Francia (1875). Da questo momento il Dreikaiserbund cessa di avere qualsiasi valore e Bismarck, costretto ormai a scegliere per un deciso orientamento verso la Russia o l'Austria-Ungheria, mostra di avere scelto già la sua via, quando nell'autunno del 1876 si oppone, a sua volta, a un'invasione dell'Austria-Ungheria da parte della Russia. La politica di Bismarck ridiventa ora lineare. Il suo deciso appoggio dato all'Austria nel Congresso di Berlino per assicurarle la Bosnia e l'Erzegovina taglia ogni possibilità di nuova intesa intima con la Russia, il cui governo, premuto dall'irritazione popolare, giunge a una vera e propria minaccia di guerra. Così, dopo non poche e non lievi difficoltà, fra le quali è da rilevare l'ostinata riluttanza di Guglielmo I a staccarsi dalla Russia per un sentimento di solidarietà legittimista verso lo zar, si giunge a un'alleanza austro-germanica (7 ottobre 1879), con la quale le due potenze s'impegnano a prestarsi reciproco aiuto in caso di aggressione da parte della Russia e di conservare una benevola neutralità in caso di attacco da parte di altra potenza (vedi austro-germanica, alleanza). Bismarck vede nell'Austria "una potenza necessariamente pacifica e conservatrice", mentre giudica che "la politica russa ha assunto un carattere sempre più minaccioso per la pace d'Europa". E dopo la conclusione della Duplice, pienamente soddisfatto, dichiara che "mai la situazione internazionale della Germania è stata più brillante".

Il carattere segreto dell'alleanza del 7 ottobre 1879 ha fatto sì che fino alla pubblicazione, avvenuta dopo la guerra mondiale, dei documenti conservati negli archivî viennesi si ritenesse questo trattato in stretta relazione con la successiva stipulazione della Triplice alleanza. Oggi risulta ben chiaro che i due trattati sono del tutto indipendenti. Già da tempo Bismarck aveva cercato di avvincere a sé l'Italia, non già perché egli credesse che il giovane regno costituisse, eventualmente, un notevole e sicuro aiuto per la Germania, sibbene, soprattutto, per impedire che l'Italia si unisse alla Francia. Cosi necessariamente infruttuosi, per le reciproche perplessità, dovevano riuscire i varî scambî di visite fra il re Vittorio Emanuele II e gl'imperatori Francesco Giuseppe e Guglielmo I e i viaggi successivi del Crispi a Berlino e a Vienna (1877); ma Bismarck preparò il colpo decisivo al Congresso di Berlino, appoggiando l'Austria per la Bosnia Erzegovina e gettando il pomo della discordia fra l'Italia e la Francia: Tunisi. Si rinnovano allora le minacce austriache contro l'Italia, mentre un'abile campagna austriaca e tedesca chiaramente avverte che l'Italia è sul punto di subire uno scacco a Tunisi e che, nella necessità per lei di avvicinarsi alle Potenze centrali, la via di Berlino passa per Vienna. B. Cairoli cerca di fare una politica più attiva a Tunisi, ma la Francia vigila e nel maggio 1881 il protettorato francese su Tunisi è un fatto compiuto. E mentre l'amarezza e lo sdegno degli Italiani sono resi più profondi dal risorgere di polemiche e dissidî interni, ecco le minacce austriache tramutarsi in lusinghe e blandizie; da Vienna si ventila allora l'idea d'un viaggio dei reali d'Italia alla capitale austriaca. L'Italia, sdegnata contro la Francia, resta tuttavia scettica, scissa, e Bismarck, sia per ragioni di politica interna verso il Centro, sia per spingere l'Italia a una decisione, fa dire che la questione romana potrebbe essere risollevata, e la minaccia coincide con le dimostrazioni verificatesi a Roma durante la traslazione della salma di Pio IX da S. Pietro a S. Giovanni in Laterano. Il govemo italiano è ormai in una posizione difficile e delicata; la visita dei reali a Vienna è decisa precipitosamente. Cordiali sembrano le accoglienze viennesi al re e alla regina d'Italia, ma subito dopo ricominciano le offese austriache e le intimidazioni germaniche, finché fra incertezze e riluttanze il 20 maggio 1882 si giunge alla stipulazione del primo trattato della Triplice (v. triplice alleanza). Con questo trattato le due Potenze centrali s'impegnano a prendere le armi nel caso d'un attacco della Francia contro l'Italia. Lo stesso impegno assume l'Italia nel caso che la Germania sia attaccata dalla Francia. Tuttavia l'Italia fa un'esplicita riserva tendente ad escludere ogni ostilità diretta contro l'Inghilterra.

Nel 1887 il compito principale di Bismarck, il quale nel frattempo (1883) ha tratto la Romania nel suo sistema d'alleanze è quello del rinnovamento della Triplice: proteggere cioè l'Austria da un'aggressione russa e separare l'Italia dalla Francia. Le trattative s'iniziano già nel 1886. È notevole in questo stesso anno il tentativo russo di spezzare l'equilibrio europeo a danno dell'Austria. L'ambasciatore russo a Berlino dichiara infatti al ministro degli Esteri tedesco: "L'unica alleanza sana e solida è quella russo-germanica; noi dobbiamo far scomparire l'Austria dalla carta di Europa: voi vi prendete le provincie tedesche e nulla potrà più politicamente separarci". L'offerta russa e la ripulsa di Bismarck nel momento stesso in cui cessa l'accordo fra le tre potenze imperiali, pare debba far precipitare gli eventi; sennonché Bismarck riesce ad assicurare da parte della Russia una nuova garanzia alla Germania, mediante il cosiddetto trattato di controassicurazione e prende egli stesso, nelle proprie mani, le trattative con l'Italia, per il rinnovamento della Triplice, che nel 1882 erano state condotte quasi esclusivamente dall'Austria. Non tutte le difficoltà sono questa volta facilmente superate per mettere d'accordo l'Austria e l'Italia; sicché quest'ultima, riconfermando il trattato precedente, lo allarga con due trattati particolari, uno italo-tedesco che riguarda le aspirazioni coloniali dell'Italia, e uno italo-austriaco con le clausole concernenti la questione balcanica (20 febbraio 1887).

Il rinnovamento della Triplice conferma e, in certo modo, consolida il legame della Germania con l'Austria, mentre la partecipazione dell'Italia continua a favorire la politica di Bismarck di fronte alla Francia, e il trattato di controassicurazione la garantisce verso la Russia, nello stesso tempo in cui Bismarck riesce ad attrarre nell'orbita del suo sistema d'alleanze l'Inghilterra e la Spagna, mediante particolari intese (1887). Il trattato di controassicurazione è tuttora il punto d'appoggio del sistema politico bismarckiano; il cancelliere tedesco, nel 1896, deplorerà infatti la mancata rinnovazione di questo patto di garanzia, scaduto nel 1890, perché intuisce che la Russia, svincolata da ogni impegno con la Germania, finirà per legarsi alla Francia, sconvolgendo l'equilibrio europeo da lui costituito e preparando l'isolamento delle Potenze centrali.

Nell'anno 1888 muore, a 91 anni, Guglielmo I. Il successore di lui, Federico III, lo segue a distanza di tre mesi nella tomba, senza lasciar traccia notevole del suo fugace passaggio sul trono e affrettando la successione dell'ancor giovanissimo figlio Guglielmo al trono di Prussia e a quello di Germania. Il nuovo imperatore, d'intelligenza vivace ma troppo inquieta e mutevole a seconda degl'influssi varî e dei momenti, animato anche da buona volontà di fare a prò della Germania, ma nello stesso tempo vanitoso all'estremo, impulsivo e privo generalmente di tatto sì da urtare in momenti delicati la suscettibilità anche di persone a lui amiche e di parenti, e guastato poi dalle adulazioni dei cortigiani, segna nella storia della Germania il passaggio dall'assolutismo illuminato del Cancelliere di ferro all'assolutismo gretto e pomposo del monarca (v. guglielmo ii). Finora non Guglielmo I "il vecchio imperatore addormentato", ma Bismarck ha regnato; il nuovo sovrano sdegna tutele: è fatale che fra lui e il vecchio cancelliere lo scoppio della tempesta non possa essere lontano. Il proposito di Guglielmo II di liberarsi della personalità dominante di Bismarck è subito chiaro, ma Bismarck resta e lotta - secondo egli stesso afferma - per un alto senso di dovere e di responsabilità. V'è all'esterno un equilibrio politico sensibilissimo da conservare v'è all'interno un pericolo socialista da superare, v'è, soprattutto, l'imperatore da sorvegliare e guidare. Ma Guglielmo II comincia ad agire incostituzionalmente, conferendo con ministri, saltando il cancelliere, mentre a questo contesta il diritto di ricevere chi voglia in casa sua, in qualità di ministro. La lotta è ormai a tutti palese: in una seduta di gabinetto Bismarck informa i ministri dei suoi rapporti con l'imperatore e conchiude: "ho quindi per ordine sovrano chiesto il mio congedo". E già prima che egli riceva risposta alla domanda di dimissioni, G. L. v. Caprivi prende possesso d'una parte degli uffici del cancelliere. Finalmente l'imperatore risponde accettando le dimissioni ed esprimendo la fiducia "che anche per l'avvenire non manchino a me e alla patria il Suo consiglio, la Sua energia, la Sua fedeltà e la Sua devozione". Ma Bismarck da questo momento non sarà richiesto più di nessun consiglio.

Così cade l'uomo che ha dato, col Reich, uno stato unitario al popolo tedesco, e ha portato la Germania, con rapida ascesa, a una potenza politica, militare ed economica appena pensabile prima di lui. Dal 1862 al 1890 l'opera sua appare veramente un'opera d'arte che rivela coerenza e armonia in tutte le sue parti. Durante il suo governo non ha potuto evitare una continua lotta coi varî partiti avversi, ma egli ha piuttosto governato come dittatore non bisognoso di alcuna alchimia parlamentare, anche se, a seconda delle circostanze e delle opportunità, si è servito di questo o quel partito per svolgere il proprio piano e raggiungere gli scopi prefissi. In fondo, i contrasti elettorali e parlamentari non hanno mai potuto influire sensibilmente sulla sua linea e sui suoi programmi politici. Ma pur fra tanta grandezza, l'opera bismarckiana rivelava un difetto, che sarebbe pienamente venuto in luce più tardi: il suo sistema di governo ostacolava fortemente la formazione di una vera coscienza politica nel popolo tedesco, che - uscendo da secoli di assolutismo principesco - ne era tuttora, generalmente, privo. Vennero su ottimi funzionarî, ottimi professori ecc.: il senso politico generale rimase ad un livello assai basso, ciò che spiega come la Germania post-bismarckiana, scomparso il gigante, rimanesse senza una classe dirigente pari al suo compito, e come essa potesse, un venticinquennio più tardi, cacciarsi inabilmente nella guerra mondiale. Solo dopo l'avvento al trono di Guglielmo II, il quale personalmente interviene anche nella questione operaia, fattasi più grave e acuta, in favore degli operai stessi, il partito conservatore subisce nelle elezioni al Landtag prussiano e al Reichstag una notevole sconfitta (1890), segnando il principio dell'ascesa della socialdemocrazia. Caduto Bismarck, nelle elezioni al Reichstag del 1893 i socialdemocratici riportano un'altra vittoria.

Evidentemente, tutto questo deve essere posto in relazione anche col meraviglioso sviluppo dell'economia tedesca. La creazione dell'Impero ha favorito enormemente lo spirito d'iniziativa e il rapido incremento della ricchezza. Basti ricordare che soltanto dal'71 al'72 alle esistenti società prussiane per azioni (circa 200) se ne aggiungono altre 750. E l'aumento continua incessante. I cinque miliardi dell'indennità di guerra, pagati dalla Francia in soli due anni, sono utilizzati soprattutto per lo sviluppo dell'economia tedesca. Nel 1870 la Prussia aveva mille chilometri di ferrovie; già nel 1872 altri cinquemila chilometri sono in costruzione. E dopo trent'anni le reti ferroviarie, telegrafiche e telefoniche tedesche, e quindi anche il numero dei relativi uffici e la circolazione della corrispondenza sono superiori a quelli d'ogni altro paese d'Europa. In dieci anni dal'70 all'80 l'estrazione del carbone e del ferro grezzo è più che raddoppiata; dopo altri quindici anni la quantità del carbone estratto è pari, e quella del ferro grezzo è doppia di quelle dell'Inghilterra. Cosicché già poco dopo la creazione dell'Impero l'industria tedesca entra in concorrenza con quella inglese. Presto la grande industria chiede tariffe protettrici e l'agricoltura reclama lo stesso provvedimento per i suoi prodotti (la legge sulle tariffe protettrici è approvata nel 1878). In meno di venticinque anni, l'industria raddoppia il numero delle persone occupate e il commercio raddoppia il numero dei suoi impiegati. Nello stesso tempo la popolazione delle città con più di 20.000 abitanti passa da appena un quinto a più di un terzo della popolazione totale. In proporzione allo sviluppo industriale aumenta il movimento commerciale. La Hamburg-America Line e il Norddeutscher Lloyd raggiungono presto e sorpassano la potenza delle più grandi compagnie di navigazione. La flotta mercantile tedesca s'avvia a rivaleggiare con le più potenti del mondo.

La necessità di accordare la protezione dell'Impero ad imprese commerciali create oltre gli oceani ha già portato all'acquisto di un impero coloniale. Bismarck era stato in principio contrario alla espansione coloniale; ma nel 1884, premuto anche dall'agitazione del Kolonialverein, che contava già allora novemila soci, assicura alla Germania il possesso di vasti territorî in Africa e nei più lontani oceani - Africa occidentale, Togo, Camerun, Terra dell'Imperatore Guglielmo nella Nuova Guinea, Arcipelago Bismarck, Isole Marschall - ai quali si aggiungono, più tardi, le Isole Caroline, Marianne e Palau. La formula di Bismarck: "la colonizzazione tedesca segue il commercio tedesco" prescinde ancora quasi totalmente dalla necessità d'una espansione coloniale in relazione all'incremento demografico (la Germania nel 1871 ha 41 milioni di abitanti, 56 milioni nel 1900 e 68 milioni nel 1916); analogamente non crede alla necessità della costruzione d'una potente flotta da guerra, fedele al principio che "le colonie si difendono in casa propria". Perciò la maggior parte degli storici tedeschi, pur esaltando l'opera di lui, giudicano, fondandosi su questa incomprensione, che la politica continentale del Cancelliere di ferro non rispondesse più alle necessità dei nuovi tempi nel momento in cui egli abbandonò la direzione del governo.

La Germania fino alla caduta del regime monarchico. - La politica dell'isolamento. - Comunque, è indubbio che Bismarck non trova un continuatore dell'opera sua e tanto meno un successore che possa misurarsi con la sua statura, mentre, d'altra parte, è facile ammettere che a qualunque altro cancelliere sarebbe stato per lo meno assai difficile fare quello che a lui stesso non era riuscito, governare cioè in contrasto con l'imperatore, il quale aveva affermato nel 1891: "uno solo è il padrone dell'Impero e quello sono io", ciò che venti anni dopo superbamente riconfermerà: "non ho mai letto, né conosco la costituzione".

Con Guglielmo II la Germania inizia il tentativo di un predominio mondiale; nuove aspirazioni e nuovi compiti sostituiscono la politica continentale di Bismarck; d'ora innanzi frequenti ricorrono le parole più adatte a caratterizzare le une e gli altri: Welthandel, Weltpolitik, Weltmacht e simili. Il sistema politico di alleanze d'intese cade a pezzo a pezzo: succede ad esso una politica senza linearità, talvolta anche contraddittoria, la quale conduce la Germania al progressivo isolamento e infine alla guerra. L'ostilità russa, mai sopita e volta specialmente verso l'Austria, si ridesta vivace insieme con lo spirito di revanche della Francia: è la minaccia su due fronti che Bismarck si è sempre sforzato di evitare e che già nel 1891 si concreta in un'intesa cordiale fra le due potenze - dello stesso anno è la visita della flotta francese a Kronstadt - e un anno dopo si consolida in un patto segreto di alleanza difensiva, diretto contro le potenze centrali. Lo zar, ratificando nel 1893 questa convenzione militare, ha in animo di usare solo una pressione sulla Germania a non impegnarsi a fondo nella difesa della politica austriaca, e l'anno dopo, morto Alessandro III, l'imperatore Guglielmo, iniziando un intenso scambio di lettere col nuovo zar, Nicola II, invano tenta di fermare la valanga, mentre la Francia abilmente continua i suoi ingenti prestiti alla Russia, i quali, nel giro di otto anni, fino al 1896, raggiungono la somma di cinque miliardi e mezzo.

Quasi nello stesso tempo cominciano gli attriti fra la Germania e l'Inghilterra per la questione della ferrovia di Baghdād, che per il suo enorme valore politico, militare e commerciale appare un'arma formidabile puntata al cuore stesso dell'Impero britannico (vedi baghdād: Ferrovia di B.). L'allarme inglese è presto accresciuto dall'atteggiamento tedesco nella questione del Transvaal. La Germania ha indubbiamente interessi da tutelare nell'Africa meridionale, ma il governo di Berlino cerca soprattutto di ostacolare un nuovo ingrandimento dell'Impero britannico e di esercitare nello stesso tempo, una pressione sull'Inghilterra per indurla a legarsi alla Triplice. Il contegno tedesco assume un tono di minaccia nel famoso dispaccio dell'imperatore al presidente Krüger (3 gennaio 1896), ma l'Inghilterra, risponde col rafforzare la propria flotta nel Mare del Nord, sicché si delinea il pericolo d'un conflitto armato. Intanto l'Italia è obbligata a dichiarare che, in caso di un attacco francese, non avrebbe potuto sostenere la Germania qualora alla Francia si fosse unita l'Inghilterra. La quale, a sua volta, s'affretta a denunciare la convenzione mediterranea con l'Italia e con l'Austria.

La Germania ha in questo momento la sensazione di essere accerchiata - d'"accerchiamento" parla per la prima volta B. v. Bülow nel suo discorso al Reichstag del 15 novembre 1896; ma è più esatto parlare di isolamento - e corre ai ripari. Il 18 giugno 1897 A. v. Tirpitz è chiamato a capo del dicastero della Marina e con lui la Germania inizia la costruzione d'una grande flotta da guerra. L'Impero tedesco deve uguagliare quello britannico nelle industrie, nei commerci, nei traffici marittimi, nei dominî coloniali, dunque anche nella potenza armata sul mare. Ed ecco infatti il Tirpitz chiedere subito al Reichstag e ottenere l'approvazione di un progetto di costruzioni navali che comprende 19 navi di linea, 13 grandi e 30 piccoli incrociatori. Il duello anglo-tedesco si fa serrato. Nello stesso anno, 1897, l'uccisione di due missionarî cattolici in Cina offre alla Germania il pretesto per l'occupazione della baia di Kiao-chow, di cui l'anno seguente entra in possesso. Seguono tre tentativi inglesi per frenare la corsa agli armamenti e giungere a un'intesa anglo-tedesca. J. Chamberlain, ministro delle Colonie, dichiara che l'Inghilterra non può permettersi la politica dell'isolamento e propone di regolare alcuni dissensi coloniali (1898); la Germania risponde essere necessario che l'Inghilterra dia garanzie per la situazione della Germania posta tra la Francia e la Russia. Lo stesso anno, dopo Fashoda, il Chamberlain ripete, e invano, il tentativo; l'anno seguente di nuovo il ministro inglese auspica una triplice fra l'America, l'Inghilterra e "il grande Impero tedesco". Il governo di Berlino, pretendendo troppo, svalutava allora la possibilità d'un'intesa dell'Inghilterra con la Duplice franco-russa, senza d'altra parte comprendere che nessuna Weltpolitik la Germania avrebbe potuto condurre con successo senza un preventivo accordo con l'Inghilterra. Della cecità tedesca approfitta ancora la Francia, che, rinnovando nel 1899 la convenzione militare con la Russia, orienta il nuovo patto manifestamente contro la Germania. Sennonché più si delinea l'isolamento tedesco, più il governo di Berlino, che intanto ha ottenuto la concessione di costruire la linea Konya-Baghdād, aumenta la sua potenza navale, facendo accettare il secondo progetto di legge per la flotta da guerra (1900), mentre l'imperatore, parlando alle truppe in partenza per la Cina in occasione della sommossa dei boxers, rievoca inabilmente Attila e gli Unni.

Nel 1901 un nuovo avvertimento viene da Londra, ancora per bocca del Chamberlain, il quale dichiara che è giunto ormai il momento per l'Inghilterra di scegliere i suoi alleati. Anch'esso resta infecondo. Il Bülow giustifica tali rifiuti della Germania, affermando che l'accettazione delle offerte londinesi avrebbe significato per i Tedeschi diventare "lanzichenecchi inglesi", mentre altri sostengono che la mancata intesa fu causata dal rifiuto dell'Inghilterra di accettare le due condizioni fatte dalla Germania: partecipazione alla Triplice e approvazione immediata della convenzione da parte del Parlamento inglese. Ma, se anche così fosse, è evidente l'errore commesso nella valutazione dell'apporto dell'Inghilterra nella politica tedesca; comunque, è indubbio che Berlino s'illude che il tempo possa essere propizio per avere a migliori condizioni l'amicizia inglese. Sennonché, all'atto di rinnovare il trattato della Triplice, la Germania non può più fare alcun assegnamento sull'effettiva collaborazione italiana. L'Italia, infatti, avendo intanto conchiuso un accordo con la Francia per il Marocco e Tripoli (1900), s'impegna, mediante un accordo segreto, con la Francia stessa a conservare una stretta neutralità nel caso che la Francia sia attaccata da una o più potenze o costretta, da una provocazione, a dichiarare guerra (1902). Da questo momento la Germania, che sin dal 1896 non poteva più contare sull'Italia in caso di conflitto con l'Inghilterra, vede ancora ridotte le possibilità di un aiuto italiano per la sua Weltpolitik. All'intesa italo-francese segue quella franco-inglese (8 aprile 1904); alla fine dello stesso anno il presidente della repubblica Loubet è accolto festosamente a Roma.

Intanto una prima crisi marocchina fornisce alla Francia l'occasione d'iniziare l'occupazione del Marocco, mentre resta del tutto inefficace il discorso che l'imperatore Guglielmo, sbarcato, questa volta per suggerimento del Bülow, a Tangeri, pronuncia sulla sovranità e l'indipendenza marocchine (31 marzo 1905). Lo stesso anno in un incontro fra gl'imperatori di Germania e di Russia (convegno di Björkö) è ventilato il disegno d'un'intesa della Triplice con la Duplice che suscita qualche vaga speranza; invece, non pur questo, bensì anche il progetto d'un accordo difensivo russo-tedesco fallisce per l'atteggiamento della Francia, la quale, di ciò non soddisfatta, preme sul governo inglese, chiedendogli in che misura l'Inghilterra è disposta a fornire un aiuto armato alla Francia, nell'eventualità d'una guerra franco-tedesca. Come dichiara l'anno dopo Eduardo VII a Guglielmo II, fra Germania e Inghilterra non esiste alcun conflitto su determinate e specifiche questioni, ma solo, in generale, una rivalità, che, tuttavia, per la posizione delle due Potenze, è ormai più minacciosa d'ogni particolare dissidio. Nel 1908, infatti - l'anno dei tentativi reiterati e dei gravi eventi - l'isolamento della Germania si accentua e più vicino appare il pericolo d'una conflagrazione. La Russia e l'Inghilterra si riconciliano (convegno di Reval); ancora un tentativo per un accordo anglo-tedesco sulle costruzioni navali fallisce (convegno di Friedrichshafen), come a nessun risultato concreto conduce la visita di Edoardo VII all'imperatore Francesco Giuseppe al fine di persuadere indirettamente la Germania a rinunciare a una gara di armamenti (convegno di Ischl); d'altra parte, lo scandalo Eulenburg solleva una violenta campagna nella stampa tedesca e provoca giudizî severissimi, per quanto non provati, sullo stesso imperatore, mentre l'intervista di Guglielmo II al Daily Telegraph fa chiedere a gran voce una legge per definire le responsabilità del Ministero; si reclama un voto di fiducia per ogni nuovo cancelliere dell'Impero, la subordinazione al cancelliere stesso dei gabinetti civile e militare, finora sottoposti solo all'imperatore, e il controllo della politica estera da parte della rappresentanza popolare. Il Bülow, per coprire la Corona, assume la responsabilità dell'imprudente intervista, ma, anche premuto dai conservatori, deve ammonire Guglielmo II che in avvenire non potrà più farlo, se l'imperatore non concorda con lui la sua azione.

Così, mentre la politica estera tedesca subisce ormai ovunque reiterati scacchi o apparenti effimere vittorie, come l'intimazione alla Russia - che non reagisce - di acconsentire all'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria per evitare che la Germania lasci alla sua alleata mano libera contro la Serbia, non fa meraviglia che le Potenze centrali si trovino del tutto isolate, come era già apparso chiarissimo alla Conferenza di Algeciras. Ora, di fronte al blocco Germania e Austria-Ungheria sta la Triplice Intesa alla quale più o meno si appoggiano l'Italia - che dopo il convegno di Racconigi (ottobre 1909) ha stretto una convenzione segreta con la Russia - la Spagna, il Portogallo, la Bulgaria, la Grecia, la Serbia e il Montenegro, mentre anche il Giappone e gli Stati Uniti d'America volgono le spalle alla Germania. Th. v. Bethmann-Hollweg, succeduto al Bülow nel cancellierato, fa un supremo sforzo per trarre la Germania da questo isolamento (convegno di Potsdam fra lo zar e Guglielmo II, novembre 1910) e attenuare il dissidio franco-tedesco (nuova costituzione per l'Alsazia-Lorena), ma la seconda crisi marocchina, col conseguente acuirsi del conflitto tra Parigi e Berlino (per il cosiddetto "colpo di Agadir"), provvisoriamente composto con un accordo, mediante il quale la Germania lascia mano libera alla Francia sul Marocco e riceve in cambio piccoli compensi nell'Africa equatoriale; e la cresciuta ostilità dell'Inghilterra, delusa per il fallimento della missione di R. Haldane a Berlino (febbraio 1911) - causato dall'intransigenza del Tirpitz sugli armamenti navali e dalla richiesta all'Inghilterra di conservare la neutralità nel caso d'una guerra della Germania coi suoi vicini, ciò che esclude ogni possibilità di accettazione per gl'impegni che l'Inghilterra ha già assunti nella Triplice Intesa; - e lo scoppio, infine, della guerra italo-turca per l'occupazione di Tripoli sconvolgono ogni suo piano e frustrano ogni suo tentativo.

La Germania è ormai in una via senza uscita; il dramma si avvicina all'ultimo atto. Il destino d'Europa appare ora segnato. Ché, malgrado il trionfo dei socialdemocratici, i quali nelle elezioni al Reichstag del 1912 portano i loro mandati da 43 a 110, in modo da raggiungere insieme coi liberali quasi la maggioranza parlamentare, il Reichstag approva nuove costruzioni navali e nuove provvidenze per l'incremento dell'esercito, e l'Inghilterra segue la rivale nella corsa agli armanenti sul mare, e la Francia e la Russia completano i loro precedenti impegni con una convenzione navale. Nello stesso tempo, il rinnovamento della Triplice Alleanza ha - come riconoscono ormai anche i più sereni storici tedeschi - un valore puramente formale e ciò si sa benissimo - e non da ora - a Berlino e a Vienna che dall'Italia attendono, al massimo, una benevola neutralità, né, d'altra parte, le Potenze Centrali annettono grande importanza all'apporto militare italiano in caso d'una guerra.

La guerra. - Gli avvenimenti, svoltisi così in una rigida e ferrea concatenazione, precipitano ora con la prima e la seconda guerra balcanica. La Germania, rimasta sola con l'Austria-Ungheria, fatalmente segue la politica che quest'ultima non può mutare senza compromettere la sua stessa esistenza, e quando la crescente agitazione serba arma la mano dell'attentatore di Sarajevo e l'Austria invia l'inaccettabile ultimatum alla Serbia, la conflagrazione europea, già più volte scongiurata fino a quel momento, diviene una realtà.

La guerra, di gran lunga la più gigantesca e la più micidiale che la storia ricordi, nella quale la Germania e l'Austria-Ungheria riescono ad assicurarsi l'aiuto della Turchia e della Bulgaria, avendo contro oltre le Potenze dell'Intesa, l'Italia e la Romania, e quindi quasi tutte le principali potenze del mondo, dura con alterna vicenda, nelle numerose fronti, quattro anni e tre mesi e si conchiude con il crollo della Germania - l'Austria-Ungheria è stata già distrutta dall'Italia - e la caduta dei regimi monarchici tedeschi (v. guerra mondiale). Già il 28 ottobre 1918 all'imperatore è tolto, con l'annullamento dell'articolo relativo della costituzione, il comando supremo dell'esercito e della flotta, e il giorno seguente Guglielmo II abbandona Berlino per mettersi sotto la protezione dell'esercito. Il 9 novembre, dinanzi al dilagare di moti rivoluzionarî, l'imperatore decide di abdicare al trono germanico, ma non a quello prussiano. È troppo tardi, perché la rivoluzione ha già il sopravvento e il cancelliere Massimiliano di Baden cede lo stesso giorno il potere al socialista Fr. Ebert. Il proposito di Guglielmo II di marciare su Berlino è nettamente sconsigliato da Hindenburg, Ludendorff e Gröner e la sera stessa l'ex Kaiser parte per il confine olandese. Intanto è formato un governo provvisorio per la firma dell'armistizio (11 novembre). La Conferenza della pace, cominciata a Parigi nel gennaio, si protrae per tutto l'anno per dar modo alle nazioni vittoriose, alleate e associate, di mettersi d'accordo sull'ingente numero di questioni contemplate nei precedenti trattati o create dalla guerra e dalla vittoria collettiva. La pace, assai dura, con la Germania è firmata il 28 giugno nella stessa Sala degli specchi di Versailles, dove quarantotto anni prima era stata solennemente proclamata la fondazione dell'Impero germanico.

La Germania repubblicana. - La causa principalissima della rivoluzione tedesca del 1918 è senza dubbio da attribuirsi all'improvviso sfacelo dell'organismo militare e civile della Germania, rimasto mirabilmente compatto e saldo anche durante gli ultimi mesi della guerra, malgrado i durissimi sacrifici imposti al popolo stretto ormai dalla ferrea morsa degli avversarî. Gli elementi rivoluzionarî, ridotti a ben poca cosa, non avrebbero seriamente pensato alla possibilità d'una rivoluzione, se non si fosse verificata la generale catastrofe; tuttavia, la propaganda rivoluzionaria era venuta preparando il terreno adatto alla pronta rivolta quando, appunto, se ne fosse offerta l'occasione. I socialisti tedeschi solo in qualche frazione si erano opposti alla guerra, rimanendo poi ad essa favorevoli. Al congresso di Zimmerwald (1916) K. Liebknecht, F. Mehring e Rosa Luxemburg si erano staccati dai compagni, acquisiti ormai alla causa della guerra, e avevano fondato il gruppo degli "spartachisti" (lo Spartakusbund, così chiamato per le Spartakusbriefe, pubblicate dal Liebknecht nel 1916) svolgendo un'attiva propaganda rivoluzionaria che aveva portato all'arresto del Liebknecht e provocato alcuni scioperi, senza peraltro intaccare sensibilmente la saldezza e la resistenza del paese. Ma all'inizio della catastrofe tedesca il Liebknecht è liberato e il comitato rivoluzionario segreto decide d'iniziare l'azione: il 5 novembre una nave da guerra a Kiel innalza la bandiera rossa e la rivoluzione quattro giorni dopo è già vittoriosa e un comitato provvisorio di cui fanno parte Ebert, Ph. Scheidemann e Otto Braun prende possesso del potere. Seguono tentativi di sommosse spartachiste soffocate dall'autorità e dall'energia di G. Noske. I rivoluzionarî Liebknecht e Rosa Luxemburg vengono uccisi. Il 16 gennaio 1919 hanno luogo le elezioni generali per l'Assemblea costituente. I gruppi democratico, socialdemocratico e cattolico (coalizione di Weimar) si accordano per dare alla Germania un presidente e una costituzione repubblicana, la quale, fondamentalmente, s'inspira alle costituzioni degli stati federalisti, come quello americano, e soprattutto alla costituzione votata nel 1849 dai liberali tedeschi all'Assemblea di Francoforte. La nuova costituzione è approvata a Weimar (v.) con 262 voti contro 79 dei nazionalisti e dei comunisti ed è sottoscritta da Federico Ebert, eletto presidente del Reich (11 agosto 1919). L'assemblea nazionale nell'autunno si trasferisce a Berlino.

Dopo il crollo e la rivoluzione, una serie di tentativi insurrezionali, alcuni riusciti temporaneamente ad affermarsi - come la proclamazione della repubblica dei Sovieti in Baviera (Kurt Eisner) - altri subito falliti - come il colpo di mano dei nazionalisti guidati da W. Kapp a Berlino (13-17 marzo 1920) e il movimento separatista renano - non riescono a scuotere il regime repubblicano, il quale viene consolidandosi. Così l'unità tedesca e il Deutsches Reich, nella forma di una Confederazione repubblicana, sono conservati contro previsioni diverse. Bismarck aveva detto: "Se si supponesse che tutte le dinastie tedesche fossero d'un tratto messe da parte, non sarebbe probabile che il sentimento nazionale tenesse tutti i Tedeschi riuniti". Ad altri invece era sembrato logico e anche inevitabile che dalla caduta delle varie monarchie sorgesse la soluzione definitiva del problema unitario nella dissoluzione della compagine statale prussiana: la creazione cioè di un solo stato tedesco che realizzasse, sia pure per ben diverse vie, il sogno di H. v. Treitschke di "uno stato unitario e di amministrazioni autonome di forti provincie". Sennonché i varî particolarismi, non mai spenti e il conseguente pericolo del peggio hanno arrestato quest'ultima fase dell'evoluzione politica tedesca, nel momento più grave della storia della Germania. Le condizioni durissime imposte dal trattato di Versailles - non tanto per le forti mutilazioni territoriali e la perdita totale delle colonie e l'occupazione delle provincie renane e il disarmo, ma soprattutto per l'enorme onere delle riparazioni -, determinando il rapido aggravarsi della crisi economica e finanziaria e la conseguente paurosa inflazione negli anni che seguono immediatamente la guerra, hanno scosso la saldezza morale del popolo tedesco. Tutti i cosiddetti "piani" - Dawes, Young - e le formule escogitate dai politici e dai finanzieri per conciliare le esigenze degli alleati vittoriosi, e soprattutto della Francia, tenacissimamente intransigente, con la possibilità di pagamento dei Tedeschi, si sono in definitiva mostrati insufficienti a risolvere una situazione che ha ormai profonde ripercussioni in tutta l'Europa. Dall'occupazione della Ruhr - esempio tipico dell'elasticità e dell'imprecisione di alcune condizioni del trattato di pace -, la quale occupazione ha avuto come solo risultato concreto la parziale rovina dell'industria mineraria tedesca, al groviglio delle conferenze, delle intese, dei patti - compreso quello di Locarno - che si sono succeduti negli anni che seguono la pace di Versailles, nonostante la moratoria proposta dal presidente degli Stati Uniti d'America, H. Hoover, e accettata da tutti gli stati interessati, l'abbia liberata per un anno dal pagamento delle obbligazioni contratte in favore degli ex nemici, è sempre mancato un minimum di tranquillità duratura per la Germania e per l'Europa e una fiduciosa ripresa di collaborazione internazionale.

È vero che il patto di Losanna (v.) del 7 luglio 1932 rappresenta la fine del pesante fardello delle riparazioni, obbligandosi la Germania solo ormai a un pagamento globale - e, ancor esso, non immediato - di 3 miliardi di marchi oro.

Ma proprio mentre veniva sistemata definitivamente la questione delle riparazioni, si aggravava in Germania la crisi politica interna, già da parecchi mesi latente. Grandi passi innanzi aveva fatto negli ultimi due anni il partito nazionalsocialista, che, capeggiato da Adolfo Hitler (v.), moveva in politica interna da basi programmatiche in netta antitesi con le dottrine della democrazia di Weimar, e in politica estera, alla tattica, diremo, gradualistica, perseguita tenacemente per varî anni da Gustavo Stresemann (v.), e caratterizzata dal patto di Locarno del 1925, opponeva una tattica di risoluta intransigenza di fronte alle potenze ex-nemiche (più precisamente di fronte alla Francia) in tutte quelle questioni che erano strettamente collegate con i trattati di pace e con gli obblighi da essi imposti (riparazioni, disarmo, ecc.).

Già le elezioni presidenziali del 10 marzo e 10 aprile 1932, pur concludendosi con la rielezione del maresciallo Hindenburg, avevano dato una sicura prova dei grandi progressi compiuti dal nazionalismo, al cui candidato, Hitler, andavano più di 13.000.000 di voti contro i 19.000.000 raccolti da una personalità come quella di Hindenburg; di poi le elezioni alla dieta di Prussia, e, più ancora, quelle per le diete dell'Oldemburgo e del Meclemburgo, conclusesi queste ultime con la netta vittoria dei candidati hitleriani, avevano dato un fiero colpo alle posizioni mantenute per lunghi anni dalla socialdemocrazia; infine le elezioni del 30 luglio 1932 davano al partito di Hitler, se non la maggioranza assoluta necessaria per assicurare la vita di un governo prettamente nazionalista, almeno la prevalenza numerica rispetto ai democratici e agli altri partiti (nazionalsocialisti 230 seggi; socialdemocratici 133; comunisti 89; centro cattolico 75; tedesco-nazionali 37).

E già il mutare della situazione aveva avuto le sue ripercussioni nella composizione del governo: il governo di H. Brüning, basato sul centro cattolico e sui socialdemocratici, era costretto a dimettersi nel giugno 1932. Lo sostituiva quello di Fr. von Papen: governo nettamente di destra, che in un primo momento parve destinato a vita effimera, a essere cioè una semplice fase di transizione fra il predominio dei partiti democratici e il predominio dei nazionalsocialisti; ma che ben presto diede a vedere di voler essere, invece, tutt'altra cosa di un fenomeno passeggiero. Non solo infatti ha proceduto, a mezzo di ordinanze presidenziali a ristabilire l'ordine e la tranquillità, turbata da lungo tempo per i cruenti conflitti fra i partiti; ha sciolto d'autorità il governo della Prussia, ch'era in mano dei socialdemocratici; ma non ha esitato a porsi recisamente contro gli stessi hitleriani, che pure rappresentavano il partito più numeroso del Reichstag. Fallito nell'agosto ogni tentativo d'accordo fra governo e hitleriani, questi ultimi, insieme con il Centro cattolico e i socialdemocratici, hanno cercato di rovesciare il governo von Papen nella prima seduta del nuovo Reichstag (12 settembre 1932): ma il governo in quella stessa seduta ha dichiarato sciolto il Reichstag. Quindi, con la fine di settembre del 1932, la situazione politica interna della Germania è quella di un paese dominato da un governo di autorità, che agisce in base al consenso del presidente del Reich e che ha soprattutto l'appoggio della Reichswehr. In politica estera, nel settembre 1932 il governo von Papen ha apertamente chiesto, in un promemoria al governo francese, l'uguaglianza giuridica negli armamenti: domanda che è stata seguita da una risposta francese sostanzialmente negativa e, per contraccolpo, dall'astensione tedesca dalle riunioni dell'ufficio di presidenza per la Conferenza del disarmo. Le nuove elezioni al Reichstag, indette da von Papen per il 6 novembre, hanno dato i seguenti risultati: nazionalsocialisti 195 seggi; socialdemocratici 121; comunisti 100; centro cattolico 69; tedesconazionali 51.

Bibl.: Per la bibliografia v. Dahlmann-Waitz, Quellenkunde der deutschen Geschichte, 9ª ed., Lipsia 1931; Jahresberichte für deutsche Geschichte, voll. 3 (1925-27), a cura di v. A. Brackmann e F. Hartung, Lipsia 1927-29.

Per la biografia: Allgemeine deutsche Biographie, voll. 56, Lipsia e Monaco 1875-1912; A. Bettelheim, Biographische Blätter, I e II, Vienna 1895-96; id., Biographisches Jahrbuch und deutscher Nekrolog, voll. 18, Berlino 1897-1917, continuato col titolo: Deutsches Biographisches Jahrbuch, I (1914-16); II (1917-1920); III (1921); IV (1922); V (1923); X (1928), Berlino 1925-31.

Fra le riviste specificamente di carattere storico: Neues Archiv (dal 1820 al 1874 semplicemente Archiv, ecc.) d. Gesellschaft f. ältere deutsche Geschichtskunde, Hannover 1876 segg.; Historische Zeitschrift, Monaco 1859 segg.; Mitteilungen des Institus f. österreichische Geschichtsforschung, Innsbruck 1880 segg.; Historisches Jahrbuch der Görres-Gesellschaft, dal 1880; Histor. Vierteljahrsschrift (dal 1889 al 1898 col titolo Deutsche Zeitschrift f. Geschichtswissenschaft), Lipsia 1896 segg.; Quellen und Forschungen aus ital. Archiven u. Bibliotheken, a cura del Preuss. hist. Institut in Rom, Roma 1898 segg.; Zeitschrift für Politik, dal 1908; Archiv für Politik und Geschichte, Berlino 1923.

Per le fonti: Monumenta Germania historica, divisi nelle sezioni: Scriptores, voll. 30, in folio, 31-32 in 4°, dal 1826 (in parte riprodotti ed emendati nella serie in 8°: Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, dal 1875, e in quella in - 4°: Autores antiquissimi, voll. 15); Scriptores rerum Merovingicarum, voll. 7; Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX; Deutsche Chroniken, voll. 6; Libelli de lite imperatorum et pontificum, saec. XI et XII conscripti, voll. 3; Gesta Pontificum Romanorum; Leges: Diplomata; Epistolae, Antiquitates. Per i cronisti, storici, fino al 1500 v. A. Potthast, Bibliotheca historica Medii Aevi, 2ª ed., Berlino 1896; W. Wattenbach, Deutschlands Geschichtsquellen im Mittelalter bis z. Mitte des 13 Jahrh., 7ª ed., voll. 2, Berlino 1904; O. Lorenz, Deutschlands Geschichtsquellen seit der Mitte d. dreizehnten Jahrh., 3ª ed., voll. 2, Berlino 1886-87; Die Geschichtschreiber der deutschen Vorzeit in deutscher Bearbeitung, a cura di v. G. N. Pertz, J. Grimm, K. Lachmann, L. Ranke, K. Ritter, 2ª ed. a cura di W. Wattenbach, fasc. 90, Lipsia 1884 segg.; Die Chroniken der deutschen Städte v. 14 bis im 16 Jahrh., a cura della Historische Kommission bei d. Akad. d. Wiss. in München, voll. 35, Lipsia 1862 segg. Per i documenti (e regesto di doc.): Deutsches Reichsarchiv, a cura di J. Ch. Lünig, voll. 24, Lipsia 1710-22; Corpus d. altdeutschen Originalurkunden b. z. Jahre 1300, edito da Fr. Wilhelm, Lahr 1929; Acta imperii selecta, ed. compl. a cura di J. Fr. Böhmer, Innsbruck 1870; Acta Imperii inedita, ed. da Ed. Winkelmann, voll. 2, Innsbruck 1880-85. Per i trattati internazionali oltre la raccolta di J. Du Mont, J. Rousset, W. Werk, F. de Martens, vedi Ph. A. G. v. Meyer, Corpus juris Confederationis Germanicae, 3ª ed., Francoforte 1858-69 e il giornale ufficiale Confederationis Germanicae, 3ª ed., Francoforte 1858-69 e il giornale ufficiale BUndesgesetzblatt d. Norddeutschen Bundes, 1867-70; poi Reichsgesetzblatt, con indice (1867-1929) di B. Dehlinger.

Storie generali. - K. W. Nitzsch, Gesch. d. deutschen Volkes bis zum Augsburger Religionsfrieden, voll. 3, 2ª ed., Lipsia 1892; K. Lamprecht, Deutsche Geschichte, voll. 12, 4ª ed., Berlino 1902-04; Th. Lindner, Gesch. d. deutscchen Volkes, voll. 2, Stoccarda 1894 (formano porta della sua Wettgeschichte); D. Schäfer, Deutsche Geschichte, voll. 2, 9ª ed., Jena 1922; K. Brandi, Deutsche Geschichte, 3ª ed. 1923; A. v. Hofmann, Das deutsche Land und die deutsche Geschichte, voll. 3, 2ª ed., Stoccarda 1930; id., Politische Geschichte der Deutschen, voll. 5, Stoccarda 1921-28; J. Haller, Die Epochen der deutschen Geschichte, Stoccarda e Berlino 1931.

Su singoli problemi di carattere generale: D. Schäfer, Deutschland zur See, 2ª ed., Jena 1897; K. Kampe, Italien und Deutschland im Wandel der Zeiten (in Hist. Zeitschrift, CXXXIV, 1926); H. Stegemann, Der Kampf an dem Rhein. Das Stromgebiet d. Rheins im Rahmen d. grossen Politik und im Wandel d. Kriegsgeschichte, Stoccarda 1931; J. Haller, Tausend Jahre deutsch-französischer Beziehungen, 2ª ed., Stoccarda 1921.

Per la storia del sentimento nazionale: F. G. Schultheiss, Geschichte des deutschen Nationalgefühls (fino all'interregno), Monaco 1894; P. Joachimsen, Vom deutschen Volk zum deutschen Staat. Eine Geschichte des deutschen Nationalbewusstseins, 2ª ed., Lipsia 1920; J. Kaerst, Das geschichtliche Wesen und Recht der deutschen nationalen Idee, Monaco 1916; J. Jastrow, Geschichte des deutschen Einheistraumes und seiner Erfüllung, 4ª ed., Berlino 1891; J. Ficker, Das deutsche Kaiserreich in seinen universalen und nationalen Beziehungen, 2ª ed., Innsbruck 1862; H. v. Sybel, Die deutsche Nation und das Kaiserreich, Düsseldorf 1862 (con la replica di J. Ficker, Deutsches Königtum und Kaisertum, Düsseldorf 1862); F. Kampers, Vom Werdegange der abendländischen Kaisermystik, Lipsia 1924.

Per il Medioevo: Storia generale: G. Richter e H. Kohl, Ann. d. deutschen Gesch. im Mittelalter v. der Gründung des Fränkischen Reichs bis zum Untergang d. Hohenstaufen (fino al 1137), con le sezioni I, II, i e 2; III, 1 e 2, Halle 1873 segg.

Per l'età moderna: l'opera decisamente cattolica di J. Janssen, Gesch. d. deutschen Volkes seit dem Ausgange des Mittelalters, voll. 8, Friburgo, dal 1878 (ora i voll. I-III nella 18ª ed., voll. 4-6 nella 16ª, 7-8 nella 14ª, curati da L. v. Pastor); F. Meinecke, Weltbürgertum und Nationalstaat. Studien zur Genesis des deutschen Nationalstaats, 7ª ed., Monaco 1928 (in trad. it. voll. 2 Perugia 1929).

Per la cosiddetta "Kulturgeschichte": v. la rivista Arhiv für Kulturgeschichte, ed. da G. Steinhausen e da W. Goetz, dal 1903; fonti in N. Reichmann, I. Schneider, W. Hofstaetter, Ein Jahrtausend deutscher Kultur (800-1800), voll. 3 (il I in 3ª ed.), Lipsia 1924-25; fra gli studî: J. Scherr, Deutsche Kultur- und Sittengeschichte, voll. 3, nuova ed., Lipsia 1922; id., Germania, Zwei Jahrtausende deutschen Lebens kulturgeschichtlich geschildert, 6ª ed., Stoccarda 1905; G. Freytag, Bilder aus der deutschen Vergangenheit, voll. 5 (ed. curata da G. v. Below e E. Brandenburg), Lipsia 1924; G. Steinhausen, Gesch. der deutschen Kultur, 3ª ed., Lipsia 1929; G. Grupp, Kulturgeschichte des Mittelalters, voll. 4, 2ª ed., Paderborn 1907-1914; Monographien zur deutschen Kulturgesch., ed. da G. Steinhausen (2ª ed., col titolo Die deutschen Stände in Einzeldarstellungen, Jena 1929); Fr. Seiler, Die Entwicklung der deutschen Kultur im Spiegel des deutschen Lehnworts, voll. 5, Halle 1895-21 (il vol. I in 2ª ed., 1905).

Sulle città: M. Weber, Die Stadt (nel suo vol. Wirtschaft und Geschichte, tre volumi del Grundriss der Sozialökonomik, III, Tubinga 1922); K. Hegel, Städte und Gilden d. germanischen Völker im Mittelalter, voll. 2, Lipsia 1891; S. Rietschl, Untersuchungen z. Gesch. d. deutschen Städtverfassung, Lipsia 1905; G. v. Below, Zur Entstehurg der deutschen Stadteverfassung (in Hist. Zeitschr. 58-59, 1887-88), R. Sohm, Die Entstehung d. deutschen Städtwesens, Lipsia 1890; S. Rietschel, Markt und Stadt in ihren rechtlichen Verhältnissen, Lipsia 1897; K. Hegel, Entstehung des deutschen Städtwesens, Lipsia 1898; G. v. Below, Die städtische Vrewaltung des Mittelalters als Vorbild der späteren Territorialverwaltung (in Hist. Zeitschr., 75, 1895).

Per la storia economica: le riviste: Jahrbücher für Nationalökonomie und Statistik, Jena 1863 segg.; Zeitschrift (poi Vierteljahrsschrift) für Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, Stoccarfda 1893 segg.; Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, Tubinga 1888 segg. Poi K. Th. v. Inama-Sternegg, Deutsche Wirtschaftsgeschichte, 3 parti in 4 voll., Lipsia 1879-1901; K. Lamprecht, Deutsches Wirtschaftsleben im Mittelalter, 3 parti in 4 voll., Lipsia 1886; W. Sombart, Der moderne Kapitalismus, voll. 3 (il vol. I nella II ed., 1916-22, il III in 2 parti), Monaco e Lipsia 1902-27; Th. v. der Goltz, Gesch. der deutschen Landwirtschaft, voll. 2, Stoccarda 1902-03; per il commercio H. Simonsfeld, Der Fondaco dei Tedeschi in Venedig und die deutsch- venetianischen Handelsbeziehungen, voll. 2, Stoccarda 1887; A. Schulte, Gesch. des mittelalterliche Handels und Verkehrs zwischen Westdeuschland und Italien mit Ausschluss von Venedig, voll. 2, Lipsia 1900.

Per la storia religiosa: Germania sacra. Die deutschen Dome, Klöster und Stadtkirchen in Geschichte und Kunst, ed. da J. Baum e M. Hartig, voll. 6, Augusta 1923 segg.; Germania Sacra. Histor.-statistische Darstellung der deutschen Bistümer, Dom-Kapitalien, Kollegiat- und Pfarrkirchen, Klöster und kirchlichen Institute, Berlino 1929 segg.; Germania pontificia sive Repertorium privilegiorum et litterarum a Romanis pontificibus ante annum 1198 concessorum, raccolto da A. Brackmann, Berlino 1910 segg. (finora voll. 2 in 2 parti). Fra le riviste che riguardano specificamente la Germania: Allgemeines Kirchenblatt für das evangelische Deutschland, dal 1851; Archiv für katholisches Kirchenrecht mit besonderer Rücksicht auf Deutschland, Oesterreich-Ungarn und die Schweiz, dal 1857. Fra i trattati, fondamentale A. Hauck, Kirchengeschichte Deutschlands, voll. 5 (il 5° in 2 parti), Lipsia 1887-1920 (i primi 4 voll., in 4ª ed., 1904-13); Evangelische Kirchenkunde. Das kirchliche Leben der deutsch-evangel. Landeskirchen, ed. da P. Drews, ora da M. Schian, voll. 7, Tubinga 1902-19; R. Rocholl, Gesch. der evang. Kirche in Deutschland, Lipsia 1896; Fr. Uhlhorn, Gesch. der deutsch-luther. Kirche (1517-1910), voll. 2, Lipsia 1911.

Per la storia della colonizzazione: A. Zimmermann, Geschichte der deutschen Nationalpolitik, Berlino 1914; M. Townsend, The rise and fall of Germany's Colonial Empire, New York 1930.

Per le antichità germaniche preromane: O. Schrader, Reallexikon der indogermanischen Altertumskunde, Strasburgo e Berlino 1917-29; O. Tiebiger e L. Schmidt, Inschriftensammlung zur Gesch. d. Ostgermanen (Denkschr. d. k. Akad. d. Wissensch., Vienna 1917, LX); E. Wahle, Die Besiedlung Südwestdeutschlands in vorrömischer Zeit nach ihren natürl. Grundlagen, Francoforte 1921; id., Vorgeschichte des deutschen Volkes, Ein Grundriss, Lipsia 1924; G. Schwantes, Aus Deutschlands Urgeschichte, Lipsia 1926; F. Dahn, Urgeschichte der german. u. roman. Völker, voll. 4, Berlino 1880-89; L. Schmidt, Allgem. Gesch. d. german. Völker bis z. Mitte des sechsten Jahrh., Berlino 1909; id., Gesch. der german. Frühzeit. Der Entwickelungsgang d. Nation bis zur Begründung d. fränkischen Universalmonarchie durch Chlodovech, Bonn 1925; G. Steinhausen, Germanische Kultur in der Urzeit., Lipsia 1927; K. Müllenhoff, Deutsche Altertumskunde, voll. 5, 2ª ed., Berlino 1920; F. Kaufmann, Deutsche Altertumskunde, voll. 2, Monaco 1913-23; E. Norden, Die germanische Urgeschichte in Tacitus Germania, Lipsia 1920; G. Neckel, Germanen und Kelten. Histor.-linguist. rassenkundliche Forsch. u. Gedanken zur Geisterkrisis, Heidelberg 1929.

Per l'epoca romana: Th. Mommsen, Le provincie romane da Cesare a Diocleziano, trad. di E. De Ruggiero, Roma 1887-1890; A. Riese, s.v. Germania, in E. De Ruggiero, Diz. epigrafico; E. Sadée. Römer u. Germanen, voll. 2, Berlino 1911; F. Cramer, Röm.-germanische Studien, Breslavia 1913; F. Koepp, Römer in Deutschland, Bielefeld 1926; per il Limes, le copiose pubblicazioni sui diversi castelli della Roem.-Germanische Kommission; di questa stessa: Germania Romana; ein Bilder-Atlas, 2ª ed. Bamberga 1924-1930; per l'arte: E. Espérandieu, Recueil général des bas-reliefs, statues et bustes de la Germanie romaine, Parigi-Bruxelles 1931; J. Colin, Les antiquités romaines de la Rhénanie, Parigi 1927; S. Ferri, Arte romana sul Reno, Milano 1931; per le varie regioni, F. Hertlein-O. Paret, Die Römer in Württemberg, Stoccarda 1928-1932 (in continuazione); Fr. Wagner, Die Römer in Bayern, Monaco 1928, ecc.

Per l'epoca delle trasmigrazioni: L. Schmidt, Die germanischen Reiche d. Völkerwanderungen, Lipsia 1918; J. Bühler, Die Germanen in den Völkerwanderungen, Lipsia 1922; A. Dopsch, Wirtschaftliche und soziale Grundlagen der europäischen Kulturentwicklung aus d. Zeit von Cäsar bis an Karl den Grossen, voll. 2, 2ª ed., Vienna 1923-24; F. Dahn, Die Könige der Germanen, voll. 11, Lipsia 1861-1909; H. v. Sybel, Entstehung des deutschen Königstums, 2ª ed., Francoforte 1881.

Per l'età franca (fino al 911): H. Timerding, Die christliche Frühzeit Deutschlands in den Berichten über die Bekehrer, voll. 2, Jena 1929; H. v. Schubert, Geschichte d. christl. Kirche im Frühmittelalter, voll. 2, Tubinga 1918-21; H. Bartels, Die Anfänge d. Christentums in Deutschland, Lipsia 1926; F. W. Schaafhausen, Der Eingang d. Christentums in das deutsche Wesen, I, Jena 1929; v. sotto le voci colombano; bonifacio; E. Mühlbacher, Deutsche Gesch. unter den Karolingern, Stoccarda 1896; v. sotto la voce pipino; carlomagno, ecc.; E. Dümmler, Gesch. d. ostfränk. Reiches, voll. 2, Berlino 1862, 2ª ed. in 3 voll., Lipsia 1887-88.

Per l'epoca fino alla caduta degli Svevi: W. v. Giesebrecht, Gesch. d. deutschen Kaiserzeit, voll. 5 (il 6° continuato da B. v. Serrison) I-III, 5ª ed., Lipsia 1881-90; il IV nella 2ª, Brunswick 1877, il V nella 1ª, Brunswick 1888; J. Haller, Das altdeutsche Kaisertum, Stoccarda 1926; K. Hampe, Herrschergestalten des deutschen Mittelalter, Lipsia 1927; id., Deutsche Kaisergesch. in der Zeit der Salier und Staufer, 2ª ed., Lipsia 1912; P.E. Schramm, Kaiser, Rom und Renovatio. Studien und Texte zur Gesch. d. röm. Erneuerungsgedankens v. Ende d. karoling. Reiches b. z. Investiturstreit, Lipsia 1929; F. Schneider, Rom u. Romgedanke im Mittelalter. Die geistigen Grundlagen der Renaissance, Monaco 1926; G. v. Below, Die italienische Kaiserpolitik des deutschen Mittelalters mit besond. Hinblick auf die Politik Friedrich Barbarossas, Monaco 1927; A. Hofmeister, Die nationale Bedeutung der mittelalterl. Kaiserpolitik, Greifswald 1923; B. Schmeidler, Deutschl. u. Europa im Mittelalter, in Preuss. Jahrbücher, CCXVII, 1929; A. Hofmeister, Der Kampf an die Ostsee vom 9-12. Jahrh., Greifwald 1931; W. Kienast, Die deutschen Fürsten im Dienste d. Westmächte bis z. Tode Philipps des Schönen v. Frankreich, voll. 2, Utrecht, 1924-31. V. sotto i nomi dei singoli imperatori e alle voci: papato; impero; borgogna; italia; bizantina civiltà; crociate; normanni; polonia; investitura, Lotta delle; teutonico, ordine.

J. Jastrow e G. Winter, Deutsche Geschichte im Zeitalter der Hohenstaufen, voll. 3, Berlino 1897-1901; P. Scheffer-Boichorst, Zur Gesch. des 12 u. 13 Jahrh. Diplomatische Studien, Berlino 1897 (fasc. 8 degli Historische Studien di E. Ebering); F. W. Schirrmacher, Die letzten Hohenstaufen, Gottinga 1871; G. Wendt, Die Germanisierung der Länder östlich d. Elbe, 1ª ed., Liegnitz 1911; D. N. Jegorow, Die Kolonisation Mecklenburgs im 13 Jahrh., trad. dal russo, voll. 2, Breslavia 1930; E. v. Schulze, Die Kolonisierung und Germanisierung d. Gebiete zwischen Saale und Elbe, Lipsia 1896; A. Werminghoff, Der Hochmeister des deutschen Ordens und das Reich bis z. Jahre 1525, in Hist. Zeitschr., 110.

Per l'epoca dagli Hohenstaufen alla Riforma: O. Lorenz, Deutsche Gesch im 13. un 14. Jahrh., voll. 2, Vienna 1863-67; E. Michael, Gesch. des deutschen Volkes vom 13. Jahrh. bis zum Ausgang des Mittelalters, voll. 6, Friburgo 1897-1915; I. Kempf, Gesch. des deutschen Reiches während des Grossen Interregnums, 1245-1273, Würzburg 1893; A. Leroux, Recherches critiques sur les relations politiques de la France avec l'Allemagne de 1291 à 1378, Parigi 1882; O. Redlich, Rudolf v. Habsburg, Innsbruck 1903; F. W. E. Rosh, Gesch. d. römischen Königs Adolf I von Nassau, Wiesbaden 1879; A. Hessel, Jahrbücher des deutschen Reichs unter König Albrecht von Habsburg, Monaco 1931; Fr. Schneider, Kaiser Heinrich VII, voll. 3, Greiz e Lipsia 1924-28; E. Werunsky, Gesch. Kaiser Karls IV, und seiner Zeit, voll. 3, Innsbruck 1880-92; H. Friedjung, Kaiser Karl IV und sein Anteil am geistigen Leben seiner Zeit, Vienna 1876; v. Kraus e K. Kaser, Deutsche Gesch. im Ausgange d. Mittelalters, 1438-1519, voll. 2, Stoccarda 1888-1912; Th. Lindner, Gesch. des deutschen Reiches unter Kaiser Wenzel, voll. 2, Brunswick 1875-80; M. Sauerbrey, Die ital. Politik König Sigmunds, 1400-13, Halle 1894; O. Schiff, König Sigmunds italienische Politik, Francoforte 1909; G. Beckmann, Der Kampf König Sigmunds gegen die werdende Weltmacht der Osmanen 1392-1437, Gotha 1902; F. v. Bezold, Zur Gesch. des Hussitentums, Monaco 1874; id., König Sigmund u. die Reichskriege gegen die Hussiten, voll. 3, Monaco 1872-77; A. Bachmann, Deutsche Reichsgesch. im Zeitalter Friedrich III und Maximilian I, voll. 2, Lipsia 1884-94; H. Ulmann, Kaiser Maximilian, voll. 2, Stoccarda 1884-91; M. v. Wolff, Die Beziehungen Kaiser Maximilians zu Italien, 1494-1508, Innsbruck 1907; B. Gebhardt, Die gravamina der deutschen Nation gegen den römischen Hof, Breslavia 1845; J. Hashagen, Staat und Kirche vor der Reformation, Essen 1931; D. Schäfer, Die Hanse, 1ª ed., Bielefeld 1903, 3ª ed., 1925; H. Spangenberg, Vom Lehnstaat zum Ständestaat, Beiträge zur Entstehung der landständ. Verfassung, Monaco 1912; F. v. Bezold, Das Bündnisrecht der deutschen Fürsten bis z. westf. Frieden, Bonn 1904; E. Molitor, Die Reichsreformbestrebungen des 15. Jahrh. bis zum Tode Kaiser Friedrich des III, Breslavia 1921; K. Kaser, Politische und soziale Bewegungen im deutschen Bürgertum zu Beginn des 16. Jahrh., Stoccarda 1894; A. Werminghoff, Nationalkirchliche Bestrebungen im deutschen Mittelalter, in Kirchenrechtl. Abhandlungen, LXI, Stoccarda 1910; C. Ullmann, Reformatoren vor der Reformation, vornehmlich in Deutschland und den Niederlanden, voll. 2, 2ª ed., Gotha 1866; H. Hermelink, Die religiösen Reformbestrebungen des deutschen Humanismus, Tubinga 1907; R. Stadelmann, Vom Geist des ausgehenden Mittelalters. Studien zur Gesch. der Weltanschauung v. Nikolaus Cusanus bis Sebastian Franck, Halle 1929; E. Hennig, Päpstliche Zehnten aus Deutschland im Zeitalter des Avignon Papsttums und während d. grossen Schismas, Halle 1909; E. Gothein, Polit. ut. relig. Volksbewegungen vor der Reformation, Breslavia 1878; M. Maisch, Religiös-soziale Bilder aus der Gesch. d. deutschen Bürgertums, Lipsia 1893; G. v. Buchwald, Deutsches Geistleben im endenden Mittelalter, voll. 2, Kiel 1885-87; J. Bühler, Das deutsche Geistesleben im Mittelalter, nach zeigenöss. Quellen, Lipsia 1927; K. Burdach, Vom Mittelalter zur Reformation, Forsch. zur Gesch. der deutschen Bildung, Halle 1894 segg. (uniti i voll. 22, 1-5; III, 1-2; V, VI, i, Berlino 1912-30. Per l'età della Riforma e Controriforma (1517-1648): Repertorio delle fonti in G. Wolf, Quellenkunde der deutschen Reformationsgeschichte, voll. 4, Gotha 1915-23; F. Schnabel, Deutschlands geschichtliche Quellen und Darstellungen der Neuzeit, I (1500-1550), Lipsia e Berlino 1931. Fra le riviste e collezioni speciali: Archiv für Reformationsgesch., dal 1903; Studien zur Kultur und Gesch. der Reformation, dal 1911. Per gli studî, oltre alle opere qui indicate, v. riforma e controriforma, specialmente per l'aspetto strettamente religioso, e sotto i nomi dei principali uomini della Riforma e Controriforma: L. v. Ranke, Deutsche Gesch. im Zeitalter der Reformation, in Sämtl. Werke, I-VI, Lipsia 1867-81 e nell'ed. critica di F. Joachimsen, voll. 5 Monaco 1925; F. v. Bezolde, Geschichte der deutschen Reformation, Berlino 1890; id., Staat und Geselslchaft im Reformationszeitalter, in Kultur der Gegenwart, II, v, i, Berlino e Lipsia 1908; G. Egelhaaf, Deutsche Geschichte im 16. Jahrhundert bis zum Augsburger Religionsfrieden, voll. 2 (nella Bibl. deutscher Gesch.), Stoccarda 1887-92; G. Mentz, Deutsche Gesch. im Zeitalter der Reformation, Gegenreformation und des dreissigjährigen Krieges (1493-1648), Tubinga 1913; K. Brandi, Deutsche Reformation und Gegenreformation, voll. 2, Lipsia 1927-30; G. De Leva, Storia documentata di Carlo V, voll. 5, Venezia, Padova, Bologna 1863-93; H. Baumgarten, Gesch. Karls V., voll. 3 (fino al 1539), Stoccarda 1885-92; E. Armstrong, The emperor Charles V, voll. 2, Londra 1902; W. Stolze, Der deutsche Bauernkrieg. Untersuchungen über seine Entstehung und sein Verlauf, Halle 1908; F. Hartung, Karl V. und die deutschen Reichsstände, Halle 1910; L. v. Ranke, Zur deutschen Gesch. Vom Religionsfrieden bis zum 30. jähr. Krieg (in Sämtl. Werke, VII); M. Ritter, Deutsche Gesch. im Zeitalter der Gegenreformation und des 30 jähr. Krieges, voll. 3, Stoccarda 1889-1908; G. Wolf, Deutsche gesch. im Zeitalter der Gegenreform., voll. 2 (fino al 1555), Berlino 1899-1908; E. Gothein, Staat u. Gesellschaft des Zeitalters der Gegenreform. (in Die Kultur der Gegenwart), anche in trad. ital., Venezia 1928; R. Holtzmann, Kaiser Maximilian II bis zu seiner Thronbesteigung (1527-64), Berlino 1903; V. Bibl, Maximilian II., der rätselhafte Kaiser, Hellerau 1929; A. Baudrillart, La polit. d'Henry IV en Allemagne, in Revue de questions hist., XXXVII, 1902; A. Gindely, Gesch. des dreissigjähr. Krieges, voll. 3, Lipsia 1882-84.

Per l'epoca dell'ssolutismo, oltre che sotto le voci dei singoli stati, specialmente prussia; baviera; sassonia, e dei singoli sovrani, v. B. E. Erdmannsdörffer, Deutsche Gesch. vom westfälischen Frieden bis zum Regierungsantritt Friedrichs des Grossen, voll. 2, Berlino 1892-93; H. v. Zwiedineck-Südenhorst, Deutsche Gesch. im Zeitalter der Gründung des preussischen Königtums, voll. 2, Stoccarda 1890-94; B. Auerbach, La France et le Saint Empire Romain Germanique depuis la paix de Westphalie jusqu'à la Révolution Française, in Bibl. de l'École des Hautes Études, CXCVI, 1912; H. Kiefl, Leibniz. Der europäische Freheitskampf gegen die Egemonie Frankreichs auf geistl. und polit. Gebiet, Magonza 1913; G. Küntzel, Die drei grossen Hohenzollern und der Aufstieg Preussens im 17. u 18 Jahrh., Stoccarda 1922; M. Philippson, Der grosse Kurfürst, Fr. Wilhelm von Brandenburg, voll. 3, Berlino 1897-1903; A. Waddington, Le Grand Électeur, sa politique extérieure 1640-1688, vol. 2, Parigi 1905-08; G. Pagès, Le Grand Électeur et Louis XIV, 1666-88, Parigi 1905; W. Oncken, Das Zeitalter Friedrichs des Grossen, voll. 2, Berlino 1880-82; A. Dove, Das Zeitalter Friedrichs des Grossen u. Joseph II., Gotha 1883; L. v. Ranke, Zur Gesch. v. Österreich und Preussen zwischen den Friedensschlüssen von Aaechen und Hubertsburg (Sämtliche Werke, XXX), Lipsia 1875; W. Dilthey, Das XVIII. Jahrh. und die geschichtliche Welt, in Gesammelte Schriften, III, Lipsia 1927; L. v. Ranke, Friedrich II. König von Preussen, in Sämtl. Werke, 51 e 52; R. Koser, König Friedrich der Grosse, voll. 2, 7ª ed., Berlino 1925; W. Dilthey, Friedrich der Grosse und die deutsche Aufklärung, in Gesammelte Schriften, III, Lipsia 1927; R. Waddington, La guerre des sept ans, voll. 5, Berlino 1899-1914; L. v. Ranke, Die deutschen Mächte und der Fürstenbund, Deutsche Gesch. v. 1780-1790, voll. 2, Lipsia 1871-72 (Sämtliche Werke, XXXI-XXXII); H. v. Sybel, Gesch. des Revolutionszeit, 2ª ed., voll. 5, Francoforte 1882; A. Sorel, L'Europe et la Révolution Française, voll. 8, Parigi 1885-1905; J. M. Kircheisen, Napoleon I., sein Leben und seine Zeit (finora voll. 7), Berlino 1911-30; E. Driault, Napoléon et l'Europe. Politique extérieure, voll. 5, Parigi 1910-27; K. Th. v. Heigel, Deutsche Gesch. vom Tode Friedrichs d. Grossen bis zur Anflösung des alten Reichs, voll. 2, Stoccarda 1890-1911; G. P. Gooch, Germany and the French revolution, Londra 1920; H. Hüffer, Diplomatische Verhandlungen aus der Zeit der französ. Revolution, voll. 2, Bonn 1869-79 (con un vol. di supplemento, Münster 1869); H. v. Srbik, Das österreichische Kaisertum und das Ende des heiligen röm. Reiches, 1804-1806, Berlino 1927; A. Rambaud, La domination française en Allemagne, voll. 2, Parigi 1873-74; J. Venedey, Die deutschen Republikaner unter d. franz. Republik, Lipsia 1870; L. Tümpel, Entstehung des brandenb.-preuss. Einheitstaates im Zeitalter der Absolutismus, 1609-1806, vol. 124 della Untersuchungen zur deutschen Staats-und Rechtsgesch., edita da O. Gierke, Breslavia 1915; M. v. Boehn, Deutschland im 18. Jahrh. Das heilige röm. Reich deutscher Nation, Berlino 1921; A. Rapp, Der deutsche Gedanke, seine Entwicklung im politischen und geistigen Leben seit dem 18. Jahrh., Bonn 1920; E. Troeltsch, Protestantisches Christentum und Kirche in der Neuzeit, in Die Kultur der Gegenwart, I, iv, 2ª ed., Berlino e Lipsia 1922; F. X. Funk, Kathol. Christentum und Kirche in der Neuzeit, ibid.; A. Ritsch, Gesch. d. Pietismus, voll. 3, Bonn 1880-86; E. Heimpel Michel, Die Aufklärung. Eine hist.-system. Untersuchung, Langensalza 1928; H. Schmid, Gesch. der kathol. Kirche Deutschlands von der Mitte des 18. Jahrh. bis in deutschen Landen, Münster 1929; W. Dilthey, Studien zur Gesch. des deutschen Geistes, in Gesammelte Schriften, III, Berlino 1927; E. Cassirer, Freiheit und Form. Studien zur deutschen Geistergesch., Berlino 1917.

Per l'epoca dal 1806 al 1871; G.G. Gervinus, Geschichte des 19. Jahrh. seit dem Wiener Vertrage, voll. 8, Lipsia 1855-66; C. Bulle, Gesch. der neuesten Zeit, 1815-85, voll. 4, 2ª ed., Lipsia 1886-87; A. Stern, Gesch. Europas seit den Verträgen v. 1815 bis zum Frankfurter Frieden von 1871, voll. 10, Stoccarda 1899-1924 (i voll. I-IV in 2ª ed., Lipsia 1886-87; A. Stern, Gesch. Europas seit den Verträgen v. 1815 bis zum Frankfurter Frieden von 1871, voll. 10, Stoccarda 1899-1924 (i voll. I-IV in 2ª ed., id. 1913-21); F. Schnabel, Deutsche Gesch. im 19. Jahrh. I. Die Grundlagen (fino al 1815), Friburgo 1929; A. Ward, Germany, 1815-90, voll. 3, Cambridge 1916-18; H. v. Zwiedineck-Südenhorst, Deutsche Gesch. v. der Auflösung des alten bis zur Gründung des neuen Reiches, voll. 2, Stoccarda 1897-1905; H. v. Treitschke, Deutsche Gesch. im 19. Jahrh., voll. 5 (fino al 1848), Lipsia 1879-94; G. Egelhaaf, Gesch. d. 19. 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Ford, Stein and the era of reform in Prussia, Princeton 1922; v. poi sotto i nomi di stein; metternich; hardenberg, ecc.; F. Meinecke, Weltbürgertum und Nationalstaat, 7ª ed., Berlino 1927; id., Das Zeitalter d. deutsch. Erhebung, Bielefeld 1924; id., Preussen u. Deutschland im 19. u. 20. Jahrh., Monaco 1914; trad. it., voll. 2, Perugia 1929; L. F. Ilse, Gesch. der deutschen Bundesversammlung, voll. 3, Marburgo 1861-62; L. v. Ranke, Restauration und Julirevolution, zur franz. und deutschen Gesch. von 1815 bis 1836. Aufsätze aus der hist.-polit. Zeit, in Sämmtl. Werke, 49-50; V. Valentin, Frankfurt am Main und die Revolution 1848-49, Stoccarda 1908; K. Binding, Der Versuch des Reichsgründung durch die Paulskirche, 1848-49, Lipsia 1892; L. Bergsträsser, Die Verfassung des deutschen Reichs v. 1849, Bonn 1913; J. Hohelfeld, Deutsche Reichsgeschichte in Dokumenten (1849-1925), voll. 2, 1927; G. Brünnert, Das Erfurter Unionsparlament 1850, Erfurt 1913; L. v. 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Lingua.

La lingua nazionale, letteraria e ufficiale dell'intera Germania, della Repubblica Austriaca e di gran parte della Svizzera, estesa pure o come unità linguistica o come complesso dialettale a zone periferiche e a numerose isole dialettali in terre alloglotte, è il tedesco (deutsch). Questo aggettivo, derivato da un sostantivo germanico indicante "popolo" (got. thiuda, anglos. théod, ant.-alto-ted., diota) arrivò al significato attuale lentamente, dopo essere stato usato in quello religioso di gentilis "pagano"; esso perciò fu adoperato in origine anche per altre lingue germaniche, non tedesche (anglosassone). Più vicino a quest'ultima che al tedesco è il frisone (v.). Fa invece geneticamente parte del gruppo dialettale basso-tedesco (b. t.) l'olandese (v.), che s'è svolto in una lingua letteraria appartata. I due concetti di lingua nazionale e di complesso dialettale tedesco, non coincidono; il primo è più circoscritto del secondo.

La storia della lingua tedesca si suole dividere nei tre periodi: tedesco antico (altdeutsch), secoli VI-X; tedesco medio (mitteldeutsch), secoli XI-XIV, e tedesco moderno (neudeutsch). Una distinzione precisa è naturalmente impossibile; in realtà i secoli X e XI preparano il passaggio al medio tedesco, nei secoli XIV-XV e nella prima parte del seguente si attua sostanzialmente il trapasso al tedesco moderno. Nel primo periodo la lingua si forma sotto l'influsso del latino; nel secondo è sensibilissimo quello della cultura cavalleresca francese; nel terzo il tedesco letterario conquista la bassa Germania, raggiunge con Lutero la sua unità interna, si affina nel contrasto con l'influsso straniero e raggiunge nel sec. XVIII la fase letteraria attuale.

Periodo antico tedesco. - Delle quattro grandi schiatte che formavano il gruppo germanico occidentale (v. germanici, popoli: Lingue) i Frisoni non appartengono al gruppo tedesco; i Sassoni mantengono più a lungo la loro indipendenza, mentre i Franconi estendono all'inizio del sec. VI la loro preponderanza politica sui rappresentanti della quarta schiatta, gli Alemanni, i Turingi e Baiuvari. Questo nesso politico fece sì che un'importante innovazione linguistica, sorta nella pianura subdanubiana, dove i Baiuvari e gli Alemanni si fusero con le popolazioni non germaniche latinizzate, lo "spostamento (o mutazione o rotazione) consonantico alto-tedesco" (hochdeutsche Lautverschiebung), che segue allo spostamento consonantico germanico (germanische Lautverschiebung), si estendesse anche al dominio francone.

Essa consiste nel passaggio delle occlusive sorde germaniche (p, t, k) in posizione iniziale e postconsonantica ad affricate (pf, tz, kch: got. paida, antico alto-ted. (= a. a. t.) pfeit "vestito"; got. tainks, a. a. t. zeichan "segno"; got. kaisar, a. a. t. cheisar "imperatore"), in posizione intervocalica alle spiranti (ff, zz, ch: got. greipan, a. a. t. grîffan "afferrare"; got. letan, a. a. t. lâzzan "lasciare"; got. ik, a. a. t. ih "io"). Egualmente le spiranti sonore ???, đ, ??? e giungono attraverso le occlusive sonore b, d, g alle corrispondenti sorde (got. briggan, a. a. t. pringan "portare"; got. diups, a. a. t. tiof "profondo"; got. giban, a. a. t. kepan "dare"). Questa mutazione si svolse integralmente solo nel bavarese antico. Già il francone orientale di Bamberga e Norimberga ignora lo sviluppo di b, g a p, k e non sposta k a kch, ch; più a NO., il francone del Reno e del Meno conserva normalmente anche il d e, nel tratto più settentrionale non svolge p a pf. Nel francone ripuario (Colonia) dat, wat, allet dimostrano che la rotazione non colpì il t; e il ??? germ. non si evolve a p, ma a v.

Con gli ultimi tratti dello spostamento consonantico antico-altotedesco arriviamo al limite del territorio medio-tedesco e alto-tedesco di fronte al basso-tedesco: il confine meridionale del vecchio ducato sassone e di qui una linea in direzione nord-ovest che attraversa la Franconia, taglia il Reno a Düsseldorf e ad Aquisgrana, raggiunge la frontiera linguistica, separa dialettalmente la Germania settentrionale dalla centro-meridionale.

È qui da osservare - e ciò spiega la prevalenza del gruppo meridionale sul basso-tedesco nello sviluppo della lingua nazionale - che, anche più tardi, le più importanti innovazioni partono dalla Baviera. Qui è l'epicentro della dittongazione di î, û a ei, au (mîn hûs = mein Haus; secolo XIII). Meridionale è pure la tendenza a sopprimere l'e atona finale dei parossitoni [Asch(e), Ruh(e), Ochs]. Il basso-tedesco precede il bavarese nell'allungamento delle toniche brevi in sillaba aperta, ma mantiene la breve in sillaba chiusa (schipp "nave", dach "giorno"), mentre l'altotedesco, ma specialmente il bavarese, allunga le brevi anche negli ossitoni che terminano in consonante e perfino in gruppi consonantici (bavarese trūz per il letterario "Trotz", khöpf per Kŏpf, ecc.); la lingua letteraria ha condizioni intermedie.

Dopoché i Franchi s'insediarono nella Gallia romana, il tedesco ebbe la sua culla alla corte merovingica. Chilperico I (morto nel 589) introduce nell'alfabeto latino quattro segni (â, ô, th, w) per rendere possibile la trascrizione di vocaboli tedeschi; nella stesura del dirito francone s'interpolano espressioni nazionali (glosse di Malberg). Alla corte di Carlo Magno s'iniziano le traduzioni del paternostro, del credo, delle formule di confessione che precedono traduzioni e rifacimenti di prediche latine. Con lo sviluppo delle scuole religiose latine cominciano, insieme con versioni interlineari, glossarî (neo)latini-tedeschi: il più noto è quello di Kassel, tramandato da un codice della fine del sec. VIII, di poco più tardo di quello importantissimo attribuito falsamente al monaco Kero (glossario keroniano). Eginardo ci attesta l'interessamento di Carlo Magno per l'epica nazionale tedesca (Hildebrandslied); al nome di Ludovico il Pio si connettono invece il lungo poema religioso bassosassone Heliand (fra l'820 e l'840), il Liber evangeliorum del francone Otfrid (Weissenburg); nel libro di preghiere di questo re fu trascritto il frammento del Muspilli (103 versi sul Giudizio universale). Ma se il centro di questa prima poesia tedesca è alla corte carolingica, il primo documento ufficioso, il tedesco dei "giuramenti di Strasburgo" (842), che dovrebbe essere redatto nella lingua aulica, non è basso-francone, ma alto-tedesco; così, astraendo da Heliand, che non è neppur esso francone, gli altri due poemi ricordati più sopra hanno tratti dialettali che inducono a credere che non solo i Carolingi non svilupparono una vera e propria lingua letteraria, ma che essi preferirono al dialetto francone quello della Germania superiore. Qui l'uso dell'alto-tedesco è evidente. Dal diritto salico si assumono inalterati i termini franconi latinizzati, ma quelli tedeschi, introdotti nel testo latino per fissare concetti giuridici, sono adattati alle condizioni fonetiche alto-tedesche; il testo della "preghiera di Wessobrunn" (Weissenbrun), del sec. IX, passando dalla Germania inferiore alla Baviera viene accomodato al dialetto regionale; del pari il frammento del Hildebrand, trascritto nell'815 da due monaci di Fulda, mantiene forme basso-tedesche in una redazione meridionale. Il monaco sangallese Notker (950-1022; v.) che addestratosi nella traduzione e nel commento di testi latini, arricchì la terminologia e snodò lo stile tedesco, si vale pure del tedesco meridionale. Non esistono dunque ancora se non dialetti letterarî, fra cui, dato il primato culturale, la Germania meridionale finisce col prevalere: una lingua letteraria manca.

Specialmente nelle zone periferiche, al di qua del Reno e del Danubio dove i contatti coi Latini furono più diuturni e profondi, l'influsso del neolatino si fa sentire. Importantissime innovazioni morfologiche si estendono in questo modo all'antico tedesco: l'articolo definito, preso dal pronome dimostrativo, e l'indefinito, preso dal numerale "uno"; il perfetto composto, derivato dall'uso perifrastico dei due ausiliari col participio passato passivo; homo (man) usato come pronome impersonale.

Che i Baiuvari abbiano appreso il caseificio dalle popolazioni latinizzate delle Prealpi settentrionali, è certo; cfr. p. es. Alm, Senne, Kaser, Käse, Molken, Schotten; l'influsso dell'agricoltura latina si manifesta p. es. negli imprestiti Sichel "falcetto" (da sicilis), a. a. t. chestinna "castagna" (da castanea, castinea), a. a. t. pfruma "prugna", Lerche "larice" (da larix-icis); quello della piscicoltura p. es. nel bav. Säg (saiga) "rete" e nel ted. Weiher, quello del vestiario p. es. nei bav. Kolze (da calceus "stivale"), Gugel (da cuculla "cocolla"); quello della cucina p. es. in Tiegel (da tegula "tegghia"), a. a. t. chuhma (da cucuma "cuccuma"), a. a. t. lâgella (da lagenula "piccola botte"), a. a. t. labal (da labellum "truogolo"), a. a. t. chessî (da catinum). La terminologia vinicola è invece in massima parte derivata dal latino del Reno, della Mosa e della Mosella; cfr. p. es. Wein, Most, Keller, Kelter, a. a. t. impfiton (dal b. lat. impotare) "innestare". Anche la terminologia religiosa tedesca risale sostanzialmente alla latina. Quando non si adattò la voce latina, si ricorse a traduzione (Heiland, Schöpfer, bekehren, ecc.); in qualche caso fu adoperata con spostamento semantico una voce nazionale (Tugend svolge il suo significato da "valore" a "virtù" sul modello di virtus). Un filone si connette con le missioni anglosassoni: la traduzione ted. di "Spirito Santo" der wîho âtum cede il posto a der heilige Geist, anglos. sé hálga gást. Dal latino conventuale provengono la terminologia scolastica (Schule, Brief, Tinte, Pergament, lesen, schreiben) e quella di parecchie piante ornamentali.

Due importanti innovazioni nel vocalismo, il cui sviluppo durò alcuni secoli, ci portano all'ultima fase dell'antico-alto-tedesco. La metafonia (cioè l'azione esplicata sulla vocale da un i o j della sillaba seguente) svolge â ad ø lungo, a ad e, ô ad ø lungo ed o ad ø, û a iu (pronuncia ü lungo) ed u ad ü e, corrispondentemente i dittonghi au a eu e uo a üe. Precede nel tempo la metafonia di a che ricorre già nei primi testi; dove quest'azione non si esplicò fin d'allora, essa agisce a distanza di tempo, durante il periodo medio-tedesco (ä); una voce importata nel sec. XIII dal polacco, granica, passata nel medio-alto-tedesco come gränze "confine", dimostra la vitalità di questa tendenza. Alla maggiore antichità della metafonia di a corrisponde una maggiore diffusione territoriale; viceversa gran parte dei dialetti alto-tedeschi e della Slesia ignora la metafonia di u seguito da ck o da pf: per es., bav. drucken per drücken (germ. drukkjan), hupfen per hüpfen (germ. huppjan). I testi antico-alto-tedeschi non indicano, di solito, la metafonia di altre vocali, tranne a, ma criterî interni rendono probabile che questa evoluzione fosse già progredita verso la metà del sec. X. Di provenienza settentrionale è la riduzione di timbro delle atone; l'a. a. t. ëbano passa alla fine di questo periodo ad ëbene, come beri a bere "bacca", essa ad esse "fucina", klagôn, attraverso klagên, a klagen. Questa riduzione si estende lentamente verso il Sud e non ha tuttora raggiunta la zona marginale dell'alemanno (a Tage corrisponde Taga, a hölzern gilzi, a macht machot); anche il carinziano meridionale conserva per lo meno l'a finale (per es., Grata per Gräte, Zmga. per Zange). Da osservare che sia la metafonia, sia la riduzione delle atone si riscontrano (sia pure in diverse condizioni) anche in francese.

Periodo medio-tedesco. - La preponderanza culturale e letteraria francese, che si fa sentire già nel secolo XII, trionfa nella seconda metà di questo secolo con l'introduzione della vita cavalleresca. Il vocabolario tedesco assorbe in questo periodo innumerevoli elementi della nuova civiltà francese. Come i termini della vita cavalleresca (abenteuer, preis, harnisch, lanze, otte), così quelli della danza sono imprestiti dal francese (per es., govenanz, ridevanz) al pari delle denominazioni dei generi lirici (schanzün, pasturele, folâte, rundate, stampenie, ecc.). Perfino le due voci che indicano la contrapposizione della cultura cavalleresca alla vita popolare, hoevisch e doerperlich, sono calchi da courtois e vilain. Le interiezioni, le esclamazioni, le formule di saluto della società cavalleresca, sono francesi; s'introducono nuovi suffissi stranieri (m. a. t. -ie in vilanîe, prophezîe; m. a. t. -ieren, dalla desinenza dell'infinito francese -ier: feitieren, fr. ant. (af)faitier "ornare") anche nella derivazione da voci indigene (per es., buobe - buoberîe; hove - hovieren). Che in questa classe sociale fosse invalso l'uso d'introdurre frasi e proposizioni francesi nel discorso comune, è attestato dal poeta tedesco del Friuli, Tommasino dei Cerchiari, che nel suo poema didascalico der welsche gast (circa 1215) approva tale uso. Insieme col francese, ma in ben più modesta misura è il basso-tedesco occidentale che dà al medio-alto-tedesco i suoi calchi dal francese (wâpen) Wappen"; ors "Ross"; dörper "Tölpel"; hersenier "sorta di elmo" dal b. t. hersen "cervello"): la vicinanza della Francia ha fatto sì che i Paesi Bassi si risentano della vita cavalleresca francese ancor prima della Germania. Conseguenza della vita cavalleresca è la formazione di una lingua letteraria unitaria, superdialettale, di carattere alto-tedesco; essa procede parallelamente alla potenza degli imperatori della casa sveva (1138-1254).

Mentre la letteratura nel periodo degl'imperatori della casa francone 1023-1138) rimane dialettale, il poeta basso tedesco Heinrich von Veldeke, lodato da Goffredo di Strasburgo come il fondatore del nuovo stile poetico (Er impete daz erste ris - In tiutescher zunge) evita con cura nella sua Eneit le rime che sarebbero state impure nei dialetti meridionali, il che egli non fa nelle poesie minori destinate all'ambiente locale; rinunzia a espressioni dialettali, comuni nelle sue liriche, quali blîde "allegro", perché esse non sarebbero state comprese nella Germania superiore; è molto più parco di francesismi che nelle liriche, perché al suo tempo (fine del sec. XII) questi erano molto più comuni sul Basso Reno che alla corte degli Hohenstaufen e a quella di Ermanno di Turingia. Ancor più in là vanno, dopo di lui, altri poeti della Germania settentrionale che si adattano all'alto tedesco fino al punto da usare rime che sono esatte nell'alto-tedesco, ma impure nel loro proprio dialetto. La prevalenza dell'alto-tedesco sul basso-tedesco è attestata da Bertoldo di Ratisbona (morto nel 1272), secondo cui i Tedeschi del nord, parlando con quelli del sud, preferivano valersi del dialetto di questi ultimi. Nel periodo del fiore della poesia cavalleresca la tendenza a evitare rime che sarebbero state dialettali per uno dei due rami dell'alto-tedesco arriva al punto che Harmann von Aue rinunzia alla comoda rima kam: nam, perché essa sarebbe stata impura nella pronunzia bavarese (kom: nam). I motivi di questo inflessibile rigorismo che porta alla fomazione di una lingua letteraria a base alto-tedesca, ben lontana dall'uso popolare, sono molteplici: la raífinata cultura cavalleresca si allontana quant'è possibile dall'uso volgare; essa si accentra nelle corti principesche che, a loro volta, tendono a uniformarsi a quella imperiale; fra la nobiltà del Mezzogiorno e del Settentrione intercedono molteplici relazioni; i feudi e i possessi sono molto spesso ben lontani dalla patria dei feudatarî; guerre, feste, diete, tornei fanno accorrere nei punti più diversi i cavalieri di tutta la Germania. Non si dimentichi che i più importanti esponenti della poesia cavalleresca vissero in corti lontane dal loro luogo d'origine. Alla corte di Turingia convengono, oltre a Heinrich von Veldeke, i due meridionali Wolfram v. Eschenbach e Walter v. der Vogelweide; lo svevo Hartmann von Aue scrive in Franconia; il francone Corrado di Würzburg poeta a Basilea. Anche l'epica nazionale (Gudrun, Nibelungi), perfino nel sec. XII (König Rother, Rosengarten, Rabenschlacht) segue questo indirizzo: il giullare, vagante di corte in corte, si serve di una lingua interdialettale. La differenza linguistica con l'epica cavalleresca è, più che altro, di grado: la prima ammette elementi lessicali quali recke o wîgant "eroe", wine "amico", gêr "freccia", balt "coraggioso", che la seconda respinge come troppo plebei o regionali, mentre introduce espressioni nuove (in "fino", kluoc "saggio", ecc.). Soltanto la poesia religiosa del sec. XI (Frau Ava, Anno-lied, Ezzo-lied), perché anteriore a questo movimento, e il teatro popolare, hanno caratteristiche dialettali notevoli.

Più lentamente si unifica la lingua della prosa, considerata come contadinesca" (gebiursch). Le cronache, d'interesse regionale, sono stese nel dialetto letterario locale (Sachsenchronik). Più scelta è la prosa linguistica dello Schwabenspiegel e del Sachsenspiegel; è caratteristico che l'autore di quest'ultimo, Eicke von Repgowe (Reppichau, presso Dessau), si sia valso del medio-tedesco, e che soltanto i copisti vi abbiano sostituito il basso-tedesco. Alla diffusione dell'alto-tedesco negli scritti in prosa contribuirono i due grandi predicatori bavaresi Davide di Augusta (1215-1271) e Bertoldo di Ratisbona (morto nel 1272). Particolare importanza hanno i grandi maestri della mistica tedesca, Eckehart di Hochheim (Gotha, morto nel 1327) e Heinrich Seuse che, cercando di adattare la espressione linguistica alla profondità concettuale, non solo arricchirono il lessico di fortunate innovazioni (per es., Eindruck, Einfluss, gleichförmig), ma diedero impulso notevole allo stile.

La diffusione delle idee mistiche a tutta la Germania contribuì a quella d'una prosa scientifica, superdialettale, ma schiettamente alto-tedesca. Con Ludovico IV di Baviera (1314-47) s'inizia l'uso del tedesco negli atti pubblici. Se in un primo tempo i documenti cancellereschi non tradiscono la tendenza verso una lingua unitaria, ciò cambia sotto il suo successore Carlo IV di Lussemburgo, figlio del re Giovanni di Boemia. La Boemia dove s'incontrano, fino nella capitale, due dialetti, uno medio-tedesco, ma non estraneo al bavarese settentrionale, l'altro bavarese, era predestinata allo svolgimento d'una lingua cancelleresca centro-meridionale. Qui le innovazioni del vocalismo che portano dal tedesco medievale a quello moderno trovano la loro applicazione: le lunghe î, û, iu (leggi ü lungo) sono svolte ai dittonghi ei, au, eu (mîn hîts - mein Haus) - innovazione bavarese - e i dittonghi medio-alto-tedeschi ie, uo, üe sono assimilati a î, û, ü lungo (stiëge-Stiege, gruob-Grube, vrüeje-früh) - innovazione medio-tedesca. Nel consonantismo, sia pur lentamente, le voci bavaresi che presentano p per b (perchrecht Bergrecht) e ch per k (chaufhaus-Kaufhaus) vengono soppiantate dalle forme medio-tedesche con b, k. Il costante influsso di questa lingua cancelleresca, già moderna nella sua struttura fonetica, si tradisce nell'uso sempre più esteso dei dittonghi bavaresi ei, au, eu nell'ortografia di scrittori provenienti da zone dialettali estranee a questa innovazione. All'unificazione linguistica operata dalla poesia cavalleresca che tramonta alla metà del sec. XIII segue dunque una seconda tendenza unitaria, ma anch'essa estranea alla coscienza popolare.

Movimento analogo si manifesta con carattere regionale nei secoli XIV-XV nella Germania del Nord. Magdeburgo, Lubecca, Dortmund, spiegano un'azione livellatrice, effimera, perché col sec. XVI la lingua commerciale basso-tedesca cede all'alto tedesco. Essa è più interessante per le sue ripercussioni sulle lingue scandinave che per il suo debole influsso sullo sviluppo del tedesco letterario.

Periodo tedesco moderno. - Tra le forze linguistiche che, tramontata la cavalleria, instaurano contro l'uso dei dialetti letterarî un tedesco nuovo, unitario, più conforme ai tempi mutati, l'azione del tedesco cancelleresco fu ben più potente delle grammatiche (ricalcate su modelli italiani). Passata la corte a Vienna con Alberto II, specialmente per merito di Massimiliano I, coadiuvato dal cancelliere Anselmo Ziegler, il tedesco cancelleresco, invece di accentuare le caratteristiche alto-tedesche, astrae da tratti dialettali bavaresi troppo specifici. Sull'esempio di Vienna si regolano le cancellerie della Germania centrale. Alla metà del Quattrocento quella turingio-sassone accetta i dittonghi introdotti dalla cancelleria dell'Impero ed evita fonemi caratteristici per il dialetto locale (o per u, e per ei: Kleed-Kleid, e ai per eu: Laide-Leute) tuttora in uso a Meissen. L'alto-tedesco letterario è trasportato nel 1480 da Alberto di Meissen a Magonza. Questo tipo linguistico conquista anche zone basso-tedesche: la cancelleria di Halle se ne vale nel corso del sec. XV, quella di Berlino lo introduce nel 1504.

Mentre questa unificazione linguistica ha scarsa risonanza sul tedesco parlato, le corporazioni d'arti, estese e ramificate in tutta la Germania, arricchiscono il lessico di preziosi elementi. Dal gergo dei minatori entrarono nel lessico nazionale decine di vocaboli (Ausbeute, Fundgrube, Schicht, reichhaltig, ecc.); da quello dei soldati basta ricordare, fra i molti, Lärm, Ausflucht, Gelegenheit; dalla lingua forense passarono nel lessico moderno, assieme a parecchi latinismi, non solo felici traduzioni (manu tenere: "handhaben"), ma anche creazioni lessicali divenute col tempo popolari (aufschieben, entschuldigen, überzeugen). In senso unificatore agisce pure la stampa che penetra nella scuola e nella casa: i grandi editori accettano la codificazione grammaticale del tedesco e la normalizzazione della grafia. Già prima di Lutero esistono dunque le premesse per l'unificazione linguistica della Germania. Ma quello che non avevano potuto raggiungere né i poeti, né gli scienziati, né le cancellerie, perché mancava l'adesione delle masse popolari, è raggiunto dal Riformatore. Attraverso un severo lavoro autocritico di selezione, evitando gli elementi stilistici e lessicali della lingua dei dotti e delle cancellerie che gli sembravano incompatibili con una lingua popolare, scegliendo vocaboli, espressioni, costruzioni sintattiche e stilistiche chiare, precise e popolari, basandosi per la veste fonetica e ortografica sul tedesco cancelleresco della corte sassone, che nei punti essenziali combinava con quella imperiale, egli seppe dare nella traduzione della Bibbia un tedesco che si dimostrò adatto alla mentalità del suo popolo. Nella scelta della voce Lutero non rifuggì né da espressioni dialettali (Scheune, Lippe, bange, ecc.) né dalla creazione di frasi e voci nuove, né da cambiamenti semantici di termini popolari, usati traslatamente per indicare concetti filosofici (Grund passato da "fondo" a "causa"). La Riforma diffonde il tedesco di Lutero in tutta la Germania protestante; esso influenza profondamente anche le traduzioni cattoliche della Bibbia, e cessati i torbidi religiosi, spariscono le leggiere differenze dialettali che gli scrittori bavaresi dei secoli XVI-XVII mantennero artificiosamente in opposizione all'uso "luterano". "grammatici riconoscono come testo la Bibbia di Lutero (Clajus, Grammatica germanica, 1578). Per il trionfo del tedesco di Lutero basterà ricordare che la cancelleria di Meclemburgo lo adotta nel 1548 e che l'ultima traduzione basso-tedesca della Bibbia è del 1621.

Il nuovo tipo linguistico si sostenne in tempi estremamente difficili. Sull'esempio di Carlo V le corti, e non solo queste, si adattano all'asservimento alla moda e alla lingua francese. Già nel 1571 viene stampato un vocabolario tedesco di parole straniere di 250 pagine. Maestri di lingua francese sono disseminati dovunque; gli Ugonotti, cacciati di Francia dimenticano a stento la loro lingua; durante la guerra dei Trent'anni la moda francese si propaga alle classi popolari; il giovane M. Opitz protesta contro l'incuria della lingua nazionale (Aristarchus sive de contemptu linguae germanicae, 1617). La reazione letteraria si manifesta nello stesso anno con la fondazione della Fruchtbringende Gesellschaft, dovuta a Lodovico di Anhalt-Köthen, di cui fecero parte ben 800 "cruscanti". Due di essi, J. G. Schottel e Ch. Gueinze, pubblicarono nello stesso anno (1671) due grammatiche tedesche (al secondo risale in gran parte la terminologia grammaticale tedesca). I difetti di questa e altre simili società sono quelli del tempo; il grande merito sta nell'aver rinvigorito lo spirito nazionale ed enunciata la necessità di reagire all'imbarbarimento linguistico. Ph. v. Zesen (1619-89), fanatico ma calunniato avversario delle voci straniere, se creò dei termini che morirono nel ridicolo, sostituì decine di vocaboli ad altrettante voci non tedesche (per esempio, Abstand per Distanz, Vertrag per Kontrakt, Ausübung per Praxis). Lo sforzo di questi circoli non valse tuttavia a stroncare il male che aveva troppe e troppo profonde radici e che aumenta fino a Federico II di Prussia.

Le tendenze stilistiche del sec. XVII e della prima metà del seguente, specialmente del Barocco, non ebbero benefico influsso sulla lingua; qualche forza lessicale creatrice conviene riconoscere al pietismo. L'illuminismo, con Chr. Wolff, apporta una nuova terminologia filosofica (per es. Aufmerksamkeit, Bedeutung, Verständnis), mentre le sue teorie grammaticali (il preconcetto di dimostrare razionalmente le regole dell'uso linguistico: J. Chr. Gottsched) si dimostrano effimere. Ma il tentativo di Gottsched di nobilitare la lingua letteraria su base puristica, con stile chiaro, preciso, rettilineo, se fu combattuto dalla scuola svizzera in nome della fantasia e del sentimento, in pratica trionfa, in quanto proprio Bodmer, Breitinger e Haller affinano la loro espressione e, senza rinnegare la forza plastica del loro dialetto, aderiscono al tedesco letterario della Germania. La fusione delle due teorie è raggiunta non con Klopstock, nella cui Messiade l'elemento passionale predomina sulla convenzionalità e rigidezza cercate da Gottsched (l'importanza linguistica del Klopstock sta nell'arricchimento del lessico con molti neologismi, come beflügeln, aufflamen, zahllos); non coi poeti dello "Sturm und Drang" che continuano le tendenze della scuola svizzera e hanno il merito, prima dei romantici, d'aver dato vita a parecchi termini antico-tedeschi (Mmne, Gau, Märe, Recke, anheben, ecc.) e di avere largamente attinto alle fonti lessicali; ma con Lessing. Allo stile patetico egli sostituisce una dizione limpida, forte e vivace; non esita a preferire a una lingua astratta un tedesco che abbia risonanza nel sostrato dialettale; senza eccedere nel purismo, sostituisce voci indigene nuove a vocaboli stranieri (per es., gleichförmig in luogo di konsequent, Vernunftlehre per Logik, Schaubühne per Theater). Se la tendenza all'antitesi e alla punta epigrammatica, che troviamo pure nello Schiller, sono riflessi della cultura francese, il suo stile solido e semplice, che pur comporta nella prosa un movimento ritmico e in cui lo studio della verità e chiarezza espressive è evidente, è assolutamente nazionale.

Goethe e Schiller hanno la loro radice nello "Sturm und Drang" di cui mantengono la potenza espressiva, la vivacità e l'arditezza. Nelle opere della maturità si aggiungono la cura della musicalità del vocabolo, della simmetria sintattica, della proporzione stilistica, la capacità di adeguare al grado affettivo l'espressione. Basta leggere le riedizioni dello Schiller per cogliere un vigile senso puristico (per es., nella "passeggiata" delle Horen, ein mystischer Pfad diviene ein schlängelnder Pfad). In Goethe lo stile è in continuo flusso. Nelle opere giovanili i tentativi di superare a ogni costo la lingua poetica corrente sono arditi; le creazioni lessicali (schellenlaut, Tatensturm) e il colorito biblico (influsso di Lutero) dànno un'impronta personale. Francesismi della prima maniera sono presto sorpassati; meno facilmente, anche nella rima, il poeta si libera da forme dialettali. In Weimar, con l'Egmont e con l'Iphigenie la perfezione stilistica è raggiunta. La chiarezza della costruzione sintattica anche nelle creazioni più impetuose suggerì a P. Leroux il noto confronto con Voltaire. È sorprendente come i mezzi linguistici più semplici bastino a questo sovrano dell'espressione. Più tardi lo stile burocratico (Geheimratstil) irrigidisce quello del poeta.

La tendenza al purismo, già rinsaldata dalla vigorosa tradizione letteraria si allarga con la francofobia, dopo il 1806. Mai come in questo periodo il tedesco si sforzò di redimersi dai francesismi (per es., Esslust sostituisce Appetit, Umlauf - Zirkulation, ecc.); l'esponente di questo movimento è J. Campe, autore del Wörterbuch der deutschen Sprache (1807). La profonda differenza fra l'ideale classico e quello romantico non poteva non manifestarsi nello stile. All'equilibrio sintattico e stilistico dei primi subentra l'incalzare di brevi proposizioni che non risolvono la tensione stilistica; il principio dell'eufonia è spinto alle ultime conseguenze e viene preposto alla chiarezza espressiva e al concetto stesso; la correttezza linguistica passa in sott'ordine di fronte alla libertà creatrice dello scrittore; all'uso tradizionale è preferita l'anomalia. L'amore per il Medioevo fa cercare arcaismi; la mirabile facoltà del tedesco di creare nuovi composti viene ampiamente sfruttata (Waldeinsamkeit, geisterhaft, riesig). In gran parte in opposizione alla teoria romantica, ma sotto il suo influsso, i fratelli Grimm inaugurano con la Deutsche Grammatik e col Deutsches Wörterbuch la grammatica storico-comparata e la lessicologia storico-etimologica.

Nel corso del Novecento, in ben più vasta misura dei secoli precedenti, la scuola, il teatro e il giornale hanno contribuito ad avvicinare il tedesco scritto al linguaggio popolare per cui lo stacco fra la lingua scritta e la parlata è diminuito in seguito a un rapido sviluppo di quest'ultima, che tende a soppiantare il dialetto.

Dialetti. - I dialetti si dividono nelle due grandi famiglie del basso-tedesco e del medio e alto-tedesco. Appartengono alla prima i gruppi del basso-francone, basso-sassone e basso-tedesco orientale; alla seconda i tre gruppi della Germania centrale (medio-tedesco; medio-francone occidentale, turingio e medio-francone orientale) e i tre della Germania meridionale (alto tedesco: francone superiore, alemanno e bavarese). Ognuno di essi si suddivide in sottogruppi; così p. es. al basso-francone più puro che, secondo il trattamento di î û si distingue in salico (ei, eu) e ripuario (i, u in schriven "scrivere", hus "casa"), si aggiungono due zone in cui il tipo dialettale è alterato da altri elementi - il francone frisio, parlato nelle Fiandre occidentali, nella Zelanda, nell'Olanda, nella Veluwe, nella Provincia di Utrecht e il francone sassone, esteso a parte dei Paesi Bassi e, in Germania, lungo la riva destra del basso Reno e della Ruhr fino a Essen -. Anche il gruppo bavarese (cui appartengono i dialetti atesini e delle oasi trentino-venete) si fraziona in sottogruppi ben distinti: così, p. es. il bavarese settentrionale s'accosta al tipo medio-tedesco nel trattamento di ê, ô germanici che vengono portati non a íe úo, ma a éi, óu (léip per lieb, góut per gut) e di ê, ô a. a. t. svolti ad äi, ou (Kläi per Klee, grouss per gross), mentre il bav. centrale e i dialetti austriaci meridionali dicono líab, güot e khlee, gross e, più a S., khlea, groass. Nelle Alpi orientali il tirolese con l'atesino hanno mantenuta o assunta qualche particolarità del vicino alemanno che manca al carinziano e stiriano, caratterizzabili invece per fonemi e neoifemi peculiari. I dialetti delle oasi che vanno esaurendosi offrono tipi particolarmente notevoli per l'arcaismo.

Bibl.: Storia della lingua: O. Behaghel, Geschichte der deutschen Sprache, 4ª ed., Strasburgo 1916; H. Hirt, Geschichte d. d. Spr., Monaco 1919; F. Kluge, Deutsche Sprachgeschichte, 2ª ed., Lipsia 1925; H. Sperber, Geschichte d. d. Spr., Berlino 1929. Grammatiche storiche: J. Grimm, Deutsche Grammatik, 2ª ed., voll. 4, Berlino 1869-98; H. Paul, D. Gramm., volumi 5, Halle 1916-20; W. Wilmanns, D. Gram., 2ª ediz., Strasburgo 1911-22. Storia del lessico: A. Schirmer, Deutsche Wortkunde, Berlino 1926; F. Seiler, Die Entwicklung der d. Kultur im Spiegel des d. Lehnwortes, 3ª ediz., Halle 1913. Vocabolarî etimologici (oltre al Deutsche Wörterbuch di J. e W. Grimm, Lipsia, 1852 segg.); H. Hirt, Etymologie der neuhochdeutschen Sprache, 2ª ed., Monaco 1921; Fr. Kluge, Etymol. Wörterbuch der d. Sprache, 10ª ed., Berlino 1924; H. Paul, D. Wörterbuch, 3ª ed., Halle 1921; Fr. L. K. Weigand, D. Wörterbuch, 5ª ediz. a cura di H. Hirt, Giessen 1910. Enciclopedie: Grundriss d. germ. Philol., diretto da H. Paul, 2ª ed., Strasburgo 1896 segg. Periodici: Beiträge zur Gesch. d. deutschen Sprache u. Literatur, Halle 1874 segg.; Germania, Vierteljahrsschrift f. d. Altertumskunde, Vienna 1866 segg.; Zeitschr. für deutsche Philologie, Halle 1869 segg.; Teuthonista, Zeitschrift für deutsche Dialektforschung und Sprachgeschichte.

Per il periodo antico tedesco: grammatiche: W. Braune, Althochdeutsche Grammatik, 4ª ed., Halle 1925; grammatiche di singoli dialetti: a) francone antico: J. Franck, Altfränkische Grammatik, 1909; b) bavarese antico: J. Schatz, Altbairische Grammatik, Gottinga 1907; lessici: G. E. Graff, Althochdeutscher Sprachschatz, voll. 6, Berlino 1834-42; per il basso-tedesco: J. H. Gallée, Vorstudien zu einem altniederdeutschen Wörterb., Halle 1903. Sui prestiti romanzi, cfr. F. Kluge, in Grundr. germ. Phil., 2ª ed., I, p. 336 segg.; J. Jud, Probleme der altrom. Wortgeogr., in Zeitschr. f. rom. Phil., XXXVIII.

Per il periodo medio tedesco: grammatiche: H. Paul, Mittelhochd. Grammatik, 12ª ed., Halle 1929; V. Michels, Mittelhochd. Elementarbuch, 3ª ed., Heidelberg 1921; sul medio basso-tedesco: A. Lasch, Mittelniederdeutsche Gramm., Halle 1914; sulle origini della lingua della poesia cavall.: K. Kraus, Heinrich von Veldeke und die mhd. Dichtersprache, Halle 1899; O. Behaghel, Ideenwandel in Sprache u. Lit. des d. Mittelalters, in Deutsche Vierteljahrsschrift f. Lit., III, (1925); sul tedesco cancelleresco: H. Bindewald, Die Sprache der Reichskanzlei zur Zeit König Wenzels, Halle 1928; lessici: G. F. Benecke, W. Müller, F. Zarncke, Mittelhochd. Wörterb., voll. 3, Lipsia 1847 segg.; M. Lexer, Mhd. Handwörterbuch, voll. 3, Lipsia 1869 segg. (rist. 1919).

Per il periodo tedesco moderno: F. Kluge, Von Luther bis Lessing, 5ª ed., Lipsia 1918; K. Burdach, Vom Mittelalter zur Reformation, Halle 1893; id., Reformation, Renaissance, Humanismus, Berlino 1918, 2ª ed. 1926; id., Vorspiel; gesammelte Schriften zur Geschichte des d. Geistes; I: Mittelalter; II: Reformation und Renaissance; III: Goethe und sein Zeitalter, Halle 1925-26; H. Sperber, Der Einfluss der Pietismus auf die Sprache des XVIII Jahrhunderts, in Deutsche Vierteljahrsschrift f. Lit., VIII (1930). - Sul lessico delle lingue professionali e sulla sua importanza per il lessico ted., cfr. F. Kluge, Deutsche Studentensprache, Strasburgo 1895; id., Seemannsprache, Halle 1911; sul gergo: id., Rotwelsch, Strasburgo 1901.

Dialetti: periodici: Zeitschrift für deutsche Mundarten, Berlino 1906 segg.; Zeitschrift für hochdeutsche Mundarten, Heidelberg 1900 segg.; Niederdeutsches Jahrbuch ed. dal Verein für niederd. Sprachforschung, Norden 1874 segg.; Deutsche Dialektgeogr., Marburgo 1908 segg.; esposizioni gen.: H. Reis, Die deut. Mundarten, 2ª ed., Berlino 1920; O. Weise, Unsere Mundarten, ihr Werden u. ihr Wesen, Lipsia 1910; Sammlung kurzer Grammat. deut. Mundarten a cura di O. Bremer, Lipsia 1891 segg.; basso tedesco: H. Grimme, Plattdeut. Mundarten, 1912; sassone: Francke, Der obersächs. Dialekt, Leisnig 1884; E. Goepfert, Die Mundart d. sächs. Erzgebirges, Lipsia 1878; slesiano: W. v. Unwerth, Die schles. Mundart, Breslavia 1908; assiano: H. Reis, Die Mundarten des Grossherzogt. Hessen, Halle 1910; svevo: F. Kauffmann, Die Geschichte d. schwäb. Mundart, Strasburgo 1890; tirolese: J. Schatz, Die tirol. Mundart, 2ª ed., Innsbruck 1930.

Folklore.

I più antichi documenti letterarî relativi a usi e preconcetti superstiziosi sono raccolte di superstizioni che appaiono già all'epoca di Carlo Magno (Indiculus superstitionum et paganiarum dell'anno 743) e che trovarono poi la loro continuazione fino al sec. XI, nei manuali per i confessori e nei libri penitenziali. Anche più tardi, prediche e scritti satirici, come pure i processi contro le streghe, dimostrano che il popolo continua a pensare alla maniera tradizionale. I culti della foresta e dei campi hanno la propria origine, come W. Mannhardt ha dimostrato, nella remota antichità germanica e indogermanica. Superstizione e medicina popolare in buona parte sono state influenzate anche dai concetti mitici e magici della cultura classica, che, dopo la diffusione del cristianesimo al nord delle Alpi, alimentò la cultura delle scuole monastiche.

Nel bosco si nascondono le anime dei defunti e anche la vita vegetale è concepita antropomorficamente. In parte, può trattarsi di recezione di miti dell'antichità classica, ma l'idea che negli alberi risiedano spiriti della foresta si trova anche nella Scandinavia e nell'Europa Orientale. Sin dal Medioevo si sviluppò la favola dell'esistenza di pelosi abitanti delle selve, che appaiono anche nell'arte figurativa, e, fino nel secolo XIX, in rappresentazioni sacre. A una tradizione affine appartengono le raffigurazioni degli elfi (v.), degli uomini acquatici e delle ondine, e dei coboldi, simili ad essi, spiriti familiari che benevolmente si assumono di nottetempo una parte del duro lavoro quotidiano degli uomini.

Fontane, sorgenti e stagni, come i vecchi alberi, sono considerati in tutta la Germania anche come luoghi d'origine delle anime dei bambini. Chi porta i bambini è, secondo i racconti per l'infanzia largamente diffusi, la cicogna. Molto diffusa è anche nella Germania meridionale l'usanza della piantagione di un albero genetliaco o albero della vita; alla nascita di un ragazzo è un melo, a quella di una ragazza un pero.

Dei riti agrarî sono particolarmente notevoli per la grande antichità quelli riguardanti la coltivazione del lino: così la magia imitativa del saltare, affinché il lino cresca lungo, il rotolarsi delle donne nel campo di lino, lo spogliamento rituale, ecc. Per le usanze relative all'aratura E. H. Meyer ha posto in rilievo analogie con l'antichità indiana: sotterrare arando farina o pane e uova, rovesciare acqua alla partenza dell'aratro e simili usanze. Espressioni come "madre del grano" o "covone-madre", e anche la denominazione dell'ultimo covone secondo un animale demoniaco, imprigionato in esso (caprone, maiale, lupo) riconducono al sacrificio di animali per il campo. La Pentecoste è congiunta specialmente in campagna con festività dei pastori, in cui le bestie appariscono acconciate a festa. I risanatori hanno spesso larga clientela. Nella medicina popolare si trova, oltre a un antico tesoro di nozioni sperimentali relative alle solite piante medicinali, anche numerose massime fondate sulla magia simpatica. Secondo l'antico assioma, similia similibus medicantur, e la signatura rerum, il colore e l'aspetto di una cosa ne determinano la virtù curativa e il cerusico popolare ne accresce l'efficacia mediante scongiuri, preghiere o formule di benedizione.

Anche l'antica credenza nelle streghe e negli stregoni e nelle loro operazioni di magia malefica non è del tutto scomparsa. Se la iettatura è molto meno conosciuta che nei paesi mediterranei, per contro si teme per i bambini la "derisione" e per il bestiame "l'invidia". Il bestiame stregato non dà latte, o poco, o sanguigno. Per allontanare il malanno si ritorna a sistemi primitivi di cottura, se pure non si consiglia di buttare pietre calde nella mastella del latte. Con l'atto superstizioso, ma attestante una cultura più progredita, d'immergere un'ascia o una falce, ecc. di ferro, appuntita e arroventata, nel latte, quando con esso non si può preparare il burro, si mira a colpire la persona stessa della strega. Alla derisione dei bambini si attribuiscono malattie nervose e insonnia, deperimento, ecc. Si usano bagni con erbe medicinali, scongiuri, preghiere e amuleti; l'esistenza della puerpera viene protetta attorniandola con una quantità di simili mezzi apotropaici.

Agli amuleti, che risalgono fino all'antichità, appartengono il corallo rosso, l'agata, o l'eliotropia (calcedonio), la mano che fa le fiche, ecc. Molti amuleti hanno assunto la forma di attributi di santi, come la freccia di S. Sebastiano, contro la peste e altri contagi, la zappa di S. Volfango, la lingua di S. Giovanni Nepomuceno, sempre a scopo apotropaico. Gli scongiuri contro mali come il patereccio o per fermare un'emorragia o contro i dolori artritici hanno conservato interamente la forma delle antiche formule magiche precristiane. Simili formule di scongiuro, contro il fuoco, il fulmine, i ladri, ecc., sono penetrate anche in libri di preghiere, ecc., cattolici (Libro di S. Romano o di S. Colomanno, ecc.). Vi si aggiungono le formule di esorcismo contro demonî, maghi e streghe che i francescani distribuiscono ai fedeli insieme con l'indicazione della statura di persone sacre (Cristo, i santi, ecc.) e foglietti volanti, ecc., ai quali le iniziali di varie formule di preghiera (benedizione di S. Zaccaria, di San Benedetto), conferiscono, agli occhi del volgo, un'efficacia magica.

Nella Germania meridionale, cattolica, la Baviera è specialmente il territorio in cui predominano i voti e i pellegrinaggi popolari, e dove gli animali votivi di ferro risalgono ad antichi usi cultuali. Come particolarmente notevoli si possono qui segnalare anche le antiche rappresentazioni dell'interno del corpo umano, scolpite in legno, offerte come ex-voto per la guarigione da malattie interne, quelle di rospi, come simboli dell'utero, per le malattie delle donne (rappresentazioni queste che difficilmente derivano da antichi uteri votivi, bensì possono piuttosto dipendere dalla rappresentazione dell'utero come rospo e di questo come animale che rappresenta l'anima), infine l'offerta di urne in forma di testa, di tipo antico, con cereali, e l'uso di "teste di S. Giovanni", rappresentazioni plastiche e poste su un piatto, per cacciare i mali di capo. Alle concezioni del culto del cranio risale, come ha dimostrato R. Andree, il bere vino benedetto da teschi venerati come reliquie.

Anche motivi del culto dei santi accennano all'antichità germanica, come il viaggio di molti santi al luogo del loro santuario o della loro sepoltura con una coppia di buoi illibati senza conducente (S. Notburga, S. Enrico) che corrisponde al viaggio di Nerthus; o nei pellegrinaggi bavaresi di S. Leonardo l'uso del sollevamento, come penitenza, di pesanti magli di ferro da parte di giovinetti, che corrisponde a un'antica prova germanica di virilità; o la bevuta rituale in onore di S. Giovanni nel tempo natalizio, corrispondente alla "libazione d'amore" (Minnetrunk) dei Germani settentrionali, durante le feste di Jul.

Spiriti e demoni sopravvivono parimenti nelle tradizioni popolari. A questa cerchia di credenze appartiene la saga della schiera selvaggia che avanza in tempestoso tumulto sotto la guida di un uomo spettrale su di un cavallo bianco, e quella della filatrice, rappresentata ora come serena e benigna, ora come demonicamente malvagia, che di notte si reca nelle filande, premia le buone filatrici e punisce le indolenti, arruffando e insudiciando le rocche. Essa appare anche come la guidatrice d'una schiera notturna di infanti non nati o morti prima del battesimo e nelle fiabe come una signora del vento e della tempesta (Frau Holle, la Donna infernale) che con la mano disperde i fiocchi di neve. Incubi e sogni angosciosi sono attribuiti a spiriti notturni mostruosi (Alp, cfr. Alp o Alpdruck, "incubo", Trud o Drud o Drut, o Mahr "incubo").

Fiabe e saghe del popolo tedesco sono state studiate già fin dal principio del sec. XIX, con il movimento romantico. La raccolta dei Grimm, attraverso il grande commento comparativo di J. Bolte e G. Polivka, costituisce la base delle ricerche moderne (v. fiaba). Le fiabe ancor più ripetute sono quelle della principessa Rosaspina (Dornröschen), di Biancaneve (Schneewittchen), di Cenerentola, di Cappuccetto rosso, del lupo e le sette caprette.

Il ricco tesoro dei canti popolari fu introdotto nella letteratura tedesca attraverso una raccolta che ne metteva in luce soprattutto le qualità poetiche: Des Knaben Wunderhorn ("Il corno magico del fanciullo") di A. von Arnim e C. Brentano (1805). Da allora in poi si è dedicata la debita attenzione anche alle melodie e i canti popolari sono stati raccolti sistematicamente e conservati in archivî a scopo di comparazione e di studio. Si manifesta in essi l'agitata complessità della vita culturale tedesca nelle città e nelle campagne dal sec. XVI in poi, così come a loro volta i canti d'amore e i canti spirituali risalgono anche più su, alla poesia dei Minnesänger e dei trovatori erranti e alla lirica spirituale del Medioevo. La tradizione popolare delle rappresentazioni drammatiche festive sopravvive solo in misura assai limitata. Un gruppo a sé costituiscono i veri e proprî drammi popolari, prevalentemente di contenuto religioso. I drammi pastorali, la rappresenzazione del Paradiso, così come la rappresentazione della Passione, che si fa nella Settimana santa, si ricongiungono alle rappresentazioni sacre o misteri del Medioevo. A questi si uniscono nel sec. XVI anche rappresentazioni moralizzanti del giudizio divino sugli stati dell'uomo, e quelle per il martedì grasso; più tardi vi si aggiunge anche una rappresentazione del dottor Faust. Specialmente i gesuiti, durante i secoli XVII e XVIII contribuirono al diffondersi tra il popolo di simili rappresentazioni drammatiche, che presero come argomento anche le leggende dei santi. Notissima la rappresentazione della Passione in Oberammergau. Le rappresentazioni natalizie, che si sono mantenute fino all'epoca moderna anche nella Sassonia e nella Slesia hanno conservato di più il carattere di festa esclusivamente popolare.

Bibl.: Periodici: Jahrbuch für histor. Volksliedforschung, Berlino, dal 1928; Zeitschrift des Vereins f. Volskunde, Berlino, dal 1891; K. Weinhold, Weihnachtsspiele und Lieder aus Süddeutschland und Schlesien, Vienna 1875; J. Grimm, Deutsche Mythologie, 4ª ed. a cura di E. H. Meyer, Berlino 1876-1878, voll. 3; A. Hartmann, Volksschauspiele, Lipsia 1880; M. Höfler, Deutsches Krankheitsnamen-buch, Monaco 1899; A. E. Schönbach, Studien zur Geschichte der altdeutschen Predigt, in Sitzungsber. d. Akad. d. Wissensch. Wien, Philos.-histor. Kl., CXLII (1900); R. Andree, Votive- und Weihegaben des katholischen Volkes in Süddeutschland, Brunswick 1904; W. Mannhardt, Wald- und Feldkulte, 2ª ed., Berlino 1905, voll. 2; Handbücher zur Volkskunde, I-V, Lipsia 1908; J e W. Grimm, Ammerkungen zu d. Kind. und Hausmärchen, a cura di J. Bolte e G. Polivka, Lipsia 1913-1930, voll. 4; John Meier, Volksliedstudien, Strasburgo 1917; H. Bächtold-Stäubli, Handwörterbuch des Deutschen Aberglaubens, Berlino 1928 segg.; E. Bargheer, Die Eingeweide im deutschen Glauben und Brauch, Berlino 1930; H. Freudenthal, Das Feuer im deutschen Glauben und Brauch, Berlino 1930; K. Reuschel, Deusche Volkskunde im Grundriss, Lipsia 1930 (Aus Natur- und Geisteswelt, 644-45). - Per ulteriori indicazioni e per l'aggiornamento, v. Volkskundliche Bibliographie, ed. da E. Hoffmann-Krayer, Berlino 1917 segg.

Arti figurative.

Gli esordî. - È tutt'altro che facile precisare l'elemento tedesco nell'arte delle tribù germaniche (nelle quali si prepara la futura arte germanica) venute a contatto con civiltà differenti dalla loro. Gli elementi formali che A. Riegl ha definiti come proprî dell'arte del basso Impero, sono stati da F. Adama van Scheltema attribuiti a quella dei popoli nordici; e se vi si aggiungono gli apporti asiatici messi in luce soprattutto da J. Strzygowski, risulta per questo periodo una caotica commistione di elementi disparati in cui il contributo delle popolazioni germaniche pare sia stato notevole. Le opere che rimangono di quei secoli sono quasi esclusivamente minuti oggetti metallici che attestano la predilezione dei popoli germanici per gli elementi decorativi, spinta sino alla completa dissoluzione della parte figurativa. Quest'arte "espressionistica" e antinaturalistica dell'età delle invasioni barbariche si trasformò solo attraverso una assimilazione intensa di elementi classici nella primitiva arte distintamente tedesca. L'assimilazione degli elementi classici avvenne nel cosiddetto Rinascimento carolingio (v. carolingia, arte).

Nell'arte carolingia si fusero in unità caratteri franco-orientali, ossia futuri elementi tedeschi e francesi, secondo la struttura stessa dell'Impero carolingio; tuttavia, non mancano opere di architettura e di pittura create nell'ambito del futuro Impero germanico che vanno considerate come i primi prodotti di un'arte essenzialmente tedesca. Per l'architettura è di somma importanza il passaggio, avvenuto in questo periodo, dal legno alla pietra, almeno per quel che riguarda le costruzioni monumentali, se anche l'importanza dell'architettura in legno proto-germanica e del suo influsso sulla posteriore architettura in pietra sembra sia stata maggiore per i paesi scandinavi che per la Germania, ove l'architettura in pietra si riattacca direttamente alla tradizione romana come ci attestano i numerosi termini tecnici presi dal latino. I due monumenti principali sono il duomo di Aquisgrana e l'atrio del convento di Lorsch. Nel duomo di Aquisgrana, iniziato prima del 728, l'architetto franco, Odone di Metz, riuscì originale, tanto rispetto alle costruzioni bizantine, dalle quali prese le proporzioni generali e la pianta, quanto a quelle classiche, dalle quali derivò le colonne. Più forte è l'influsso classico nell'atrio di Lorsch, che rammenta le porte urbiche romane. Le proporzioni e le decorazioni vi rivelano vive aspirazioni e armonia di forme. A queste due opere principali si può aggiungere la cosiddetta pianta del convento di San Gallo, che va considerata come un modello per i conventi benedettini dell'Impero franco, ispirato alle forme codificate nell'anno 817: un convento ideale, nel quale si sarebbe provveduto a tutti i bisogni materiali e spirituali della comunità. Ma poco possiamo ricavare da quella pianta per le forme architettoniche, come poco si può indurre dagli scavi dei ruderi delle varie regge, soprattutto di Aquisgrana.

La definizione della pittura "tedesca" - rappresentata dalla miniatura - in questo periodo è impedita dalla difficoltà insolubile di determinare la nazionalità degli artisti che operarono o in Aquisgrana o a Ingelheim. Ma l'impetuoso stile lineare pieno di espressione del salterio di Hautvillers, conservato nella biblioteca universitaria di Utrecht, sembra un preludio del carattere più saliente di tutta l'arte tedesca. Gli scarsi avanzi di pitture murali in Santa Maria im Münstertal non permettono di rendersi conto del loro carattere stilistico. Quanto alle sculture carolingie, se si eccettuano gli avorî stilisticamente affini alle miniature della scuola palatina, non vi sono che due avorî, attribuiti al monaco Tutilo del convento di S. Gallo, nei quali il carattere tedesco è più spiccato.

Arte romanica. - L'arte tedesca autonoma comincia solo con la creazione di uno stato nazionale dopo la spartizione dell'Impero carolingio. La sua prima fase cade perciò nel periodo romanico dell'arte europea, e può suddividersi in tre periodi; il periodo arcaico, che prende il nome dalla dinastia degli Ottoni e giunge sino alla metà del sec. XI; il periodo mediano che giunge sino alla fine del sec. XII; e l'ultimo periodo durante il quale s'infiltrò lo stile gotico formatosi in Francia. Quest'ultimo periodo, di cui si tratterà nel paragrafo seguente, vien detto di transizione; e pur non terminando contemporaneamente dovunque in Germania, può considerarsi chiuso alla metà del sec. XIII, benché lo stile romanico si sia mantenuto nelle provincie occidentali anche più a lungo. Lo sviluppo dell'arte subì influssi di altri centri, ma nei tratti essenziali presenta una linea omogenea e senza deviazioni e quindi un carattere nettamente nazionale, che corrisponde alla posizione politica dell'Impero tedesco in quei secoli in cui si effettuò la formazione del carattere nazionale.

Nell'architettura sacra ebbe particolare fortuna la basilica a cori contrapposti, che diedero maggiore movimento alle masse architettoniche insieme con le torri, non isolate ma innestate sul corpo stesso delle costruzioni. Le basiliche romaniche tedesche, che non si possono disgiungere dall'universale architettura romanica, esprimono forza dal loro corpo lapideo, ritmo nel raggruppamento delle loro masse stesse, tanto all'esterno che nell'interno, dove i pilastri si alternano a colonne come nelle chiese lombarde e alto si eleva il presbiterio sulle cripte.

Il rapido accrescersi del numero e delle dimensioni degli edifici dimostra quanto sia stata intensa l'attività dell'architettura romanica tedesca. I suoi centri principali furono in Sassonia e sul Reno; invece la Germania meridionale non ha che pochi avanzi romanici, e per giunta spesso fortemente rimaneggiati. Quivi le costruzioni più importanti sono Sant'Emmerano a Ratisbona e tre chiese sull'isola di Reichenau; in Sassonia, a Quedlimburgo; a Magdeburgo, a Merseburg, a Gernrode, a Hildesheim (chiesa di S. Michele), a Gandersheim, a Corvey, a Paderborn, a Soest; nella Renania primeggiano la chiesa capitolare di Essen, S. Maria in Campidoglio a Colonia, il duomo di Treviri. Il diruto convento di Hersfeld nell'Assia, le cattedrali di Würzburg e di Bamberga appartengono, almeno nella pianta, al primo periodo romanico, come pure nella regione renana superiore le cattedrali di Magonza, di Worms, di Spira e di Strasburgo, mentre ne è posteriore l'alzato.

Per la fase più antica dell'architettura romanica tedesca due fattori assumono nella seconda metà del sec. XI notevole importanza: la formazione e l'espansione della scuola di Hirsau, e l'inizio dell'uso della vòlta. Il monastero benedettino di Hirsau, nella Foresta Nera, passato alla riforma cluniacense, si era fatto banditore di una disciplina più rigorosa e dell'indipendenza della Chiesa da ogni autorità secolare, trovando fautori molti conventi della Germania meridionale e centrale, e, in minor numero, quelli della Germania del nord e della Renania, che erano stati i centri dell'architettura romanica. Il tipo architettonico preferito a Hirsau si diffuse per tutto uniformemente: si soppressero il doppio coro e le cripte, si riunirono il presbiterio, il coro e il transetto in due cori laterali separati dalle navate; si fecero spesso precedere le chiese da atrî si costruirono torri a lato del transetto e nella facciata occidentale. La maggior parte di queste modificazioni era connessa con la riforma della liturgia e col rifiorire della vita monastica. Quanto allo spirito generale delle nuove costruzioni sono evidenti i rapporti con la Borgogna; ma nei particolari la dipendenza da Cluny non è immediata e la scuola di Hirsau va considerata come un movimento autonomo ispirato dagli stessi principî e aspirazioni. Della seconda chiesa di Hirsau, da cui originò tutta quella riforma, non restano che le rovine; ma una serie di altre chiese sorte tutte attorno al 1100, ad Alpirsbach, a Petershausen, a Costanza (duomo), a Prüfening, a Paulinzelle, ad Hamersleben e altre ancora ci illuminano sul carattere architettonico di questa scuola.

Contemporaneamente s'incominciarono a costruire, come in Italia e in Francia, basiliche a vòlte. Esse vengono cronologicamente precedute dalla chiesa di Santa Maria in Campidoglio a Colonia (v.), iniziata nel periodo precedente e costituita da una costruzione concentrica a cupola cui s'innestano navate basilicali a tetto, probabilmente per influsso di costruzioni lombarde (Como, S. Fedele). L'uso della copertura a vòlta sulle navate comincia, dopo qualche tentativo trascurabile, nel duomo di Spira iniziato nel 1030 e terminato nel 1106. L'icnografia non subì mutamenti da quella già usata per copertura piana a tetto; ogni campata della nave centrale corrispose a due campate delle navate laterali; i pilastri delle volte maggiori furono accentuati soltanto in epoca alquanto più tarda mediante risalti rispondenti ai peducci della vòlta. Questo sistema, completamente sviluppato solo nella chiesa dell'abbazia di Laach, si perpetuò naturalmente con molte varianti, sino alla metà del sec. XII, quando fu sostituito lentamente dallo stile gotico. Romanici sul medio Reno sono, oltre ai due edifici già ricordati di Spira e di Laach, le cattedrali di Magonza, di Worms, di Fritzlar, la chiesa di S. Mattia a Treviri e di S. Castore a Coblenza; sul Reno inferiore, le chiese conventuali di Knechtsteden e di Braunweiler, di S. Maurizio a Colonia; in Sassonia e Turingia, S. Godeshard presso Hildesheim, la chiesa conventuale di Königslutter, il duomo di Brunswick, dal quale dipendono quelli di Lubecca e di Ratzeburg; sul Reno superiore va nominato il duomo di Basilea, dove si fa sentire la vicinanza della Lombardia. L'influsso italiano è sensibile anche in Baviera, a Reichenhall e a Salisburgo. Nel SE. della Germania si può inoltre notare sin da ora una predilezione per il tipo di chiesa con le navate di uguale altezza, divenuto poi, nell'architettura gotica, comunissimo (chiesa dei certosini a Prüll, S. Leonardo a Ratisbona, la chiesa dei cisterciensi a Walderbach, quella di S. Pietro ad Augusta, ecc.). In generale quella regione della Germania fu meno aperta alle innovazioni che le regioni occidentali e più tenacemente attaccata alle tradizioni: la sua costruzione più importante, la chiesa di San Giacomo a Ratisbona, si attenne alla copertura a tetto mostrando solo negli elementi normanni della decorazione l'azione di correnti più moderne.

Le opere di pittura e scultura a noi pervenute del periodo romanico sono piuttosto scarse. Gli affreschi della chiesa di San Giorgio sull'isola di Reichenau (lago di Costanza), liberati nel 1880 dall'intonaco che li copriva, ci dànno quasi intatta la decorazione interna di una chiesa completamente dipinta. Già verso la fine del sec. IX pittori di Reichenau avevano lavorato nel convento di San Gallo; verso la fine del sec. X la cattedrale sull'isola di Reichenau era stata decorata di pitture decantate dai contemporanei; né devono essere posteriori di molto quelle che rivestono la navata centrale della chiesa di San Giorgio e si estendono persino sulle colonne e su altri membri architettonici. Gli affreschi principali rappresentano otto miracoli di Cristo e, nella parete occidentale, il Giudizio Universale. Se gli altri attingono alla consueta tradizione occidentale, il Giudizio Universale, invece, è una creazione originale dell'arte tedesca che ha sempre prediletto questo tema escatologico. Affini agli affreschi di Reichenau, che attestano una mirabile maturità e sicurezza tecnica, sono quelli della stessa scuola, nel coro della chiesa di Goldbach presso Uberlingen, rappresentanti gli apostoli, e il Giudizio Universale di Burgfelden nel Württemberg della seconda metà del sec. XI, in cui alla solennità raccolta del grande affresco di Reichenau è subentrata la drammaticità di episodî singoli. Del periodo romanico più inoltrato la Germania meridionale conserva soltanto le pitture del coro della chiesa conventuale di Prüfening, eseguite poco dopo la metà del sec. XII e imbevute dello spirito mistico che informava l'ordine di Hirsau, cui Prüfening apparteneva, e che si manifesta nel carattere astratto, ornamentale, delle figure dei profeti e degli apostoli, subordinate, compositivamente, alla raffigurazione allegorica della Chiesa. Sul Reno inferiore restano gli affreschi di Schwarzrheindorf e di Braunweiler, databili i primi tra il 1151 e il 1156, gli altri un po' più tardi. Anch'essi intendono non a narrare a tutti, ma solo a servire di edificazione per la ristretta cerchia degl'iniziati alle cose spirituali. Singolare è nella vòlta della chiesa di S. Michele in Hildesheim la decorazione pittorica conservata intatta.

I centri d'attività della miniatura coincidono con quelli della pittura murale. La scuola più importante fu quella dell'isola di Reichenau, la cui influenza si estese anche più di quella delle scuole di Treviri e di Ratisbona. Sue opere capitali sono il codice di Egberto ora a Treviri, l'evangeliario di Ottone III, quello di Enrico II e quello di Echternach (Gotha). I lavori migliori della scuola di Ratisbona in questo periodo sono il sacramentario di Enrico II e l'evangeliario della Badessa Uta in Niedermünster (Monaco). La miniatura del periodo ottoniano si distingue da quello carolingio per minore sfoggio di decorazione, per straordinaria varietà di contenuto e per l'intensa forza espressiva.

Le scarse opere della primitiva scultura romanica tedesca a noi pervenute non consentono di ritrovarne una linea di sviluppo omogenea e ben definita. Vanno ricordati soprattutto i rilievi della porta del duomo di Hildesheim, pervasi da una forza d'espressione schietta e vivace. Quasi tutte le altre ammirevoli opere monumentali in bronzo appartengono anch'esse all'arte della Germania del Nord: la "colonna" del vescovo Bernardo a Hildesheim; le porte di bronzo inviate a Gniezno e a Nižnij Novgorod; il leone che il duca Enrico collocò nel 1166 innanzi al castello di Brunswick (v.). Anche nella plastica lignea e in pietra la Germania settentrionale sembra primeggiare. Singolari le imposte lignee della chiesa di S. Maria in Campidoglio a Colonia, a Externstein il rilievo in pietra (1115), alto ben 5 metri, rappresentante la deposizione dalla croce, opera insigne per monumentalità, per grandiosità di composizione e per profondità di sentimento. Il maggiore monumento della plastica nella Germania meridionale, il portale di San Giacomo a Ratisbona, si attarda invece con tenacia in schemi decorativi e illustrativi, senza possedere consistenza plastica propria della scultura romanica. Se a queste opere si aggiungono alcune sculture isolate, come il crocifisso del duomo di Brunswick, quello del Museo di Münster proveniente da una località imprecisata della Vestfalia, la Madonna seduta del Tesoro della Cattedrale di Essen e quella in piedi della chiesa di S. Maria in Campidoglio a Colonia, nonché qualche esempio della plastica funeraria, come la tomba di Rodolfo di Svevia nel duomo di Merseburg, quella dell'arcivescovo Federico di Wettin nel duomo di Magdeburgo, la tomba della regina Plektrude a Colonia e delle badesse a Gernrode, si vede quanto la scultura tedesca sia stata incerta nel suo indirizzo, ora rifacendosi all'architettura, ora ricercando ispirazione nella pittura.

Epoca di transizione. - Il periodo di transizione, che è quello dello stile romanico più recente, va dalla morte di Federico Barbarossa (1190) sino all'estinzione della dinastia degli Hohenstaufen, abbracciando quel tragico ed eroico cinquantennio che vide la massima espansione culturale e politica del popolo tedesco e infine il crollo dell'idea imperiale. Parecchi fattori storici, proprî della prima metà del sec. XIII, come la politica degli Hohenstaufen tesa verso il sud, le crociate, la prosperità commerciale, il contatto con le nuove correnti filosofiche ed ecclesiastiche provenienti dalla Francia, esercitano sull'arte un influsso indiretto, allargandone l'orizzonte intellettuale e approfondendone il senso della vita. Due fattori soprattutto agiscono in questo periodo sull'arte tedesca: la Francia e Bisanzio. Se l'importanza dell'arte bizantina consistette nel conservare la tradizione antica e quella dell'arte francese nell'apporto dei nuovi schemi formali perfettamente elaborati, l'effetto sull'arte tedesca fu in sostanza il medesimo, cioè una liberazione dagl'impacci che la tenevano avvinta e un approfondimento dei proprî valori, che la spinse a creazioni autonome e originali di primissimo ordine. Sono, forse, proprio i decennî di questo periodo di transizione, nei quali per quasi ogni singola opera d'arte si può determinare il modello o l'ispirazione esotici, l'epoca più feconda e più originale dell'arte tedesca.

In architettura l'impulso decisivo venne dall'arte gotica francese, non sempre però accolta supinamente, ma spesso modificata e adattata a seconda delle esigenze e del carattere nazionale. Vi fu contemporaneamente lo sviluppo di uno stile romanico tardo e l'accoglimento dello stile gotico primitivo l'uno accanto all'altro senza una divisione netta ma, come è naturale, la seconda delle due correnti andò sempre più guadagnando terreno e importanza a spese dell'altra, il cui territorio fu soprattutto attorno al corso inferiore del Reno ed ebbe Colonia per centro. Qui sorsero San Martino Maggiore e i Santi Apostoli, che si arricchirono di una sovrabbondanza quasi barocca di particolari; più omogenea di queste due chiese, la cui struttura era determinata da costruzioni anteriori, è quella di San Gunberto, ricostruita fra il 1210 e il 1247. Una variante indipendente della combinazione della pianta concentrica con la pianta basilicale - normale in questo gruppo di chiese - è rappresentata dalla chiesa di San Gereone. A questi edifici che ancor oggi reggono degnamente al confronto col gran duomo gotico di Colonia, se ne aggiungono altri che, pur partecipando alla soluzione dei problemi nuovi, si attardano nello stile romanico: le chiese di Xanten, di Neuss, di San Cassio a Bonn, la chiesa dei cisterciensi a Heisterbach, la chiesa della Vergine ad Andernach e altre ancora. Risalendo il Reno abbiamo i duomi di Spira, di Magonza, di Worms, di Strasburgo, di Basilea e altri ancora, che, sebbene incominciati prima, partecipano al nuovo movimento rammodernando o rimaneggiando il sistema delle loro vòlte. Essi non formano un gruppo omogeneo come quello del Basso Reno, ma rappresentano dei tentativi di innestare lo stile gotico primitivo penetrato dalla Francia settentrionale sulle forme romaniche. Nelle altre regioni tedesche lo stile romanico fu ancora più tenace; e soprattutto nelle regioni orientali l'azione della nuova corrente si manifestò solo nel sovraccaricare le forme vecchie e nell'inserire in modo inorganico e saltuario il nuovo nel vecchio. Gli edifici principali della Germania settentrionale e centrale (Bamberga, Naumburg, Magdeburgo, ecc.) mostrano in molti modi il vecchio stile misto a tracce sporadiche del nuovo; né si può vedervi transizione, giacché fra i due elementi non esiste alcun legame intimo. Invece le chiese cisterciensi presentano uno sviluppo più organico, collegate come erano coi conventi della Borgogna. Nella prima fase della loro straordinaria diffusione fra il 1200 e il 1250 - pur mantenendosi fedeli alle particolarità architettoniche delle chiese dell'ordine (mancanza delle torri, terminazione diritta del coro, voluta sobrietà nella decorazione) - si adattarono nelle linee essenziali all'esigenza dell'architettura locale; ma più tardi, con l'intensificarsi dell'influsso gotico, accentuarono maggiormente il loro carattere internazionale: divennero bensì un mezzo di diffusione dello stile gotico, ma, a causa delle rigide esigenze monastiche, rimasero estranee a uno sviluppo vero e proprio dell'architettura gotica. Parecchi di questi grandiosi conventi dei cisterciensi appartengono alle creazioni più grandiose di questo tempo; su tutti quello di Maulbronn.

Nella sua prima diffusione in Germania l'azione del gotico francese fu piuttosto vaga e generica, riducendosi spesso a fornire solo particolari decorativi; in una fase ulteriore, invece, l'influsso fu immediato e profondo. Ma il senso dello spazio rimane tedesco: e le forme francesi furono modificate da tradizioni locali e da gusti personali. Gli architetti tedeschi, pur educati agli esempî delle cattedrali gotiche francesi, non si limitarono a ripeterne lo stile, ma ne trassero esempio a innumerevoli nuove soluzioni. Citiamo tra i monumenti più importanti la chiesa capitolare di San Giorgio a Limburgo sulla Lahn, S. Matteo a Treviri, la chiesa abbaziale di Offenbach, Santa Elisabetta a Marburgo sulla Lahn, il duomo di Wetzlar, il duomo di Paderborn. Sono scarsissimi gli edifici profani di questo periodo; ma come esempî di dimore principesche possiamo ricordare per l'età salica il castello di Goslar e per l'età degli Hohenstaufen quello di Gelnhausen.

Nella scultura come nell'architettura si incrociarono tendenze conservatrici locali e tendenze innovatrici connesse col gotico francese; e al contatto con l'arte straniera parvero liberarsi le forze creatrici nazionali. Importanza non lieve ebbe anche l'arte bizantina coi suoi prodotti delle arti minori, destando il senso della monumentalità e dell'espressione intima. In Sassonia - la regione più ricca di sculture - le croci trionfali di Halberstadt e di Wechselburg, i rilievi sulle transenne del coro di Halberstadt, nonché varî monumenti sepolcrali attestano l'influsso bizantino. Nella Porta Aurea di Freiberg, invece, sono già sensibili gl'influssi francesi tanto nell'iconografia quanto nelle figure realistiche dei risorti. Contemporaneamente le sculture destinate ad un portale del duomo di Magdeburgo mostrano un tentativo rimasto infruttuoso e frammentario di trapiantare imitazioni della nuova plastica gotica francese in un ambiente non adatto ad accoglierle. Ma il vanto della plastica tedesca del periodo di transizione (e forse della intiera plastica tedesca) sono le sculture delle cattedrali di Bamberga (da cui derivano quelle di Magonza), di Strasburgo e di Naumburg, tutte appartenenti nel loro nucleo principale, al decennio che va dal 1230 al 1240. Sorte indipendentemente l'una dall'altra, esse dipendono tutte dalla Francia dove i loro autori appresero l'arte. Per Naumburg siamo in grado di rintracciare l'attività dell'artista principale sino a Laon e per Bamberga di determinarne il prototipo immediato in Reims; per Strasburgo, poi, la situazione geografica spiega a sufficienza i molteplici rapporti con la Francia. E tuttavia non mancano in quelle sculture, la cui forma sembra più connessa alla romanica, caratteri che le distinguono dalle francesi, in particolare l'intensa ricerca di espressione. La pittura, al paragone della scultura, ebbe importanza secondaria. Vi si può distinguere una fase bizantineggiante, caratterizzata da una ricerca di solennità monumentale (ad es. a Limburgo, verso il 1235) ed una fase pregotica, nella quale la ricerca di una vita più intensa è espressa mediante un panneggio straordinariamente mosso, dalle pieghe addirittura barocche (paliotto di Soest nel Deutsches Museum di Berlino; affreschi della chiesa di S. Gereone; miniature della scuola sassone-turingia, come quelle del Salterio di S. Elisabetta a Cividale). E le stesse due fasi si riscontrano anche nella pittura vetraria.

Per le arti minori, se il precedente periodo ha lasciato opere importanti dell'arte tessile (a Halberstadt, a Quedlinburg, ecc.) e dell'oreficeria (corona imperiale nel tesoro di Vienna), l'età di transizione ha numerosi grandi reliquiarî, adorni di sculture e di smalti, di cui si conoscono in buona parte gli autori: Goffredo di Huy (reliquiario di Eriberto a Deutz) e Niccolò di Verdun (paliotto di Klosterneuburg, datato nel 1181; reliquiario dei Tre Re Magi a Colonia), ambedue congiunti alla Francia; Wiberto da Aquisgrana (lampadario nella cattedrale); Eilberto (reliquiario di S. Vittorio a Xanten) e Federico di San Pantaleone (reliquiario di San Maurino), ambedue operanti a Colonia.

Età gotica. - Lo stile gotico francese si può dire completamente accolto in Germania verso il 1250, eccetto che nelle zone più appartate, dove giunse con grande ritardo. L'universalismo della chiesa e la superiorità della cultura francese - cui l'Impero Tedesco, indebolito dalle forze locali centrifughe, non poteva opporre alcuna resistenza - schiusero la Germania all'influenza dell'arte di Francia. D'altra parte, il rapido accrescersi e affermarsi degli stati locali e soprattutto delle città autonome fece sì che peculiarità locali e regionali si manifestassero più di prima: e pertanto il gotico non si presenta con unità stilistica compatta, ma in innumerevoli variazioni e sfumature di scuole locali. Tra il 1250 e il 1400 avviene quella suddivisione, sia politica sia spirituale, della Germania che perdura sino a oggi. Il dominio dell'arte gotica pura durò sino al 1400 circa, cioè finché tradizioni locali, sommerse dall'ondata stilistica internazionale, non riacquistarono tanta forza da determinare una nuova fase stilistica, la quale pur mantenendo il linguaggio gotico affermò con maggiore energia caratteri specificamente tedeschi. Questo stile gotico tardo lo si può considerare di transizione; ma a questa visione dell'insieme, che è conforme allo sviluppo generale dell'arte europea, se ne potrebbe sostituire un'altra che, tenendo in maggior conto lo spirito artistico tedesco, veda nei due stili di transizione i vertici dell'attività artistica nazionale, tra i quali si inserirebbe un periodo di raccoglimento sotto la guida straniera - il periodo gotico puro (1250-1400) -, poiché effettivamente questi due periodi di transizione lo superano per originalità e abbondanza di opere. L'architettura delle regioni renane, che erano già state le più attive, ha ora alcune delle creazioni più importanti. Nella cattedrale di Strasburgo, il cui lato orientale appartiene ancora alla transizione e la pianta a un periodo anche più antico, il corpo centrale, compiuto fra il 1250 e il 1275, mostra lo stile gotico più puro; ma la facciata, compiuta dopo un lungo intervallo causato dall'incendio del 1298, fu poi deturpata in modo irreparabile. La cattedrale di Friburgo in Brisgovia deriva da quella di Strasburgo, ed è notevole soprattutto per la torre traforata. Nella cattedrale di Colonia (v.), iniziata nel 1248 e compiuta sino al coro soltanto nel 1322 (la maggior parte del corpo centrale appartiene al sec. XIX), l'architetto Gerardo si attenne all'imitazione del gotico francese della fase più matura con minore riserva di ogni altro maestro tedesco, anzi copiò la cattedrale di Amiens.

In Turingia il centro principale artistico fu Erfurt. In Sassonia l'opera più importante di questo periodo è il completamento delle cattedrali di Magdeburgo e di Halberstadt. Nella Svevia Wimpfen, Esslingen e Salem sul lago di Costanza costituiscono altrettanti centri di attività artistica; Strasburgo, invece, esercita il suo influsso su Rottweil e su altri centri minori. Un gruppo storicamente importante è dato dalle chiese a navate di uguale altezza, come la chiesa capitolare di Herrenberg, la chiesa della Vergine a Esslingen, la chiesa della S. Croce a Gmünd: in esse si attenua il verticalismo gotico preparandosi così il gotico tardo, forse non senza influenza dell'architettura cisterciense dell'Austria. In Franconia, dove nelle vecchie sedi vescovili s'innalzano alcuni edifici importanti (chiesa di S. Maria a Wiirzburg, chiesa parrocchiale superiore a Bamberga), primeggia Norimberga, autonoma, ricca e industriosa, favorita dalla dinastia di Lussemburgo, con le sue chiese di San Lorenzo, della Vergine, di San Sebaldo. In Baviera, oltre alla chiesa votiva di Ettal, singolare per la pianta concentrica, è degno di nota il duomo di Ratisbona, iniziato nel 1275, ma proseguito assai lentamente: la sua pianta, di tipo francese, divenne nella regione, dove il gotico giunse con riflessi debolissimi, modello di stile gotico seriore.

Intanto cominciano a partecipare allo sviluppo dell'architettura regioni rimaste finora appartate, come l'Austria, la Boemia e la Germania del Nord, che creò, adoperando come materiale da costruzione il mattone, uno stile gotico tutto proprio, in cui predominano maggiormente superficie e masse. Questa varietà architettonica si sviluppò alla fine del Duecento e per tutto il Trecento, coincidendo con gl'inizî della Lega anseatica e con l'espansione dell'Ordine Teutonico in Prussia. Ne sono esempî tipici per la regione anseatica le chiese di S. Maria a Lubecca, a Rostock e a Stralsunda, la chiesa dei cisterciensi a Doberan, il duomo di Schwerin; per la Prussia inferiore, la chiesa del convento di Chorin e il duomo di Francoforte sull'Oder; per il territorio dell'Ordine Teutonico, la chiesa di S. Maria a Danzica e il duomo di Frauenburg. Propaggini di questo stile si stendono alla Polonia, alla Lettonia, alla Finlandia.

La scultura monumentale non si riallaccia alle opere grandiose del periodo precedente. Un nuovo stretto connubio con l'arte francese, intieramente accolta, spezza la tradizione precedente, mentre vien meno lo slancio ideale dell'arte: paragonato all'antecedente, il nuovo stile è più elegante, ma anche vuoto. Ciò si vede chiaro a Strasburgo, che ebbe una scuola d'intagliatori operosa in tutta la Germania dalla metà del Duecento sino alla metà del Trecento. Anche nelle sue sculture la cattedrale di Friburgo in Brisgovia dipende da quella di Strasburgo, con un sistema iconografico complesso e ricco di significati sottili, tanto da riuscire oscuro. Le forme vuote e massicce di alcune sue statue preludono allo stile del Trecento. Alla fine del Duecento appartiene il portale delle Vergini a Magdeburgo, anch'esso sotto l'influsso dei maestri di Strasburgo. Lo stile del Trecento, già pienamente espresso negli Apostoli del coro del duomo di Colonia rinuncia ad ogni elemento organico architettonico e cerca di infondere la massima spiritualità alle figure. Nella Svevia - specie a Rottweil - la scultura apre la via seguita progressivamente a Gmünd, ad Augusta, a Ulma. Una scuola assai feconda, di spirito prettamente borghese, si sviluppa allora con la grande attività architettonica di Norímberga.

Mentre la plastica monumentale si impoverisce e né la pittura murale né quella su vetro riescono a conseguire importanza, si sviluppano due generi la cui indipendenza dall'architettura rispondeva alle nuove consuetudini di vita: la scultura in legno e la pittura su tavola, spesso associate nelle pale d'altare a sportelli che presto diventano suppellettile artistica principale delle chiese gotiche tedesche (pala della chiesa di San Pietro ad Amburgo, opera di mastro Bertram; pala di Doberan). Al sentimento fondamentale del Trecento corrisponde lo sviluppo delle opere d'arte di devozione, tanto dipinte quanto scolpite, ripetute poi di continuo, la Pietà, l'Ecce Homo, la Madonna della Misericordia, il gruppo di San Giovanni con la Vergine. Il loro scopo è quello di agire con efficacia sullo spettatore mediante il loro raccoglimento formale e la loro concentrazione spirituale. Si inizia così, col favore della tradizione ecclesiastica, quell'individualizzazione dell'opera d'arte, che era essenziale anche nell'arte italiana di allora: la dipendenza dal gotico francese comincia a cedere dinanzi ai prodromi del Rinascimento che si prepara in Italia.

L'ultimo periodo dello stile gotico tedesco, se da un lato mostra un processo di dissoluzione e di decomposizione, come lo stile "flamboyant" in Francia e in Inghilterra, d'altra parte offre un'espressione così forte delle tendenze e delle capacità nazionali da potersi dire particolarissimo ("Sondergotik"). E davvero non si renderebbe giustizia alla sua natura persistendo a volervi scorgere null'altro che quella fase finale d'uno stile in cui l'architettura e la struttura si risolve in capricci di decorazione. La rinuncia al puro verticalismo e l'affievolirsi della robustezza architettonica sono invece l'espressione di un nuovo senso dello spazio, che non è analogo a quello del Rinascimento italiano, ma ha qualche parallelismo con esso, o ne risente qualcosa, così come nell'individualismo e nel naturalismo delle arti figurative: il gotico tedesco seriore, infatti, quando non è addirittura già penetrato dall'arte del Rinascimento, contiene molti tratti da essa derivati. Poi singole forme gotiche permarranno ancora lungamente, fino nell'arte barocca. Tutte le idee e le istituzioni del Medioevo, politiche o sociali ed economiche, religiose e scientifiche, subivano una radicale trasformazione, e dietro la facciata apparentemente poco mutata del mondo medievale si preparava lo spirito nuovo del Rinascimento.

Nell'architettura tra le provincie che operarono più attivamente tenne il primo posto la Svevia, dove la scuola di Parler aveva a Gmünd preparato il terreno. Artisti di questa scuola avevano cominciato nel 1377 a costruire il coro della chiesa parrocchiale di Ulma: nel 1392 Ulrico di Ensingen iniziò il corpo principale di questa che doveva divenire la più grande chiesa gotica della Germania dopo il duomo di Colonia. La costruzione della cattedrale (enorme per la piccola citd) fu iniziata con la gigantesca torre; continuata dai figli e dai nipoti di Ulrico, solo alla fine del Quattrocento fu provvisoriamente terminata da Matteo Böblinger. Singolare e caratteristico vi è il contrasto tra la secchezza architettonica e la fantasia ornamentale; così alla grandezza smisurata della concezione contrasta l'incapacità di realizzarla. Nella Svevia si sviluppò anche un tipo di chiesa assai diffuso "Hallenkirche" con le navate di uguale altezza.

In Baviera si debbono all'originalissimo Hans Stetheiner (morto nel 1431) sette chiese, enumerate sulla sua pietra tombale, tutte notevoli per audacia di proporzioni spaziali (importanti fra esse San Martino a Landshut, San Giacomo a Straubing, San Francesco a Salisburgo), a navate di eguale altezza, alte, ariose e luminose, quasi senza decorazione e con snelli pilastri rotondi che dànno all'insieme un aspetto di unità. Invece nelle chiese della Madonna a Monaco e a Ingolstadt, nonché nella prosecuzione del duomo di Ratisbona, nel tentativo di combinare elementi arretrati, derivati dal duomo di Strasburgo, con soluzioni più recenti, l'insieme non viene a una fusione perfetta. La Franconia ha costruzioni di svariata originalità (San Giorgio a Dinkelsbühl, San Martino ad Amberg, coro di San Lorenzo a Norimberga). Una scuola più omogenea operò invece nella Sassonia superiore, con intensa attività costruttiva, nell'improvviso benessere prodotto dall'apertura delle miniere d'argento. Le chiese parrocchiali della città della zona delle miniere, come Zwickau, Freiberg, Schneeberg, Annaberg, Marienberg, costruite tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, hanno pilastri assai distanziati, navate di uguale altezza, coro e corpo centrali uniti: offrono un ambiente vastissimo per la predica, con intera rinuncia a ogni pompa esteriore. Si direbbe che in queste chiese c'è uno spirito protestante anteriore alla Riforma e un senso di rapporti spaziali anteriore al Rinascimento tedesco.

L'architettura profana acquistò importanza. Il trapasso dalle signorie feudali alla borghesia cittadina fece passare in seconda linea il castello rispetto alle costruzioni cittadine, sia private sia pubbliche. Delle prime, assicurate da portali, logge e pergolati, molte si sono conservate nelle vecchie città tedesche; delle seconde, che col continuo incremento materiale e morale della borghesia aumentarono incessantemente in dimensioni e in monumentalità, ne sono rimaste abbastanza per darci un'idea della varietà e della fastosità della vita di quell'epoca. Buoni esempî ne sono i palazzi comunali di Ratisbona (v.), di Norimberga (v.) con aggiunte del Rinascimento, di Brunswick (v.), di Münster, di Aquisgrana (v.), di Lubecca (v.), di Lüneburg, ecc., la Casa dei Mercanti a Costanza (v.), la Casa del grano a Norimberga, l'ospedale di Santo Spirito a Lubecca, la scuola di Wismar. Nel loro stile si scorge l'influsso del materiale adoperato - legno, pietra, mattone - e l'azione delle correnti dell'architettura sacra.

Lo sviluppo della vita borghese, l'affrancamento della pittura e della scultura dalla funzione architettonica contribuiscono alla rigogliosa fioritura delle arti figurative, mentre invece una rigorosa organizzazione corporativa favoriva l'artigianato, senza deprimere la personalità degli artisti. Le tradizioni regionali continuarono a svilupparsi passando attraverso logica successione di fasi stilistiche. Il periodo s'inizia nella pittura dallo stile internazionale (1400 circa) cui appartengono il maestro di Santa Veronica a Colonia, Corrado di Soest in Westfalia, il maestro della tavola d'oro a Lüneburg, Mastro Franco ad Amburgo, il maestro del piccolo paradiso a Francoforte, il maestro dell'altare di Ortenberg a Darmstadt, il maestro dell'altare di Tiefenbron (Luca Moser) e Stefano Lochner, che rappresenta il periodo di transizione alla seconda fase. Caratteristico di quest'ultima è lo sforzo di impossessarsi dei valori plastici e prospettici della singola figura e dello spazio, distinguendosi così nettamente dal periodo precedente caratterizzato da tendenze astratte e lineari. Appartengono a questa fase ulteriore Corrado Witz da Rottweil, operoso fra il 1418 e il 1446 e formatosi alla scuola borgognona-fiamminga; il "Tüchermeister" di Norimberga; Hans Multscher da Ulma. La generazione seguente, che operò attorno alla metà del secolo, sta sotto l'influsso preponderante della pittura fiamminga nella maniera di Roger van der Weyden e di Dirk Bouts. La composizione spaziale e l'espressione patetica diventano scopo principale della pittura, più calma, più ricca di sentimento, ma più debole, in paragone dell'impeto della fase precedente; mentre nella scultura due correnti - una robusta e severa, l'altra patetica ed esuberante - variamente si compenetrano. Sono da ricordare tra i pittori, Caspar Iseman a Colmar, Hans Pleydenwurff a Norimberga, Hans Schüchlin a Ulma, Rueland Früauf a Passavia, il maestro della Vita di Maria a Colonia; fra gli scultori, Nicola Gerhaert, operoso nelle regioni dell'alto Reno ed a Vienna, e Jörg Syrlin il Vecchio ad Ulma. Contemporaneamente le differenze tra le varie scuole regionali s'accentuano. Specie dopo il terzo quarto del secolo, le due scuole della Germania meridionale e della Germania settentrionale, sino allora congiunte, si separano: mentre la prima passa sotto il dominio completo della pittura fiamminga, la seconda si suddivide in varie altre correnti regionali in Franconia, in Svevia, in Baviera, in Alsazia, ecc.

La lunga operosità di tre generazioni di artisti e il confermarsi dei caratteri regionali portano, alla fine del secolo, all'affermarsi di forti individualità in ogni regione; nell'Alsazia lavora Martino Schongauer, nella Renania alta e media due artisti anonimi, il maestro "E. S." ed il maestro del libro di casa (Hausbuchmeister), a Ulma Bartolomeo Zeitblom, ad Augusta Hans Holbein il Vecchio, a Norimberga Michele Wolgemut, nel Tirolo Michele Pacher; quest'ultimo tende verso le forme italiane e congiunge la pittura con la scultura, ambedue unite nelle pale d'altare.

Nel campo della scultura Norimberga primeggia con tre grandi maestri: Veit Stoss, Pietro Vischer il Vecchio ed Adamo Kraft; a questi si aggiungono Tilman Riemenschneider a Würzburg, Jörg Syrlin il Vecchio e Gregorio Erhart ad Ulma ed Erasmo Grasser, operoso nella Baviera. La Germania meridionale, invece, che pure possiede nel maestro della sacra Famiglia di Colonia un pittore considerevole, nella scultura ha un posto secondario. Il predominio appartiene in questo periodo alla Germania settentrionale ed al suo tardo goticismo che consuma, senza alcun freno ormai, la sua ultima vitalità in innumerevoli manifestazioni isolate.

Il quadro dell'attività artistica tedesca di questo periodo va completato con altri tratti. Le arti minori raggiungono in tutti i campi una grande perfezione: nei lavori in bronzo, nell'oreficeria, nella ceramica, nell'arte del vetro e nella tessile il sec. XV fu un secolo d'oro, in cui si contemperarono ugualmente la forza della tradizione e l'autonomia dell'individuo. Ma ancor più importante per l'ultimo periodo gotico fu l'incisione. Tanto nella storia della silografia, quanto in quella dell'incisione in rame la Germania è al primo posto. Gl'inizî della silografia tedesca risalgono al principio del sec. XV; quelli dell'incisione alla generazione successiva; all'attività cioè del notevole maestro delle carte da giuoco che corrisponde stilisticamente all'arte di Corrado Witz. A questo succedono, dal 1466 in poi, il maestro E. S. e infine, nell'ultimo quarto del secolo, Martino Schongauer e il Maestro del libro di casa. Rispondeva al carattere dell'arte tedesca di valersi della silografia e dell'incisione per la diffusione delle idee e delle cognizioni. La grande arte, cui l'incisione sul rame e sul legno era congiunta mediante suoi maestri maggiori, veniva portata a conoscenza di tutto il popolo, mentre otteneva un mezzo di immensa diffusione la cultura sia laica sia religiosa. Come l'architettura, l'incisione preparava il terreno alla Riforma ed al Rinascimento imminenti.

Rinascimento. - Rinascimento e Riforma in Germania, sono le forze principali di un'epoca che, preparata spiritualmente già prima, si inizia attorno al principio del Cinquecento per perdersi durante il secolo seguente in un nuovo periodo di transizione. Come per le altre forme della vita spirituale, anche per l'arte esse furono decisive in senso positivo e in senso negativo: positivamente perché, mediante la stretta partecipazione a una grande corrente spirituale europea e attraverso un approfondimento del sentimento religioso, accrebbero l'attività artistica, sollecitata anche da nuovi modelli; negativamente, perché la grande preponderanza del Rinascimento italiano strappò l'arte tedesca all'ambiente nazionale e sociale che ne era la condizione naturale di vita, mentre la Riforma, limitando tutta l'attività dello spirito alla religiosità intima, toglieva all'arte figurativa la sua base principale. In conseguenza di questa duplice causa l'impareggiabile arricchimento dell'arte tedesca nei primi due decennî del sec. XVI fu seguito da un crollo quasi totale. Come, sotto l'impulso dell'arte gotica francese, l'arte tedesca era giunta alle sue espressioni più potentemente originali e subito dopo si era isterilita, così nel Rinascimento tedesco l'arte italiana, giunta al suo vertice, eccitò gli artisti a esprimere appieno le loro forze creatrici, ma subito dopo il dilagare della maniera per poco non spense ogni spirito d'arte nazionale. Il conflitto fra lo spirito nazionale e le correnti straniere culmina in Alberto Dürer (v.), giustamente considerato come il rappresentante più genuino dell'arte tedesca. In lui si compie il trapasso dall'artigiano all'artista, dalla legge severa del Medioevo alla libertà del Rinascimento; in lui si congiungono la ricerca, tipicamente tedesca, di espressioni fortemente caratteristiche e la predilezione per le forme decorative, col bisogno, appreso dall'Italia, di bellezza formale e di rigorosa struttura. Nella sintesi di queste due qualità antitetiche, come pure nel dominio di tutti i mezzi di disegno e di colore, Dürer rappresenta una vetta insuperabile. Il suo antagonista è Matthias Grünewald (v.), che al contatto con l'arte straniera reagì con l'approfondire vieppiù il retaggio spirituale della sua razza, di modo che, messo a fianco di Dürer, del tipico rappresentante dello spirito del suo tempo, appare doppiamente anacronistico; cioè come un artista gotico in ritardo, che la maturità eccessiva ha spinto ai limiti estremi della sua arte, oppure come un artista di epoca barocca, che prelude a sviluppi posteriori. Al polo opposto di Dürer troviamo Hans Holbein il Giovane (v.), nato ventisei anni più tardi, che senza sforzo accolse in sé lo spirito del Rinascimento italiano attraverso il quale espresse le sue doti di osservatore attento e acuto. Egli non è un italianeggiante, benché non lo si possa immaginare, così com'è, senza il concorso dell'arte italiana; schiettamente tedesco, chiude (1542) un'epoca d'oro, che era cominciata nel 1490 con l'avvento del Dürer (nato nel 1471).

A. Dürer, M. Grünewald e H. Holbein sono tre vette nella storia della pittura tedesca del Rinascimento: i loro tratti si riflettono in numerosi altri artisti del loro tempo, in varia misura; ma mentre essi s'innalzano ad una grandezza innanzi alla quale l'appartenenza a una determinata scuola non ha più grande importanza, gli altri artisti restano più strettamente legati alle singole scuole locali. Nell'Alto Reno la personalità dominante è Hans Baldung (v.), detto Grien; in Baviera il predominio è diviso fra Albrecht Altdorfer da Ratisbona e Wolf Huber da Passau, i cui inizî furono fortemente influenzati da Luca Cranach (v.), giovane pittore proveniente dalla Franconia, che più tardi, come pittore alla corte di Sassonia, prese un indirizzo del tutto differente, imprimendo all'arte della Riforma e del Rinascimento una nota tutta sua. In Augusta dove Hans Holbein il Vecchio, pur appartenendo alla generazione precedente, protrasse la sua attività fino al Rinascimento inoltrato, erano operosi Jörg Breu e Hans Burgkmair (v.); e quest'ultimo con le sue tendenze decorative influì profondamente sull'incisione e sulle arti minori. Nella Germania Inferiore il maestro dell'altare di San Bartolomeo, nativo della Germania Superiore, tenne vive le tradizioni tedesche. Ma Bartolomeo Bruyn, un po' più giovane, passò completamente sotto l'influenza olandese; ed un altro dei principali pittori di Colonia, il maestro della Morte di Maria, si identifica addirittura con Joos van Cleve il Vecchio di Anversa.

Nella scultura riscontriamo uno sviluppo altrettanto ricco di scuole provinciali, senza però che delle personalità di valore indiscusso riescano ad elevarsi ad altezze assolute. La bottega dei Vischer in Norimberga, tramandata ai figli da P. Vischer il Vecchio, può considerarsi rappresentante dello sviluppo della scultura dal gotico tardo al Rinascimento. Ma per tutto il resto le botteghe degli scultori, che subiscono sempre più l'influsso della pittura e si riducono spesso a una attività puramente industriale, non hanno generalmente altra importanza che quella data dalla loro grande abilità tecnica. In Augusta, al posto di Gregorio Erhart venuto da Ulma, subentra Adolfo Daucher che può dirsi il Burgkmair della scultura. Accanto a lui opera ad intervalli Loy Hering, proveniente da Kaufbeuren e più tardi trasferitosi ad Eichstätt, che sviluppò una straordinaria fecondità come autore di sculture funerarie. In Baviera Hans Leinberger da Landshut rappresenta lo stile - metà paesano e metà manieristico - che corrisponde in pittura al cosiddetto "stile danubiano" di Altdorfer e di Huber. Un eccesso consimile nella ricerca di effetti pittorici e di espressione si osserva nell'Alto Reno nei maestri che lavorarono all'altare di Isenheim e di Breisach, e, nel Medio Reno, in Hans Backofen. Nella Germania Inferiore, alcune botteghe di lapicidi e intagliatori in legno (i Beldensnyder a Münster, Claus Berg a Lubecca, Hans Brüggemann da Lüneburg) continuano ad operare in uno stile che, se nei particolari si attiene alle forme della Rinascenza trasmessa dalle Fiandre, nello spirito continua in fondo sempre lo stile gotico dell'ultima maniera, decorativa e narrativa.

L'abbondanza stessa della produzione, cui abbiamo soltanto accennato, lascia indovinare quanto essa dovesse scendere verso il livello dei prodotti di arte industriale; e quanto questa ne fu fecondata, altrettanto ne furono danneggiate le arti maggiori, rivolgendosi a un'abilità puramente esteriore. A differenza dell'artigianato del periodo gotico tardo, l'artigianato del Rinascimento, improntato ad uno spirito accademico, ha le sue radici nel bisogno spirituale non più di tutto un popolo, ma solo di una casta superiore, educata umanisticamente. Gradatamente il solco che divide la nazione e separa sempre più l'arte dal popolo si allarga. Si manifesta dapprima nelle opere degl'incisori intenti ad elaborare i nuovi repertorî iconografici e ornamentali (i cosiddetti "Kleinmeister"), quali ad esempio H. S. e B. Beham, G. Pencz, H. Aldegrever, J. Binck; continua poi nel pomposo stile illustrativo e nella pittura su vetro di Virgilio Solis, di J. Amman, di T. Stimmer e di Cristoforo Maurer; e termina infine nel completo manierismo dei pittori rudolfini (così chiamati perché per lo più operosi presso la corte dell'imperatore Rodolfo II), come Hans da Aquisgrana, Joseph Heinz, Bartolomeo Spranger. Se ne distacca Adamo Elsheimer da Francoforte, l'unico pittore tedesco che s'inserisca nello sviluppo artistico europeo, ma che passò tutta la sua vita fuori della Germania, a Roma. Più sano fu lo sviluppo della scultura, che poteva appoggiarsi alla tradizione delle arti minori. Nell'arte della medaglia si distinsero Hans Schwarz, Federico Hagenauer, Cristoforo Weiditz ed altri; in minuta opera di plastica Pietro Flötner, Hans Daucher, Benedetto Wurzelbauer ed altri ancora, producendo anche buone decorazioni. Intanto nei lavori più vasti e monumentali, soprattutto presso le corti, artisti fiamminghi e italiani di grande abilità tecnica s'imponevano sempre più.

Nei primi decennî del Cinquecento l'architettura ebhe importanza secondaria rispetto alle arti figurate, sia per reazione alla produzione sovrabbondante dell'arte gotica tarda, sia per la Riforma, che inceppava lo sviluppo dell'architettura sacra, o anche per la difficoltà di assimilare modelli del Rinascimento italiano. Del Rinascimento da principio si copiarono quasi esclusivamente le decorazioni, i motivi ornamentali; è eccezionale la comprensione dei suoi nuovi concetti della struttura e degli spazî che si riscontra nella cosiddetta chiesa "bella" di Santa Maria a Ratisbona. Più fortemente si sviluppa, dal 1530 all'incirca in poi, l'architettura profana, in rapporto diretto con l'accresciuta potenza della borghesia e dei principi. Esempi della prima sono i municipî di Altenburg (v.), di Schweinfurt, di Brieg, di Rotenburg, la casa Tucher e la casa Hirschvogel a Norimberga; della seconda, il castello di Hartenfels presso Torgau, i castelli di Liegnitz, di Güstrow, le parti più antiche dei palazzi reali di Dresda, di Monaco, di Berlino e soprattutto l'ala di Ottone Enrico del castello di Heidelberg, dove la concezione generale è italiana, ma i particolari sono tedeschi. L'ultima fase del Rinascimento tedesco, che s'inizia verso il 1580, è caratterizzata da un accentuarsi dei due elementi che allora operavano contemporaneamente: quello locale, che, dopo un'assimilazione più larga delle forme del Rinascimento italiano, si sviluppa con maggiore indipendenza e libertà; e quello europeo che per merito della Controriforma cresce d'importanza soprattutto nella Germania meridionale e si appoggia più direttamente ancora all'arte italiana contemporanea, nel frattempo gia avviatasi verso il Barocco. Le personalità più in vista in questo periodo del Rinascimento tedesco sono a Stoccarda Giorgio Beer ed Enrico Schickhardt, ad Augusta Elias Holl, che vi costruì il municipio nuovo, a Norimberga Giacomo Wolff. Invece a Monaco, che per merito della Controriforma e dell'attività edilizia della dinastia dei Wittelsbach diviene ora un centro artistico, predomina uno stile internazionale d'importazione. Nella Germania centrale il castello di Aschaffenburg, costruito su disegni di Giorgio Riedinger, fu modello per molte costruzioni consimili. Nella Germania del nord divengono centri d'architettura del Rinascimento le città di Brunswick (con Paolo Francke), Münster, Lüneburg (municipio, opera di Lüder v. Bentheim), Danzica (architetto civico Antonio da Obbergen).

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Mentre in costruzioni profane i prototipi italiani venivano più o meno tradotti in forme nordiche, gli edifici sacri dei cattolici si ispiravano apertamente a modelli romani: così la chiesa di San Michele, innalzata a Monaco per i gesuiti (il segnacolo della controffensiva mossa dalla Controriforma), prepara la corrente italianeggiante del Barocco.

Età barocca. - I tentativi di dare un carattere nazionale allo stile del Rinascimento, che si osservano in alcuni edifici, soprattutto in quelli di Elias Holl, non giunsero a maturità. Vi fu un arresto di sviluppo, che si suole spiegare come una conseguenza naturale della catastrofe della guerra dei Trent'anni, i cui effetti politici ed economici furono fatali per la Germania. Ma la guerra non spiega tutto. Politicamente ebbe influenza l'incremento dell'assolutismo le cui forme esteriori si modellavano su quelle elaborate in Francia e Spagna, mentre la borghesia, impoverita, si riattaccava indistintamente alle antiche tradizioni patrie. A questa scissione politica e sociale si aggiunge quella religiosa. Mentre lo spirito della Controriforma veniva dai paesi latini (Italia, Spagna) insieme con parte delle idee artistiche legate al programma cattolico, il protestantesimo manteneva la sua negazione di fronte all'arte o per lo meno le toglieva ogni opportunità, impedendone l'unione con la liturgia e il servizio divino, e, per opposizione alle tendenze dei cattolici, si volgeva ai modelli offerti dall'Olanda. Il vicendevole giuoco di queste forze produce e favorisce tendenze opposte, che si svolgono parallelamente, senza alcun compromesso.

Sopravvive soprattutto in località lontane dai centri culturali un gotico attardato, privo ormai di vigore e con impronta popolaresca e incapace di produrre opere importanti. Fuori di queste correnti secondarie, l'arte che vuol essere moderna si raccoglie dove la presenza di una casa principesca può favorirla: diviene aulica e assume un orientamento italiano ovvero franco-olandese, a seconda dell'orientamento politico delle singole corti. Gli artisti più in auge sono in massima parte stranieri; e quasi tutti artisti secondarî. Gl'imitatori tedeschi di questi stranieri più abili che valenti - ad esempio il pittore Joachim von Sandrart - non sono certo a essi superiori. Una gran parte della produzione artistica di allora viene regolata da scopi puramente pratici; nell'architettura ecclesiastica il protestantesimo, in conformità con i suoi principî, sottolinea quel concetto dell'arte e il cattolicesimo, nei paesi dove la lotta continua, è costretto anch'esso a rinchiudersi in una severità spirituale. Così in questo periodo fra il 1630 e il 1680 il Barocco tedesco dà prevalentemente un'impressione di stasi e d'assoggettamento all'arte straniera.

Ma dalle correnti sotterranee dello stile post-gotico e sotto nuovi influssi esterni vivificatori doveva rinascere un'arte tedesca originale.

Settecento. - Il Settecento tedesco nel suo aspetto esteriore fu fortemente impregnato di tratti stranieri. I fattori sociali del suo stile - chiesa, corti, alta aristocrazia - per la loro stessa natura partecipavano della cultura internazionale del loro tempo, e così il Barocco come il Rococò, a causa dei legami meno stretti con la vita religiosa, ebbero come funzione essenziale di rispecchiare l'attività intellettuale degli strati superiori della società. L'arte ebbe tendenze più sociali che individuali, fu più intenta a mantenere un certo livello che a raggiungere grandi altezze, visse in un ambiente di attività statale e di alta società.

L'architettura derivò dalle correnti stilistiche allora dominanti in Europa: dal Barocco italiano del Borromini e dello Juvara e dalla maniera classicheggiante nella quale predominavano l'Olanda e la Francia. Le diverse manifestazioni nazionali del Barocco, e così pure le varie scuole regionali tedesche, partecipano in varia misura di queste due tendenze, che del resto non sono affatto antitetiche. Fattori decivisi per il loro manifestarsi furono le condizioni geografiche, politiche e religiose dei singoli paesi e la loro struttura sociale. L'accentramento statale dei paesi della casa di Asburgo, più forte ora che mai, avulse il Barocco austriaco dall'ambito dell'arte tedesca, per la quale esso non di meno fu un punto di orientamento, accanto all'arte italiana e all'arte franco-olandese. Numerose regioni tedesche posseggono un'architettura barocca locale assai notevole: la Franconia (centri principali: Bayreuth, Würzburg, Bamberga, Banz, Vierzehnheiligen; artisti: Johann Dientzenhofer, Maximilian Welsch, Joh. B. Neumann); la Renania (Magonza, Spira, Bonn, Brühl) con la Vestfalia (artista principale: Schlaun); la Sassonia (Dresda con M. D. Pöppelmann, Giorgio Bähr e Gaetano Chiaveri); la Prussia (A. Schlüter, J. Fr. Eosander, G. W. Knobelsdorff); Baviera (Enrico Zucalli, i fratelli Asam, J. Effner, F. Cuvillés, J. Maria Fischer). Tratti caratteristici di queste scuole sono un fare grandioso e mosso, la ricerca di raggruppare variamente le masse architettoniche, un eccesso di particolari decorativi, il subordinarsi dell'architetto al committente che interviene per solito assai largamente. Si direbbe che una corrente sotterranea gotica affiori anche in questo periodo originando la mancanza di misura, l'audacia e la passionalità del Barocco tedesco, l'abbondanza di effetti pittorici, la gioia per la decorazione mossa e agitata. Questa tendenza verso l'irrazionale e l'infinito, tendenza incoraggiata da una coscienza nazionale gradatamente risorgente e che trova nella musica contemporanea (Bach) l'espressione sua più adeguata, ebbe bisogno di appoggiarsi strettamente all'arte dei popoli latini per trovare la forma e la struttura che le erano necessarie. Nel corso del tempo prese il sopravvento la corrente classicheggiante che corrisponde al predominio crescente della cultura francese in Europa, e, in Germania, alla sostituzione del predominio prussiano a quello austriaco: si accentuano i valori cubici dell'edificio, la decorazione viene più fortemente subordinata alle linee architettoniche generali, l'architettura diviene più calma. Questo cambiamento, già sensibile verso il 1730, si compì una generazione dopo.

Le arti figurative durante il Barocco furono dominate dall'architettura. Nella pittura le migliori produzioni si trovano soprattutto nella Germania del Sud, nell'affresco ornamentale che, nonostante la sua palese derivazione dall'Italia, seppe conservare la sua originalità. I rappresentanti principali ne sono Hans George, Cosma-Damiano Asam, Joh. Georg Bergmüller, Joh. Zick per la generazione più antica, M. Günther, C. Winck, Mat. Knoller, Jan. Zick e F. A. Maulpertsch (un Bavarese della Svevia emigrato in Austria) per la generazione più recente, la quale compie il passaggio dal Barocco al Neoclassico e non solo ha comune coi Francesi e gl'Inglesi contemporanei l'interesse per i nuovi problemi coloristici, ma sostituisce alle formule tradizionali lo studio dal vero. Nella seconda metà del secolo, rifiorisce di bel nuovo la pittura di cavalletto, già profondamente decaduta. Se prima una stretta dipendenza dai modelli olandesi e italiani non aveva creato che misere cose (Scheits, Schultz, Stech, Querfurt, Roos), ora soprattutto l'arte del ritratto diviene più indipendente ed originale. J. G. Ziesenis, A. Graff, F. A. Tischbein sono i migliori pittori di quest'epoca, intenta a cambiare, sotto l'influsso di idee letterarie e filosofiche, gl'ideali aristocratici in quelli borghesi. Gli altri generi di pittura (C. W. Dietrich, J. Seekatz) rimangono in ombra rispetto al ritratto. L'incisione, di carattere puramente decorativo (J. E. Riediger, G. Ph. Rugendas) o francesizzante (G. F. Schmidt, J. G. Wille), solo in D. Chodowiecki (v.) ritrovò un maestro che seppe adeguatamente esprimere lo spirito vivo del proprio tempo.

Quel che si è detto della pittura vale in gran parte anche per la scultura. Chiese e tombe, palazzi e parchi richiedevano una grande quantità di opere decorative. L'arte italiana e quella francese (che mandavano in Germania tutta una serie di artisti, più abili che geniali) non furono imitate così strettamente come nella pittura: e lo spirito nordico trovò più facilmente nelle forze nazionali la possibilità di esprimere il suo impeto. Principali scultori barocchi sono A. Schluter, amburghese vissuto a Berlino, e Baldassare Permoser, della Germania del Sud; fra i due sta N. Rauchmiller. Per il periodo di transizione dal Barocco al Neoclassico ebbe importanza la scuola di Vienna, da G. R. Donner in poi. Sotto il suo influsso la scultura bavarese - che culminò con J. B. Straub ed I. Günther - ebbe accenti assai originali. Un suo ramo secondario è dato dalla scultura in porcellana che ebbe un largo sviluppo anche altrove. Il nuovo materiale, adatto alla predilezione dell'epoca per tutto quello che era delicatezza, chiarezza di forme e molteplicità di colori, produsse una nuova fioritura dell'arte ceramica (manifatture di Meissen, di Höchst, di Fürstenberg, di Ludwigsburg, di Nymphenburg, di Berlino). Accanto ad essa eccellono l'oreficeria (Dinglinger) e la lavorazione di mobili; Röntgen, Riesener ed altri dominarono nel campo dell'ebanisteria persino a Parigi.

Ottocento. - Il periodo barocco termina in Germania quando in tutto il resto d'Europa una tradizione artistica, svoltasi senza interruzione dall'antichità, si dissolve per dare inizio a una nuova era provocata da un rivolgimento totale nel campo filosofico, economico e sociale. Ne conseguì che l'architettura - e in misura minore anche le arti figurate - riesumò successivamente, conforme al mutare delle esigenze spirituali del nuovo secolo, varî stili di epoche passate; contemporaneamente l'arte, liberata dalle pastoie sino allora impostele, si era conquistata una maggiore autonomia, particolarmente nella pittura con l'impressionismo. Le due scuole, pittura storica e impressionismo, si svilupparono contemporaneamente, influenzandosi e completandosi a vicenda. L'arte tedesca, la quale per la sua natura e tendenza era più fortemente attratta dagli elementi storici che non da quelli impressionistici, tesi tutti verso problemi formali, partecipò intensamente durante l'Ottocento all'esaltazione così caratteristica in questo periodo, dell'individualità dell'artista. Ma la sua influenza sull'arte internazionale si è esercitata per mezzo di singoli sforzi isolati più che attraverso un influsso costante e duraturo.

Nell'architettura si procede a una ricapitolazione di tutti gli stili nella loro successione storica (classicismo, romanticismo, neorinascimento), che sbocca in un eclettismo capace di una libera rielaborazione di tutte le forme del passato. La ricerca sempre crescente di forme plastiche e di semplicità, propria dell'ultima forma del Rococò, aveva infatti preparato un terreno atto alla rinascita dei principî dell'architettura classica. Centro principale ne fu Berlino, e K.-F. Schinkel ne fu l'abile propagandista al cui spirito di severità e di sobrietà ben si addicevano questi principî. Analogamente nei centri ove fiorì l'arte gotica prosperò più vigorosamente la moda romantica medievaleggiante (lavori per il compimento del duomo di Colonia). Il Rinascimento fu sostenuto principalmente da G. Semper (teatro dell'Opera in Dresda), che con la penna e con le opere lo proclamò lo stile più adatto allo spirito moderno, perché sintesi degl'ideali classici e medievali. Dopo la fondazione del Reich si sviluppò un pretensiosissimo neo-barocco caratterizzato da dimensioni gigantesche e da poca finezza di particolari (palazzo del Parlamento a Berlino, dell'architetto P. Walloth).

Anche nelle arti figurative il neoclassicismo appare una reazione contro il Barocco e le sue derivazioni, di cui è facile rintracciare anche i più lontani inizî. Ma lo sforzo per raggiungere la massima chiarezza formale era talmente contrario agl'ideali artistici del Settentrione, che artisti tedeschi riuscirono ad attuarlo solo nelle terre classiche. Infatti è a Roma che A. I. Carstens con l'opera sua e con quella dei suoi allievi ivi emigrati dalla Germania (K. Reinhardt, Ios. Koch, P. Cornelius) dimostrò la grande fecondità di cui era capace quest'arte sorta da un ideale puramente negativo, ma altresì la sua sterilità nel campo pratico. Più valido sostegno offrirono al romanticismo - che dal punto di vista formale si riattacca al neo-classicismo - le correnti etiche e nazionali contemporanee: i Nazareni in Roma ed i loro compagni di fede in varie parti della Germania (I. F. Overbeck, F. v. Olivier, I. Schnorr, E. v. Steinle, M. v. Schwind), riallacciandosi agli ideali artistici del passato, tentarono di ottenere quella rinascita che il classicismo raggiunse naturalmente nei paesi romanici. Nella seconda metà dell'Ottocento, questo indirizzo retrospettivo si esaurì, sfociando in una pittura di genere e di contenuto storico ispirata dalla pittura olandese.

Accanto a queste tendenze storicheggianti, le sole allora ufficialmente riconosciute, fiorirono dappertutto scuole naturalistiche, che, pur conservando il desiderio tutto proprio dell'arte tedesca di esprimere fortemente i sentimenti, parteciparono allo studio dei problemi che condussero all'impressionismo (Ph. O. Runge ad Amburgo, K. D. Friedrich a Dresda, K. Blechen e più tardi A. Menzel a Berlino, ecc.) o rimisero in valore l'incisione come mezzo di espressione nazionale (L. Richter, A. Rethel ed altri). Alcuni di questi artisti, particolarmente quelli che per mezzo dell'incisione esercitarono la loro influenza su più vasti circoli, divennero subito i beniamini del pubblico, altri invece furono rivalutati solo nel 1906, quando l'Esposizione di Berlino per il primo centenario della fondazione della Confederazione Germanica diede occasione a una revisione totale delle idee correnti sullo sviluppo dell'arte in Germania negli ultimi cento anni. Ma, per quanto ricco e variopinto sia il quadro che nasce dalla molteplicità di tante scuole e dall'attività di tanti maestri locali di indiscusso valore, è evidente la superiorità degli artisti del penultimo quarto del secolo, che godettero di una coscienza nazionale più sicura che non quelli della precedente generazione. È comune a questi artisti un senso più intenso della vita e un'altezza di propositi propria della loro epoca: tuttavia non è possibile - nonostante alcuni legami che li uniscono - considerarli come un gruppo o una scuola o come rappresentanti di una omogenea tradizione nazionale. Ognuno di loro termina la sua attività artistica con una soluzione diversa, e del tutto personale, dei problemi suscitati dalle varíe scuole tedesche o straniere.

Questo isolamento, rispetto tanto al passato quanto al futuro, getta sulla loro vita artistica un riflesso drammatico. Infatti gli artisti tedeschi più importanti del sec. XIX sono dei solitarî, il cui posto eminente fu una conquista propria. I loro nomi sono: A. Feuerbach, A. Böcklin, H. Thoma (fra i pittori), A. Hildebrandt (fra gli scultori). Tutti, eccetto il Thoma, passarono la maggior parte della loro vita in Italia.

La fine del secolo reca un'emancipazione dal passato e un senso di cosciente modernità, che si rispecchia anche nella creazione di cenacoli artistici progressisti (Sezession di Monaco, di Berlino, ecc.). Nella pittura M. Liebermann, F. Uhde, W. Trübner, Max Slevogt, Lovis Corinth si associano alla corrente impressionistica; nell'incisione si cerca un linguaggio artistico indipendente dalla pittura e posto a immediato servizio del sentimento e della fantasia (Max Klinger). Nell'architettura e nelle arti decorative tendenze individualistiche e tendenze naturalistiche si fondono per creare, in opposizione alla tradizione storica, il cosiddetto "Jugendstil", d'un carattere ondeggiante e transitorio; anche se poche opere ne restano, esso rappresenta un trapasso indipensabile per giungere all'arte contemporanea.

Arte contemporanea. - I tentativi dell'architettura e delle arti applicate - le cui varie attività sono coordinate dalla grande organizzazione del "Deutscher Werkbund" - di conquistarsi un'espressione artistica moderna rispondente alle esigenze della produzione e del consumo attuale hanno ottenuto risultati notevoli. L'architettura tedesca ha conservato, per merito di P. Behrens, di H. Poelzig, di E. Mendelsohn e d'altri, il posto eminente procuratole dai due pionieri del movimento, Otto Wagner e Alfredo Messel, e anche l'arte industriale tedesca - definizione che comprende, oltre ai prodotti artigiani, ogni specie di oggetti d'uso aventi forma artistica - è divenuta, mediante un'organizzazione logica e metodica, un importante fattore del movimento internazionale.

Nelle arti figurative è sorta, all'inizio del sec. XX, per reazione contro l'impressionismo internazionale, un'arte che viene ottimamente caratterizzata dall'epiteto di arte espressionista, conferitole per l'accentuazione unilaterale dei valori espressivi a spese di quelli formali. Non a caso il movimento tedesco è sono immediatamente prima della guerra e contemporaneamente al cubismo francese ed al futurismo italiano, anch'essi tendenti alla concentrazione esclusiva e logica delle pure tendenze etniche. Per quanto l'espressionismo abbia comuni con la peinture fauve del principio del Novecento singole soluzioni di problemi coloristici e divida con altre giovani scuole il principio dell'antinaturalismo, esso rimase essenzialmente un movimento tedesco. Esagera la ricerca dell'"espressione" sino al dissolvimento della forma, sacrificando l'elemento figurativo a quello decorativo, e trova infine nell'incisione uno strumento particolarmente adatto per la propria violenza. Nel decennio 1910-20 dominò completamente ogni attività artistica tedesca, trovando in una serie di artisti i suoi rappresentanti più significativi: E. Barlach per la scultura, P. Klee per il disegno, e per la pittura il gruppo detto "Die Brücke" a Dresda (E. Nolde, E. L. Kirchner, K. Schmidt-Rotluff, E. Heckel, H. M. Pechstein ed altri). Il rilasciamento che seguì la terribile tensione degli anni di guerra ha preparato un riavvicinamento fra le tendenze che dominano le arti pure e quelle applicate, in quanto le prime hanno cominciato a sentire il bisogno di rappresentare il soggetto in modo chiaro e comprensibile. Questo movimento, detto "nuovo obiettivismo" (neue Sachlichkeit), si svolge parallelo ad importanti correnti sociali contemporanee, con le quali ha numerose affinità (M. Beckmann, O. Dix) e che lo portano ad assumere la forma di satira dei costumi (G. Grosz).

A chi sta al difuori del movimento, l'arte tedesca contemporanea può parere uno spettacolo simile a quella dell'irruzione nella civiltà mediterranea delle orde barbariche al tempo della caduta dell'Impero romano, poiché più forti e profondi degli elementi in comune appaiono quelli divisori e indipendenti. Ma se è lecito basarsi sugli ammaestramenti del passato, lo sviluppo ulteriore di quest'arte dovrebbe dipendere dalla sua capacità di assimilare da altre civiltà gli elementi atti a integrarne le forze primordiali.

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Musica.

Come per l'Italia, così anche per la Germania la musica ha assunto attraverso i tempi un'importanza tale che assai manchevole risulterebbe un quadro dei valori spirituali di queste nazioni nel quale della musica non si tenesse conto sufficiente.

Si badi che la funzione della musica è assai diversa nei paesi nordici e in Italia (p. es. in Germania è molto inferiore che non nella penisola la collaborazione esercitata in un certo senso dal pubblico all'esistenza ed ai particolari sviluppi del teatro musicale), ma essa si esplica con pari intensità specialmente nell'amore del canto popolare e nella tendenza alla musica strumentale. L'Italiano comprende immediatamente la musica sotto il suo aspetto plastico, nel suo apparire ai sensi come voce. come suono reale, ed è quindi un critico assai acuto di tutto ciò che si riferisce all'interpretazione; il Tedesco si pone invece a cercare immediatamente l'idea direttrice della composizione, l'intenzione, piuttosto il che, insomma, che il come, per poi mostrarsi alquanto indifferente riguardo ai mezzi posti in uso per l'esecuzione. Perciò il semplice amare la musica non gli è sufficiente (questo contrasto fu posto in estremo rilievo da Ferruccio Busoni): per il Tedesco essere musicista significa esser tale da poter ricevere (come si riceve la grazia) la musica; virtù, questa, inerente al più profondo della natura umana. È quindi naturale che egli sia tratto a porre nella musica intenzioni e pensieri filosofico-morali. Da ciò nasce nella musica tedesca un rapporto singolare tra forma e sostanza. Il Tedesco è sempre un po' diffidente di fronte ad una troppo grande disinvoltura formale, ch'egli accusa volentieri di vacuo formalismo, mentre preferisce assistere alla stessa lotta che l'idea sostiene per la sua piena esplicazione: lotta che, lungi dal dover seguire, beninteso, un programma prestabilito, sarà tanto più facilmente vittoriosa quanto più direttamente seguirà il corso dell'ispirazione. Egli ama perciò in musica soprattutto l'espressione di sogni, di volontà titaniche, di angosciosi problemi dello spirito; e si commuoverà per quelle opere presso le quali, nella lotta durata dal pensiero per la sua esplicazione formale, resti pur sempre qualche cosa di inespresso, di non raggiunto: per es. la Messa in si minore di Bach, la Messa solenne di Beethoven, la sinfonia in do maggiore di Schubert, il Parsifal di Wagner e l'ottava sinfonia di A. Bruckner.

Una tendenza parimenti diversa dall'Italiano dimostra il Tedesco riguardo alle qualità propriamente sonore della musica; e ciò potrebbe del resto essere collegato alla differenza, nelle due lingue, tra le basi dell'articolazione vocale: quantunque il Tedesco nutra grande ammirazione per i grandi cantanti italiani egli troverà la loro voce sempre troppo chiara e splendente, mentre preferirà la mezza tinta, l'oscurità e le ombre (si pensi per analogia alla differenza tra Raffaello e Rembrandt); amerà la complessità invece della trasparenza, e ciò si nota perfino nella scrittura: particolarmente tedesco ci si mostra l'aspetto delle pagine di Bach, R. Schumann, E. W. Wolf, H. Pfitzner. Si tratta della gotica complessità di linee, che già si annuncia nelle intavolature tedesche di liuto contemporanee di Dürer. Ma, in contrasto con la musica un po' fredda delle scuole fiamminghe, la musica tedesca ha un intimo fervore che domanda all'esecutore una collaborazione dell'uomo tutto intero.

La stessa musica popolare, che costituisce il fondo comune di tutta la musica tedesca, è del resto scarsamente brillante: essa è piuttosto ingenua né si distingue per ritmi nazionali caratteristici, come avviene in Italia con la tarantella, in Spagna col bolero, in Ungheria con la csardas, a meno che non si voglia assumere al posto di danza tedesca per eccellenza il tranquillo Ländler in 3/4. Ma spesso si sprigionano da questi canti popolari una profonda passione, un rude ardore, un anelito verso la libertà, quasi ad esprimere quell'esigenza di tutto o nulla che già Tacito aveva riferita come tipica del carattere dei Germani.

Già negli antichissimi poemi narrativi il canto degli Spiriti delle acque, le melodie magiche, ecc. sono di frequente ricordati. Valore anche superiore, riguardo allo studio delle origini della storia musicale tedesca, hanno le varie scoperte che si sono fatte di istrumenti, come corni da caccia di oro, Luren scandinavi (sec. VII-VI a. C.), trovati nelle paludi del nord della Germania dal Hannover al Meclemburgo, tromboni ritorti, di superba fattura, i quali probabilmente si saranno usati a coppie (rispondendo l'uno all'altro). Dal tempo delle invasioni barbariche ci sono giunti anche flauti a becco e arpe. Circa le musiche eseguite in questi primi tempi non molto si può dire. Da documenti offertici dai deliberati dei varî concilî, come anche dalle agiografie dal sec. VI al XII, possiamo dedurre che nel culto pagano erano praticati canti corali analoghi ai nostri inni, danze cantate, suonerie di campanelli, e che parimenti le immagini degli dei erano portate in processione tra canti e danze di maschere; del resto fino dal tempo di Tacito era in uso la cosiddetta danza delle spade (la quale si mantenne fino al sec. XVIII). È probabile che nelle origini del culto cristiano in Germania fosse d'uso servirsi, per le cerimonie e le funzioni di Natale, delle antiche danze cantate pagane. Ausonio menziona numerose sorta di canti di artigiani della Mosella, e Venanzio Fortunato ricorda i rudi canti conviviali bavaresi. Quanto alle vecchie melodie magiche, si potrebbe farsene ancora un'idea pensando ai ritornelli ed ai canti di giuoco (pentatonici) dei nostri bambini.

Nei banchetti ogni convitato era chiamato, a turno, a cantare le strofe di questi canti accompagnandosi sull'arpa che si faceva passare dall'uno all'altro, mentre il coro intonava il ritornello. In seguito venne a formarsi una schiera riconosciuta di cantori epici assai dotti, a un dipresso come avveniva nei tempi omerici, (quantunque i cantori epici fossero organizzati meno bene che i bardi). Nei tempi carolingi al cantore epico sottentra il mimo di professione, che si conosceva nel mondo romano fino dal tempo di Giustiniano.

Su un terreno più solido ci troviamo con la diffusione del cristianesimo il quale ad opera dei conventi, introdusse il canto dei salmi e degl'inni, prima nell'impero dei Franchi, poi in quello dei Sassoni. L'introduzione del canto gregoriano non fu però molto agevole, poiché il sistema tonale dei popoli nordici (esistente, quasi di certo, fin dai tempi più antichi) era diverso da quello in uso nelle civiltà mediterranee: mentre il sistema tonale di queste civiltà si fondava sulle antiche gamme e sui modi di chiesa, i sistemi nordici sembrano essersi fondati sempre sui tre elementi dell'accordo perfetto maggiore. In ogni caso, per quanto lontano possiamo scrutare nei secoli, sempre ci troviamo di fronte ad uno schema melodico fondato su intervalli di quinta e di terza. L'opinione che faceva derivare il maggiore-minore moderno dagli antichi modi di chiesa è dimostrata erronea da tale carattere del canto medievale tedesco, ed è anzi molto notevole il fatto che le serie di seste del Falso bordone siano venute al sud dall'Europa nord-occidentale.

La Germania, nonostante la sua buona volontà di attenersi all'uso romano, durante tutto il Medioevo ha conservato, nel canto liturgico gregoriano, un suo proprio dialetto: p. es. là dove in Italia comparivano intervalli di terze, spesso in Germania si seguivano serie di quarte, là dove in Italia si usavano le quarte, in Germania si usavano le quinte e così via. Evidentemente le genti nordiche davano al loro canto corale un movimento più violento, una linea più tormentata che i meridionali. Lo sforzo maggiore per giungere a una sufficiente unificazione del canto liturgico fu compiuto da Carlo Magno, il quale nella liturgia romana vide anche un mezzo utile a fondere sempre meglio le diverse membra del suo impero; sforzo nel quale egli ebbe aiuto principale Alcuino. Durante questo periodo si fondarono varie scholae cantorum, come ad Aquisgrana e a Fulda; da Bisanzio si ricevevano i primi organi, dono di quegl'imperatori, mentre sui modelli della scuola di Metz si cominciavano a notare neumi nelle cappelle di Magonza, Treviri, Colonia, Hildesheim e Minden. Lo sviluppo ulteriore del canto liturgico in Germania fu soprattutto opera dei conventi benedettini di S. Gallo e di Reichenau, che ricevevano le visite degl'imperatori sassoni con solenni cerimonie in cui trovavano luogo laudi ricche di musica. Di questo periodo si ricordano specialmente le sequenze di Notker e i tropi di Totila, oltre a importanti imitazioni dei magnifici modelli romani e orientali, come l'Ave praeclara di Enrico di Limburg e del Laus Tibi Christe del suo allievo Godeskalk, morto ad Aquisgrana nel 1098. A questi canti, che ebbero rinomanza in tutta Europa, è da aggiungere la nobile antifona Alma redemptoris Mater di Ermanno di Reichenau (Ermannus Contractus) e la sequenza di Pasqua Victimae paschali laudes (1050) del poeta, musicista e storiografo Wipo. Degna di attenzione è, nel sec. XII, l'arte dei monasteri femminili, il cui monumento principale è il codice di Santa Ildegarda a Wiesbaden, contenente il Singspiel "Ordo virtutum" con 80 intermedî cantati (solamente il Diavolo vi recita, invece di cantare). Anche in questi tempi si usava trarre da canti profani la materia musicale per canti religiosi, come avviene nelle sequenze religiose tratte da sequenze di bardi laici, che si conservano in manoscritti di Wolfenbüttel e di Cambridge con l'indicazione modus Ottinc, modus Liebinc, ecc. Il latino di chiesa domina ancora ovunque, ma già il sangallese Notker Labeo (morto nel 1022) scriveva i primi trattati di musica in antico alto tedesco. I principali teorici furono dopo di lui Berno di Reichenau, il già nominato Ermanno Contratto, S. Guglielmo di Hirschau, Aribo di Frisinga. Ultimi importanti esponenti dell'arte e dell'estetica gregoriana furono Ugo di Reutlingen (morto nel 1360) e Corrado di Zabern (morto circa nel 1480).

Anche il movimento francescano ha una sua manifestazione nella storia della musica tedesca, determinando dapprima la composizione di uffici ciclici (in rima) per S. Francesco e per S. Antonio di Padova, dovuti al monaco Giuliano di Spira maestro di cappella della chiesa parigina di S. Luigi (morto nel 1250).

La musica polifonica inizia il suo sviluppo specialmente nell'opera dell'abate Hoger di Werden (morto nel 902), autore del trattato Musica enchiriades (teorica dell'organum), noto a torto sotto il nome di Ubaldo, e di Francone di Colonia, protonotario pontificio (morto nel 1247) che fu il principale maestro della teoria mensurale. L'arte dei mottettisti della scuola di Notre-Dame ebbe in Germania diffusione, come vediamo in un famoso codice di Bamberga, e vi trovò uno sviluppo nuovo propriamente tedesco, quale si manifesta in una pagina geniale come Brumans est mors.

Quasi contemporaneamente si edificava, su elementi gregoriani e trovadorici (provenzali) da una parte, dall'altra su elementi derivati dalla danza cantata nazionale, l'arte melodica dei Minnesänger. Se di Walter von der Vogelweide null'altro ci rimane di sicuro e integrale che il dorico Palästinalied, Neidhart di Reuental ci ha lasciato una ricca raccolta di melodie popolareggianti, cui si accostano i canti (d'indole più religiosa) di Heinrich Frauenlob (morto nel 1306) e del principe Wizlav von Rugen; documento principale è il manoscritto di canti che si conserva a Jena. Intorno al 1400 appare una seconda fioritura di quest'arte dei Minnesänger coi nomi di Ermanno monaco di Salisburgo, del realistico poeta tirolese Osvaldo di Wolkenstein e del conte Ugo di Montfort, di Bregenz; specialmente il Wolkenstein attinge la sua arte dal pieno movimento della polifonia profana, e mostra spesso di conoscere le correnti dell'ars nova di Firenze e di quella francese da F. di Vitry a G. Machault. Un notevole monumento di polifonia profana si trova nel canone per S. Martino del convento di Lambach.

Dopo questa seconda fioritura, dal costume cavalleresco dei Minnesänger si passa, nelle città, ad una corrente monodica presso le scuole borghesi e artigiane dei Meistersänger che culmina nell'opera di Hans Sachs, e ad una corrente polifonica nella pratica della musica da camera vocale-strumentale, su tenori tratti dal repertorio popolaresco dei Liederbücher di Locham (Norimberga, circa 1450) di Glogau e di Monaco.

Parallelamente si sviluppa una scuola organistica, basata sulla cosiddetta Colorierung (v. color), che dà i primi saggi nell'opera Fundamenta organisandi di Corrado Paumann (contemporaneo di A. Squarcialupi e ben noto anche in Italia, dove egli fu per alcun tempo) e nell'Orgelbuch di Buxheim. Per l'organo e per il liuto la Germania ebbe intavolature proprie e, durante il sec. XV, giunse a diffondere numerose composizioni per questi due strumenti. Presso il duca di Milano e presso il duca di Ferrara troviamo i celebri liutisti Bertoldo di Basilea e N. Schlifer, e l'organista R. Agricola (il celebre umanista); a Venezia fu primo organista di S. Marco E. Murer; a Milano l'organo del duomo fu costruito nel 1487 da A. Dilmann; a Modena era compositore titolare quel Giuseppe Martini, prete di Costanza, che troviamo in seguito anche a Milano e a Ferrara: nella quale ultima città Hans von Bebris dirigeva una cappella di ragazzi cantori tedeschi e godeva grande favore come liutista il tedesco Peter Bonus. Ricordiamo inoltre che il celebre organista di S. Marco Dionisio Memmo era allievo di un Tedesco: l'organista di corte dell'imperatore Massimiliano I Paul Hofhaimer, rimasto classico come virtuoso, compositore e insegnante.

Circa le grandi polifonie destinate alle cantorie di chiesa sono da notare anzitutto intorno al 1420 gli esponenti strasburghesi (Zeltenpferd, H. Laufenberg di Friburgo), intorno al 1440 un codice del convento di St. Emeran di Ratisbona (H. Edlerau, P. Wilhelmi), circa il 1460 i primi volumi in notazione mensurale, dovuti al vescovo J. Hinderbach, conservati a Trento, che ci fanno conoscere soprattutto il repertorio della cappella di corte dell'imperatore Federico III (Graz e Wiener Neustadt). In questi volumi si trovano tra l'altro un solenne canto di pellegrini a 8 voci In Gottes Namen fahren wir e una bella Messa sul canto popolare tedesco Grüne Linden. Molti compositori tedeschi di questo periodo venivano dai paesi renani e dalla Westfalia. Dello stile vicino al 1480 ci informano i volumi più recenti del capitolo del duomo di Trento dovuti a J. Wiser, una raccolta di varî autori curata da Nicolas Leopold di Norimberga (originario di Innsbruck), volume che si conserva a Monaco, più altre fonti tra loro contemporanee conservate a Berlino, Lipsia, Breslavia. In queste opere si manifesta l'influenza, dominante allora, delle scuole dei Paesi Bassi (G. Dufay, J. Obrecht, J. Okeghem) e quella degl'Inglesi della scuola di Dunstaple; il fiammingo H. Isaac, già organista presso Lorenzo de' Medici in Firenze ebbe modo di dirigere, dal suo posto di compositore di corte dell'imperatore Massimiliano, il movimento stilistico dei polifonisti tedeschi. Imponente tra l'altro è la raccolta di uffici Choralis Constantinus da lui composta per il capitolo della cattedrale di Costanza; non meno importanti sono le sue messe, mentre assai popolare lo resero le nobili melodie da lui intonate su canzoni popolari, come p. es. la celebre Innsbruck, ich muss dich lassen.

Bisogna del resto ricordare che in quel tempo fioriva l'uso di elaborare a tre, quattro o cinque voci i canti popolari, ed egualmente fioriva la musica d'uso privato o da camera per voci e strumenti; così che il canto popolare religioso e profano aveva campo di generare centinaia di belle melodie, ammirevoli non soltanto per la qualità dell'invenzione ma anche per la ricchezza dei ritmi. Maestri principali erano, in quest'arte, Adamo di Fulda maestro di cappella di Federico il Saggio a Torgau, Erasmo Lapicida (morto nel 1519) maestro di cappella dell'imperatore Federico III, Enrico Fink (morto nel 1527), lo slesiano T. Stoltzer (morto nel 1526) e soprattutto l'allievo prediletto di Isaac, Ludwig Senfl di Zurigo, occupato prima nella cappella di Massimiliano ad Augusta, poi a Monaco (morto nel 1555). Fonti principali per lo studio sono le particelle stampate dell'Oeglin (Augusta 1511), di Arnt von Aich (Colonia 1512), di Pietro Schöffer (Magonza 1513), e le intavolature di Arnoldo Schlick, l'organista cieco di Heidelberg; nel 1535 apparve la ricca raccolta di canti di H. Ott; nel 1536 quel che aveva lasciato il Fink, oltre un libro di canti di Schöffer e Apiarius (Strasburgo), una serie di quaderni di Francoforte dovuti a Egenolf (intitolati Canti delle strade, degli sterpi, delle erbe). La collezione classica per eccellenza, contenente specialmente opere di Senfl, è l'Aufzug frischer deutscher Liedlein di G. Forster, conservata a Norimberga.

Al difuori di queste vive correnti musicali va fatta menzione del singolare uso degli umanisti tedeschi, consistente nella composizione di musica su odi antiche e su cori di tragedia, a nota contro nota, a fini d'esercizio scolastico (per la scansione) e anche per servire alle rappresentazioni date da alunni (autori: P. Tritonius, L. Senfl, P. Hofhaimer, B. Ducis).

La Riforma ebbe anche per la musica grande importanza. Appassionato per la musica era lo stesso Lutero, il quale, non ignaro di canto e di composizione, dovette probabilmente essere egli stesso l'autore di quelle melodie dei suoi canti religiosi che appaiono per la prima volta a Wittenberg; citiamo Ein feste Burg ist unser Gott, Aus tiefer Not schrei ich zu Dir, Vom Himmel hoch da komm ich her, melodie senza le quali non sarebbero potute nascere le cantate, le Passioni né le fantasie per organo di Bach. Lutero, il quale a Roma si era esaltato per Josquin Des Prés e a Monaco per Senfl, nelle sue celebri prefazioni ai libri corali poneva la musica a fianco della teologia. A lui si deve l'istituzione e la forma della Messa cantata in lingua tedesca (Formula Missae et Communionis, 1523, Die deutsche Messe, 1526) e una nuova funzione data al canto nella liturgia (principali fonti: il Wittenbergisches Sangbüchlein a 4-5 voci, di J. Walter, cantore a Torgau, 1524). È utile ricordare, riguardo alla diffusione del nuovo spirito musicale, che i cosiddetti wittenbergische Psälmlein andavano fino in Ungheria e nei paesi scandinavi. Un'altra importante collezione di mottetti su canti evangelici, comprendente anche opere di maestri della Germania meridionale (L. Senfl, S. Dietrich a Costanza, B. Resinarius a Böhmisch Leipa (ora Česká Lípa), Ducis a Ulma, U. Brätel a Stoccarda), è costituita dai Lieder für die gemeinen Schulen pubblicati da G. Rhaw a Wittenberg (1544), il quale editore era il più importante della prima epoca protestante, per le sue notevoli raccolte di antifone, responsorî, inni, salmi, magnificat, messe ecc. della liturgia luterana.

In principio la melodia liturgica era affidata al tenor, mentre in seguito nell'opera di L. Osiander, predicatore alla corte del Württemberg, passò al soprano. In quel tempo la polifonia chiesastica luterana si riduceva a semplice sostegno armonico, e verso il principio del sec. XVII poteva perfino essere affidata indifferentemente alle voci o all'organo; e certo si produsse allora nello stesso corale un notevole irrigidimento del ritmo. Ma Lutero assai presto organizzò gli antichi cori delle cappelle in società di cantori civiche e campagnole creando con ciò il terreno per una fioritura della musica, in Sassonia e in Turingia, donde poterono poi emergere Schütz, Bach e Händel. L'uso del canto figurato donò al contrappunto grandi possibilità di adattamento alle esigenze più diverse della liturgia, e perfino i brani del Vangelo furono così composti a forma di grandiosi mottetti (O. Herpol, L. Paminger, A. Raselius, C. Demantius, S. Calvisius, M. Vulpius).

Assai meno favorevoli erano invece le condizioni create alla musica dai cosiddetti riformati (Zwingli, Calvino ecc.) i quali da principio avevano addirittura abolito l'uso dell'organo e quello della polifonia, trattandolo da "vecchio abuso della chiesa", e non volevano, nel loro puritanismo antiartistico, lasciare alla comunità altro che i semplici salmi. Il loro unico libro di canti era il salterio di Marot e Beza, con le melodie di C. Goudimel. Ma più tardi tale intransigenza venne a mitigarsi alquanto.

Intanto durante il sec. XVI si svolgeva una vigorosa ascesa della musica strumentale. Sulla stessa tecnica degli strumenti si cominciano a pubblicare metodi: celebri quelli di S. Virdung, M. Agricola (in versi burleschi) e M. Praetorius. Tra gli organisti si illustrarono gli allievi di Hofhaimer: H. Buchner a Costanza, H. Kotter a Basilea e a Berna, Brumann a Spira, H. Oyart a Torgau, W. Grefinger a Passau; era questa la scuola tipica della elegante ornamentazione, alla quale verso il 1590 sottentrò quella cosiddetta dei Passaggisti: N. E. Ammerbach a Lipsia, B. Schmidt a Strasburgo, J. Paix ad Augusta. Circa il 1590 lo stile organistico tipico della Cappella di S. Marco riportava la vittoria sugli altri (esponenti tedeschi di questo stile furono H. L. Hassler, J. H. Schein, C. Erbach), per poi, verso il 1620, cedere il passo a una nuova corrente coloristica settentrionale cui appartenevano gli allievi di J. P. Sweelink: S. Scheidt, M. Schild, P. Siefert. Nell'arte del liuto eccellevano: a Vienna, verso il 1520, lo svevo H. Judenkünig; a Norimberga, circa il 1530, H. Gerle; ad Augusta, verso il 1540, la famiglia Neusiedler; ai quali maestri tennero dietro altri numerosi ed esperti compositori per il loro strumento. Dalla sua piccola città di Füssen sul Lech la famiglia Tiefenbrucker forniva l'Europa di liuti come i maestri cremonesi facevano per i violini. Ricercate erano le trombe di H. Neuschel di Norimberga e gli strumenti a fiato (legni) della Svevia. Quanto agli organi, fra i tedeschi e gl'italiani v'era notevole differenza: mentre negl'italiani si cercava un insieme di suoni chiusi tale da produrre l'effetto quasi flautato delle voci d'una cappella, nei tedeschi invece la ricchezza dei pedali e specialmente dei registri ad ancia si volgeva verso una sorta di fantasiosa strumentazione ricca di contrasto tra voce e voce.

In quest'epoca avveniva ai musicisti tedeschi di dover subire le conseguenze della supremazia straniera che datava già da secoli: verso il 1550-90 si trattava della supremazia fiamminga, poi fino al 1620 dell'inglese e finalmente dell'italiana. L'esempio, nel preferire i maestri di cappella fiamminghi, era stato dato dallo stesso imperatore di Germania Carlo V, il quale conduceva con sé in tutte le sue residenze, anche temporanee, la sua cappella di Bruxelles, diretta da Th. Crecquillon, da C. Canis e da N. Gombert.

A Dresda venne chiamato M. Le Maistre, da Bergamo A. Scandello. Monaco divenne dal 1556 in poi uno dei maggiori centri musicali del tempo per la presenza del geniale Orlando di Lasso, il quale, venuto allora dalla Fiandra, s'era già reso celebre con una raccolta di mottetti e di madrigali. L'influenza esercitata da Orlando sulle varie scuole europee e quindi anche su quella tedesca fu assai grande; in Germania i migliori allievi suoi furono I. de Vento, J. Eccard, L. Lechner. Eccard, che era venuto a Berlino dopo Augusta e Königsberg, divenne uno dei maestri più importanti del cosiddetto Currende-Motette protestante (questi mottetti erano destinati a conferire solennità ai cortei, alle processioni ecc., ed erano cantati in cammino, generalmente da ragazzi delle scuole; sotto il nome di Preussische Festlieder i mottetti di Eccard furono pubblicati dall'allievo J. Stobaeus). Lechner, venuto dalla Val d'Adige a Stoccarda, si potrebbe chiamare (per la sua Passione secondo S. Giovanni, i suoi Mottetti sul Cantico dei Cantici, i detti sulla vita e la morte) un fedele allo stile a cappella. Nel tempo di Lasso, ad Augusta lavorava un altro celebre compositore fiammingo: J. de Kerle; a Graz, Annibale Padovano e Johannes de Cleve; a Heidelberg C. Hollander; a Ansbach e Königsberg T. Riccio da Brescia, a Praga l'inesauribile madrigalista Ph. de Monte e quel Jakob Regnart il quale, con l'introduzione di leggiere villanelle napoletane, pose in disuso lo stile elaborato (sul canto fermo) che avevano illustrato il Senfl, K. Othmayr, G. Forster, Jobst von Brant. Queste villanelle sono lieti e brevi terzetti, che accentuano ironicamente il loro carattere rustico con serie di quinte parallele; svelte forme meridionali che aprirono la strada della Germania ai cosiddetti Falala o fa-la (v. fa-la), canzonette e balletti di G.G. Gastoldi e di L. Marenzio. A Vienna s'incontra, successore del famoso Arnold von Brück, Jacob Vaet, e l'organista J. Buus, allievo di A. Willaert; a Innsbruck il belga A. Utendal.

Vicino a tanti stranieri cominciano ora ad affermarsi anche molti Tedeschi che storicamente si pongono come maestri del tardo Rinascimento. La tradizione luterana di J. Walter, da un gruppo di musicisti di Turingia, J. von Burgk, L. Schröter, Gallus Dressler, al quale si aggiungono i tedesco-orientali B. Gesius, J. Stobaeus e G. Lange, è condotta (attraverso le varie correnti mottettistiche di Clemens non papa e di Orlando di Lasso) fino alle soglie del primo Barocco. Sotto l'influenza italiana (veneziana), J. Gallus (morto nel 1591) e H. L. Hassler (morto nel 1612) riescono nondimeno a fondare edifici musicali assai significativi per lo sviluppo dell'arte nazionale. Specialmente H. L. Hassler, allievo di A. Gabrieli, riuscì a dare un tono chiaramente tedesco alla sua musica, pur costruita all'italiana. In tutta la Germania si diffondevano i suoi Neue deutsche Gesänge (1596) e il suo Lustgarten (1601); ed a lui risalgono melodie celebri del patrimonio musicale tedesco, come p. es. Mein Gemüt ist mir verwirret e O Haupt voll Blut und Wunden, la quale ultima occupa un posto così importante nella Passione secondo S. Matteo di Bach. Nelle sue versioni di canti evangelici si distinguono due stilistiche: l'una assai semplice, in stile omofono; l'altra più complessa, in stile imitato. Del resto la convivenza di stilistiche diverse non si restringeva all'opera di Hassler: mentre i maestri di Augusta: C. Gumpelzheimer, B. Klingenstein, C. Erbach praticavano lo stile fugato d'indole veneziana, nell'opera di G. Aichinger (morto nel 1628) si sentiva piuttosto l'influenza dello stile romano del Palestrina. Ad Amburgo H. Praetorius subisce l'influenza dei Gabrieli, mentre a Stettino F. Dulichius continua lo stile di Lasso, portando però il numero delle voci da cinque a sette.

Più o meno comune in tutti questi musicisti è però una tendenza ad allontanarsi dalla bellezza delle linee contrappuntistiche per giungere a quella risultante dalle grandi sonorità di compatti gruppi di voci: segno del mutamento spirituale che portava il Barocco.

Al posto della serrata costruzione gotica e del dotto lavoro in profondità contemplativa del primo Rinascimento sottentra l'irrequietezza e il dinamismo, la ricerca dell'effetto potente e drammatico, tipica del primo Barocco; così che quell'anno 1618 che segna il principio della guerra dei Trent'anni si può considerare anche per l'evoluzione dell'arte musicale tedesca un anno decisivo. Esponente di questo periodo di transizione è M. Praetorius di Wolfenbüttel (morto nel 1621). Questo rappresentante della tradizione di J. Walter di Torgau finì per diventare appassionato apostolo dello stile concertante italiano. Nella sua opera teorica (Syntagma musicum, 3 voll., 1614-18) egli insegna una tecnica di composizione quanto mai barocca, basata sulla contrapposizione di varie e variamente importanti masse vocali e strumentali.

Dal 1607 in poi assistiamo alla penetrazione in Germania delle nuove stitistiche italiane, dal basso numerato (1607) all'uso di un contrappunto a poche voci, quale praticava il Viadana nei suoi concerti ecclesiastici (conosciuti in Germania fin dal 1612, anno in cui furono pubblicati a Francoforte), e finalmente alla monodia affermata nelle Nuove Musiche di G. Caccini; tutte le forme italiane dalla Cantata solistica, all'Oratorio, dall'Opera alla Sonata solistica, al Concerto grosso ecc. invadono i paesi nordici.

Produttivo fu il Seicento tedesco soprattutto nel campo del canto religioso e dell'elaborazione organistica del corale. Si distinsero in questo campo le raccolte di poemi sacri del pastore J. Rist di Amburgo, le quali poesie vennero molte volte poste in musica per coro, e quelle del nobile lirico P. Gerhard, cui diedero la musica compositori eccellenti quali J. Crüger e J. G. Ebeling. Così anche il canto cattolico ebbe buoni raccoglitori e studiosi, come D. G. Corner abate a Göttweih, F. von Spee a Colonia, J. Kuen a Monaco.

Tra i maestri organisti va anzitutto ricordato S. Scheidt di Halle, il quale lavorò specialmente all'elaborazione del corale evangelico; e appunto nella sua Tabulatura nova (1624) il corale viene trattato a guisa di canto fermo attraverso tutte le voci, mentre nel suo Görlitzer Tabulaturbuch (1650) esso viene per la prima volta armonizzato ai fini dell'esecuzione da parte dei fedeli in chiesa. Lo stile della composizione per strumenti a tastiera comincia ora a differenziarsi, anche in Germania, a seconda del particolare strumento (organo o cembalo) cui si dirige. Ciò avviene in modo evidente presso l'allievo di Frescobaldi J. J. Froberger (morto nel 1667) il quale destina all'organo toccate e fantasie piene di veemenza e di audacia tecnica, precorrendo la scrittura organistica di J. S. Bach, mentre al cembalo dedica la Suite che subito diviene un genere assai ricco di risorse per i virtuosi. Importante nei due campi, cioè tanto nell'organo quanto nel cembalo, è anche la scuola tedesco-meridionale e austriaca rappresentata da J. K. Kerll, G. Muffat, J. Pachelbel. Così il Pachelbel come G. Böhm di Luneburgo ci conducono verso l'arte bachiana, il primo in quelle sue fughette per organo che trattano il corale evangelico a guisa di versetto di canto fermo; il secondo nelle sue versioni di corale in cui la melodia fondamentale passa attraverso un'ornamentazione di eleganti fioriture. Ma ancora più importante è lo sviluppo delle scuole organistiche seicentesche del Nord, soprattutto quelle di Amburgo e di Lubecca rappresentate da A. Strungk, autore (oltre che di opere teatrali) di pregevoli Capricci che giunsero fino ad essere studiati da Händel; da J. Reinken, il quale sviluppa il corale con ampiezza, da V. Lübeck artista barocco al punto da rammentare l'audacia del Greco. Un ardito virtuosismo si sprigiona dalle composizioni dell'amburghese H. Scheidemann; finalmente, a Lubecca, a Franz Tunder (allievo di Frescobaldi) succede il genero D. Buxtehude, le cui superbe e fantasiose composizioni (preludî e fughe) non saranno più sorpassate che da Bach.

Il carattere generale di tutti questi organisti pre-bachiani appare tipico di una razza tenace, rude e solitaria, di forza gigantesca; e lo stesso J. S. Bach spesso dà l'impressione, in confronto con le loro semplici e potenti ispirazioni, quasi di un grazioso rococò.

Tra le due generazioni di organisti, il gruppo Praetorius-Scheidt e il gruppo Buxtehude (e poi Bach), si era intanto manifestato un importante mutamento nell'esigenza delle sonorità: l'organo del primo gruppo (il miglior fabbricante era Esajas Compenius) doveva ottenere chiarezza ed evidenza delle linee. Quella del secondo gruppo (il cui maggior costruttore fu Gottfried Silbermann) doveva produrre piuttosto onde di argentea sonorità. (Il movimento moderno nell'organaria tedesca ha condotto a una ripresa di questi vecchi tipi, coi loro registri da tanto tempo dissueti, per lottare contro il tipo troppo macchinoso dell'organo gigantesco del 1910).

Nella musica religiosa vocale il Seicento, sotto l'influenza diretta delle grandi scuole italiane (specialmente veneziana), determina un movimento in certo senso collegato alle nuove forme drammatiche allora comparse: così che dal mottetto, per la forma intermedia dei cosiddetti Concerti spirituali (Geistliche Konzerte), si giunge alla cantata solistica.

La transizione è rappresentata dal maggior maestro tedesco del tempo, H. Schütz (morto nel 1672). Questo allievo di Giovanni Gabrieli compone madrigali italiani nello stile di Monteverdi e di Gesualdo da Venosa, salmi davidici a coro multiplo, in uno stile grandioso e animato da una sovrana forza, percorso da impeti del tutto barocchi, e poi Cantiones sacrae, mottetti, nei quali lo stile sembra quasi ritornare agli antichi modelli a cappella, salmi luterani per uso chiesastico (quasi in contrapposizione ai salmi delle chiese riformate) e infine - dopo la seconda visita a Venezia (1628) - musiche concertanti, per voci e strumenti, di soggetto religioso, le quali egli intitola Sinfonie sacre come le analoghe composizioni di Giovanni Gabrieli, piccoli concerti spirituali esprimenti con intensità la tristezza del popolo tedesco in quegli anni di miseria, e poi ancora oratorî e Passioni. Al movimento iniziato in Germania da Schütz contribuivano in diverso modo e nei varî generi altri maestri anch'essi ispirati dall'influenza italiana allora dominante: J. H. Schein con le Villanelle a basso numerato, coi madrigali tedeschi e con gl'imponenti concerti spirituali.

Notiamo anche A. Hammerschmidt che si potrebbe dire quasi il volgarizzatore dell'arte religiosa di Schütz, J. Rosenmüller, assiduo importatore delle continue novità veneziane, i Cantores di Lipsia J. Schelle e S. Knüpfer, non privi di forza e di effetto, J. Kuhnau, autore di importanti sonate per cembalo ispirate a scene bibliche, J. Christoph Bach, il geniale maestro dell'ultimo Seicento, prozio del grande Bach, gli allievi di Schütz, M. Weckmann e C. Bernhard di Amburgo, C. Förster autore di oratorî nello stile di Carissimi. Importanti sono le cantate a soli e coro di Buxtehude, riunite in cicli allegorici popolareschi intitolati Lübecker Abendmusiken. È degno di ricordo anche il tipo di libretto di cantata creato dal pastore E. Neumeister, evidentemente modellato sulla forma di scena melodrammatica, con arie e recitativi; i musicisti erano J. P. Krieger di Weissenfels, Ph. H. Erlebach di Rudolstadt, G. Ph. Telemann e soprattutto J. S. Bach nel suo periodo di Weimar. Su terra cattolica erano in grande favore, in quegli anni, maestri veneziani (a Vienna era stato chiamato, p. es., A. Draghi), ma perfino gl'imperatori si davano alla composizione vocale e religiosa, quasi professionisti; così facevano Ferdinando III, Leopoldo I, Giuseppe I e Carlo VI. Il massimo rappresentante dello stile barocco-gesuitico è il bavarese J. K. Kerll nelle sue leggende di martiri; al Kerll succedeva a Monaco nel 1717 il più giovane della famiglia Bernabei.

Un analogo sviluppo si svolge nello stesso secolo nella musica profana. Al principio del secolo troviamo già assai formato e frequentemente esplicato in opere veramente vitali, il tipo della suite a variazioni, costituita da una serie di danze per strumenti a fiato o a corda (J. H. Schein, P. Peuerl, M. Franck, V. Hausmann). Il violino posto in favore dall'inglese Brade e dagl'italiani B. Marini e C. Farina trova rappresentanti tedeschi nell'amburghese J. Schop, N. Strungk, celebre virtuoso, T. Baltzar e J. P. von Westhoff di Lubecca, apprezzati a Londra e a Parigi per la loro arte tipicamente tedesca della polifonia violinistica, e soprattutto il dottissimo Franz Biber (morto nel 1704). Intanto, a partire dalla metà del sec. XVII diveniva sempre più notevole la penetrazione di tempi di sonata nel corpo della suite di danze. Da una parte gl'imitatori di Lulli (J. S. Kusser, Ph. Erlebach, R. I. Mayr, J. A. Schmicerer, K. F. Fischer, J. Scheiffelhuth) prepongono alla suite grandi Ouvertures alla francese, mentre G. Muffat a Passau compone ottimi Concerti grossi (1701) nello stile di Corelli.

Si dedicarono al basso di viola maestri parimenti interessanti, come A. Kühnel, J. Schenk, il Buxtehude, il Reinken; al cembalo J. J. Froberger, W. Ebner e A. Poglietti, autori di suites a variazioni; il magnifico armonista K. F. Fischer, G. Böhm e C. Ritter; al liuto E. Reusner, con le sue sostanziose suites, che insieme a qualche altro maestro viennese precorre J. S. Bach.

Allo sviluppo del canto solista su basso numerato contribuiscono lo Schein ed i suoi allievi Th. Selle di Amburgo, A. Hammerschmidt di Zittau, e soprattutto il cugino di Schütz, H. Albert di Königsberg, mentre A. Krieger, a Lipsia e a Dresda, vi apportava elementi propri di uno stile ormai maturo (quale, p. es., l'intervento, tra l'una e l'altra strofa, di ritornelli orchestrali) creando canti di una grande freschezza e modernità, i quali conoscono ora nella pratica degli amatori tedeschi un periodo di rinnovato favore. Alla musica vocale da camera nuovi contributi erano poi offerti dal nuovo genere del Duetto italiano creato a Monaco e a Hannover da A. Steffani e dal giovane suo amico G. F. Händel, dal Quodlibet a più voci (d'indole popolaresca), oltre che dal canto solista religioso che da J. W. Franck ad Amburgo e da J. Löhner a Norimberga giunge, attraverso Ph. Erlebach, fino al Bach degli Schemelli-Lieder, con caratteri di nobiltà e di serietà.

La formazione dell'opera teatrale deriva, in Germania come anche in Italia, da varî elementi: così dal teatro di prosa, cioè, come dalle vecchie leggende religiose e dalle vecchie cantate d'indole comica; cantate che avevano un carattere quasi teatrale. Ma il modello fu dato naturalmente dal melodramma italiano della scuola veneziana, i cui rappresentanti dominavano le scene tedesche e austriache. Per trovare melodrammi tedeschi di una sufficiente vitalità dobbiamo lasciare indietro l'opera di S. Ph. Staden (l'allegoria spirituale Seelewig) e giungere alle opere date a Norimberga, nell'ultimo decennio del 1600, dal Lohner, e a quelle di J. F. Krieger rappresentate a Weissenfels. A Brunswick lavoravano in quel volgere di tempo J. S. Kusser e J. K. Schürmann. Ma la scuola operistica più importante è quella di Amburgo, iniziata da J. Theile, allievo di Schütz, il quale nel 1678 fece rappresentare la sua opera Adamo ed Eva. Questa scuola doveva conoscere un periodo di grande ascesa, dallo Strungk e da W. Franck al Kusser ed all'eminente R. Keiser (morto nel 1739). Il quale ultimo può essere considerato, insieme con Lulli, Purcell e Händel, uno dei più grandi operisti che ai loro paesi seppero adattare il modello veneziano. Dopo il Keiser il teatro di Amburgo, nonostante la presenza del celebre G. Ph. Telemann, decadde rapidamente e verso il 1740 cessarono le manifestazioni teatrali di Amburgo, di Lipsia, Danzica, Berlino, Bayreuth, Darmstadt, Baden-Durlach: evidentemente il gusto nazionale non si era ancora orientato abbastanza verso la nuova forma d'arte musicale.

Un'epoca aurea fu per la musica tedesca il tardo barocco rappresentato da Bach, da Händel, e da altri notevoli maestri. Dell'arte concreta dei due sommi compositori (pei quali v. le relative voci) è importante soprattutto, riguardo allo svolgersi della musica tedesca, porre in rilievo alcuni caratteri dominanti.

Duplice è la fisionomia di J. S. Bach; sotto un certo aspetto Bach appare come un sottile contrappuntista il quale si compiace di canoni, di problemi e di artifizî fino a ricordare quasi gli antichi Fiamminghi; il suo spirito religioso si distacca radicalmente dal pietismo del suo tempo, dai retorici poemi sacri allora alla moda, per ritornare all'antica mistica del Medioevo e alle nude parole della Bibbia di Lutero: figura di gigante che i contemporanei non potevano capire. Sotto un altro aspetto Bach si mostra, come disse Beethoven, il padre dell'armonia moderna, e le sue audacie precorrono la tecnica romantica; il suo spirito è nutrito di sentimenti così complessi, di sensazioni così varie e sottili che neanche ai nostri giorni si son toccate. Ma nel fondo ultimo della sua arte questi due elementi, lungi dal contraddirsi, si dimostrano insieme legati e inscindibili, come aspetti di uno spirito profondamente meditativo e religioso che sembra venuto dal lontano periodo gotico. Per questo suo spirito austeramente religioso, per la sua concentrata riflessività, per la qualità per così dire analitica della sua composizione, J. S. Bach era un isolato nella vita musicale del suo tempo. Le ricchezze cui egli aveva condotto nella sua opera di suprema valorizzazione del contrappunto nell'armonia moderna non erano quelle che il gusto del momento domandava. Lo stesso suo figlio, Ph. Immanuel, è in una strada diretta altrove; ma queste ricchezze non vanno disperse: ancora oggi esse costituiscono la sostanza più preziosa, né ancora completamente esplorata, della tecnica dell'arte musicale.

Più consono allo stile musicale del suo tempo fu invece il grande contemporaneo di Bach, G. F. Händel di Halle: pur potentissimo nell'espressione di idee e di sentimenti austeri e religiosi, Händel procede in un'arte più semplice verso la sintesi immediata, che egli delinea a contorni chiaramente marcati. Armonia e contrappunto, artifizî e schemi formali non servono presso di lui che ad accrescere la varietà e la potenza degli effetti complessivi. Da ciò il trionfo della sua opera di musicista teatrale e dei suoi grandi oratorî, destinati a sollevare popoli interi nel trasporto religioso o patriottico. L'arte di Händel, che si diffuse specialmente nei paesi tedeschi e dominò fino ai nostri tempi l'Inghilterra (per la quale nazione egli compose le sue opere maggiori), è nutrita di elementi non soltanto tedeschi ma anche italiani, e specialmente le sue opere teatrali e molta musica strumentale pongono in particolare evidenza i criterî italiani da Händel seguiti per giungere alla chiarezza e all'efficacia.

L'epoca di Bach e di Händel vede l'affermarsi, intorno ai due grandi maestri, di numerosi musicisti assai notevoli, come J. Mattheson ad Amburgo, G. Ph. Telemann, Chr. Graupner a Darmstadt, G. H. Stölzel a Gotha, G. Walter a Weimar, J. F. Fasch a Zerbst. Del più celebre di essi, G. Ph. Telemann, per molto tempo si è disprezzato la fecondità e l'eclettismo, tuttavia la sete insaziabile di novità e di diverse esperienze non ha impedito a questo musicista di raggiungere molte volte, come nella superba cantata Ino (1775) per soprano e orchestra, un alto livello artistico. Più celebre di lui oltre che in Germania anche in Italia e in Austria, fu J. A. Hasse di Bergedorf, che in Italia fu anche favorito da A. Scarlatti e che per tutta la sua vita lavorò per il teatro (compose però anche oratorî) su libretti italiani (Metastasio). Dell'opera italiana seria egli fu anzi uno dei più fecondi e illustri rappresentanti. Ottime pagine compaiono tanto nelle opere quanto negli oratorî e nelle pagine strumentali. Hasse fu molto ammirato dallo stesso re di Prussia Federico il Grande, egli stesso buon musicista (compositore e virtuoso di flauto), dei migliori di Berlino insieme con J. J. Quantz e coi fratelli Graun. In quel tempo si distinguevano anche, a Monaco, gl'italiani Pietro Torri operista e E. F. dall'Abaco autore di musiche strumentali; a Vienna J. J. Fux, il celebre contrappuntista e teorico, assistito da Antonio Caldara e F. Conti, dominava la vita musicale viennese, alla quale contribuì egli stesso con l'opera teatrale Costanza e fortezza (del 1722). Maestri minori erano G. Reuter, G. Muffat e G. Chr. Wagenseil, il cui indirizzo artistico conduce fino al primo Haydn.

Al crepuscolo del contrappunto barocco lo stile subisce un brusco mutamento, e anche in musica si fa sentire lo spirito nuovo d'ingenuità voluta, di ostentati sentimenti di sincerità, di libertà, di senso della natura, introdotto dal Rousseau. La musica si semplifica e favorisce il lavoro dei dilettanti, mentre i compositori professionisti d'altro non parlano che di Stimmung e di "sensibilità".

Le forme strumentali si vengono fissando in schemi comuni: il tema si simmetrizza nella quadratura delle otto battute imponendo tale quadratura all'intera composizione. Quel che conta, nella Sonata bitematica (cioè a due temi tra loro contrastanti) non è tanto l'elaborazione quanto il tema stesso. Assurge a valore particolare la dinamica e il colorito e si fa grande uso degli effetti di crescendo. Questa epoca di transizione trae le sue forze specialmente dall'arte dei figli di J. S. Bach - da una parte W. Friedemann e Ph. Immanuel (il quale ultimo nelle sue sonate per cembalo pone le basi spirituali e formali della sonata a ricco sviluppo di Haydn e di Beethoven) dall'altra J. Christian (il quale esercitò col suo tipico "Allegro cantante" di sonata una grande influenza su Mozart) - e dal grande centro del nuovo stile strumentale: quella scuola di Mannheim che, ricca di contributi della Boemia germanica (J. Stamitz, F. H. Richter, A. Filtz, J. Holzbauer), al disopra delle sue innovazioni formali (frequente uso del crescendo e degli altri coloriti, introduzione del Minuetto nella composizione sinfonica), finì per creare nella musica strumentale un vero Sturm und Drang alimentato da una deliziosa freschezza primaverile e da un vivo senso della natura.

Intorno ai Mannheimer ed ai figli di J. S. Bach assurgono a particolare valore nel movimento sinfonico l'allievo di Stamitz, F. Beck, J. Schobert (probabilmente il maggiore dei cembalisti tedeschi preromantici), K. Ditters von Dittersdorf (autore di sinfonie e di quartetti d'intenzione descrittiva), A. Rösler, M. Haydn e J. G. Albrechtsberger. Prende intanto sviluppo il genere tedesco del Lied per canto e cembalo che, già vivo presso Telemann e Görner, viene coltivato nella Berlino di Federico il Grande da Ph. I. Bach, K. H. Graun, G. Krause, J. Ph. Sack fino a raggiungere le condizioni più favorevoli ai tempi di Klopstock, di Goethe e di Schiller, le cui poesie erano poste in musica da Chr. G. Neefe e da J.P. Schulz, da J. F. Reichardt e da K. F. Zelter; i quali ultimi due continuavano l'attività del gruppo berlinese, mentre nella Svevia si sviluppava una tendenza d'indole più popolaresca guidata da D. Schubart e da J. R. Zumsteeg, autore di ballate del tipo coltivato poi anche da Schubert e da Schumann. Né vanno dimenticati i Lieder di Gluck su odi di Klopstock, molto celebri al loro tempo, fino cioè alla nascita dei Lieder di Mozart e di Beethoven.

Rinasce intanto nel tardo Settecento il teatro musicale: sotto influenze inglesi e francesi lavorano A. Hiller, Neefe, Reichardt, A. Schweitzer e G. Benda, iniziatori di una cosiddetta Kleinkunst nella quale si lasciava l'opera seria per più piccole forme teatrali, atte al nuovo pubblico borghese. Altre opere comiche e commedie fantastiche di F. L. Gassmann, di Dittersdorf e di Wenzel Müller aprono una strada dove Mozart troverà Il Flauto magico e le sue commedie musicali. Altra forma amata da alcuni di quei maestri (soprattutto G. Benda) e poi vagheggiata da Mozart era il monodramma (fondato sul melologo). L'opera seria s'incamminava verso caratteri nazionali con A. Schweitzer, con I. Holzbauer, mentre N. Jommelli, T. Traetta e finalmente Chr. W. Gluck realizzavano la riforma del dramma musicale.

Nel dramma gluckiano - il cui principio (trionfante per la prima volta a Vienna con l'Orfeo su testo del grande collaboratore e ispiratore di Gluck, Ranieri de' Calzabigi) è quello della sommissione della musica alla poesia - al vecchio recitativo secco si sostituisce un'espressiva declamazione sostenuta non già dal cembalo ma dall'orchestra; le Arie sgorgano dal corso logico del dramma, inquadrate in grandi architetture di scene; il coro riassume un valore essenziale ed un carattere di antica grandezza; la melodia (presso Gluck non molto varia) ritrova la purezza di linea e l'intensità di espressione che da tempo erano state sopraffatte dalla pratica virtuosistica del cosiddetto "bel canto". Dal teatro di Gluck, di portata internazionale, derivano le grandi correnti del teatro moderno rappresentate da Cherubini, Spontini, Weber ecc.

La varietà di correnti stilistiche che aveva animato la musica strumentale tedesca del tardo Settecento, verso il termine del secolo finisce per confluire nell'ampio e maestoso stile della scuola cosiddetta viennese; stile cui rimase, quasi per eccellenza, il nome di sinfonico. I suoi caratteri principali potrebbero riassumersi in quelli di un'elaborazione tematica assai libera, a dialogo tra le parti, al difuori di ogni rigore nell'applicazione dei mezzi tecnici (potendo succedere a passi prevalentemente melodici-accompagnati passi prevalentemente, ma sempre leggermente, contrappuntistici); elaborazione contenuta nella forma tipica della Sonata e in quelle subordinate del Lied strumentale, della variazione, del minuetto e del rondò. Questa scuola, che rappresenta l'apogeo della musica strumentale moderna, è rimasta - in ragione dell'ampia architettura nelle cui linee nettamente tracciate si nobilita e si spiega esteticamente ogni impeto e ogni aspirazione - col nome di classica, e classici son detti i suoi tre sommi rappresentanti: J. Haydn, W. A. Mozart e L. v. Beethoven. Presso Haydn troviamo un vivo senso dell'elaborazione tematica, pur sempre assai leggiera e scevra da grandi complessità, e - fatto intimamente collegato con questo - un grande valore tematico dell'invenzione, delle idee; un raro equilibrio tra le zone della composizione, cioè - nella sonata - tra periodo di esposizione e periodo di sviluppo (equilibrio che non sempre è raggiunto, per varie ragioni, da Mozart e da Beethoven). Con Haydn, inoltre, si può dire del tutto maturo ed efficiente il tipo di orchestra che ancora oggi è alla base della partitura sinfonica. Di Haydn si è troppo spesso posto in rilievo unicamente l'aspetto d'ingenua, quasi agreste letizia; aspetto che certamente è il suo più proprio e personale ma che non dovrebbe far dimenticare gli altri pure significativi: la calma espressione religiosa e la singolare acutezza della sua dialettica, veramente degna di un contemporaneo dei grandi filosofi tedeschi.

Presso Mozart troviamo un sovrano senso di grazia e di leggerezza, espresso soprattutto nell'invenzione melodica di un carattere quasi italianizzante, che la talvolta passare in ombra lo sviluppo tematico; una sensibilità orchestrale sottile e infallibile, probabilmente mai sorpassata da alcuno; e nell'opera teatrale (che il Mozart coltivò, unico dei tre grandi classici, con somma eccellenza di risultati) una singolare penetrazione psicologica e quindi una perfetta caratterizzazione dei varî personaggi.

Presso Beethoven appare un dinamismo nuovo nella storia della musica; dinamismo che dal tema sinfonico esplica un ritmo potentemente costruttivo; una ricchezza di conseguenze dialettiche che conduce il compositore a un'amplificazione della forma (specialmente nelle zone di elaborazione); un senso drammatico che conferisce ai varî tempi della sinfonia il valore di momenti di un solo processo spirituale, e che praticamente determina spesso una valorizzazione dell'ultimo di essi tempi, risoluzione o catarsi del dramma sinfonico (III, V e IX sinfonia). Con Beethoven la musica, abbandonato il criterio dell'arte per l'arte, diventa vera e propria confessione individuale. Carattere, questo, che i romantici ottocenteschi si affrettarono ad assumere per proprio.

Vicino al formidabile dialettico e costruttore di drammi sinfonici vive e lavora il primo gruppo dei romantici formato da: F. Schubert, il cui soave lirismo si effonde nel Lied per canto e pianoforte (portando questo genere alla sua più alta vetta) e in pagine strumentali notevoli per la libertà del discorso (che dalla forma chiusa sconfina nella fantasia); da C. M. v. Weber, il fondatore dell'opera romantica, così rappresentativa del popolo e del paese tedesco; da maestri minori, come il singolare poeta-musicista E. T. A. Hoffmann, autore di opere teatrali; il violinista L. Spohr, notevole, oltre che per la musica strumentale, anche per l'opera Jessonda, ricca di un romanticismo che prelude a Wagner; gli operisti H. A. Marschner, A. G. Lortzing, O. Nicolai, dei quali gli ultimi due coltivano con felice esito la commedia musicale; mentre, fuori di Germania, il berlinese J. Meyerbeer giungeva a celebrità col suo Grand-Opéra di stile eclettico e volto a effetti prevalentemente esteriori.

In questo volgere di tempo va notato anche un vivace movimento verso la coralità popolaresca, probabilmente sotto l'influsso delle correnti patriottiche allora rinvigorite. Si formano vaste associazioni di natura non soltanto artistica, che del canto corale si giovano largamente: p. es. la Liedertafel fondata da Zelter a Berlino; e nella Germania meridionale queste organizzazioni giungono a importanza notevole. Insieme con questo movimento nasce il costume delle grandi riunioni o feste musicali che restano ancora oggi tipiche della vita artistica tedesca; specie quelle dei paesi del Basso Reno, che hanno per centri Colonia, Aquisgrana, Düsseldorf, assumono presto un grande valore, conducendo, tra l'altro, a un rinnovato amore per le grandi esecuzioni sinfonico-corali e, di conseguenza, a una nuova fioritura di composizioni di tal genere, come p. es. gli oratorî di F. Schneider, di L. Spohr, di C. Löwe (il popolare autore di ballate per canto e pianoforte) e, in seguito, di F. Mendelssohn.

Ma le correnti musicali più forti, nell'Ottocento tedesco, furono quelle della musica strumentale e del teatro. Della musica strumentale romantica, s'è già visto l'inizio presso il gruppo Schubert, Weber, Spohr, ecc. La continuazione della sua attività è dovuta specialmente a due maestri d'indole assai diversa ma di valore forse egualmente grande: F. Mendelssohn e R. Schumann. Nell'opera del primo i sogni e le ispirazioni del romanticismo si risolvono in una calma, eterea espressione d'euritmia. Il mistero più oscuro avvolge invece lo sfrenato romanticismo di R. Schumann, in cui alla bellezza e all'impeto dell'ispirazione non risponde eguale facilità di elaborazione in grandi forme classiche. Sommo è quindi lo Schumann nelle pagine brevi e fantasiose, specie pianistiche, e nel Lied, quantunque la sostanza musicale delle sue sinfonie ponga anche queste opere tra le maggiori del periodo post-beethoveniano.

Verso la metà del secolo la musica strumentale tedesca si scinde in due correnti: conservatori (J. Brahms) e rivoluzionarî (F. Liszt), i quali ultimi, chiamati anche Neudeutsche Schule, si collegano del resto al movimento teatrale wagneriano.

L'attività del primo gruppo, nonostante la serietà e la sapienza di molti suoi esponenti (F. Kiel, J. Rheinberger, C. Reinecke, M. Bruch, R. Franz, J. Joachim), ha per noi un vero grande valore, estetico e storico, quasi soltanto nell'opera di J. Brahms, che nella severa costruzione architettonica trova - ben lungi dal formalismo scolastico - proprio l'espressione del più potente moto spirituale. Nutrita di Bach e di Beethoven, ma anche di romantica fantasia, quest'arte rappresenta la legittima tradizione germanica, così nelle poderose architetture sinfoniche come nella musica da camera e nel Lied, di fronte all'ardente insurrezione dei Neudeutschen guidati, sulle tracce dello stile wagneriano, dal cosmopolita F. Liszt.

Questi rivoluzionarî erano spinti dal principio del "progresso" e di mete definitive da raggiungersi, per inaugurare l'epoca dell'arte vera. A parte queste teorie, dobbiamo notare che, oltre ai minori, nell'opera dei grandi Neudeutschen: Liszt, A. Bruckner, H. Wolf, R. Strauss (per non parlare ora di Wagner), appaiono preziosi valori musicali: presso Liszt l'amplificazione del regno dell'armonia in un ardente cromatismo, l'inebriante impeto di ritmi e di dorate sonorità, la libertà formale e la forza evocativa dei poemi sinfonici (genere da Liszt sviluppato sulle tracce di Berlioz) e finalmente il completo rivolgimento della tecnica e della composizione pianistica; presso A. Bruckner - in Germania considerato tra i maggiori - l'ampiezza e l'originalità della concezione sinfonica (tritematica, a sviluppo spesso imperniato su fugati e corali), la ricchezza di corde del suo lirismo, che dalla commossa, profonda meditazione va all'ingenua gioia della danza campagnuola. Come si è già accennato, così nello spirito (intenzioni programmatiche e filosofiche, funzione rigeneratrice della musica, ecc.) come nella tecnica (ampliamenti delle forme, della scrittura, dell'armonia, dell'orchestrazione, ecc.) questi sinfonisti sono più o meno strettamente congiunti alla dominatrice figura di Wagner. L'opera del grande drammaturgo non aveva infatti solo valori teatrali, ma anche di pensiero filosofico, e finalmente valori tecnico-musicali di estrema importanza, così che la sua influenza si esercitava sull'intero complesso della vita intellettuale del suo tempo, in Germania e altrove.

I criterî fondamentali del Musik-drama wagneriano, quali sono esposti nelle opere teoriche del maestro, ricordano spesso quelli della Camerata Fiorentina e di Gluck: funzione subordinata della musica rispetto alla poesia che l'ha suscitata (e che la plasma in nuove forme, di natura drammatica, in virtù di motivi conduttori); aderenza del Melos alle inflessioni della parlata tedesca (SprachMelodie); compito esplicativo dell'orchestra - rispetto all'intimo sentire e pensare dei personaggi del dramma - in una sorta di continua, immensa, formalmente libera sinfonia. Dal primo di questi principî scaturisce poi la conseguenza della necessaria unità del poeta e del musicista; unità che trovò la sua massima realizzazione storica proprio nell'autore del Tristano, dei Maestri Cantori e del Parsifal. Nella storia della tecnica musicale rappresenta specialmente l'apogeo del cromatismo tonale (Tristano) e la riassunzione moderna della scrittura "orizzontale", cioè coerentemente contrappuntistica (Maestri cantori).

L'eredità wagneriana viene raccolta, a continuare il movimento di Liszt e Bruckner, da molti compositori, tra i quali H. Wolf con i suoi Lieder, R. Strauss con le sue opere teatrali e sinfoniche, H. Pfitzner col dramma musicale Palestrina e con poderosi lavori orchestrali e corali.

Presso H. Wolf troviamo una scrittura raffìnata e nervosa, nel cui intenso cromatismo, nella cui stretta proprietà di declamazione l'artista giunge a un'espressività aderente, come poche altre, al senso della poesia. Presso R. Strauss, il dominatore della Germania post-wagneriana, ogni elemento dell'arte della composizione giunge all'estremo sfruttamento in opere rivolte alla grandiosità delle forme e degli effetti. Lo stile si libera assai presto da Wagner (quantunque ogni suo ardimento non rappresenti che l'estrema conseguenza delle premesse wagneriane) e si rende riconoscibile e personale - nonostante il suo eclettismo sempre crescente - al punto da imporre alla sua volta la propria impronta a gran parte del mondo dei compositori contemporanei. Il cromatismo, esasperato ormai (Salome, Elektra), sconfina spesso in sovrapposizioni di tonalità; il contrappunto si complica come in un immenso giuoco; l'orchestra finalmente attinge a un virtuosismo prima non mai veduto che sa ottenere gli effetti sonori più potenti senza per questo rinunciare a una nervosa, brillante leggerezza (Zarathustra, Till Eulenspiegel, ecc.).

L'arte di H. Pfitzner si ricollega, nel teatro, a quella di Wagner; di cui applica i principî e risente l'influenza stilistica nel poderoso Palestrina (che per valori etici può essere considerato l'opera più elevata che sia apparsa dopo il Parsifal); mentre nella sua produzione sinfonica e da camera (cantate, concerti, Lieder) si mostra come il più vicino continuatore della tradizione romantica che da Weber giunge a Schumann.

I più importanti compositori di questo periodo sono, insieme con i già citati, il wagneriano E. Humperdinck, autore di fortunate fiabe teatrali; Gustav Mahler, celebre autore di sinfonie d'intenzioni e di mole titaniche ma che per il loro stile composito e per le frequenti banalità di idee permettono un certo dubbio sul loro effettivo valore (migliori i suoi Lieder con orchestra); Max Reger, fortissimo contrappuntista, autore di musica strumentale e di Lieder in cui il fondo bachiano è talvolta oppresso da pesanti strutture neo-barocche; M. Schillings, F. Schreker, S. Wagner, tutti autori di opere teatrali oltre che di musiche strumentali. Una grande importanza ha avuto inoltre nel teatro tedesco, così per la profondità del pensiero come per l'originale concezione del dramma musicale, Ferruccio Busoni col suo Doktor Faust. Nel lavoro della giovane generazione di oggi troviamo che, dopo un periodo di eccessivo ermetismo, rappresentato dalla tenace e raffinata intelligenza e dalla morbosa sensibilità di Arnold Schönberg con le sue difficili polifonie, si comincia a comprendere la necessità di uscire dal cenacolo verso una maggiore semplicità di spirito. A capo di questo nuovo movimento, il quale per il suo odio contro le analisi psicologiche del cosiddetto espressionismo prende il nome di Neue Sachlichkeit e preferisce ispirarsi a Bach anziché a Beethoven, è Paul Hindemith.

L'arte, pur dottissima, di questo giovane, veemente compositore è orientata verso un contrappunto reso leggiero e vivace dalla forza del ritmo. Oltre che nel teatro (Cardillac, la farsa Neues vom Tage, ecc.) essa si manifesta in ogni sorta di composizioni, dalle forme più alte (concerti, quartetti, ecc.) fino a semplici raccolte di studî scolastici. Vicino a lui vanno ricordati, nel medesimo indirizzo oggettivista, E. Krenek, ben noto per la farsa Johnny spielt auf, ispirata al jazz; E. Toch, autore di musiche strumentali dense di polifonia; Kurt Weill col dramma musicale Die Bürgschaft, ecc. Un posto a parte occupa invece H. Kaminski, compositore d'indole mistica che si ricollega con le sue opere corali e con un Concerto grosso alla tradizione più austera di Bach e di Beethoven.

Uno dei movimenti che oggi possono affidarci per la vitalità dell'arte tedesca, in condizioni come le odierne, non davvero favorevoli, è la Musikalische Juhgendbewegung (F. Jöde e W. Hensel), il cui scopo è soprattutto d'indole pratica; ricondurre il culto della musica nel seno della moltitudine per mezzo di società di cantori, di corporazioni, ecc., sulla traccia delle antiche tradizioni tedesche. Uno dei mezzi più importanti per giungere a tale ritorno della pratica musicale nelle famiglie e nelle scuole è veduto, dalla Jugendbewegung, in una radicale riforma da attuarsi nell'istruzione corale della scuola.

Il lavoro di ricostruzione è soccorso gagliardamente dai contributi della musicologia, la quale in Germania è stata sempre in onore.

Accenniamo soltanto agli esponenti di questa scienza negli ultimi due secoli: troviamo nel Settecento i nomi del Mattheson, di M. Gerbert (Scriptores eccl. de musica sacra, Parigi 1784) e J. N. Forkel (Allgemeine Geschichte der Musik, Lipsia 1788-1801), di C. Prinz e J. G. Walther (autori rispettivamente della più antica storia della musica tedesca e del più antico dizionario tedesco di musica). Nell'Ottocento A. W. Ambros di Praga studia l'antica polifonia (Storia della musica, 1862-76); O. Jahn col suo Mozart (1856), Fr. Chrysander col suo Haendel (1858), e Ph. Spitta col suo Bach (1879) diedero l'esempio del moderno lavoro bio-critico. A cura di H. Kretzschmar si pubblica un'importante collezione di opere destinate ognuna alla storia di un genere, mentre H. Riemann compone un importante dizionario musicale e, tra l'altro, un sostanzioso manuale di storia della musica. Nello stesso secolo appaiono edizioni critiche complete di Bach, Haendel, Schütz, Lasso, Mozart, Beethoven, Schubert, Mendelssohn, Schumann, Wagner, Brahms, e s'inizia la pubblicazione di Praetorius, Buxtehude, Scheidt, Haydn, Weber, Liszt, Bruckner. Un ricco materiale istruttivo è offerto dai Denkmäler deutscher Tonkunst (finora settanta fascicoli) e dai consimili bavaresi e austriaci; dalle Publikationen älterer Musik, come anche dagl'importanti periodici Vierteljahrsschrift für Musikwissenschaft (1884-94), Monatshefte für Musikgeschichte (1869-1904), Sammelbände der internat. Musikgesellschaft (1898-1914), Archiv für Musikwissenschaft (1918-24) e Zeitschrift für Musikwissenschaft (1918). La musicologia è rappresentata nell'università tedesca più che negli altri paesi (circa 50 professori). Scuole superiori di musica (oltre ai conservatorî tedeschi di Vienna e di Praga) si trovano a Berlino, Monaco, Lipsia, Colonia, Stoccarda, Würzburg, Weimar, Karlsruhe, cui si aggiungono numerosi conservatorî comunali o privati. A Berlino esiste inoltre un'accademia di stato per la musica sacra e didattica. In Germania funzionano più di 50 teatri d'opera e più di 100 orchestre sinfoniche; quasi in ogni città si trovano società concertistiche e corali; nel Deutsche Sängerbund, nell'Arbeiter Sngerbund e nel Reichsverband der gemischten Chöre sono organizzati circa due milioni di cantori. È inoltre inquadrata in organizzazione propria ogni categoria di musicisti e di persone che abbiano rapporti con la vita musicale, dagli editori ai critici, dai costruttori di strumenti agli abbonati ai concerti (Bühnenvolksbund, ecc.). Importanti biblioteche musicali sono aperte a Berlino, Dresda, Lipsia, Monaco, Ratisbona, Münster

Bibl.: H. J. Moser, Geschichte der deutschen Musik, voll. 3, Stoccarda 1920; id., Die Epochen der Musikgeschichte, Stoccarda 1930; G. Adler, Handbuch der Musikgeschichte, Francoforte 1924; E. Bücker, Handbuch der Musikwissenschaft, Potsdam 1927, finora 4 volumi; R. Malsch, Geschichte der deutsch. Musik, Berlino 1926; R. Benz, Die Stunde der deutschen Müsik, Jena 1923, 2 volumi; H. F. Pfordten, Deutsche Musik, 2ª ed., Lipsia 1920; Beidler e Kestenberg, Jahrbuch der deutschen Musikorganisation, Berlino 1931; Hesse-Stern, Deutscher Musik-kalender (annuale).

Letteratura.

Dalle origini al 1180. - Sulla primitiva poesia dei Germani nei tempi che precedettero il periodo della loro letteratura documentata, c'informano gli storici latini e greci, narrando di canti che venivano tramandati oralmente di generazione in generazione, i quali celebravano gli dei o gli eroi e l'origine delle loro stirpi. Tacito racconta che i Germani avevano dei carmina che tenevano luogo d'annali, in cui era celebrato il dio Tuisto e suo figlio Mannus, padre dei tre capostipiti degl'Ingevoni, Erminoni ed Istevoni; che cantavano il dio Ercole, cioè Donar, andando in battaglia; che presso talune popolazioni veniva glorificato il liberatore Arminio. Lo storico dei Goti, Giordane, narra di prisca carmina, in cui si celebravano gli antichi re Berico e Filimero e la migrazione dei popoli goti sotto la loro guida dalla Scanzia, quasi officina gentium aut certe velut vagina nationum. Tali canti dovevano recitarsi in coro, forse con la guida di uno o più uomini esperti dell'arte, in occasioni solenni, feste religiose, sacrifizî, banchetti, matrimonî o funerali. Che questi canti fossero semplici laudi senza intonazione epica, come erano certamente quelli che l'ambasciatore Prisco udì dai "?due barbari" dopo il banchetto alla corte di Attila, è assai probabile. Ma il canto serviva anche per incitare i combattenti prima della battaglia. I Batavi, narra Tacito, si accingono all'attacco di Cecina con canto selvaggio, e similmente ne informa Giuliano. Che codesti canti contenessero la lode degli avi e degli eroi risulta dal racconto di Ammiano Marcellino, che i Goti di Fritigerno, stando di fronte alle schiere di Profuturo, Traiano e Ricimero, celebravano con rozzo canto la gloria dei loro antenati. Questi canti di battaglia, dice Tacito, si chiamavano barditus, forse dal tenere essi gli scudi (antico nordico: bardhi "scudo") innanzi alla bocca per rendere più alto e spaventevole il suono della voce e incutere terrore ai nemici.

Anche per celebrare le virtù di un estinto si servivano del canto corale. Nei funerali di Attila (Giordane, 49), i migliori campioni cavalcano intorno alla bara del re, cantando l'inno funebre, glorificando Attila come "il magnifico re degli Unni, figlio di Mudzuc, il vincitore dei popoli più forti, il quale con potenza mai veduta per lo innanzi tenne il regno degli Sciti e dei Germani, fu spavento per i due imperi romani e conquistò le loro città, ma anche fu mite e cedette alle preghiere, ed accettò dai vinti un annuo tributo". Non altrimenti sono narrati nel poema anglosassone Beowulf i funerali dell'eroe, a cui viene eretto sulla riva del mare un sepolcro alto ed ampio, visibile da lungi ai navigatori; dodici guerrieri cavalcano poi intorno al tumulo, intonando il canto funebre in gloria dell'eroe, che fu "il più degno dei re della terra, il più mite tra gli uomini, il più caro alle genti, il più bramoso di lode".

Questi canti laudativi devono essere stati certamente l'origine di quelle saghe che si raggrupparono intorno ai re e agli eroi delle migrazioni dei popoli, come il riflesso di quei grandiosi avvenimenti, di quel tragico incalzarsi di glorie e di rovine che costituiscono la storia dei primi secoli dell'era nostra, e che furono più tardi la materia eroica del poema. Codeste saghe pertanto non hanno nulla di comune col mito divino, ma sono d'origine puramente storica. Esse appartengono alla specie dei canti che sono la fusione della verità e della poesia, cioè del fatto storico adornato dalla fantasia del cantore. Di tal natura sono certamente non solo le notissime saghe formatesi intorno alle personalità storiche di Teodorico, Teodoberto, Ermanarico, Attila, Ildebrando, Guntero, Gualtiero di Aquitania, ecc., ma anche quelle ove la figura del personaggio principale è più difficilmente rintracciabile e si perde, oscillando tra la realtà e il mito, nelle nebbie della preistoria. Comunque sia, gli eroi delle saghe non sono divinità scese in terra e umanizzate, sì bene queste assai spesso sono eroi umani fatti divini.

Poiché i Germani non possedettero in nessun tempo un loro particolare alfabeto, ma ebbero l'arte dello scrivere dai Romani, la letteratura scritta data presso di essi dal tempo posteriore ai loro intimi contatti con la civiltà latina, o, meglio, alla loro conversione al cristianesimo; è noto che i caratteri runici, deformazione della scrittura capitale dei primi tempi dell'impero, i quali furono usati quasi esclusivamente in epoca pagana, non servirono mai a scopo letterario, ma solamente negli atti dell'arte divinatoria o della magia in genere. Il primo documento scritto, che sia giunto a noi, proviene pertanto dalla prima popolazione germanica che abbia abbracciato il cristianesimo: esso è quella traduzione visigotica della Bibbia del vescovo Ulfila, di cui il Codex argenteus, conservato a Upsala, contiene notevoli frammenti, in un alfabeto da Ulfila stesso composto con caratteri runici, greci e latini. Questo insigne documento non segna peraltro l'inizio della letteratura tedesca scritta sia perché lo sforzo di Ulfila non ebbe continuatori, sia perché la breve civiltà visigotica del sec. IV si spense senza traccia durevole per la cultura della Germania moderna, la quale si svolse dal ceppo dei Germani occidentali. Un inizio di attività letteraria tedesca si ha solo nel sec. VIII, in quel primo fervore di studî che si accese intorno a Carlomagno, e nel quale si unirono e compirono armoniosamente il pensiero nazionale-tedesco e quello cristiano-religioso. Carlomagno chiamava a sé gli uomini più illustri di ogni paese, Alberico, Eginardo, Teodulfo, Paolo Diacono, promoveva la composizione di una grammatica tedesca, e, come narra Eginardo, faceva raccogliere le canzoni pagane degli antichi Germani.

Ma per l'opera di propaganda religiosa, a cui erano intesi, in questa età e nella successiva, il clero e il monacato, nelle cui mani esclusivamente erano gli studî e le lettere, fu costante la vigile preoccupazione di soffocare e distruggere quanto nella tradizione popolare ricordasse i tempi e le glorie del paganesimo eroico: ond'è che i documenti che a noi pervennero dell'antica poesia, trascritti in questo tempo, sono pochi e scarsi frammenti: senza parlare delle cosiddette Formule magiche di Merseburgo (Merseburger Zaubersprüche), in dialetto franco del sec. VIII, e di qualche altra analoga, si deve a un fortunato caso la conservazione di un documento ben più importante per la storia dell'epica, cioè del Canto di Ildebrando (Hildebrandslied), scritto verso l'800 sull'esergo dei cartoni di un libro di preghiere, in una lingua che è una mescolanza di alto e di basso tedesco: componimento poetico di grande valore nel quale, su un motivo di leggenda del ciclo ostrogotico, vengono in conflitto due delle maggiori forze morali del paganesimo germanico, il sentimento di consanguineità e l'onore eroico.

Ma la letteratura del sec. IX ebbe principalmente il fine di diffondere la nuova fede, di cristianizzare cioè la Germania, prima e massima preoccupazione dei carolingi, onde si perse del tutto sotto i successori di Carlomagno il culto letterario dell'epopea nazionale; anzi dal Canto di Ildebrando bisogna giungere alla metà del secolo XII per trovare nel Re Rotari (König Rother) un altro documento dell'epica nazionale in volgare affidato alla scrittura. Tutto il rimanente che ci pervenne dal tempo della dominazione franca in lingua tedesca è di contenuto religioso, straniero pertanto allo spirito della letteratura nazionale. Accanto a frammenti di scarso valore, come la breve Preghiera di Wessobrunn (Wessobrunner Gebet) del sec. IX, in dialetto bavarese, nella quale taluni critici, in base ad alcuni versi che sono una definizione poetica dell'eternità e dell'onnipotenza di Dio e in cui risuonano alcune parole di una strofe della prima canzone eddica, credettero di rintracciare i concetti cosmogonici del paganesimo; accanto al cosiddetto Muspilli, frammento di un centinaio di versi, pure in dialetto bavarese, e pure del sec. IX, ove si parla del destino delle anime dopo la morte, della lotta degli spiriti celesti e infernali per il possesso dell'anima e della lotta di Elia con l'Anticristo, e nel quale si vollero rintracciare reminiscenze degli antichi concetti escatologici precristiani, ci sono giunte altresì opere di notevole valore storico e artistico: vale a dire il Heliand e l'Amionia degli Evangeli (Harmonia Evangeliorum o Evangelienharmonie) di Otfried, che rappresentano le due diverse tendenze della volgarizzazione del cristianesimo, la popolare e la dotta. Il primo, che può dirsi il capolavoro letterario dell'antico tedesco, è un vasto poema in lingua sassone, composto, sulla base della allora famosa Armonia di Taziano e dei commenti di Rabano Mauro, Alcuino e Beda, da un monaco del monastero di Fulda, forse per incarico di Ludovico il Pio, inteso a guadagnare definitivamente alla nuova fede, con un'opera cristiana, quel popolo tuttavia segretamente fedele alle divinità pagane, e ottenere col mezzo persuasivo dell'arte quello che Carlomagno non aveva potuto conseguire col ferro e col fuoco. È una traduzione degli Evangeli, o meglio una libera elaborazione degli avvenimenti narrati negli Evangeli: il suo fascino principale sta nell'ingenuo sforzo, abbastanza comune nel Medioevo, di adattare il racconto biblico alle condizioni e alle circostanze della vita, e soprattutto alla mentalità del popolo sassone del secolo IX. Tutto vi ha una tinta così spiccatamente germanica che sembra talora, nelle parole di Cristo, nelle risposte dei discepoli, e nella stessa cadenza del verso allitterato, ricco di tutte le doti dello stile epico tradizionale, di sentire i guerrieri di qualche antichissima saga. L'opera è il più insigne esempio della germanizzazione della poesia e della dottrina del cristianesimo. Alcuni frammenti di una Genesi in antico sassone, scoperti verso la fine del secolo scorso, e certo dello stesso autore, dimostrano che l'opera s'iniziava dalla creazione del mondo. Di fronte al Heliand sta l'Armonia degli Evangeli - o Krist, secondo il titolo che ebbe nell'edizione del 1831 - in lingua franca dell'alto Reno, fatta direttamente di sui quattro Evangeli, è costituita in massima parte da divagazioni esegetiche, e solo di quando in quando, per certe aggiunte e omissioni, s'avverte un certo sforzo di adattamento alle condizioni locali; è l'opera di un dotto, nella quale accanto all'erudizione o all'allegoria dottrinale abbondano gli artifici puerili della forma. Questa, anzi, fu la principale innovazione di Otfried, che, volendo sostituire nella mente del popolo un canto cristiano alle "oscene" canzoni pagane, ruppe col verso epico tradizionale e creò un verso composto di due emistichî, di quattro battute ciascuno, uniti insieme per mezzo della rima, che compare così per la prima volta nella poesia tedesca, e raggruppati in distici; verso che rimase poi per due o tre secoli il tipo dominante della poetica tedesca, e che fu una delle cause del successo di Otfried, la cui fiorita scolastica doveva rispondere al gusto medievale meglio che l'austera semplicità del Heliand.

Quando a queste opere principali di contenuto religioso si aggiunga la Canzone del re Ludovico (Ludwigslied), composta nell'882 in dialetto franco-renano, in lode di Ludovico III, fratello di Carlomanno, per la sua vittoria di Saucourt sopra i Normanni, compenetrata anch'essa di spirito cristiano e non immune di digressioni teologiche (e della quale Herder diede una traduzione in tedesco moderno), si completa quasi la menzione delle opere poetiche volgari del sec. IX: durante il quale la prosa, più ancora della poesia, fu al servizio quasi esclusivo della chiesa cristiana (traduzioni della Scrittura, o commenti di essa, formule di abiura o di confessione, preghiere o dichiarazioni di preghiere o regole di ordini monastici), e presenta un interesse esclusivamente linguistico.

Un quadro affatto diverso ci offre il sec. X. La cultura, per alcuni decennî negletta durante il battagliero regno di Enrico I, rifiorisce bensì alla corte degli Ottoni, a cui, come già a quella di Aquisgrana, convengono i dotti d'ogni paese, Stefano da Novara, Gunzone da Pavia, Ekkehardo di San Gallo, e i membri stessi della famiglia imperiale coltivano con indefesso amore le lettere e, cosa nuova e inusitata, anche le donne prendono alla cultura vivissima parte; ma, mentre nel secolo IX, mercé l'indirizzo dato dal genio di Carlomagno e dall'amore suo per le cose patrie, la poesia e la prosa catechistica si erano servite della lingua volgare, componendo una ricca produzione in veste nazionale, sebbene straniera nella sua contenenza, gli studî del sec. X prendono una via diversa; il clero e il monacato rimangono, come durante l'evo carolingio, i soli cultori e custodi delle lettere, ma la lingua tedesca cede il posto al latino.

Lo studio dei classici diventa il fondamento e lo scopo di ogni cultura, la poesia non sa altra perfezione formale che l'imitazione degli scrittori dell'età augustea o di altri della bassa latinità. Non si potrebbe quindi parlare di una vera e propria letteratura tedesca del sec. X, perché non v'è alcun importante documento poetico in volgare, e la prosa, sebbene sia di grande importanza per la storia della lingua, non è se non prosa di traduzioni e non serve che per l'apprendimento del latino. Così è, per esempio, di tutta la vasta opera di Nokter III di S. Gallo, che volgarizzò liberamente scritti di Boezio, di Marziano Capella, i Salmi, ecc.; di quella di Williram, monaco prima a Fulda e poi a Bamberga, che compose una traduzione prosastica del Cantico dei cantici, e così di altti. Con tutto ciò l'influsso classico resta esteriore, limitato soltanto alla forma; il contenuto della letteratura è affatto indipendente dalla poesia classica.

Ecco, infatti, proprio in questo tempo di umanesimo, risorgere le leggende dell'antichità germanica, che parevano sepolte sotto la letteratura cristiana del secolo IX, e ottenere un'ampia e finita trattazione quelli che erano i più genuini frutti del pensiero nazionale; ecco rivestirsi di forme esageratamente imitate ed emulate, le più schiette favole tedesche, il culto dell'arte antica associarsi a quello delle tradizioni nazionali, e il verso fatto a imitazione di Virgilio e di Orazio celebrare, oltre alla passione, alla vita e al miracolo del santo cristiano, anche i fatti dell'antica epopea e le gesta dell'eroe indigeno.

È una tendenza nuova, nella quale direttamente s'avverte l'effetto della restaurata potenza politica (auspici quei sovrani sassoni che si chiamano ormai reges Teutonicorum) e, a un tempo, "di quel risveglio della coscienza nazionale germanica, cui la grande concezione dell'impero universale, che Carlomagno aveva voluto far rivivere, era bensì valso a traviare in parte e in parte a spegnere; ma che adesso, spezzati i vincoli fittizî, risorgeva dovunque con vivacità senza confronto maggiore" (Novati).

Lasciando da parte Hrotsuith o Rosvita, la monaca di Gandersheim, che, con le sue leggende sacre e con i suoi drammi scritti in aemulationem Terentii, rientra, per la forma e per il contenuto, nella storia della letteratura latina medievale, tale contenuto nazionale hanno per l'appunto le opere di questo periodo che presentano maggior interesse: anzitutto il Waltharius manu fortis di Ekkehardo I di San Gallo, il componimento letterariamente più notevole del sec. X, che ci ha conservato nei suoi 1456 esametri di sapore virgiliano la leggenda di Gualtiero di Aquitania, elaborando forse qualcuna di quelle cantilene che i consueti custodi e propagatori dell'epopea, i giullari, spacciavano per le piazze e per i trivî.

La leggenda probabilmente ebbe origine fra gli Ostrogoti e gli Alemanni, e benché l'autore, ecclesiastico, l'abbia tinta di parecchi tratti cristiani e l'abbia adornata di non pochi motivi classici, tuttavia lo spirito del germanesimo informa il racconto ed appare in tutti i particolari della vita dei personaggi, che portano quel puro carattere eroico dei primi tempi, scevro ancora del costume straniero dell'età cavalleresca: sotto l'esametro latino si sente scorrere la fresca e barbara vena della canzone antica.

Anche l'epopea animalesca, che già era pervenuta ai Tedeschi per mezzo delle versioni latine, ebbe in questo tempo la sua prima trattazione in quella Ecbasis cuiusdam captivi, composta in esametri leonini verso il 940 da un giovane ecclesiastico del convento di St. Aper a Tull, nella quale alla storia figurata della propria conversione il poeta ha intrecciato, ampliandola d'infiniti particolari, la favola esopiana del leone ammalato. E di questo secolo, o dei primi anni dell'XI, è pure il primo romanzo d'avventure, scritto anch'esso in esametri leonini col titolo di Ruodlieb da un monaco di Tegernsee, del quale ci pervennero soltanto dei frammenti, in cui, per altro, con la narrazione delle varie e curiose avventure di un giovane cavaliere è conservato un ricco materiale per la storia della cultura, per lo studio degli usi e costumi dominanti tra le classi aristocratiche intorno al Mille.

Ma la rinascenza dell'antichità classica, manifestatasi sotto gli Ottoni, fu di breve durata e il gusto per gli scrittori latini passò rapidamente. I tempi incalzano: i grandi avvenimenti storici di un'epoca profondamente movimentata, piena dei tragici contraccolpi dell'immane conflitto fra la Chiesa e l'Impero, le nuove e abbaglianti impressioni delle crociate, il sorgere, col sistema comunale di nuove condizioni di vita per le varie classi, dànno verso la metà del sec. XI i fermenti per lo sviluppo di una nuova e ricca letteratura, la quale accompagna il sorgere e l'affermarsi anche di una nuova lingua letteraria, il medio-alto-tedesco.

Le bellezze degli antichi in questo periodo perdono fascino, anzi lo studio di essi, contrapposto alle meditazioni della verità cristiana, è considerato come una colpa e tutta la letteratura profana è causa di scandalo. L'ecclesiastico del tipo del primo Ekkehardo scompare: le saghe nazionali sono rigettate nel dominio dell'errore, il quale non può fruttare se non le pene dell'inferno. L'antico poeta vagante, il venerabile . Sänger dei primi tempi che custodiva il ricordo delle gesta memorabili degli avi, diviene il girovago pezzente, accomunato col mimo e col buffone. Per tutto il tempo che va dalla metà del sec. XI alla metà del XII, le idee religiose ed ecclesiastiche dominano interamente gli spiriti. Clero e laicato si trovano sotto l'impero dell'indirizzo ascetico emanante dal convento di Cluny: si riflette nell'arte la preoccupazione della propria salvezza, il pensiero dell'oltretomba, la paura del castigo eterno; e gli ecclesiastici, come già ai tempi di Carlomagno, adottano ancora una volta la poesia per volgarizzare la loro dottrina e la loro concezione del mondo e della vita. Fiorisce così una messe copiosa di opere volgari, a cui sembra dare il tono per molto tempo quell'antico Memento mori alemanno, che predica il pensiero della morte come norma di vita. La vita di Cristo, gli avvenimenti più importanti dell'Antico Testamento, l'Anticristo, il giudizio finale, la stessa leggenda cristiana allora in rigoglioso sviluppo, sono i temi favoriti della letteratura, il cui solo pregio è da cercarsi nella maniera dell'elaborazione di una materia tradizionale e nel grado di fervore religioso che la anima. L'Ezzolied (Canto di Ezzo), in cui è abbozzato con pregnante concisione il dramma mondiale dalla creazione alla redenzione; la cosiddetta Genesis di Vienna, ingenuo e fresco rimaneggiamento della Genesi biblica; le poesie di Donna Ava (Frau Ava), la più antica poetessa in lingua tedesca di cui ci sia giunta notizia, le quali espongono in uno stile alquanto incolore i fatti principali del Nuovo Testamento; le tre Canzoni della Santa Vergine del prete Wernher, minuta narrazione delle vicende della vita di Maria, ma alquanto libera dalle sue fonti e già un po' adorna di quell'agile eleganza che sarà propria della poesia aulica posteriore; l'Annolied, poema in lode dell'arcivescovo Annone di Colonia, sono le produzioni più notevoli di tale indirizzo. Ma gli ecclesiastici, con l'intendimento di condurre il laicato sempre più nell'orbita della concezione spirituale cristiana, distraendolo in pari tempo dalle leggende eroiche nazionali, meno adatte e anzi contrastanti con le vedute e gl'interessi religiosi, non tardarono a invadere anche il dominio delle favole profane, introducendo per i primi in Germania l'epica francese, e con essa la forma dell'ampio racconto non più destinato alla recitazione, ma alla lettura, contribuendo in tal modo a spianare la via all'ingresso della poesia romanza nella letteratura tedesca e a preparare l'avvento del periodo della poesia cortigiana, che doveva indi a poco toglier loro per sempre il privilegio delle lettere. Sorsero così, nella prima metà del sec. XII, il rimaneggiamento in versi tedeschi del poema francese sulle gesta di Alessandro Magno di Alberico di Besançon, la Canzone di Orlando (Rolandslied) del Prete Corrado e la Cronaca degl'imperatori (Kaiserchronik), vasta compilazione della storia dei re e degl'imperatori romani da Romolo a Corrado di Svevia, composta verso il 1150 da un ecclesiastico di Ratisbona. Anche due favole profane senza alcuna tinta religiosa, di quelle che continuavano a vivere nella tradizione orale dei poeti vaganti e dei giullari, furono riplasmate in poemi intorno al tempo in cui fu scritta la Cronaca degl'imperatori, e cioè il Re Rotari (König Rother) e il Duca Ernesto (Herzog Ernst), due componimenti novellistico-leggendarî, di origine tedesca, ma trasportati nel quadro fantastico dell'Oriente e nel mondo delle crociate. Ormai anche le leggende eroiche nazionali, pur esse affidate fin qui alla tradizione oraie, sono prossime a essere trascritte in poemi destinati alla lettura: la poesia sta per essere tolta dalle mani degli ecclesiastici per entrare nei castelli feudali e nelle regge.

Dal 1180 al 1350. - L'epoca che seguì e che si potrebbe delimitare dal 1180 fino al 1350 circa, cioè dall'avvento di Arrigo VI al grande interregno, ebbe in Germania i caratteri di un'epoca di grandezza per tutti gli aspetti della vita: potenza politica e gloria di fortunate imprese guerresche, accresciuto benessere di tutte le classi sociali, magnificenza di vita cortigiana, pieno splendore della cavalleria non più avversata dalla Chiesa, ma al servigio di questa e da questa idealmente consacrata nelle imprese di Terrasanta. Divenuta la classe dominante, la cavalleria prende anche la direzione dell'attività letteraria; e la poesia, i cui rappresentanti appartengono ora all'alta e bassa nobiltà e trovano mecenati alle corti dei sovrani, raggiunge in questo periodo il suo punto culminante. Ma, contemporaneamente, l'innato pericolo della nazione germanica, la infatuazione delle cose straniere, raggiunge la sua crisi più acuta. La Francia, il cui influsso si manifestò su tutta la vita cavalleresca dell'Occidente, e che aveva già dato alcuni modelli all'epica profana del periodo anteriore, domina ora in più vaste proporzioni la poesia più propriamente cortigiana: i poeti e i narratori francesi non solamente divengono i modelli formali, ma offrono anche nei loro testi la fonte immediata della materia, qualunque essa sia - celtica, orientale, classica, franca -, alla traduzione e all'elaborazione indipendente e a volte geniale degli artisti tedeschi, mentre sboccia, accanto all'epica, il fiore della lirica amorosa. Al tempo stesso anche questa volta, come in ogni grande periodo della letteratura tedesca, l'elemento nazionale risorge vigoroso di fronte all'elemento straniero; i canti delle antiche saghe radicate nella storia della nazione trovano essi pure i poeti che, affinandoli con l'arte e tingendoli di cristianesimo e di cortesia, restituiscono loro il fascino delle glorie domestiche.

Tre generi pertanto dànno principalmente il carattere a questo aureo periodo della poesia tedesca medievale e ne fanno la gloria: l'epopea cavalleresca, l'epopea nazionale e il Minnesang. La prima, benché sostanzialmente riflessa, presenta caratteri che la rendono in alcune delle sue migliori produzioni un prodotto specifico dell'arte germanica. Questi poeti cortigiani non sono quasi mai semplici traduttori, ma lasciano spesso scorgere un po' del loro modo di sentire e di pensare, profondamente differente da quello dei Francesi. La maniera ardita, leggiera e realistica è sostituita da una spiccata tendenza al sentimentale e all'ideale, al morale e al serio. Acuitasi con la psicologia e la morale cristiana l'abitudine all'osservazione della vita interiore, la sottile analisi dei sentimenti diventò il segno caratteristico della nuova poesia.

Il fondatore, o meglio l'iniziatore dell'epopea d'arte fu Enrico von Veldeke, di Maestricht, che tradusse verso il 1180 l'Eneit (Eneide) da un rifacimento francese nel quale la materia classica era stata completamente rielaborata e adattata alle condizioni del tempo. Benché l'opera del Veldeke non sia punto originale e la sua novità sia soprattutto linguistica, essa ebbe un grande successo, anche per il fatto che, dando una brillante immagine della cavalleria e del culto d'amore, intrecciando l'eroico col sentimentale, corrispondeva pienamente al gusto del tempo. Maggiore originalità e qualche soffio di vera poesia si trova già nelle opere dal più antico dei tre grandi poeti cavallereschi, Hartmann von Aue, morto innanzi il 1220, il primo che abbia conferito all'arte cortigiana la sua scorrevolezza e la sua grazia, temperando la freddezza galante con un senso di umanesimo spirituale. Sul modello dei poemi di Chrétien de Troyes, egli compose i due poemi Erec e Iwein, sul tema del conflitto fra l'amor coniugale e le esigenze della cavalleria, con non prima conosciuta limpidezza di stile e con singoli episodî di penetrante intuito d'anime. Rielaborò poi due leggende a tinta religiosa e morale: quella sveva del Povero Enrico (Der arme Heinrich), triste storia di un lebbroso che può essere guarito solo col sangue del cuore di una vergine che l'offra spontaneamente per lui; e la feroce leggenda di Gregorio Stilita (Gregorius auf dem Steine), di fonte francese, una specie di Edipo cristiano, il quale, figlio egli stesso incestuoso, sconta con diciassette anni di penitenza la colpa involontaria dell'incesto con la propria madre, ed è quindi eletto papa. Senza umiliazione neppure l'uomo più retto può conseguire la grazia di Dio, ma l'umiliazione e il pentimento purificano anche il più orrendo peccato: ecco i concetti fondamentali di queste leggende, narrate anch'esse con elegante semplicità di forma. Sulle orme di Hartmann procede Goffredo di Strasburgo, il quale nel suo Tristano e Isotta, composto intorno al 1210, afferma le esigenze eternamente umane della passione. Il modello seguito da Goffredo è il poema del francese Thomas, sulla nota leggenda celtica, allora già antica fra i trovatori; ma egli seppe trattarla da grande artista, sollevandosi in molti punti al disopra della sua fonte. Dopo Hartmann, che aveva introdotto nella poesia cavalleresca il meraviglioso delle avventure, Goffredo vi apportò la minuta analisi dei sentimenti. E un altro elemento vi mise, che servì a portare entro i suoi versi colore e luce: il sentimento della natura. Maestro insuperabile nel maneggio della metrica e della lingua, sebbene infine, a volte, agli artificiosi ornamenti metrici e stilistici, egli spiega tutte le risorse della sua arte in una sottile analisi della gioia e delle pene dei due amanti, specialmente felice nella descrizione delle loro prime timide manifestazioni d'amore.

Di fronte all'arte dei due predecessori, nei quali si riflette ancora l'atmosfera alquanto frivola della vita di corte, si erge solitario e severo l'alto mondo spirituale di Wolfram von Eschenbach, il maggior genio poetico del Medioevo germanico, il poeta del Parzival, di cui soltanto si sa che era di nobile famiglia della Franconia centrale, che fra il 1203 e il 1215 visse alla corte del langravio Ermanno di Turingia, e che, essendo illetterato, si faceva leggere i poemi francesi e ne dettava la traduzione.

La leggenda del Parsifal, la storia del "puro folle", è invero la più bella in tutta la poesia medievale d'Europa, e Wolfram elaborandola vi ha saputo infondere una profonda significazione morale. Qualunque sia la fonte o le fonti di cui si è servito (v. Wolfram von eschenbach), la materia umana del poema gli appartiene pienamente. Al disopra del mondo monotono dell'aventiure, fuori della fede puerile e falsa della poesia dei suoi contemporanei, Wolfram c'innalza in un'atmosfera di fede intimamente sentita, fatta di umiltà e d'innoeenza e insieme di un mistico impulso verso i segreti di Dio, in una concezione dell'unione degl'ideali cristiani e cavallereschi come la più alta perfezione della vita; fuori dell'artificiosa morale d'amore, entriamo nella zona di una sana morale naturale e di un fedele amor coniugale, a cui è attribuita una potenza che salva e che redime; fuori dei vincoli della convenzione, siamo elevati a una libera concezione umana che porta con sé la spinta al peccato, ma anche la liberazione dal peccato. Difetti di composizione, prolissità, sfoggi di erudizione, oscurità e astrusità di pensiero, incoerenze di svolgimento non impediscono che l'opera sia uno dei maggiori monumenti della poesia del Medioevo, che i Tedeschi, con spiegabile esagerazione, amano talvolta paragonare alla Commedia di Dante. Incompiute rimasero due altre composizioni di Wolfram, il Titurel d'invenzione originale, e il Willehalm, derivato da fonte francese, ma con uno spirito di tolleranza e con un senso di umanità che alla fonte francese erano ignoti. Con queste opere l'epopea cavalleresca tedesca ha finito la sua età d'oro: gli epigoni non faranno che camminare sulle orme dei tre grandi maestri, continuando l'opera loro o contraffacendo la loro maniera, dando prova di originalità soltanto nell'esagerare i difetti dei loro modelli, benché la pura forma creata da questi continui tuttavia a dominare la letteratura fino oltre la fine del Duecento.

Sotto l'influenza di Hartmann stanno tutti quei mediocri ingegni che dopo di lui composero i cosiddetti romanzi arturiani: Ulrico di Zatzikhoven della Turgovia col suo Lanzelet, Wirnt von Gravenberg, bavarese, col Wigalois, Enrico di Türlin, carinzio, con la sua Corona (Aventure Crône), lo Stricken, oriundo della Franconia, meglio noto per le facezie del suo Pfaffe Amis che per il suo Daniele dalla valle fiorita (Daniel vom blühenden Tal). La maniera di Wolfram si ritrova nel mastodontico Jüngere Titurel di un bavarese di circa il 1270; in un Lohengrin composto pure in Baviera alcuni anni più tardi; in Bertoldo di Holle e in Ulrico di Eschenbach, che mescolarono nei loro poemi alle tradizioni romanzesche motivi domestici; mentre Goffredo di Strasburgo esercitò la sua influenza, oltre che sui suoi due continuatori, Ulrico von Türheim ed Enrico von Freiberg, su due fecondi poeti alemanni: Rodolfo di Ems e Corrado di Würzburg. Il primo, autore di vasti poemi su leggende religiose: Barlaam e Josaphat, satura di spirito ascetico, o cavalleresche: Guglielmo d'Orléans (Wilhelm von Orlens), o dell'antichità classica: Alessandro Magno, o della storia biblica: la Cronaca universale (Weltchronik), esaurisce nell'eleganza della forma prolissa le sue doti d'artista; il secondo, artista e poeta che stupì i suoi contemporanei con la fertilità del suo spirito e l'agilità del suo verso, compose con intendimenti religiosi l'allegoria la Ricompensa del mondo (Der Welt Lohn), e la Fucina d'oro (Die Goldene Schm iede), in cui raccolse tutto quello che viveva d'immagini e di paragoni nella tradizione popolare e letteraria intorno alla Vergine; mise in rima, oltre a un gran numero di ballate, canzoni e lai, le leggende di Sant'Alessio e del papa Silvestro; trattò con molta finezza temi schiettamente novellistici senza disgressioni morali nell'Engelhart, che elabora un motivo delle favole dell'amicizia, e nella Herzmäre, che contiene la storia del marito che fa mangiare alla moglie il cuore dell'amante; e trattò un tema storico nel grande romanzo poetico la Guerra Troiana (Trojanerkrieg), incompiuto: caratteristico documento, coi suoi 40.000 versi, sia dello sforzo d' infondere alla materia classica lo spirito del Duecento tedesco, travestendo l'antico in medievale, sia della tendenza all'ampliamento, a cui lo traeva la prolissità dello stile.

Ma lo spirito del secolo d'oro era ormai quasi svanito dalle menti e dai cuori: lo splendore della cavalleria a poco a poco s'andava offuscando, così che Ulrico di Liechtenstein, che intorno al 1250 tentò di rianimarla col suo Frauendienst, non riuscì che a farne involontariamente la parodia. E già l'opposizione agl'ideali del tempo di Hartmann, che cominciava ad emanare dal carattere ognor più realistico del tempo, si afferma in qualche opera, che in mezzo alla scialba uniformità degli epigoni mostra qualche tratto originale: Wernher der Gartenäre, trattando nel suo Meier Helmbrecht la storia di un contadino della Baviera che per vanità si fa cavaliere predone, è il primo a foggiare, indipendentemente e all'infuori dai temi fissi della tradizione, una materia attinta alla realtà, descrivendo in tono eroicomico, con tratti taglienti, l'aristocrazia imbarbarita.

Un mondo ben diverso da quello dell'epopea cortigiana ci sta innanzi con l'epopea nazionale. Anche questa non ha potuto naturalmente sottrarsi all'influenza formale del cristianesimo e della cavalleria, ma il fondo morale e psicologico è rimasto in gran parte quello della barbarie pagana; non gesta galanti d'individui isolati, maniere cortesi, schermaglie d'amore fondate sull'infedeltà e sull'adulterio, sensazioni mutevoli e languidi spasimi; ma, sotto le imprese e le sventure dei singoli, riassunti i destini dei popoli, fatalità e stragi spaventose, che si svolgono nel dominio di tutti i valori morali dell'antichità pagana: durezza e fierezza primitive, fedeltà incorruttibile, che comanda l'amore indomito e l'odio implacabile, la vendetta che genera la vendetta. Fra le leggende eroiche che ebbero origine nei grandi, tragici avvenimenti storici dell'epoca delle migrazioni, specialmente i fatti e i personaggi degli Ostrogoti, degli Unni e dei Burgundî, trasmessi di secolo in secolo e modificati e trasfigurati negli Heldenlieder, furono poi elaborati con epica estensione in forma di poema, quando l'uso della trascrizione si sostituì alla semplice tradizione orale.

Il più importante fra tali poemi è il poema dei Nibelungi, che, dopo anteriori redazioni, sorse nella forma conservataci verso il 1200 in Austria, e nel quale confluisce direttamente o indirettamente quasi tutta la saga germanica. L'antica leggenda di Sigfrido vi è fusa con la burgundica e l'ostrogotica: il suo principale fondamento storico accertato è la strage dei Burgundî compiuta da Attila nel 437. Le due parti del poema erano dapprincipio probabilmente indipendenti, come si può arguire anche da alcune inconseguenze nell'andamento dell'azione e dal carattere stesso dei personaggi. Gli avvenimenti che vi si svolgono formano un seguito di fatti dipendenti l'uno dall'altro in rapporto di offesa e di vendetta, culminando in una sanguinosa e generale catastrofe: der Nibelunge nôt.

Il poema ci è stato tramandato in numerose recensioni, che divariano notevolmente l'una dall'altra: quella del manoscritto di S. Gallo è ora la più universalmente accolta. La saga, che è piena di un gran soffio tragico e grave, di un senso incombente di rovina e di morte, è veramente architettata con elementi di proporzioni grandiose, e rappresenta nei personaggi, giganteschi e ferrei nella volontà e nella fede, una formidabile vita interiore, anche se a questa grandiosità non corrisposero sempre i mezzi artistici nell'esecuzione e anche se il poema resta pieno d'ineguaglianze e di disarmonie. Il paragone con l'Iliade, più che da ragioni estetiche, è stato suggerito dal fatto che i Tedeschi vi ritrovano il maggior documento delle prime storie e delle virtù originarie, il monumento del germanesimo eroico e l'epopea della patria. La continuazione naturale del poema dei Nibelungi è la Klage, il Lamento, che racconta del dolore dei pochi superstiti alla corte di Attila per gli eroi caduti e della loro sepoltura, rievocando le loro gesta e le loro virtù, nonché dell'annuncio della tragica novella alle vedove di Rüdiger e di Gunther. La Klage, nella quale è palese un influsso cristiano assai superiore a quello che già si esercitò sul poema, è tuttavia, come opera d'arte, trascurabile. Il secondo, importante poema eroico nazionale è invece la Gudrun, composto anch'esso da un poeta austriaco intorno al 1200 e giunto a noi in un unico manoscritto redatto per ordine di Massimiliano I e scoperto nel 1820. Esso si stacca però notevolmente, per il tono e per i precedenti storici, dal contenuto dei Nibelungi, dalle condizioni e dagli avvenimenti del tempo delle migrazioni, e tratta un complesso di leggende di origine settentrionale, formatesi presso le popolazioni germaniche del Mare del Nord, che portano i caratteri del tempo dei Vichingi e che furono recate probabilmente nella Germania meridionale nel sec. X da giullari renani. Malgrado qualche residuo del cupo mondo nibelungico, i personaggi non vi escono dal normale. Con la sua esaltazione della fedeltà umile e paziente e della più pura nobiltà femminile, è un'opera che respira la pace e annuncia la pace; e che, per una certa sua chiara semplicità, per gli scorci di paesaggio marino e per alcuni tratti dell'eroina principale che rammentano insieme Penelope e Nausicaa, fu accostata all'Odissea.

Tutti gli altri poemi epici minori, che ci sono rimasti, hanno attinenza al nucleo centrale delle saghe germaniche, collegandosi intorno alla figura di Teodorico, il quale viene rappresentato come il tipo dell'eroe dignitoso, austero e paziente, ma, all'occorrenza, invincibile. Anche questi poemi sono giunti a noi anonimi nella quasi totalità: cosi il Biterolf e Dietleib, nel quale è narrata una serie di avventure e di tornei, che si svolgono secondo il costume cavalleresco, e che culminano in un duello fra Teodorico e Sigfrido, composto infine all'amichevole; il Rosengarten, che rappresenta la lotta fra i cavalieri borgognoni di Crimilde, fra i quali Sigfrido, e Teodorico, il quale questa volta mette in fuga l'avversario; il Laurin, che tratta delle avventure, di sapore fiabesco, di Teodorico che combatte coi suoi compagni contro Laurin, il re dei nani, che possiede nelle montagne del Tirolo il suo splendido giardino di rose e che è finalmente catturato e costretto a seguire i vincitori accettando la fede cristiana. Altre lotte di Teodorico con giganti e con draghi narrano i poemi di Ecke, di Sigenot e il Virginal, e motivi della sua inimicizia con Ermanarico si ritrovano nelle epopee Alpharts Tod, Rabenschlacht e Dietrichs Flucht: le due ultime composte, nella forma attuale, alla fine del sec. XIII da Enrico l'Uccellatore (Heinrich der Vogler); e leggende che probabilmente derivano da fatti relativi a un altro Teodorico, re di Austrasia, congiunti con motivi fiabeschi e poetici, trattano i poemi di Ornit e di Wolfdietrich.

L'influenza straniera, che si esercitò così profondamente sull'epica cavalleresca, si fece sentire, benché in minor misura, anche sulla lirica cortigiana. Questa, che non è un diretto sviluppo degli antichi motivi della lirica nazionale del secolo precedente, rappresentata, per esempio, da Kürenberger e da Dietmar von Eist, austriaci, ancora estranei, specialmente il primo, agl'influssi neolatini, si svolse sotto il fascino della lirica provenzale, e fu specialmente una lirica d'amore, onde i suoi cultori si chiamarono Minnesänger. L'intera cerchia dei suoi concetti e dei suoi sentimenti è dominata dal Frauendienst e dalle sue regole, il quale, importato anch'esso di Francia con le usanze cortigiane, aveva trovato in Germania un terreno singolarmente pronto per natura ad accoglierlo e ben preparato anche per il culto di Maria, rimasto poi sempre la forma più alta di tenero culto. Il Minnesang, che dapprima fu canto accompagnato dalla musica, e che adottò le forme del Lied, composto di strofe eguali tripartite nei due Stollen e nell'Abgesang, del Leich, svoltosi sotto l'influsso della sequenza latina, e dello Spruch di strofe ineguali, di natura encomiativa o satirica, si muove pertanto in un largo dominio di sentimenti, che va dalla pia canzone alla Vergine del cavaliere crociato al Tagelied sensuale, che descrive con vivi colori la felicità rischiosa dell'amore con donne maritate. Ma come i temi dell'epopea, passando di Francia in Germania, vi acquistarono un diverso colore morale, così la lirica romanza, se apprese ai poeti tedeschi il modo di concepire e di esprimersi, venne qui materiata di una ben diversa sostanza spirituale. Se l'amore, come fu detto, era presso i Provenzali fuoco dei sensi o giuoco del pensiero, esso divenne il più sovente nei Minnesänger una disposizione intima della coscienza, una cosa del cuore; se quelli erano più virilmente arditi e più audaci, questi furono, in generale, più profondi e più teneri, e in essi, più che l'ebbrezza della conquista e il gioioso ardimento, dominò una meditativa e quasi ascetica aspirazione; la loro poesia, secondo l'espressione di J. Grimm, fu più frauenhaft.

I primi Minnesänger di qualche importanza furono il renano Friedrich von Hausen, e il turingico Heinrich von Morungen, e specialmente Reinmar di Hagenau, magnificato alla sua morte da Goffredo di Strasburgo come il duce del coro polifonico. Tuttavia le loro produzioni, per quel che ne conosciamo, restano per lo più ancora nei limiti dei soggetti convenzionali e dell'arte di riflessione. Nel numero stragrande degli "usignoli", come essi amavano chiamarsi, colui che veramente diede alla sua lirica un accento personale, portando l'arte oltre la cerchia della cortesia nel dominio dell'anima fu Walter von der Vogelweide.

Con una padronanza assoluta della metrica e della lingua, più concisa e più viva di quella dei suoi contemporanei, egli seppe congiungere alle tendenze e ai modi consueti l'elemento popolare, e, sotto la spinta delle tre forze impulsive della sua vita - schietto sentimento mondano, pietà e amor di patria - rappresentò con eguale eccellenza tutte le forme della lirica medievale; e con lui anche, per la prima volta, la poesia, sostenendo i principî della causa nazionale fece sentire la sua voce nella contesa fra papato e impero. Il fatto che di lui, a differenza di tutti i suoi contemporanei, si possa ricostruire una specie di biografia, è indizio che nell'opera sua vi è qualche cosa di più che non sia il sogno indistinto dei Minnesänger.

Dopo Walter la lirica, coltivata ancora dai cavalieri e perfino dai sovrani, ma nella quale si vanno introducendo motivi e maniere d'arte crudamente verista con la poesia rusticana di Neidhart von Reuental o si associano spunti ironici o parodistici con lo Steinmar, perde a poco a poco la sua schiettezza di canto. La ricerca forzata di una qualsiasi originalità, che non poteva scaturire dalla fantasia dei suoi cultori, e la conseguente variazione dei vecchi temi e degli antichi toni, portò col tempo a una tecnica sempre più perfezionata e complicata, la quale esigeva una vera e propria preparazione speciale, che formava parte integrante dell'educazione cortigiana. Ma la nobiltà, decimata nelle crociate e rovinata durante il grande interregno, andava perdendo, con i privilegi d'ordine materiale, anche l'esercizio dell'arte; questa entrava allora sempre più nelle sfere dei borghesi: e fu nelle mani dei poeti borghesi della fine del Duecento e del principio del Trecento, nelle maniere di un Marner, nelle tendenze erudite di un Enrico von Meissen, detto Frauenlob, e nella loro predilezione per i motivi dottrinali ed eruditi con cui essi arricchivano il repertorio della poesia gnomica dei girovaghi, che il Minnesang iniziò la sua rapida decadenza verso il puro formalismo, nel quale, prima ancora che le relazioni fra maestri e discepoli si fissassero in statuti di società con ordinamento gerarchico sul modello delle corporazioni di artigiani, bisogna cercare le origini e i principî fondamentali di quell'indirizzo che ebbe più tardi il nome di Meistergesang. Già verso la fine del sec. XIII comincia a farsi strada il termine di Meistersänger per i poeti borghesi di professione, e quello di Meistersanc per la poesia regolata tecnicamente da quelle norme metriche e linguistiche che costituiranno nei secoli XV e XVI la minuziosa legislazione delle tabulature.

Questo trapasso dell'arte dai castelli alle città, dalla nobiltà all'artigianato, che inizia, nello stesso tempo, la sua degenerazione verso il culto scolastico del modello e dello schema, e che va di conserva con la predilezione e la diffusione della poesia didascalica e moralizzante di un Freidank, di un Tommasino di Cerclaria, di un Ugo von Trimberg, questa perdita graduale dei caratteri aristocratici e questa tendenza verso il mondo borghese-popolare, che si afferma al tramonto del secolo d'oro della poesia medievale, darà l'impronta alla letteratura dei secoli successivi.

Dal 1350 al 1750. - I quattrocento anni che passano dalla metà del sec. XIV alla metà del XVIII, i secoli del Rinascimento, furono per la Germania letteraria un periodo di faticoso travaglio, in capo al quale una mirabile nuova fioritura doveva in breve tempo ricompensarla della lunga attesa. Al Rinascimento, nell'epoca del suo fiorire europeo, la letteratura tedesca non partecipò originalmente. Quando pareva che anch'essa, seguendo l'esempio comune, si rinnovasse nello spirito umanistico, i fermenti religiosi e nazionali, che prepararono la Riforma dapprima, lo scisma protestante con tutte le sue perturbazioni spirituali e politiche poi, la paralizzarono, la costrinsero a battere una strada più lunga, mettendola alla scuola o alla mercé delle letterature già pervenute a maturità - oltre all'italiana, la spagnola, la francese, l'inglese e l'olandese -, per farle finalmente trovare la propria autonomia ancora attraverso un moto di protesta nazionale. Non mancano tuttavia in questa lunga vigilia continuità di sforzi e figure ed opere ragguardevoli. Anzi, compiuto nel secolo XVI il processo di disintegrazione del Medioevo, la nuova organizzazione nazionale si afferma già nel Barocco con una forma artistica che studî recenti insegnano ad apprezzare più equamente che in passato. Ma, quando pure non si voglia considerarla semplicemente come la variante tedesca d'un generale fenomeno europeo, quell'arte tramontò presto, e ben diversi elementi cagionarono il grande scoppio lirico del Settecento, quando la letteratura tedesca disse una parola nuova al mondo. La grandezza della Germania in questo periodo di preparazione è nella sua storia spirituale, storia di cui è tanta parte il sentimento religioso. Dopo la Controriforma, la nuova letteratura sarà in massima parte opera di protestanti.

Anche in Germania il Medioevo finisce popolare e borghese, ma il suo tramonto è assai lento, protraendosi fino al Cinquecento. La nuova classe dominante commerciale e artigiana, che sorge nelle città libere, è coi suoi spiriti razionalistici e utilitarî ben diversa da quella dell'epoca precedente, tuttavia sfrutta per secoli l'eredità letteraria cavalleresca. La sfrutta abbassandola al proprio livello, piegandola ai proprî bisogni, mutilandola e sformandola, tanto da averla consunta quando il sorgere dei principati assoluti condanna la borghesia a una lunga mediocrità, durante la quale ha principio una nuova letteratura di origine dotta. Per gran parte la storia letteraria dei secoli XIV-XVI si riduce a seguire il processo di logoramento della poesia del Medioevo aulico e cavalleresco. Nel Medioevo però anche il popolo era letterariamente attivo, e grande ispiratrice di poesia era pure la religione. E l'uno e l'altra si fanno sentire nel nuovo tempo.

Precede la Riforma, è noto, una lunga fermentazione mistica. La Germania aveva già avuto nei suoi conventi e nei suoi beghinaggi una folta schiera di mistici eloquenti (Mechtild von Magdeburg, ecc.), quando, contemporaneo di Dante, sorse a predicare e ad insegnare la strada dell'indiamento Meister Eckhardt, il maggiore spirito speculativo del misticismo germanico. La condanna della sua dottrina non impedì lo svilupparsi sempre maggiore della letteratura mistica. Enrico Suso e Giovanni Tauler espongono in trattati, prediche, lettere, non un sistema chiuso, ma pensieri e sensi che feconderanno innumerevoli opere letterarie. Più lirico, Suso detta una Vita, la quale presenta con plastica vivezza il modello d'una ascesa serafica al cielo. Più pratico, Tauler, nelle forme d'una teologia popolare e con assoluta comprensione dei limiti umani e dei bisogni sociali, è il propagandista dell'interiorità cristiana. Contemporaneamente e dopo di loro molti altri, uomini e donne, ecclesiastici e secolari, in latino e in tedesco, speculano sul modo de adhaerendo Deo (titolo di un libro di Johan von Kastl) o come il mercante Rulmann Merswin poetano d'un misterioso amico di Dio che s'acquista una schiera di fedeli, o altrimenti ancora mettono in versi, compilano, volgarizzano la complessa tradizione mistica. Intorno al 1400 ne ricava il più nitido riassunto, entro i limiti dell'interpretazione tauleriana, un anonimo di Francoforte con un piccolo libro "della vita perfetta" (Theologia deutsch), a cui la riscoperta e la pubblicazione fatta da Lutero nel 1516 assicurò più grande popolarità. Una certa stanchezza nella letteratura mistica è evidente alla fine del sec. XIV, ma il XV reca una reviviscenza che si manifesta anche nel maggiore spirito speculativo del tempo, il cardinale di Cusa. Elementi mistici sono attivi nel primo umanesimo tedesco, tanto da costituire una caratteristica differenziale dall'umanesimo italiano; continuano ad agire in seno alla Riforma, di cui alimentano le opposizioni; influiscono, oltre che sulla vita religiosa, sulla speculazione filosofica e sulla poesia anche profana fino al sec. XVIII.

Se la mistica sembra così prolungare il Medioevo nei tempi moderni, non altrettanto avviene del poema cavalleresco e del Minnesang. Di una vera produzione originale nel poema cavalleresco non si è più capaci, si sta contenti a ripetere, a rielaborare, così come si ripetono le leggende dell'epopea nazionale. Queste sono care al popolo, mentre nelle corti dei principi si dà la preferenza ai racconti carolingi e più ancora ai bretoni. C'è chi, nel giusto sentimento d'aver a fare con un passato ormai chiuso, si dà a raccogliere manoscritti dei vecchi poemi e a celebrarli in rima (come Jakob Püterich); e c'è chi accetta da un principe l'incarico di rinarrare concisamente in un'enorme Somma poetica il contenuto dei più noti romanzi cavallereschi, dagli Argonauti al Parsifal (Buch der Abenteuer di Ulrico Füterer). È però ormai con un interesse retrospettivo che si guarda a quel mondo lontano; ci voleva un imperatore romantico per credere di poterlo rivivere. Massimiliano I, "l'ultimo cavaliere", idealizza la storia del proprio matrimonio in un poema (Teuerdank) e la storia della propria vita e delle proprie imprese in un romanzo prosastico, il Weisskunig, ricorrendo però all'allegoria per cercar di conseguire quel significato che non si presentava più spontaneamente. Nel sec. XVI il romanzo cavalleresco non cessa del tutto, ma, sciolto in prosa, ridotto, alterato, decade a semplice ammasso di materia d'immaginazione, che poi confondendosi con le altre materie di varia provenienza va ad ingrossare la vasta letteratura anonima dei Volksbücher, diletto del volgo ancora per secoli. Un Boiardo e un Ariosto alla poesia tedesca, che aveva già avuto Hartmann e Goffredo e Wolfram, non furono concessi. Ebbe invece uno che può far pensare per certi rispetti al Pulci nello svizzero Heinrich von Wittenweiler, l'autore di quel Ring che per insegnare le regole del bello e onesto vivere innalza sulla trama d'una grottesca storia di nozze contadinesche un poema eroicomico tutto scintillante di umor fantastico, ironico e bizzarro, senza esempio nella Germania del Quattrocento.

Il Ring si riattacca per vero alla tradizione del poema cavalleresco solo per il desiderio di satireggiare le smanie di distinzione di taluni contadini o anche semplicemente per riderne col gusto già caro a Neidhart von Reuental, e rammenta la trasformazione cui andò soggetto anche il Minnesang. Il favore del quale questo aveva goduto nell'epoca feudale durava tuttora: all'amore che gli portarono i secoli XIV-XV dobbiamo le raccolte dei grandi Minnesänger precedenti giunte fino a noi. Ma il tardo Trecento dà appena un paio di cavalieri poeti degni della grande tradizione: Hugo von Montfort e l'originalissimo alto-atesino Oswald von Wolkenstein. Il realismo già rompe i rigidi contorni del canto cortese. Da un lato la forma lirica tradizionale viene adoperata per la rappresentazione di qualche fatto amoroso o anche drammatico; dall'altro, scomparendo la distinzione tra Lied e Spruch, si accentua la tendenza alla riflessione, alla didattica e all'allegoria. Il carattere narrativo e drammatico dell'ultimo Minnesang lo avvicina alla poesia popolare, a cui infatti esso porta una cospicua eredità di motivi e di materie. Nel Volkslied, che assume le sue forme tipiche tra il sec. XIV e il XVI, è la più fresca fioritura lirica della Germania nell'epoca della sua maggiore aridità fantastica. È un tesoro di continuo crescente, a cui reca contributo da ogni parte della nazione una folla di poeti sconosciuti d'ogni condizione, e rimane per ogni tempo l'espressione più spontanea della canora anima germanica. Rivalutato da Herder e da Goethe, amorosamente raccolto di sulle labbra del popolo, il vecchio Volkslied aiuterà a ringiovanire la poesia degli Stürmer und Dränger e dei romantici. Così questo prodotto dell'età di mezzo congiunge gli inizî della poesia tedesca con la modernità.

Non altrettanto si può dire dell'altro epigono del Minnesang, il Meistergesang, che vorrebbe essere la genuina continuazione della poesia trovadorica, ma come l'intende lo spirito piccolo-borghese dei nuovi poeti cittadini. Nato in chiesa - nel secolo XIV, pare dapprima a Magonza - rimane per sempre colorato teologicamente; ligio alla tradizione dello Spruch, è sempre gravato di moralismo e di didatticismo, resi ancora più pesanti dal gusto dell'allegoria; cresciuto nel rispetto dell'arte imparata dai canoni venerati, si chiude nelle leggi della tabulatura, irrigidendosi in un convenzionalismo di materie, di forme, di motivi poetici e musicali, di linguaggio. Solo nei canti d'osteria il giuoco delle rime penosamente calibrate si apre a un po' di festività. Un tal giuoco letterario doveva però rispondere ai gusti di quel ceto artigiano che teneva tanto posto nella nuova civiltà cittadina, giacché le scuole dei maestri cantori prosperarono in molte città, e ci volle quasi un secolo prima che sorgesse nel barbiere Hans Folz un riformatore. Norimberga gli aprì le porte, imitata da tutte le altre scuole: valse il principio, opposto al tradizionale, che potesse esser chiamato maestro solo chi avesse inventato una nuova maniera. Altre riforme seguirono nel sec. XVI, anche nel campo metrico, specie per opera del più insigne dei Meistersänger, Hans Sachs. Si giunsero a cantare materie storiche, contemporanee, amorose; e all'osteria si misero sul letto di Procuste delle triadi strofiche anche il Decamerone e l'Eulenspiegel. Ma i nuovi tentativi liberali del principio del Seicento incontrarono resistenza più decisa; mancò la forte personalità che li spezzasse; il Meistergesang ridivenne l'accademia domenicale per artigiani semicolti ch'era stata in principio e trasse, qua e là fino all'Ottocento, la vita d'un curioso vecchiume.

Forma caratteristica del Quattro e del Cinquecento letterario tedesco è il Meistergesang sia per la sua tenace quanto gretta devozione al Medioevo poetico, sia per il suo prosaico dottrinalismo e moralismo. C'è poco posto per la fantasia in questi secoli. Si continuano a leggere romanzi, ma tradotti, i nuovi, dal francese, e novelle, ma più volontieri le brevi e grasse, le facezie. Si leggono, nell'era delle grandi scoperte, racconti di viaggi (anche quelli di Marco Polo e di A. Vespucci), ma almeno altrettanto volontieri i diversi rifacimenti delle favole antiche. Come tutto tende al tipico, ogni invenzione è adoperata a uno scopo pratico, alla satira dei costumi o all'ammaestramento morale, e si piega docile al giogo dell'allegoria. Solo di rado la vivacità di temperamento e l'arte dello scrittore riescono a dominare alquanto la materia e l'intenzione, come avviene nel rifacimento di Lubecca del Reinke de Vos, nel Narrenschiff di S. Brant, negli scritti satirici di T. Murner e più tardi, nelle opere di Hans Sachs.

Il dramma religioso medievale non ha in Germania uno sviluppo diverso che altrove. Nella nostra epoca è già uscito dalla chiesa, si prova con materie varie, bibliche e leggendarie, si arricchisce del realismo e della comicità che piacciono al tempo. Caratteristiche sono la predilezione e l'ampiezza date alle Passioni. Si redigono ora molti di quei testi che, trasformati specie nell'età barocca, si manterranno fino ai giorni nostri (Oberammergau). Accanto al religioso si svolge il dramma profano, che nemmeno in Germania però riesce a creare un grande teatro nazionale, restando fermo alle moralità o alle farse, senza superare mai il livello del divertimento popolare. Di molto favore gode il Fastnachtspiel, nato dalle mascherate e dai cortei carnevaleschi e cresciuto a un'episodica rassegna, con personaggi tipici, dei difetti e delle debolezze umane attraverso lo schizzo caricaturale e la satira umoristica. Anche qui sono all'opera dei Meistersänger, Hans Folz e, sopra tutti eminente, Hans Sachs. Tutta questa letteratura, d'origine medievale e d'intonazione borghese, realistica e quotidiana, che si vale d'una lingua, malgrado il suo colorito popolaresco, schematica e convenzionale, si consuma nel corso del sec. XVI senza possibilità d'avvenire artistico.

Umanesimo e Riforma. - Alla culla dell'Umanesimo tedesco stanno F. Petrarca e Cola di Rienzo. I rapporti dei due italiani con la corte imperiale di Praga valsero a guadagnare al nuovo moto il cancelliere di Carlo IV Johann von Neumarkt e i suoi funzionari. Nobilitato dapprima il latino d'ufficio, questo protoumanesimo germanico tende subito a sollevare al "bello stile" anche la lingua materna e a fecondare originalmente alla scuola classica gli spiriti nazionali. Nell'Ackermann aus Böhmen di Johann von Saaz (circa 1400) la fiorita retorica umanistica è capace di dare forma a un problema di capitale importanza e angosciosamente sentito: il dibattito tra il vedovato della giovane sposa e la Morte rivendica di fronte alla concezione ascetica del Medioevo il nuovo senso del valore della vita e termina affermando, pur nel riconoscimento dell'ordine divino, la dignità umana. Con sorprendente felicità le nuove esigenze spirituali e letterarie si armonizzano con quelle della tradizione mistica tedesca in un'opera d'arte degna d'aprire una letteratura originale.

Ma il promettentissimo esordio rimase senza seguito. Invece di continuare sulla strada dell'originalità, l'Umanesimo tedesco si lasciò sopraffare dal travolgente influsso italiano, di cui guidava il secondo assalto da Vienna Enea Silvio Piccolomini; e, attratto dal duplice miraggio della scienza e dell'eloquenza, spregiando la propria lingua come barbara, si sottomise totalmente al canone dell'imitazione dell'antichità. Vennero così combattute in latino, nelle università e nelle scuole fondate numerose tra la metà del sec. XIV e la fine del XV, le battaglie per il rinnovamento della scienza, la riforma dell'insegnamento, l'autonomia dello spirito. E latina fu in grandissima prevalenza la letteratura d'arte della nuova classe colta tedesca. La Riforma, che pure era anche un'affermazione di germanesimo, non mutò gran fatto a questo stato di cose.

Alla Riforma l'Umanesimo aveva dato contributo validissimo di preparazione. Presto orientato alle cose divine, aveva sottoposto alla critica filologica specialmente i testi ecclesiastici e, dicendosi animato da zelo morale e da orgoglio patriottico, s'era fatto iniziatore del moto di distacco dalla Roma papale. La ribellione di Lutero aveva nell'Umanesimo l'alleato naturale; ma poi le lotte teologiche e dogmatiche, le commozioni politiche suscitate dalla nuova religione, il suo esclusivismo e democratismo, la minaccia che se ne temeva alla cultura causarono una separazione. Separazione la quale, aiutando il nuovo gusto aulico diffuso dalla Spagna in tutta Europa, produsse un grave straniamento tra le classi depositarie della cultura e il popolo, precludendo a quelle le fonti del sentire nazionale.

Sulla fine del Quattrocento e nei primi decennî del Cinquecento il moto riformatore, che si prepara ed esplode, riempie della sua passione ogni opera letteraria. Ne risente già il moralismo di Sebastiano Brant; e i satirici, man mano che si avvicina la tempesta, si fanno più vivaci e battaglieri. Thomas Murner passa dalla genericità delle sue varie Narrenbeschwörungen alla plasticità del libello antiluterano. A Luciano s'inspirano gli umanisti (Reuchlin, Wimpheling, Bebel, Erasmo) per mordere sempre più acremente i loro avversarî. Per difendere la buona causa della libertà dello studio, cioè dello spirito, si uniscono insieme Crotus Rubianus e Ulrich von Hutten, componendo il più geniale degli scherni dell'epoca, le Epistolae obscurorum virorum. Il nuovo modo degli umanisti nel concepire più fervidamente e gioiosamente la vita è potenziato dalla Riforma nel suo sorgere. Ma già alla morte di U. von Hutten (1523), allo scoppiare del conflitto fra Lutero ed Erasmo si rivela l'inconciliabilità. Allora, mentre l'Umanesimo si ritira nel suo Olimpo latino, le esigenze della lotta religiosa gravano della loro tendenziosità ogni manifestazione letteraria. Anche senza tener conto delle professioni di fede, dei programmi, delle prediche, dei discorsi, dei dialoghi, dei trattati, dei commentarî in latino e in tedesco, di parte protestante i più, la tendenza è visibile nella drammatica, dal dramma biblico e dallo scolastico al Fastnachtspiel, nella lirica, dal Meistergesang al Volkslied. Moltissimo si scrive, molto si diffonde con la nuova arte della stampa, spesso su fogli volanti ornati di silografie; ma è una massa esotica, dalla quale esulano sempre più fantasia e arte. Non si può certo far incominciare una nuova epoca letteraria dalla Riforma. Pochissimi si sollevano sul coro monotono: il più poeta è Ulrich von Hutten. Veniva dall'Umanesimo; il suo destino, durissimo, gli consentì di superare la virtuosità dell'imitatore per trovare in canti infocati le parole dello sdegno, della volontà, dell'ira, del dolore, dell'orgoglio al servizio di Dio e della patria. E come il suo tedesco non è più una traduzione dal latino, e le sue immagini non sono più traslati di concetti, così il suo verso ha onda ritmica, nella quale la passione si fa melodia. La polemica non impaccia il moto fantastico, che è così naturale e inusato da far credere che Hutten sia l'unica anima lirica suscitata dalla tempesta della Riforma.

Lutero ha tutt'altra tempra. La parola ha per lui sempre soprattutto importanza come mezzo. L'immensa attività cui è costretto non gli consente, negli scritti di propaganda accusa difesa spiegazione, di badare all'arte. L'effetto artistico nasce episodicamente, non voluto, tra l'uno e l'altro di quei suoi possenti colpi di martello. E nel Lied religioso non il poeta parla in primo luogo, ma il confessore e l'animatore. Enorme efficacia poterono avere i suoi canti proprio perché erano modelli tipici, perché il latino dei salmi, degl'inni, dei comandamenti aveva in essi espressione tedesca semplice, adatta ai nuovi bisogni, persuasiva, perché la nuova fede vi si mostrava armata di tutta la sua forza e di tutta la sua fiducia. Anche quando la commozione religiosa creava fantasmi e ritmi, era sempre il corago d'una moltitudine che cantava; e i suoi seguaci lo variarono infatti senza posa dando origine a una innologia sterminata. La massima opera letteraria del Riformatore, la massima del secolo rimane la Bibbia, una traduzione che seppe rendere popolarmente tedesca la parola divina e che diffusa in ogni casa ha costituito fino ad oggi il primo fondamento linguistico oltre che religioso d'ogni luterano.

La figura di Lutero riporta al popolo: usignolo di Wittenberga l'aveva salutato un altro uomo del popolo, il poeta più rappresentativo del Cinquecento, Hans Sachs. A migliaia si contano i Meistergesänge, i Lieder, i canti spirituali, le visioni, le allegorie, le favole, le facezie, i dialoghi, ecc. a lui attribuiti; a centinaia i suoi Fastnachtspiele e le tragedie e le commedie. Le materie antiche e le nuove confluiscono nella sua opera come in un grande bacino collettore, dove si riatteggiano con un'amabile e bonaria garbatezza nelle vecchie forme, o si ringiovaniscono briosamente. Convenzionale e schematico dove supera i limiti della sua esperienza popolana, entro questi è preciso, arguto, fermo alla sua morale casalinga, al suo patriottismo municipale, al suo buon senso, ma capace di valersi di queste virtù medie con un suo caratteristico umorismo. L'ultimo secolo medievale tedesco, il secolo della Riforma trova nell'opera del ciabattino di Norimberga il suo idillio.

Si possono mettere a dominare queste figure, perché riassumono i valori letterarî dell'epoca. Al disotto di loro si è facilmente indotti a vedere solo delle informi montagne di generi letterarî: il canto religioso (luterano, calvinista, dissidente), il Volkslied, il Meistergesang, i Volksbücher, le varie specie di drammatica religiosa e profana. Si moltiplica questa vivacissima nelle scuole e sulle piazze, strumento dapprima della lotta confessionale, poi, dopo la pacificazione alla metà del secolo, più varia, realistica e colorita. Vi si provano volontieri anche persone dotte adoperandovi, non senza originalità, l'esperienza del teatro classico e alternando il latino col tedesco. T. Naogeorgus, J. Chryseus, N. Frischlin; B. Ringwaldt, P. Rebhuhn, Niklas Manuel, Sixt Birk, H. Bullinger e altri dànno vita a un'abbondante produzione, che parrebbe iniziare un teatro nazionale. Ma nemmeno il secolo seguente avvererà il presagio.

Ricco d'inizî che matureranno solo lentamente e anche assai lontano è il Cinquecento tedesco. Una materia leggendaria destinata alla più illustre delle trasfigurazioni artistiche, la leggenda del dottor Faust, incomincia ora a cristallizzarsi e trova la prima espressione letteraria nel Volksbuch del 1587. In Teofrasto Paracelso, le dottrine mistiche e naturalistiche del Rinascimento fecondano genialmente la scienza e la fede, facendo di lui un maestro di molte generazioni. Ricordiamo la novità delle posizioni spiritualistiche e storiche di Sebastiano Franck, il grande avversario della chiesa luterana, l'audacia delle speculazioni di Valentin Weigel e la modernità del metodo storico di J. Aventinus. Ma costoro sono troppo evidentemente dei solitarî e dei precursori. La libertà dello spirito promessa dalla Riforma deve essere conquistata per una strada assai lunga; intanto Faust è solo un negromante, e alla maschera di Eulenspiegel risponde poi quella, e sia pure satirica, di Grobianus.

Gli ultimi decennî del Cinquecento mostrano nella struttura dei romanzi di Jörg Wickram e nei rifacimenti, nelle fantasie, nella lingua di Johann Fischart, segni d'avvenire e interessanti riferimenti alla maggiore letteratura europea. Non si sarebbe però più messa per una strada borghese e popolana la nuova letteratura tedesca; col prevalere del principato la guida della poesia passa nelle mani dei dotti. Nella lingua dei dotti, il latino, è già una buona parte della produzione letteraria anche dopo che, staccandosi dal moto riformatore, l'Umanesimo ha perduto importanza. E non si parla qui della produzione scientifica svolta nei diversi centri culturali, Basilea, Strasburgo, Ingolstadt, Erfurt, Heidelberg, Vienna, ecc. Qui e altrove la poesia in latino era alacremente coltivata, come avveniva in Italia. Italiani erano i primi modelli. S'era cominciato col rivolgersi a poeti di minor conto, F. Beroaldo, il Tiferna, Battista Mantovano, più volontieri che al Pontano e al Poliziano più tardi vennero preferiti il Molza, il Sannazzaro, il Bembo, il Vida e specialmente il Flaminio. La schiera dei poeti che si prova in componimenti lirici, epici e didattici, che combatte col dramma, con la satira o l'epigramma, è assai cospicua, ma si tratta d'ordinario d'esercizî, di creazioni riflesse e occasionali, in cui il carattere aristocratico della poesia umanistica italiana spesso cede a un'angustia provinciale. Non mancano tuttavia gli artisti. S'incomincia qua e là a saper dare espressione al sentimento individuale, e Petrus Lotichius Secundus canta in elegie, carmi, egloghe le proprie vicende e i proprî stati d'animo con un'originalità che trova riscontro solo nei maggiori poeti dell'epoca posteriore.

Non è perduto ancora l'uso di chiamare lirica del Rinascimento tedesco quella poesia, che tenne più vistosamente il campo al principio del Seicento e che sotto la guida di Martin Opitz sperava, con l'imitazione delle conquiste formali del Rinascimento francese ed italiano, di far uscire la Germania dall'isolamento in cui l'aveva gettata la Riforma. Ma tale designazione è ingannevole, essendovi in quella poesia ben altro spirito che quello armonico del Rinascimento, e di questo oggi piuttosto s'inchina a cercare l'equivalente tedesco nell'arte dei grandi poeti del Settecento. Non classicità, bensì un classicismo derivato e scolastico è nei precursori e nei seguaci di Opitz, classicismo che trovava un terreno naturalmente preparato dalla poesia neolatina. Anche in questa però erano andati manifestandosi, già nell'ultimo quarto del Cinquecento, degli spiriti barocchi. E barocca è in Germania come altrove la segnatura di tutto il Seicento, con sfumature varie a seconda della provenienza e della qualità degl'influssi subiti. Il primo influsso lo recò il teatro dei gesuiti, che nella seconda metà del sec. XVI dal Reno alla Slesia prese saldamente piede in tutti i paesi cattolici, costituendone il fenomeno letterario dominante. Di poco posteriore è l'inizio dell'influsso del romanzo spagnolo, francese e inglese, giù giù dall'Amadigi ai romanzi pastorali, ai picareschi, agli storico-politici. E abbastanza presto ebbero principio le derivazioni dalla lirica francese (Ronsard, Du Bellay, ecc.), dall'italiana (Petrarca, Marino); e per la favola pastorale si andò a scuola dal Tasso, dal Guarini, dal Rinuccini, e per la tragedia dagli Olandesi e per l'opera ancora dagl'Italiani. La Germania è aperta a tutti gl'influssi europei. Tale circostanza, congiunta con la scarsità di figure di rilievo originale, rende difficile un ordinamento che non sia solo esteriore e schematico.

La divisione religiosa, la cui importanza è sottolineata dalla guerra dei Trent'anni, può servire a tracciare una distinzione fondamentale fra una letterariamente più omogenea Germania cattolica al servizio della Chiesa romana in lotta di riconquista cattolica e una più varia Germania protestante, meno disciplinata, ma più feconda di tentativi. Tanto forte è nelle regioni renane e meridionali il dominio della Chiesa cattolica, che gli artisti sono quasi esclusivamente ecclesiastici: non sono gli autori del dramma gesuitico, un J. Bidermann, un N. Avancini, delle opere di edificazione, un Martin von Kochem, ma anche i lirici, come i gesuiti Jakob Balde, F. Spee, e perfino il convertito J. Scheffler. Che il teatro fosse latino, non porta di conseguenza il carattere esclusivo che si potrebbe credere; il compenso è recato dall'evidenza degli spettacoli sfarzosamente allestiti e dal largo contributo delle arti sussidiarie. Trionfa soprattutto a Vienna, dove un attore geniale, J. A. Stranitzky, promuove contemporaneamente il sorgere d'una commedia popolare. E tutta popolo e tutta scena è la predicazione di Abraham a S. Clara. Col teatro gesuita precipuamente la Germania cattolica realizza quell'ideale d'arte fastosa e aulica che è una delle aspirazioni più caratteristiche dell'epoca. Se in esso la fantasia può sembrare mossa maggiormente dall'apparato che dal testo letterario, più libero slancio ha nella lirica latina di J. Balde e nei canti tedeschi di Spee e di Silesio (Scheffler). L'uno e l'altro operanti in territorio di confine, come riassumendo il carattere trascendente del Barocco meridionale, creano forse i più bei fiori poetici di quella mistica, anello di congiunzione con la spiritualità e la poesia di parte protestante. Qui per vero si sentono all'inizio toni tutt'altro che mistici: umanistico e razionalistico è il carattere del primo Barocco. Ne sono corifei in Occidente, alle corti di Heidelberg e di Stoccarda, Theodor Höck e Georg Weckherlin, esperti di poesia italiana e francese e artisti di singolare sensibilità per i tempi. A Heidelberg J. W. Zincgref raccoglie già un cenacolo di rimatori della nuova maniera, del quale viene a far parte nel 1618 il giovine studente Opitz. Nasce, preparata dalla genericità e dall'occasionalità della poesia in latino e dai tentativi di acclimazione della canzone musicale italiana d'un J. Regnart a Vienna e d'un J. H. Schein a Lipsia, la Gesellschaftspoesie, la poesia impersonale, uniforme, tecnica, del poeta cortigiano, capace di trattare qualsiasi argomento variando un certo numero di motivi convenzionali in certe forme approvate, con molto sforzo di riflessione per trovare acutezze, arguzie, colorito. È l'arte della nuova società delle corti, dotta ed elegante, che ha fretta di mettersi alla pari col bel mondo delle capitali europee, un'arte che aiuta ad attuare l'ideale di vita aulica, ed è quindi utilitaria, retorica, anodina sino a parere una creazione collettiva e, prodotto soprattutto cerebrale, s'insegna e s'impara. Trova infatti un legislatore: M. Opitz nel Buch von der deutschen Poeterey (1624) traccia i limiti, distingue i generi, disciplina il verso e l'uso delle parole, ribadisce il canone dell'imitazione dei classici.

Era una scuola pratica quella a cui Opitz invitava i suoi compatrioti e non inutile. E un compito utile assolsero anche le accademie linguistiche, che crebbero numerose sull'esempio della prima, la Fruchtbringende Gesellschaft di Weimar (1617), modellata sull'Accademia della Crusca. A Strasburgo come a Lubecca, ad Amburgo come a Norimberga, si lavorò a nobilitare la lingua tedesca con un addestramento che, raccogliendo man mano le forze sparse, poneva nuovamente il concetto di una letteratura nazionale. Opitz era slesiano, ma la sua azione di grande impresario della nuova letteratura, come fu chiamato, si fece sentire in tutta la Germania. La subirono non solo il duttile P. von Zesen e J. Rist ed E. C. Homburg e K. Stieler (l'autore della Geharnschte Venus), ma altresì P. Fleming, il più fresco e spontaneo di questi rimatori, e poeti religiosi come Simon Dach e J. Heermann.

La guida della Slesia, regione nuova alla letteratura, è uno dei fatti salienti del secolo. Territorio da non molto colonizzato contro gli Slavi, era il punto più sensibile dell'incontro delle due religioni, cioè delle due Germanie. Le commozioni mistiche lasciate insoddisfatte dalla Riforma e i germi, recati dalla Controriforma, della nuova religiosità cattolica, confluendovi come in un bacino di raccolta, vi suscitavano un inesauribile fervore di speculazioni e di fantasie. Basti ricordare il nome di Jakob Böhme. Trova qui alimento precipuo quella seconda corrente principale del Seicento protestante, la religiosa-irrazionalistica, che variamente intrecciandosi con la umanistica-razionalistica forma il contrasto dal quale s'impronta l'arte di tutta l'epoca. Fuori della Slesia la poesia religiosa protestante rimane fedele alla tradizione luterana, anche quando è il prodotto di una forte personalità capace di sentire originalmente l'amore di Dio e la bellezza del mondo, come P. Gerhardt. In Slesia la tradizione è già rotta da J. Heermann; dal solco böhmiano poi sorge, con A. von Franckenberg, J. T. von Tschesch, D. Czepko, chi nel vaso per eccellenza intellettualistico del distico di alessandrini, il verso favorito dell'epoca, raccoglie tutti i frutti della speculazione mistica del Rinascimento. È un convertito al cattolicesimo J. Scheffler, che raggiunge per questa strada la più alta espressione poetica dell'anelito al divino col suo Cherubinischer Wandersmann. Con un'altra raccolta lirica, Die heilige Seelenlust, egli contribuisce pure validamente a preparare l'arte psicologica del secolo venturo.

Il misticismo slesiano influenza la poesia religiosa di altri gruppi, come quello degli "Amici della morte" di Königsberg (S. Dach, H. Albert, R. Roberthin, ecc.), ma specialmente si fa sentire nell'opera di Andreas Gryphius. Tutti i contrastanti elementi del tempo sono adunati in Gryphius, luterano, cresciuto nella più moderna cultura di stampo calvinista, incline allo stoicismo, non ignaro delle dottrine böhmiane, non indifferente alla rinvigorita religiosità cattolica. Ciò che non lascia giungere ad armonia la sua arte è appunto lo squilibrio tra irrazionalismo e intellettualismo, tensione perenne in lui, malgrado l'impostosi dominio razionale. Ne deriva però un vigore, che non ha esempio in altri contemporanei. Nessuno cantò con maggiore potenza i sempre ritornanti motivi del Seicento, la fugacità d'ogni cosa umana, la miseria della creatura, il potere e il fascino della morte. Che un tale spirito cercasse sfogo nel dramma s'intende bene. Ma per quanto efficacemente le tragedie di Gryphius esprimessero il suo ethos e aspirazioni profonde del tempo, per quanto si avvalessero delle esperienze del teatro gesuita, e talvolta sembrassero presagir l'avvenire, erano un frutto artistico derivato da scrittori classici e stranieri; come non avevano precedenti, così non ebbero seguito. Seguito non ebbero nemmeno le sue commedie, che pure potevano riattaccarsi a una tradizione nazionale. Nessuna tensione del genere detto era più nelle tragedie dell'altro slesiano D. von Lohenstein, sebbene fossero più abili, più sicure d'effetto, più serrate di tecnica. In Lohenstein la passionalità nasce dall'eccitamento dei sensi e dell'immaginazione, precisamente come nelle liriche di C. Hofmann von Hofmannswaldau, il cavalier galante che lascia la scuola di Opitz per quella del Marino. Una strada sulla quale s'erano già messi poeti di Norimberga, invero assai più frigidi: G. Ph. Harsdörffer, J. Klaj, S. von Birken, caratteristicamente inchinevoli alle pastorellerie e ad ogni sorta di giuochi concettosi.

La sintesi, che Gryphius perseguiva nel dramma, fu tentata anche nel romanzo. Durano tutto il secolo gli sforzi per creare un romanzo tedesco. Dapprima si traduce, poi incomincia la produzione originale di A. H. Bucholtz, P. von Zesen, H. A. von Ziegler, D. von Lohenstein, del duca Anton Ulrich di Brunswick. Sono opere l'una più voluminosa dell'altra, farcite d'ogni genere di materia, intreccianti la storia con l'esotismo, il crudele col patetico, la galanteria con l'eroismo, la religione e la morale. Per quanto sforzo di fantasia però e sapienza di costruzione vi sia in questi romanzi, il capolavoro epico del Seicento, il Simplicissimus di H. G. Chr. von Grimmelshausen, sta su tutt'altro piano. Al pari degli altri scritti simpliciani appartiene al tipo del racconto picaresco d'importazione spagnola; ma il suo contenuto è un'autobiografia materiata di vicende del più tragico periodo della storia tedesca - la guerra dei Trent'anni -, attraverso le quali un nuovo Parsifal ignaro del bene e del male compie tutta l'esperienza della vita. Carattere dominante della più rappresentativa arte barocca è l'illusionismo: Simplicissimus dà la mano ai mistici insegnando che "l'apparenza inganna". Non a caso l'eroe finisce anacoreta.

Il genere del romanzo avventuroso continua a deliziare il popolo, della cui letteratura è sì gran parte da provocare la caricatura dell'avventuroso bugiardo Scheimuffsky di Chr. Reuter. Ma piuttosto che con questo il romanzo di Grimmelshausen ha rapporto con la satira. J. M. Moscherosch, nei suoi Gesichte (Visioni, imparate da quelle di Quevedo), è anch'egli un disillusionista del mondo barocco; alle cui vanità e vergogne e miserie poi Friedrich von Logau oppone lo specchio della sua coscienza intemerata e del suo animo gentile, tracciando col contrasto, non senza malinconia, un'immagine di nobile umanità. Nemmeno a Logau bastava lo stoicismo. Chi non è toccato in questo secolo dall'inquietudine religiosa? Lo è perfino, nonché un Fleming, un Rist, il galante Hofmannswaldau. Scriveva questi però mentre la poesia religiosa nella Slesia continuava a fiorire - per es., in Chr. Knorr von Rosenroth - e sinanco infuriava in Quirinus Kuhlmann. L'acceso culto e il crescente sentimentalismo dicono che il sorgere del pietismo è imminente (Spener, Pia desideria, 1675). Rappresenta il pietismo una reazione contro la rigidità dogmatica dell'ortodossia luterana, una liberazione del sentimento di cui moltissimo profitterà la fantasia. Ha i suoi poeti, tra cui Gottfried Arnold e Gerhard Tersteegen saranno i più significativi, ma agirà altresì su tutta la nuova poesia, da Klopstock a Goethe. Parallela procede un'altra liberazione, complementare non contradditoria, dalle ebbrezze del sensualismo intellettualistico per opera della ragione. Una prima manifestazione letteraria è la lotta contro lo Schwulst (la tumidezza retorica), iniziata verso la fine del secolo e di cui è campione Christian Weise, secondato altrove dai satirici e dai seguaci del classicismo francese.

La prima tendenza del Settecento è anche in Germania verso il semplice, il naturale. Senza comprendere più ciò che il Barocco aveva voluto e tentato, lo si condanna sommariamente mettendo in ridicolo i suoi eccessi e la sua fastosa esteriorità. Una altra moda straniera presta agevole aiuto; utile perfino si mostra ora la filosofia. È questo un fatto che si verifica anche altrove; in nessun altro paese però la collaborazione della filosofia con l'arte si mostrerà tanto intensa. Se il sistema di Leibnitz ha rapporto ancora col Barocco e il suo intellettualismo fa ancora largo posto alla fantasia, volonterosi volgarizzatori adattano presto il suo pensiero alla misura desiderata. Chr. Thomasius e Chr. Wolff, ridicoleggiando col nome di pregiudizio tutto quanto non rientra nei limiti di un angusto razionalismo, diffondono in Germania la concezione illuminista, che riduce la ragione al buon senso, la religione alla morale, l'armonia prestabilita di Leibnitz a un teleologismo utilitaristico, crede conseguibile la verità con la logica e l'arte con lo studio. Un poeta vero come Chr. Gu̇nther, l'ultimo grande slesiano, pare una figura anacronistica in questa temperie; il suo corregionale Ben. Neukirch, l'editore dei marinisti tedeschi, sottolinea con la sua conversione al classicismo il mutare del tempo.

Il comando della letteratura passa dalla Slesia mistica e sensualistica alla Prussia creatrice dello Zopfstil, alla grassa Amburgo, alla multivaria Sassonia. Prussiani sono il satirico C. Wernicke, i poeti di corte F. R. von Canitz e i Besser e il professor poeseos J. V. Pietsch, campioni del "buon gusto"; di Amburgo è Barthold Heinrich Brockes. Quelli purgano la tumidezza barocca con la naturalezza predicata da Boileau; questi esce dalla cattedrale dell'Io secentista a cantare lo Irdisches Vergnügen in Gott, come suona il titolo della sua raccolta di versi. Occhi acutissimi, tutti i sensi aperti ha Brockes per prendere possesso del mondo con un impressionismo di precisione moderna e assai colorito. Ma quella lirica rassegna del creato ha lo scopo di celebrare la bontà del creatore per l'uomo. Oltre alle virtù dell'illuminismo, chiarezza e semplicità, la poesia di Brockes ha pure il carattere pedagogico e il tono idillico, che diventano dominanti nella nuova arte. La pedagogia è moralismo politico nelle Alpen di Albrecht von Haller, le cui meditazioni liriche hanno però una forza e una profondità rare nel suo tempo. La superficie brillante del quale è mostrata dagl'idillî del suo compatriota svizzero Salomon Gessner, tutta decorazione, tutto godimento sereno della natura atteggiata nelle grazie del rococò. Natura è anche in Germania ora il gran verbo; in molti modi la si canta, e c'è chi si prova a vederla senza scopi accessorî, e senza travestimenti idealizzanti: Ewald von Kleist, Der Frühling, che imitando le Seasons di J. Thomson mostra da qual terra possano venire alla Germania gli esempî più fecondi.

In Inghilterra si era formato l'amburghese F. von Hagedorn, l'iniziatore della moda anacreontica, che cesella la poésie fugitive con rara maestria in un verso snello e armonioso, dimostrando che il tedesco non è meno adatto del francese ad esprimere la grazia e l'eleganza. Ed è questa una ripresa umanistica, la quale incomincia a indirizzarsi verso la Grecia oltre che verso Roma. Hagedorn è seguito da J. W. Gleim, J. P. Uz, J. N. Götz, i cui esercizî stilistici saranno studiati anche dal giovane Goethe. Gleim, scoppiata la guerra dei Sette anni, sorprenderà con la vigoria dei suoi Preussische Kriegslieder von einem Grenadier. Il mondo anacreontico è naturalmente propizio alle pastorellerie, e il costume galante si arma volontieri dell'arguzia. Risponde inoltre alle tendenze dell'illuminismo, che le argute pastorellerie possano aver l'aspetto di favola e servire all'ammaestramento morale: qui C. F. Gellert fa scuola. Ammaestrare divertendo vuol anche la satira, di rado personale (C. L. Liscow), più volontieri generica (G. W. Rabener) e perfino drammatizzata in un poema eroicomico (il Renomist di Zachariae).

Questo gruppo dei Bremer Beiträge ha già oltrepassato, senza comprenderne l'importanza, il punto di crisi dell'illuminismo segnato dalla polemica sull'essenza dell'arte. Ad un'opera pratica, non a speculazioni teoriche erano diretti nella "piccola Parigi" (Lipsia) gli sforzi di J. Christoph Gottsched. Lo stato della letteratura nazionale gli pareva di caotico disordine, arbitrio, barocchismo, falsità dappertutto. La filosofia wolffiana gli fornì l'indirizzo, il classicismo francese i modelli cercati: secondo la grande passione del secolo si diede a riformare il teatro, la lingua, l'eloquenza, tutta l'arte, esigendo dovunque ragione, ordine, regolarità. Si valuta oggi, più giustamente, utile il lavoro compiuto da questo burbero maestro di scuola della letteratura tedesca, vedendolo continuare quello non meno necessario, a suo tempo, di Opitz. Ciò non toglie che nella polemica con gli svizzeri J. J. Bodmer e J. J. Breitinger, assertori dei diritti della fantasia, la maggiore ragione stesse dalla parte di costoro, per quanto impigliati essi pure nel razionalismo. Ai modelli classicisti di Gottsched, francesi e latini, gli Svizzeri opponevano gli inglesi e i greci, e risalivano all'antica poesia nazionale. Tutte tendenze d'avvenire: ai loro incitamenti rispose infatti la voce del primo grande poeta del nuovo tempo, F. G. Klopstock.

Klopstock è nel secolo razionalista, dopo secoli di predominante intellettualismo, la prima incarnazione del genio poetico che crea per necessità, non per impegno, mosso dall'ispirazione, non dallo esempio, seguendo la propria legge, non una poetica prestabilita. Nella sua opera l'illuminismo non è rinnegato, e perfino riaffiorano tendenze barocche; la riflessione interviene spesso a ingrandire i dati della fantasia e magari a trascinarli nella retorica. Ma vi permane un'originalità di cui non si aveva prima esempio, originalità ancora più fresca nelle Odi che nel Messia. La generazione degli Stürmer und Dränger riconoscerà in Klopstock l'immagine ideale del poeta; ed egli, sebbene si chiuda presto in un breve mondo e disperda in vani tentativi di drammi biblici e patriottici il suo talento lirico, potrà con una personalissima poetica (Die Gelehrtenrepublik) continuare ancora a confortare i nuovi tentativi della giovine generazione.

Mentre Klopstock si solleva così al disopra del suo tempo, C. M. Wieland è il poeta rappresentativo per eccellenza dell'illuminismo. Partito anch'egli dagli entusiasmi religiosi, passa subito all'ironia e alla sapienza epicurea del secolo galante. Tutto il suo pensiero s'impernia sul problema del contrasto d'ideale e di reale, di virtù e di sensualità, la cui soluzione - scorgere sotto gl'inganni dell'ipocrisia e dell'immaginazione i vizî e i bisogni umani per fare onestamente i conti con essi - risponde alla saggezza pratica e al pedagogismo del tempo. Questo sempre ritornante dibattito Wieland lo varia in novelle comiche, racconti epici, romanzi, con una ricchezza fantastica, una festività d'intonazione e un virtuosismo di stile, che fanno di lui il più brillante scrittore del Settecento tedesco. Anche il giovine Goethe a Lipsia si metterà volonteroso alla sua scuola. Il Rococò trova in Wieland il suo compimento. Ma il Rococò era un'armonia ottenuta a patto di far tacere i più profondi bisogni dell'anima tedesca, che un lavorio di secoli aveva ormai maturati. Al loro manifestarsi quell'armonia doveva rompersi. Prima ancora però un altro approfondimento doveva recare il pensiero critico dell'illuminismo.

Dal 1750 ai giorni nostri. - Sminuito interesse per il raziocinio deduttivo, e istintivo volgersi della riflessione all'immediatezza della vita; osservazione diretta della realtà; sviluppo dello spirito critico a contatto dell'esperienza, indipendentemente da ogni ideologia, furono gli elementi primi di questo approfondimento per cui l'Aufklärung, cessando di essere un epilogo del passato, generò orientamenti nuovi, al di là di quello che era stato inizialmente il suo limite. Mentre la Popularphilosophie (M. Mendelssohn, 1729-1786; F. Nicolai, 1733-1811; ecc.) continuava a secondare la ormai tranquilla corrente razionalistica, limitandosi a diffondere "i lumi del secolo" in sempre più vaste zone della società per mezzo delle riviste e delle collezioni popolari (Bibliothek der schönen Wissenschaften, dal 1757, di Nicolai; Göttingische Gelehrte Anzeigen, dirette dal 1770 da C. G. Heyne, ecc.); e mentre d'altra parte in Austria l'illuminismo giungeva alla sua tonalità più arida con un accento di scetticismo (A. Blumauer, 1755-1798; ecc.), che lo priva di quel calore umano in cui è ancor sempre il lievito di vita dell'Aufklärung germanica anche dov'è mediocre (T. Abbt, 1738-1766; G. C. Lichtenberg, 1742-1799; J. G. Zimmermann, 1728-1795; A. Cramer, 1752-1795; ecc.), la coscienza della problematicità di tutte le soluzioni che il razionalismo aveva date s'imponeva invece ai maggiori spiriti dell'epoca. E dalle ideologie umanitaristiche dell'Antimachiavel (1739), Federico il Grande, passava a un agile realismo che gli permise di creare le basi della potenza prussiana; e pur in mezzo a interne contraddizioni fra l'aspirazione a un ordinamento razionale dell'esistenza e il suo temperamento di grande individualità intollerante di ogni esterno ostacolo, dava un singolare impulso allo spirito del suo popolo, formandone la coscienza, esaltandone la forza, potenziandone le ambizioni; cosicché anche Goethe - pur tanto bistrattato da lui nel saggio De la littérature allemande - gli riconoscerà di aver dato per primo anche alla letteratura, come a tutta la vita tedesca, un "contenuto più vero e più elevato". Contemporaneamente Lessing, sottoponendo a una radicale revisione le interpretazioni della poetica aristotelica, moveva non più da principî prestabiliti, ma dalla propria immediata esperienza di poesia; superando praticamente l'invecchiata estetica settecentesca che lo irretiva ancora in teoria, formulava affermazioni in cui già una nuova estetica era implicita; sgretolava e disperdeva l'influsso classicistico francese e il formalismo accademico in cui questo era sboccato; scompigliava la dominante tendenza alla poesia descrittiva; stabiliva come sostanza della poesia il principio che la poesia è azione, e portava così la poesia stessa a contatto con la vita (Miss Sara Sampson, 1755; Laocoonte, 1766; Minna von Barnhelm, 1767). Mirando a Shakespeare (Hamburgische Dramaturgie, 1767-68), spostava il centro dell'indagine estetica istintivamente dall'esame dell'opera all'anima del poeta, e, intendendo la poesia come creazione, intuiva la forma come congenita alla poesia, inscindibile dalla materia trattata: liberava così il poeta dalla preoccupazione della forma; distruggeva ogni vincolo di regola esteriore; impetuoso e limpido, agile e veemente, creava al tempo stesso per la prima volta in Germania una prosa capace di aderire alla vita; uomo vivo, intero, avanzava al di là dell'irreligiosità del secolo e della casistica teologica protestante, portando anche nel campo religioso la Aufklärung a quel culmine di spiritualità in cui essa superava il proprio limite (Nathan, 1779), perché nella poesia come nella religione, nell'esistenza d'ogni giorno come nell'idea della società, la sorgente della vita era veduta nell'anima dell'individuo, la quale è ansia di verità, ricerca di verità, e precisamente nell'essere ansia perenne e perenne ricerca ha la sua grandezza.

La ragione cessava così di annullare in sé gl'istinti elementari della vita; e il sentimento, entrato con Klopstock nella poesia tedesca con tanta veemenza da pretendere anche di fermar la luna, trovava col crescente individualismo e sotto l'influsso di Rousseau una completa libertà di sviluppo. Ne riceveva un potente impulso la rinascita mistica che così vasta diffusione doveva avere negli ultimí tre decennî del secolo (J. K. Lavater, 1741-1801; J. H. Jung Stilling, 1740-1817; ecc.), tanto che per un certo periodo nella sua cerchia resterà preso lo stesso Goethe. E se fra i poeti del Göttinger Hain (1772-1774) alcuni restano presi ancor sempre nelle forme del classicismo (J. H. Voss, Iliade, 1793), fuori di cui non osano lanciarsi, e dal ridestarsi del sentimento sono condotti a un rinnovamento dell'idillio (Voss, Luise, 1795), altri invece riescono a ritrovare le fonti liriche della poesia, effondendosi in forme melodiose di tono semplice (L. Hölty, 1748-1776) e ingenuo (M. Claudius, 1740-1815), con un atteggiamento che, specialmente sotto l'aspetto idilliaco, perdurerà sino alla fine del secolo (C. A. Tiedge, 1752-1841; F. Matthisson, 1761-1831; J. G. Salis-Seewis, 1762-1834); altri ancora s'esaltano nel sentimento della propria storia e della propria stirpe, sulle orme di Klopstock, nella poesia bardita; altri infine impetuosamente si lanciano verso la veemenza degl'istinti e la loro parola trova accenti di passione e, mentre da una parte la poesia s'esalta in aspirazioni rivoluzionarie (Friedrich, 1750-1819, Christian Stolberg, 1748-1821), d'altra parte prorompe libera e visionaria nelle forme della poesia popolare (G. A. Bürger, 1747-1794): nella fantastica galoppata notturna della Lenore (1774) è a un tempo il tramonto definitivo del formalismo classicheggiante e il canto della passione che vince anche la morte.

Il poeta cessa così di essere il professore che ha studiato le regole sulla poesia del passato o il signore che "unge di soave licor l'orlo del vaso" per propinar i suoi precetti. Ora delicati come Hölty, ora rudi e impulsivi come Voss, ora torbidi e inquieti come Bürger, ora morbidi di fondo e incapaci di equilibrio interiore come Stolberg sotto l'influenza mistica della Gallitzin, i poeti sono nature emozionali, dominate dalla propria emotività.

L'individualismo verso cui tendeva la nuova spiritualità trovò infine nello Sturm und Drang il suo sbocco, quando il mondo del sentimento cessò di essere uno degli elementi della vita, ma divenne l'elemento primo generatore di tutti gli altri, perché la vita apparve anzitutto come natura, e nel sentimento l'uomo riconobbe la natura operante nel suo interno. Le astratte ideologie, in cui l'illuminismo aveva trovato le sue formule definitive e il suo esaurimento, caddero; e la vita concreta, immediata, pulsante, con il caos delle sue contraddizioni, con il contrasto delle sue tendenze passò al primo piano: la vita degl'individui coi suoi sordi impulsi, con l'incertezza delle sue mete, con il contrasto delle sue tendenze cozzanti invano contro la realtà esteriore. Il "ritorno alla natura" di Rousseau che aveva dapprima spinto a rêveries solitarie e ad effusioni di poesia paesistica, fu ora inteso in modo più sostanziale, portato nell'interno dell'uomo. E come nel mondo degl'istinti, nell'esaltazione della passione fu cercata la moralità nuova in contraddizione con l'utilitarismo razionalistico del secolo, così anche - esclusivamente - nello stesso mondo fu cercata la poesia, la quale divenne grido dell'anima", "voce della natura". Tutte le forme che al poeta si erano volute prescrivere perdettero ogni interesse. La poesia scaturisce dalla vita con l'elementarità delle forze della natura; attraverso il poeta è la natura che crea: il poeta non ha e non può avere alcuna legge all'infuori di sé medesimo: la poesia è vita che prorompe nella parola: la sola legge del poeta è il proprio "genio".

Fratricidî, parricidî, infanticidî, stupri, incesti, orge di volgarità, furori di disperazione: nell'opera dei nuovi poeti la vita assume tutta un aspetto paradossale di umanità in sfacelo con conati vani di rinnovamento. L'ideale è domandato alla vita tempestosamente, e la realtà della vita, veduta entro la prospettiva della violenta reazione che essa provoca, resta esasperatamente sfigurata, brutalizzata. Fu un momento storicamente denso di eventi per la letteratura. La società borghese entrò da padrona nel mondo della poesia, prosa e poesia si mescolarono, ogni accademismo fu travolto, la poesia parlò - o intese parlare - il linguaggio della realtà e della vita. Ma se è vero che la poesia è vita, è pure vero che non basta che "una cosa sia vita perché sia anche poesia". Gridi, urli, imprecazioni, bestemmie, linguaggio delle taverne portato al cospetto delle muse e mescolato con le schiette effusioni del sentimento: la poesia che ne nacque fu caotica, informe, qualche volta un ammasso di materia opaca e inerte con improvvisi sprazzi di luce, qualche altra volta un'intuizione di poesia di grande respiro soffocata nella trivialità. La vita stessa degl'interpreti dello Sturm und Draug ne fu travolta: R. Lenz (1751-1792), il più geniale del gruppo, finì pazzo; H. L. Wagner (1747-1779) morì giovanissimo; Maler Müller (1749-1825) finì in una misera e oscura esistenza di bohème a Roma.

La grandezza di J. G. Herder (1744-1803) fu di aver salvato all'umanità ciò che vi era di fecondo in questo tumultuoso e turbolento movimento. Da Hamann aveva imparato a concepire la conoscenza come rivelazione e la poesia, la lingua stessa, come una operante presenza nello spirito umano. Ora il suo istintivo senso storico gli permise di dare allo Sturm und Drang quell'ubi consistam che gli era mancato. L'astratto ideale di umanità, che il razionalismo aveva costruito, era caduto senza che gli Stürmer und Dränger vi avessero sostituito un ideale nuovo, cercato invano in fondo alle più disperate esperienze; Herder definì questo nuovo ideale: un ideale di umanità ricondotto alla verità della vita, il culto per l'umanità nella concretezza della sua storia. L'umanità è un divenire continuo, e ogni popolo e ogni epoca hanno un loro spirito, una loro civiltà, una loro poesia. Lo stesso Dio che è nella natura è anche nella storia (Ideen zu einer Philosophie der Geschichte der Menschheit, 1874-87). Dai "cieli grigi dell'astrazione" l'ideale umano scendeva così nuovamente in mezzo agli uomini. Il passato cessava di premere sul presente e diveniva invece sorgente di vita. Per una parte si aprivano e ampliavano illimitatamente gli orizzonti; per l'altra, il presente conservava di fronte al passato tutta la sua autonomia, viveva delle proprie esigenze, traeva dal passato soltanto un alimento per il proprio sviluppo. Nuovi mondi si affacciavano. Il nuovo concetto di umanità portava in sé il nuovo concetto della patria. Lo stesso concetto ancora naturalistico della poesia, rimasto alla base della reazione dello Sturm und Drang, perdeva, nella nuova concezione storica, la sua angustia. La poesia era ancora sempre "voce della natura" per bocca del poeta; ma quella "voce" si rinnovava nei tempi perennemente col rinnovarsi dei popoli e degl'individui. In ogni individuo, in ogni popolo aveva un nuovo accento; la poesia popolare (Stimmen der Völker in Liedern) e la poesia culta del poeta erano manifestazioni diverse dello stesso processo spirituale di creazione. Anche l'età moderna andava verso una sua propria nuova poesia.

Scolaro di Herder a Strasburgo, ma poeta "per grazia di Dio", e, a differenza degli Stürmer und Dränger, recante anche nella poesia, per necessità interna della propria natura, quel "divino ordine armonioso" che Herder riconosceva come "presenza di Dio nell'universo", Goethe (v.) fu il creatore reale di questa poesia nuova. Quel senso del "divenire" della vita, per cui i nuovi tempi si erano venuti sempre più chiaramente opponendo alla concezione statica razionalistica, quel senso nuovo dell'individuale nella vita a cui la poesia domandava ora ispirazione in contrasto con la classicistica ricerca d'universalità, tutto ciò che era implicito nella posizione spirituale di cui Herder era interprete, divenne a un tratto, con Goethe, come per miracolo, poesia, canto, e anche al di là di quanto a Herder era stato possibile intuire. Perché anche l'individuale, anche lo stato d'animo dell'attimo fuggente fu sentito ed espresso in questa poesia come un divenire, come un fluire continuo. Dal tripudio festoso del "Canto di Maggio" nei Friederikelieder (1771) al puro e calmo ascendere alle serenità della suprema rinuncia nella Marienbader Elegie (1824); dal cozzo brutale di vita primitiva nel Götz (1773) alle ultime parole dell'ultimo Faust (1831), dall'"eterno femminino che in alto ci trae", tutta la poesia di Goethe è la prima grande realtà di questo che sarà il tono fondamentale di tutta o quasi la poesia moderna.

Ciò che negli Stürmer und Dränger era rimasto confuso urgere di passioni, divenne così visione proiettata nel mondo della fantasia ricondotta a un'intuizione generale della vita, materiata di vissuta e oggettivata umanità: ciò che negli Stürmer und Dränger era stata protesta tumultuosa, affermazione incomposta ed esasperata dell'individualità, con Goethe - dopo essersi determinata dapprima in frammenti lirici dove l'aspirazione dell'individuo a comprendere nell'illimitatezza della sua interiorità l'infinità della vita trova la sua piena espressione (Prometheus, Mahomet, ecc.); dopo aver esaltato d'altra parte la propria forza anche in quegli aspetti, che per la loro popolaresca brutale tonalità sembrano negarla (Götz) - si chiarì infine nella poesia per ciò che era, per ciò che solo poteva essere: dramma del limite umano, per cui l'individuo, inarrestabilmente protendendosi verso la vita, vi porta tutti i suoi istinti di bene e di male, e volendo il bene, provoca il male, e non soltanto vi soccombe (Urfaust, 1778); oppure, ancora, dramma del limite umano, per cui invano l'individuo di fronte alla tragica realtà cerca un rifugio in sé medesimo: perché vivere è affermare sé stessi e chiudersi in sé medesimi quando si aspira alla vita nella realtà è perdersi; e non rimane più altra soluzione che la morte (Werther, 1774). Pochi anni dopo anche le aspirazioni rivoluzionarie dello Sturm und Drang nel campo sociale diventano poesia con il giovane Schiller (Räuber, 1781), e diventando poesia, diventavano analogamente dramma, dove il diritto della nuova vita è proclamato trionfalmente, ma il trionfo è raggiunto nel sacrifizio individuale di chi lo ha affermato, nella morte dell'eroe. Dappertutto è la poesia della vita che fugge, della vita che è lotta ed è morte del sempre vano e sempre rinascente lanciarsi dell'individuo nella realtà: dappertutto lo stirb und werde del Westöstlicher Diwan (1814) è già, in ancor tumultuosi impeti di giovinezza, l'atmosfera della poesia. Nella quale poesia lo Sturm und Drang ha potuto chiarirsi nella verità della sua sostanza umana e prender forma concreta, appunto in quanto venne portato già entro una prospettiva più alta che lo comprendeva in sé senza esaurirsi. La stessa forza che permise al Goethe di dare allo Sturm und Drang realtà poetica, doveva necessariamente spingerlo verso vie nuove, verso quella spiritualità di cui lo Sturm und Drang non era stato se non l'iniziale momento. Il nuovo modo di sentire e di vivere, che aveva fatto irruzione nello Sturm und Drang soccombendo nella cecità del proprio impeto, non vi aveva esaurito la propria vitalità. Il dovere di Faust è di vivere "faustianamente", e la morale di Werther è "non seguirmi". Lo Sturm und Drang era finito, perché ciò che per esso era stato affermazione assoluta, nella realtà era diventato problema, come tutte le aspirazioni interiori quando vogliono diventare realtà. Il Goethe di Weimar è il poeta di questo nuovo problema: colui che del problema ha fissato i termini, e ne ha dato perciò la soluzione. Di fronte alla realtà che si rifiuta alle esigenze dell'individuo, il valore della vita divenne difatti per il Goethe a Weimar un valore interiore. Dotato da natura di una singolare adeguatezza fra la sua soggettività e il mondo reale, cosicché la sua esperienza quasi sempre spontaneamente si atteggia in forme in cui si possono riconoscere tutti gli uomini (vedi quella famiglia di pastori in Svizzera che recitava Der Du im Himmel bist, come preghiera della sera); legato per natura alla realtà e capace di assumerla, in vastissima misura, entro la propria coscienza, Goethe a Weimar scoperse entro di sé la via verso un individualismo nuovo: non più l'individualismo di chi cerca sé stesso nella realtà esteriore - come gli Stürmer und Dränger avevano fatto - ma un individualismo per il quale dentro di sé l'individuo deve cercare la realtà di sé medesimo, nel modo come la vita è vissuta, nel tono spirituale in cui la realtà tutta è assunta. Il risultato ne fu per una parte quella sua poesia di una interiorità così tersa e quieta nel suo fluire, in cui il paesaggio diventa stato d'animo e lo stato d'animo è paesaggio, e ogni opacità di materia appare totalmente disciolta (v. Uber allen Gipfeln, An den Mond, Herbstgefühl, ecc.), poesia che fu poi esemplare per tanta poesia moderna fino ad oggi. E il risultato fu anche, per l'altra parte, che la realtà non fu più negata - come presso gli Stürmer und Dränger e ancora nel Werther era avvenuto - ma poté essere affermata come la sola ricchezza che l'uomo possiede, perché soltanto nella concretezza della realtà l'uomo può veramente esistere, può prendere coscienza di ciò che è, può, inserendosi nella vita, avervi il suo posto, e partecipare con libertà al ritorno dell'universa vita infinita. Anche dove il genio è condannato a soccombere nell'urto con la realtà circostante, Goethe, sia pur con interna profonda malinconia, accetta, rassegnato ma sereno, che così è, perché la realtà non si può violare (Tasso).

La poesia della purità del cuore, in cui pochi anni dopo (1787) Goethe rinnoverà in senso moderno il mito di Ifigenia - Das Leben ist der Güter höchstes nicht, der Übel grösstes aber ist die Schuld - mostra l'intimo legame di questo atteggiamento con quella che diventerà la caratteristica della sua personalità: il suo classicismo. Mentre nella vicinanza di madama di Stein le onde tumultuanti dell'istinto a poco a poco si placavano e nell'esercizio di una pratica attività egli veniva a poco a poco trovando la sua pace, e nella preparazione del Meister, dalla Theatralische Sendung (1776-85) ai Lehrjahre (1795-96), andava a poco a poco formulando la sua nuova saggezza, maturava anche quel pensiero che doveva servire al classicismo come fondamento e restare a base anche di tutta la sua attività ulteriore: il pensiero che nella concretezza del fatto reale la vita tutta è simbolicamente espressa. Come nella sua ricerca scientifica egli ne venne spinto verso lo studio di quelli che egli chiamava Urphänomene, così nella poesia venne spinto contemporaneamente verso un'adesione sempre più stretta alla realtà e verso il rilievo dell'"universalmente umano". Precisamente nell'arte apparve anzitutto tangibile questa possibile coesistenza dei due elementi: ogni opera d'arte è concreta e conchiusa in sé stessa, e precisamente in questa sua interna perfezione è la sorgente della sua verità perenne inesauribile. Le esperienze quotidiane continue del soggiorno in Italia acquistarono per questo riguardo un valore definitivo. Vivere divenne per lui sviluppare in sé nella propria individualità ciò che è "universalmente umano"; e poetare fu esprimerlo in immagini palpitanti di realtà. E non è meraviglia che nelle Elegie romane (1790) e nelle altre poesie d'ispirazione italiana il tono di realtà sia più accentuato, caldo, vibrante: in Italia il suo pensiero s'era definitivamente chiarito; qui, fra le opere d'arte in mezzo a cui viveva e nel cui studio trascorreva le sue giornate, l'esperienza della sua nuova interna verità gli riempiva la vita, e nulla è più naturale che un'ispirazione di calda ebbrezza gli dettasse i nuovi ritmi e le nuove immagini; ma sotto quello studio di chiudere volontariamente gli orizzonti intorno alla visione che descrive, e stringersi alle forme della realtà aderendovi così da sparire quasi in esse, c' è la sua ispirazione, per cui egli si sente portato dalle grandi forze della vita di tutti, dalla grande corrente in cui la vita universa trova il suo eterno elementare appagamento e rinnovamento: il poeta che in così corporeo godimento di realtà ascolta sé medesimo è ancora sempre quell'anima che s'era descritta "cercante con l'animo la terra dei Greci". E se, tornato alla tranquillità operosa di Weimar, a poco a poco, dall'episodio di Elena nel Faust alla Wiederkunft der Pandora (1808) il suo classicismo andò sempre più accentuando invece l'elemento universalmente umano, altre opere, dal Hermann und Dorothea (1797) al tardo episodio di Bauci e Filemone nel Faust, sono documenti del suo sforzo costante di fondere l'universalmente umano in visioni di realtà. Suprema elevazione umana è sentirsi e riconoscersi in armonia con le leggi che governano la vita, e la più alta poesia è quella che riflette nelle forme dell'arte questa interna armonia (Winckelmann und sein Jahrhundert, 1805).

Contemporaneamente, accanto a Goethe e in collaborazione con lui, per vie in parte analoghe e in parte diverse, anche lo Schiller dava a questo rinato classicismo una nuova ideale consistenza. Spirito generoso, entusiasta e perciò sensibile ai problemi sociali del proprio tempo; interprete appassionato dei bisogni nuovi, sorgenti dalla società in profonda crisi di trasformazione, dopo aver dato voce eloquente alla passione ideale che lo accendeva (Räuber, 1781, Fiesco, 1783, Kabale und Liebe, 1784, Don Carlos, 1787), giunto infine a consuetudine di vita con Goethe, trovò anch'egli nell'esperienza di vita e d'arte di lui e nel proprio pensiero stimolato dalla lettura di Kant una fonte di rinnovamento: mosso da una distinzione fra l'antica e la moderna umanità, fra l'antica e la moderna poesia - per cui l'antica umanità era armonia con sé medesimo e col mondo, e la moderna umanità nostalgia; l'antica poesia era ingenuità di canto e la moderna sentimentale effusione dell'animo -, reagendo contro la severità dell'etica kantiana, ricercò in un ristabilirsi dell'antica armonia interiore dell'uomo il nuovo ideale che rendesse possibile l'accordo fra l'imperativo del dovere e le naturali inclinazioni che sono sostanza prima della vita umana. La conquistata coscienza di sé aveva distrutto nell'uomo quell'armonia: ritrovarla nella stessa coscienza era la nuova meta degli uomini. L'arte, per cui l'uomo si solleva a un tempo al disopra dell'umana miseria e al disopra dei proprî interni dissidî, era lo strumento per assurgere a questa nuova umanità, di cui Goethe già appariva come un primo esempio vivente (Briefe über ästhetische Erziehung des Menschengeschlechts, 1793). La classicità diventava così a un tempo un ideale di umanità e di arte, per cui la "fiamma della passione si chiarisce in luce di coscienza", "i contrasti dell'animo si risolvono in un interno riconoscimento della verità della vita". Dal Wallenstein (1800) alla Maria Stuart (1801), al Teil (1804), questa visione della vita e dell'arte si concretava realmente in un nuovo più calmo tono contemplativo e in un nuovo più terso stile nella sua poesia. Al tempo stesso da Parigi, da Roma, Guglielmo di Humboldt (1767-1835) partecipava alla vita di pensiero degli amici lontani e in saggi di critica e di estetica, con larghezza d'idee e lucida perspicuità di ragionamenti, vi dava sistematico sviluppo.

Schiller morì nel 1805; Humboldt fu preso a poco a poco sempre maggiormente dall'attività politica; Goethe solo poté continuare in calma spirituale la sua infaticata opera di creatore, e diede nelle Wahlverwandschaften (1809) il primo romanzo psicologico dell'età moderna; e introdusse col Westöstlicher Diwan (1814) la mistica contemplativa ispirazione d'Oriente nella poesia; e integrò coi Wanderjahre (1829) il Meister e condusse a compimento prima di morire il Faust (1831), riflettendo nella poesia la nuova vita dei nuovi tempi come il fiume riflette l'immagine delle circostanti rive nel fluire sempre eguale delle sue onde. L'opera che egli creò è e resta alimento perenne dello spirito moderno; ma, se una cerchia di devoti continuò a rinnovarglisi intorno con dedizione quasi religiosa, un movimento nuovo s'iniziò, che, pur ripetendo in parte anche da lui le proprie origini, era destinato a svolgersi per vie proprie: il Romanticismo.

Tutte quelle profondità del sentimento, in cui più la vita s'esalta oppure anche s'ammala, e di cui già gli Stürmer und Dränger avevano oscuramente sentito il fascino, erano state accolte nella chiara spiritualità della poesia di Goethe soltanto in quanto esse si lasciavano risolvere e superare nel classico equilibrio interno del poeta. Ma, orientatasi in questa direzione, l'evoluzione dello spirito moderno non poteva più subire arresti. E fu precisamente in quelle profondità che i romantici cercarono e trovarono gli elementi di una nuova vita. Al di là del criticismo kantiano, la filosofia idealistica iniziatasi con Fichte aveva schiuso nuovi mondi al pensiero riconoscendo l'unitario carattere spirituale della realtà; e il sentimento, non più inteso come immediatezza di natura e di istinto - quale era stato per gli Stürmer und Dränger - ma concepito in unità indissolubile con la coscienza, parve conferire all'interiorità dell'individuo una estensione infinita. Il sich selbst erweitern zu einer Welt, che per il giovane Goethe era rimasto soltanto suprema aspirazione, parve essere diventato verità. Prender coscienza di sé medesimo, di tutto ciò che s'agita nel mondo della propria sensibilità, era per l'uomo la grande via e la sola aperta per giungere alla conoscenza, alla creazione, a Dio. Ascoltare in sé medesimi la voce del proprio sentimento era il grande segreto della vita. Il sentimento era la natura operante in noi, era Dio stesso presente nel nostro interno. E un rinnovamento generale in tutta la concezione della vita ne derivò. Si rinnovò la religione, divenuta un fatto tutto interiore: diretta comunione spirituale dell'individuo con Dio (Fr. Schleiermacher, 1768-1834). Si rinnovò la morale, divenuta "morale organica", accordo dell'uomo con sé stesso e con la natura, sentimento a un tempo e coscienza (F. Schlegel, 1772-1829, Novalis, 1772-1801, Schleiermacher). Si rinnovò ancora più profondamente l'estetica. L'arte acquistò carattere religioso, rivelazione del divino nella vita (W. H. Wackenroder, 1773-1798, Novalis, F. Schlegel, ecc.): divenne la suprema forma dell'attività spirituale, più alta anche che la stessa filosofia, perché, rivelando in immagine anziché in pensiero la divina verità, può essere a un tempo pensiero e vita. Religione, filosofia, amore, poesia divennero aspetti diversi di una unica realtà. E molte affermazioni ne derivarono, che, svanita la mistica atmosfera in cui e da cui erano state generate, rimasero poi acquisite all'estetica moderna: la distinzione fra intuizione lirica e pensiero teoretico come fondamento della distinzione fra poesia e filosofia; il riconoscimento che nella sua liricità la poesia, mondo dell'individuale, raggiunge la sua universalità; la considerazione che con la forma poetica è identico il contenuto lirico della poesia, ecc. L'interpretazione dell'arte come del mondo in cui si attua piena la libertà dello spirito fu sviluppata fino al concetto dell'ironia romantica, per la quale la poesia raggiunge la sua più alta espressione quando il poeta "gioca" con la propria opera e distrugge sorridendo la visione che ha creata. Posizioni estetiche e critiche, che avranno in seguito lungo svolgimento. Più importante ancora fu la scoperta di un nuovo mondo poetico: estasi mistiche ed ebbrezze del senso, voluttà e sofferenza, sogno e malattia, amore e morte, le tonalità estreme del sentimento giunsero a dominio nella poesia, mescolate, fuse insieme in unità di vita. Alla tendenza figurativa, che il Rinascimento aveva fatto prevalere nella poesia, si sostituì una tendenza musicale, che permettesse di riflettere nelle parole ciò che il sentimento ha di vago, indefinito, sfuggente. Il Medioevo fu veduto con occhi nuovi, sentito più vicino alla moderna coscienza che non la poesia antica, studiato nelle sue più alte espressioni, ripreso nei suoi motivi religiosi e leggendarî. La "profondità senza fondo di Shakespeare" fu ripensata e rivissuta così da diventare nella traduzione di W. Schlegel quasi poesia tedesca. La ricchezza di colori e di melodie della poesia romanza, specialmente della poesia italiana e spagnola, estese su tutti il proprio incanto. All'intellettualismo protestante che aveva dominato la letteratura subentrò un sentimento nuovo e sempre crescente di affinità spirituale col cattolicismo.

Poche opere di compiuta poesia ne nacquero: gl'Inni alla notte (1800), l'Enrico di Ofterdingen, i canti di Novalis; alcuni capitoli di Wackenroder; alcune liriche e alcune prose di L. Tieck; alcuni momenti di alta prosa religiosa di Schleiermacher, ecc.; il resto è rimasto allo stato di frammento, di aforisma, d'intuizione immediatamente formulata: quasi l'interna pienezza di sempre nuove esperienze non lasciasse tempo di elaborare e sviluppare le idee balenanti in una continua ebbrezza. Ma quale influenza tali scoperte abbiano immediatamente esercitato sul proprio tempo, mostra, oltre il riflesso molteplice che se ne trova nello stesso Goethe dalle Wahlverwandtschaften al Westöstlicher Diwan, all'ultimo Faust, la profonda risonanza che esse ebbero in taluni scrittori che fecero in certo modo parte per sé stessi. Non solo Z. Werner (1768-1823), dal dramma di tendenza massonica passò a un dramma religioso di colore erotico-mistico, creando col 24. Februar (1807, 1815) la prima Shicksalstragödie; ma altri, che furono tra i più grandi dell'epoca. Jean Paul, dall'iniziale tono lirico-narrativo in cui sembra prolungarsi, affinandosi, l'eco del sentimentalismo del Settecento, ritrovò rapidamente, nell'esperienza romantica, la vena schietta della sua arte, risolvendo nell'ironia il contrasto fra la sua natura sognante e la realtà, e creando una prosa ricca, varia, impressionisticamente colorita, nella quale il disegno netto delle figure rappresentate si alterna con effusioni di musicale svolgimento. Il più grande umorista-poeta del secolo, H. v. Kleist (1777-1811), mosso da Kant - sua prima grande esperienza intellettuale - doveva giungere più tardi a scrivere nel Prinz von Homburg (1821) una tragedia in cui lo spirito di disciplina prussiano si eleva e purifica ad alto e severo imperativo kantiano, ma in tutti gli altri suoi drammi restò vicino ai romantici nel tono di esaltata ebbrezza a cui s'ispirò e nella forsennata tragedia d'amore e morte di Pena tesilea (1808) chiuse forse più pienamente il segreto del tormentato suo spirito. Fr. Hölderlin (1770-1843), l'amico del giovane Hegel e del giovane Schelling, dopo aver tratto nell'Hyperion (1797-1799) dal suo culto della bellezza ellenica una romantica interiorità di spirituali armonie, e dopo avere nelle prime composizioni creato forme che sotto questo aspetto lo avvicinano come nessun altro ai classici, giunse infine invece alla sua completa potenza lirica, quando da una mistica cosmica ispirazione derivò quella sua ultima poesia che, tutta spezzata com'è e frammentaria, trae da uno stato d'interna estasi il lampeggiare fulmineo delle sue rivelazioni.

La battaglia di Jena (14 ottobre 1806) fu nella storia spirituale germanica di un'importanza decisiva: fra Jena (1806) e Lipsia (1813) il pensiero assillante dell'umiliazione della patria schiava diede alla coscienza nazionale un potente impulso; e dalle Reden an die deutsche Nation (1807-08) di Fichte alle poesie di Leier und Schwert (pubblicate postume nel 1814) di Theodor Körner (1791-1813) che poco più che ventenne cantando moriva per la patria, con Kleist, con E. M. Arndt (1769-1860), con M. v. Schenkendorf (1783-1817), anche la poesia fu naturalmente al servizio della causa nazionale. Ma il disciogliersi del cenacolo romantico, che con tale momento coincise, non ne fu la conseguenza. Tutto il primo movimento romantico aveva avuto il carattere di un fiducioso impeto giovanile: la resa dei conti della posizione spirituale romantica di fronte alla realtà era un compito diverso, a cui quella giovinezza era estranea. Morti Wackenroder e Novalis, giovanissimi, passata Carolina Schlegel (1763-1809) a nuove nozze con Schelling, ciascuno dei membri del gruppo se ne andò per una sua via: Federico Schlegel passò con la moglie Dorotea (1763-1839) al cattolicismo e finì alla corte di Vienna; A. W. Schlegel (1767-1845), vivendo accanto a Madame de Staël finì a poco a poco col ridurre il romanticismo a problema letterario; F. W. Schelling (1775-1854) si perdette sempre più nel suo simbolismo mitologizzante, Schleiermacher si lasciò assorbire dai problemi della teologia protestante o della politica culturale.

Conseguenza delle guerre di liberazione fu che il movimento romantico, allontanandosi da quell'atteggiamento universalistico che aveva avuto nelle origini, andò assumendo rapidamente carattere sempre più nazionale. Già, prima di Jena, tale orientamento si era venuto determinando, un po' per il riflesso dell'interesse per il Medioevo il quale chiudeva in sé il passato favoloso delle genti germaniche, un po' - e forse più ancora - per il bisogno di cercare nella realtà storica una prima consistenza delle proprie aspirazioni; e già in Novalis il nuovo accento s'era fatto sentire; e già a Federico Schlegel il varcare il Reno aveva dato coscienza di quanto legato egli fosse alla propria patria. Ora non solo uomini come Arndt, G. v. Görres (1776-1849), rappresentativi anche nella storia politica della Germania, orientarono in tale senso, sebbene in diverso modo, la loro attività; ma la tendenza fu generale in tutta la poesia. Alle Stimmen der Völker in cui Herder aveva raccolto canti popolari di tutti i popoli, A. v. Arnim (1781-1831) e C. Brentano (1778-1842) fecero ora seguire con Des Knaben Wunderhorn (1806-08) una raccolta di canti esclusivamente germanici. Pochi anni dopo Jakob (1778-1863) e Wilhelm Grimm (1786-1859) vi aggiungevano la raccolta delle fiabe (r 812-13) e delle saghe (1816-18). Mentre dallo studio del Medioevo sorgeva, affinando scientificamente i proprî metodi, la filologia romanza, Jakob e Wilhelm Grimm, e altri con essi, K. Lachmann (1793-1851), G. F. Benecke (1762-1844), ecc., gettavano le fondamenta della germanistica.

Mentre il primo romanticismo aveva rivelato un nuovo mondo poetico creando una nuova interiorità, il nuovo romanticismo offerse così con un tesoro di poesia nazionale, prima sconosciuta, una nuova sorgente di ispirazione. E in gran parte alla storia e alla leggenda germanica ricorse F. de la Motte Fouqué (1777-1843) per le sue composizioni narrative e drammatiche; alla storia e alla leggenda germanica s'ispirarono in vario modo Brentano, Arnim; la ballata vi trovò una sorgente di motivi poetici quasi inesauribile, da Brentano giù fino a L. Uhland (1787-1862).

Ma al tempo stesso il grande impeto rinnovatore, che s'era irradiato dal primo romanticismo, comparve ora indebolito, più ancora, diviso, disperso. Molte delle esigenze spirituali che s'erano affacciate e che dovevano più tardi ricomparire, ora si attenuarono. Il movimento si determinò, per certi aspetti, con maggior precisione; ma la cerchia degl'interessi si chiuse.

La poesia di quelle che Schubert chiamò Nachtzeiten der Natur e che nella filosofia o nella scienza da H. Steffens (1773-1845) a K. Carus (1789-1869) esercitarono una potente attrazione: la poesia delle forze oscure, misteriose, per cui la vita psichica è legata alla natura fisica; la poesia ardente dei sensi attraverso di cui lo spirito umano aspira a divenire realtà di vita continuò ad alimentare la poesia, come nel Godwi (1800) di Brentano; come nelle Nachtwachen des Bonaventura (1804); come nel gruppo di poeti (A. Müllner, 1774-1829, E. Houwald, 1778-1845), che, riallacciandosi al Werner, coltivarono la ahicksalstragödie, dove sopra la vita umana imperano oscure inesorabili potenze annientatrici. E ne nasce la poesia visionaria, allucinata di E. T. A. Hoffmann (1776-1822) che, con la sua evidenza di fantasmi rappresentati in una ossessionante evidenza di particolari, con la sua analisi di stati psichici morbosi, con la sua mescolanza di lirismo e di realismo, di grottesco e di musica, già anticipa sotto certi aspetti l'arte di Poe.

Più ancora però di questo prevalse un altro atteggiamento, più accessibile al gusto di tutti: il romanticismo sentimentale. Già prima era comparso nell'opera di Tieck; ma era stato solo uno dei momenti della sua poesia. Ora invece fu il suo trionfo. Sentimenti vaghi; stati d'animo diffusi, indistinti; dolci malinconie; amor della solitudine; amor della natura; poesia delle lontananze: essere poeti parve che significasse avere un'anima delicata, sensitiva, nostalgica. Particolarmente per i poeti della "scuola sveva": J. Kerner (1786-1861), G. Schwab (1792-1850), K. Mayer (1786-1870), W. Hauff (1802-1827), questo equivoco fra poesia e vita riuscì fatale: lo stesso Uhland, che pure era un dotto e mostrò più tardi nella vita un sicuro senso della realtà e in singoli Lieder e in alcune ballate riuscì poeta vero, spesso non si salvò dal sentimentalismo convenzionale. Racconti e drammi nella maniera di Walter Scott; poemetti, ballate con colori byroniani: romanze di tono elegiaco; canti di tono popolare - fra cui alcuni schietti di Wilhelm Müller (1794-1827), il "poeta del cuore" di Schubert. Avvicinandosi all'anima borghese, il romanticismo ha assunto un tono domestico, familiare (A. v. Chamisso, 1781-1838); è diventato non più slancio, volo, ma tenerezza, commozione. Solo in un poeta esso riuscì a serbare ancora il suo volo: in J. v. Eichendorff (1788-1857), il poeta delle albe e dei crepuscoli, il poeta delle notti lunari, del Wandern: la cui ispirazione converte la natura in un mondo d'incantesimo.

Ridotto in queste tonalità nostalgiche e sognanti, il nuovo romanticismo finì col diventare un fatto soltanto letterario; oppure, nelle migliori manifestazioni, una poesia che accompagna la vita del proprio tempo, e ne asseconda talune tendenze, ma non l'investe in pieno, nella sua più profonda sostanza. E allora non soltanto incominciarono a delinearsi movimenti di reazione - di cui il classicismo di A. v. Platen (1796-1835), con il suo ritorno al culto della forma e al gusto figurativo nella visione poetica, con il suo amor del risalto plastico delle immagini, con la sua volontarietà e lucidità di pensiero fu la più spiccata espressione -; ma negli stessi spiriti nutriti di romanticismo s'incominciò a sentir bisogno di un alimento nuovo e diverso; e la romantica devozione a Goethe di una Rahel, e la romantica poesia su Goethe di Bettina Brentano (Goethes Briefwechsel mit einem Kind, 1835) ne sono, fra molti altri, segni caratteristici.

Soprattutto, incominciò a sorgere una poesia nuova, della quale il romanticismo fu bensì uno dei precedenti, ma nella quale l'atmosfera romantica s'è, per così dire, rarefatta, dissipata. Dalla Schicksalstragödie, Die Ahnfrau (1817), con la quale comincia, fino alla Jüdin von Toledo (1855) con la quale finisce, il poeta del Traum ein Leben (1834) e di Des Meeres und der Liebe Wellen (1831), F. Grillparzer (1791-1872), presenta pur sempre molti stati d'animo romantici nella sua poesia; ma la trilogia Das goldene Vliess (1822), in quel suo centrale contrasto di razza fra l'anima nordica e la serena anima greca, rispecchia anche l'interno dissidio del poeta, che già con la Saffo (1817) s'era accostato con venerazione al Goethe; e la compostezza dei modi della sua poesia, la chiarezza perspicua e attenta della sua analisi d'anime, la dolcezza calma del suo rassegnato spirito di rinuncia, la stessa morbida ma piana, nitida inflessione del suo stile, tutto ciò che costituisce il tono fondamentale della sua ispirazione è già fuori del Romanticismo. E se ricca di elementi romantici è la fiaba drammatica di F. Raimund (1790-1836), mescolata di realtà e di fantasia, d'umorismo e di canto, musicalmente libera e svagata nei suoi svolgimenti, l'essenziale esperienza formatrice vi è tuttavia un'altra: il Volksstück viennese. E se fra gli ospiti di Kerner alla Weibertreu fu anche N. Lenau (1802-1850), il cui sentimento panico e il Weltschmerz e la "voluttà di soffrire" possono far pensare talvolta ai romantici, in realtà la potenza della sua poesia è in un calore immediato di sofferenza umana che, snebbiato tanto di ogni misticismo quanto di ogni vapor sensuale, si libera con interna necessità nel canto; le sue immagini, anche dove sono sbozzate soltanto e i contorni in parte si perdono nell'indefinita massa della natura, hanno sempre una potente evidenza di particolari: il Merlino dei suoi Waldlieder non è un romantico che "tutto sente", è un dio che "tutto vede".

È una poesia che sorge all'infuori di ogni raggruppamento possibile di scuole e di tendenze: una poesia di uomini che portano nella propria opera tutt'al più il piccolo mondo a cui appartengono e soprattutto vi portano sé stessi, la propria soggettiva esperienza. Non altrimenti, dopo le passionali romantiche poesie del ciclo di Peregrina, E. Mörike (1804-1874), divenuto nel 1834 parroco di Cleversulzbuch, attese quietamente, per sé, a cogliere le impercettibih voci della vita, a tradurre in immagine la poesia delle cose che sembrano non averne, a tramare squisite delizie di verso, conscio che "le cose perfette riposano eternamente beate in sé medesime": e si sollevò così al disopra della tormentata irrequietudine del proprio spirito, risolvendo, ora con un sorriso ora con una lagrima, ogni esperienza di vita in immagini di nitida grazia. Non altrimenti, dinnanzi alla solitaria landa rossa di eriche della sua Vestfalia, Annette Droste-Hülshoff (1797-1848) fra una breve illusione e una lunga pena del cuore, remota dal mondo, rifletteva, in una poesia densa di sensazioni di sottili analisi e di visionaria potenza, il suo sentimento del grande mistero che è dietro ogni palpito della vita, o s'esaltava nel pensiero di Dio fino a ritrovare in sé un'ascetica severità quasi medievale. Non altrimenti Jeremias Gotthelf (1797-1854), nella quotidiana osservazione della vita dei contadini della sua parrocchia a Lützelflüh nel Bernese, all'infuori di ogni contatto letterario esteriore, trovò la via verso quella sua primitiva e greggia, vergine poesia di vita paesana che doveva più tardi apparire quasi una rivelazione.

Se una tendenza si delinea che riunisce idealmente personalità diverse in un comune orientamento, è appunto il bisogno di riprender piede nella realtà, di sentir terraferma sotto di sé, di guardar davvicino le cose, descriverle come sono, chiamarle col proprio nome. Persino L. Tieck (1773-1853), malgrado le sue origini e malgrado il gusto romantico-accademico dell'ambiente in cui viveva, a Dresda, all'ombra della protezione di Giovanni di Sassonia il Filalete, finì nelle sue ultime novelle con una netta adesione a questa diffusa e generale tendenza verso il realismo. Dopo i romanzi alla Scott, in cui aveva rivaleggiato col Hauff, Willibald Alexis (1798-1871) giunse alla sua opera migliore quando, pur rimanendo fedele al racconto storico, assunto il popolo a principale eroe, non soltanto si limitò a ricercare il colore del tempo, ma prese a osservare il popolo com'è, sempre, con i suoi istinti semplici, con la sua primitività, con le sue forze rozze e qualche volta brutali, ma generose, ricche di oscura elementare vitalità. Per analoga via Charles Sealsfield, der Europamüde ("lo stanco dell'Europa" 1793-1864), più che nell'esotismo avventuroso, raggiunse nell'immediatezza e durezza di analisi della ancora primitiva vita nord-americana i suoi più efficaci momenti. Si osserva anzi che precisamente gli spiriti più complessi e di più alte ambizioni - i quali più vicini erano rimasti all'ansia spirituale più profonda del primo romanticismo - furono anche i più decisi nell'evoluzione verso il nuovo atteggiamento. Partito da inizî romantici nella vita come nell'arte, il poeta del Merlin, K. Immermann (1794-1840), dopo di avere cercato invano in drammi e liriche, in poemi e commedie, un approfondimento di ciò che la precedente generazione aveva compiuto, riconosciuta infine con lucida analisi di sé e dei propri tempi la sua natura di epigono (Die Epigonen, 1836; Memorabilien, 1840-43), raggiungeva infine con l'Oberhof (1838-39), nella realistica rappresentazione di vita paesana della Vestfalia, il vero spontaneo vigore della sua arte. Musicista e drammaturgo, natura inquieta e meditabonda, Otto Ludwig (1813-1865) con l'immaginazione in fermento continuo e in continua instabilità, dopo essersi tormentato in una fatica continua di sempre nuovi progetti, naufraganti sempre nel vortice di intuizioni vaghe in cui lo travolgeva l'ossessionante studio di Shakespeare, chiusosi infine con la fantasia in un mondo circoscritto e angusto, ma preciso, concreto, creava con il dramma dell'Erbförster (1850) e con due ampie novelle di vita paesana una poesia di calda verità umana, viva e duratura; negli stessi Makkabäer (1832) la poesia del martirio trae da questo tono realistico la sua novità. Studioso di anatomia e di fisiologia, materialista per eccesso di romanticismo, G. Büchner (1813-1837), dopo il cinismo e l'orrore del Dantons Tod (1835), dove ogni slancio spirituale ricade su sé stesso sterilmente e una grande nausea è il solo senso della vita, si sollevò infine all'aerata, chiara poesia del frammento di novella su Lenz (1836) dove la realtà è non solo sentita ma amata. Solo C. Grabbe (1801-1836), al quale un Faust e un don Giovanni da soli non bastavano come argomento di poesia, tanto che ci vollero tutti e due perché egli ne cavasse il suo caotico-geniale dramma (Don Juan und Faust, 1829), non riuscì mai a fare i conti con la realtà: attirato verso la realtà anch'egli, ma per trarne la conseguenza che tutto ciò che è grande muore e solo la volgarità resta.

Quando nel 1834 Ludolf Wienbarg (1802-1872) dedicava al "Junges Deutschland" i suoi programmatici Ästhetische Feldzüge, con il loro inno alla libertà, alla realtà, con il loro vangelo dell'"emancipazione della carne", i tempi erano maturi pertanto per accogliere il nuovo verbo. Alla protesta contro l'oppressione politica, inaspritasi sempre più dopo la restaurazione, si aggiunse la protesta contro tutto ciò che era stato l'immediato passato: contro la serena "olimpicità" dei classici, contro la filosofia idealistica, contro il romanticismo. Da Federico Schlegel a Gorres, da Adam Müller (1779-1829) a Gentz (1764-1832) l'orientamento religioso-medievaleggiante del pensiero politico romantico aveva spinto molti degli uomini più rappresentativi ad aderire allo spirito reazionario imperante. La ribellione fu totale. Tutti i diritti appartenevano alla realtà. E nulla esisteva fuori della realtà. Il romanticismo era finito. Anche Goethe, che già pochi anni prima W. Menzel (1798-1873) aveva detronizzato - lo stesso Menzel che ora doveva assumere verso i Jungdeutschen la parte di denunciatore - fu condannato, perché s'era estraniato dalla vita. E invece tutto doveva servire alla vita; anche la poesia. Ma, in realtà, la poesia non può mai essere serva. E altra cosa è formulare un programma e altra creare veramente poesia. Wienbarg si esaurì nel programma formulato. Th. Mundt (1808-1861) restò soprattutto un critico. H. Laube (1806-1884) dopo essere stato professore e dopo avere scontato nel castello del principe H. Pückler-Muskau (1785-1871, l'autore dei Briefe eines Verstorbenen, 1830), una condanna politica, divenne un fecondo autore teatrale e romanziere esperto in intrecci e scene a effetto, finché - da quell'uomo pratico che in fondo era - divenuto direttore del Burgtheater, esplicò la sua attività più efficace promovendo un rinnovamento in senso realistico dell'arte scenica. K. Gutzkow (1811-1878), l'idolo del tempo, nel teatro come nel romanzo, giù fino ai Ritter vom Geist (1850-51) e all'anticattolico Zauberer von Rom (1858-61), malgrado le trovate del Roman des Nebeneinander, restò per tutta la vita colui che tenta sempre "cose che son più grandi di lui". Ciò che veramente prese sviluppo nuovo, mai prima conosciuto, fu la prosa giornalistica, polemica, l'arte dello scrivere pamphlets: e L. Börne (1786-1837), combattivo, mordace, tagliente, fu il Courier della Germania. Uno solo fra gli appartenenti al gruppo riuscì veramente un poeta: Heine. Ma era una personalità complessa, molteplice. Spirito irrequieto, scettico e sognatore, sensitivo e spregiudicato, in continuo abbandono e in continua ripresa di sé medesimo, con fulminee reazioni dell'intelligenza sul sentimento, senz'altro centro nella vita che il sentimento delle proprie ansie e aspirazioni perennemente inappagate, portò veramente nella poesia la realtà nella sua immediatezza e nel suo continuo mutamento, dove la vita è passione a un tempo e pensiero, passione a un tempo e azione. Dotato di un istintivo dono melodico estremamente puro e di una sensibilità eccezionale per il valore sensuale del suono nella parola, tolta la forma alla semplicità del Volkslied, creò la poesia della vita nella momentaneità dei suoi attimi fuggenti: una poesia che ora è singhiozzo e ora risata, ora sospiro e ora brivido di voluttà, ora grido cinico e ora sogno e qualche volta tutto questo insieme. Diede un linguaggio agli stati d'animo equivoci, dove la vita è ancora in germoglio e già in dissolvimento, in un attimo del suo divenire, mescolata di elementi disparati contrastanti fra loro. E come non ci fu nella realtà del suo tempo nulla a cui sia rimasto estraneo, non ci fu lotta sociale e politica in cui non si sia voluto immischiare, non movimento d'idee a cui sia stato insensibile, dominato sempre dal bisogno di nuove esperienze; riuscì anche il creatore di una prosa nuova, pulsante di sangue, calda di sensazioni, lirica e polemica, mordace e piena di effusioni, e in continuo rinnovamento di modi e di tonalità: la quale restò un conquista essenziale nella formazione della prosa moderna.

L'influenza di Heine - sebbene taluni come F. v. Dingelstedt (1814-1881) già fin d'allora muovano sulla sua traccia - fu tuttavia di lunga portata anziché di diretta ripercussione sul proprio tempo. Dalla "tomba di materassi" in cui la paralisi lo immobilizzò a Parigi, la sua voce giungeva alla patria alterata dalla lontananza. Invece i tempi incalzavano, e la poesia messa dai Jungdeutschen a semizio della vita, divenne anzitutto lo strumento della rivoluzione. Nel 1840 N. Becker (1809-1845) componeva il Rheinlied; nello stesso anno M. Sohneckenburger (1819-1849) la Wacht am Rheim; nel 1841, a Helgoland, A. H. Hoffmann von Fallersleben (1798-1874) il Deutschland über alles. F. Freiligrath (1810-1876), entusiasta per natura e cordiale, addestratosi alla colorita eloquenza del verso su Victor Hugo, divenne l'idealistico interprete del movimento; G. Herwegh (1817-1875) vi portò il suo istinto tribunizio, coniando per il popolo quelle frasì che il popolo capisce e di cui il popolo ha bisogno per accendersi - già il titolo Gedichte eines Lebendigen (1841-44) è sintomo significativo del suo stile - e fu l'incitatore a passare dalla parola ai fatti; e tutta una folla di altri poeti vi fece coro, dal giovane Dingelstedt e da F. v. Sallet (1812-1843) a G. Kinkel (1815-1882) il quale in esilio a Londra v'incontrerà più tardi Mazzini.

Ma appunto perciò, quando il '48 fallì anche in Germania e gl'interpreti della rivoluzione cercarono salvezza fuori di patria, in Inghilterra, in Svizzera, in Francia, e la reazione riprese il potere, lo stato d'animo nuovo che seguì presso le nuove generazioni fu di raccoglimento, e per qualche anno la letteratura nuovamente prese a disinteressarsi della vita pubblica, a chiudersi nella ricerca della poesia pura, a ritrarsi nel mondo del sentimento individuale.

Mirando ad altri scopi di carattere pratico, la "Tendenzpoesie" aveva smarrito il senso della forma; e subito dopo il '50, nella Monaco che aspirava ad essere l'Atene della Germania e riproduceva nelle proprie piazze e nelle proprie vie i monumenti antichi e i palazzi italiani del Rinascimento, il gruppo di poeti che si raccolse intorno a re Massimiliano trovò nella restaurazione dei valori formali il suo primo compito. Ed E. Geibel (1815-1884), che accanto a Ernst Curtius aveva imparato a comprendere la poesia antica e che per tutta la vita considerò "la misura e l'armonia" come supremo ideale, ne fu il riconosciuto maestro. Il gusto era eclettico e la cerchia degl'interessi vasta. F. v. Bodenstedt (1819-1892) vi portò la calda sensualità e la saggezza sentenziosa dell'Oriente; F. v. Schack (1815-1894) la poesia della Spagna; P. Heyse (1830-1914) la poesia dell'Italia; H. Lingg (1820-1905) il gusto per l'evocazione storica; W. v. Hertz (1835-1902) il culto della poesia medievale germanica; H. Leuthold (1827-1879) il tormento d'una vita in continuo interno dissidio e sconvolgimento fino alla follia. Ma qualunque fosse la materia della poesia, risonanza del mondo classico o del mondo romantico, storica o soggettiva, lo spirito animatore ne fu la ricerca della purità formale. E ne nacque una letteratura beneducata, da persone colte, che sono sensibili alla bellezza e san comportarsi bene nel mondo: la quale fu benefica come resistenza contro quella "Formlosigkeit" che è il pericolo immanente della poesia tedesca; e indubbiamente anche contribuì a dar distinzione e a dar largo respiro alla vita culturale in Germania; e d'altra parte per la molteplicità dei tentativi ritmici, metrici, nelle ricerche di colore affinò i mezzi d'espressione; ma di rado giunse a piena poesia. Alcune liriche di Geibel, alcuni frammenti di Leuthold, alcuni momenti lirici di semplice ma schietta ispirazione di Martin Greif (1839-1911) - il quale più tardi continuò in certo modo l'orientamento del gruppo - ne costituiscono esteticamente il risultato più vivo; insieme con la parte migliore dell'instancabile opera di Heyse. All'infuori di Leuthold, furono quasi tutti uomini che condussero un'esistenza calma e serena, con quella signorile gioia del godimento spirituale che ha dato alla capitale bavarese la sua impronta più caratteristica. E di questa piacevole e serena bellezza della vita Heyse fu il poeta. Era del resto, uno stato d'animo molto diffuso nello spirito del tempo. Tramontato l'impero della filosofia idealistica, degenerato il realismo della più tarda scuola hegeliana in materialismo, il '48 aveva sentito risonar d'ogni lato, insieme con le grida della rivoluzione, l'inno al godimento della vita celebrato come il solo bene dell'uomo, alla bellezza dei sensi che è la sola realtà, all'avvenire indefinito dell'uomo nella conquista della vita.

Era, in una prima forma ingenua, il segno di quel nuovo orientamento degli spiriti verso la concezione positivistica, che doveva dominare nei decennî successivi. Iddio era scomparso dai cieli. La scienza si attribuiva l'eredità della religione. Il "fiore azzurro" del sogno romantico era svanito nell'inconsistenza di un'illusione. Sulla terra, che è limitata, ma è sua, l'uomo muove verso la bellezza infinita del mondo. La poesia di Heyse fu la poesia di questo modo di sentire, scritta da uno spirito naturalmente ottimista, che ritrae il mondo nelle composte e amabili immagini della sua anima serena. Ma pochi aspetti della vita riuscirono ad amalgamarsi con questa sua ispirazione: il resto rimase convenzionale accademismo. I poeti veri di questo atteggiamento furono altri spiriti, più complessi o più intimi, che, accogliendolo in sé, lo vissero in profondità. Sotto la "bellezza del mondo" che descrive e che canta anche T. Storm (1817-1888), è sempre un'ansia indefinita: Iddio è scomparso, ma ne è rimasta la luce nel mondo; al romantico slancio verso l'infinito la scienza ha opposto le sue rigide leggi, ma quello slancio è rimasto dentro le anime; sono rimasti tutti i grandi problemi dell'umana esistenza; solo l'uomo non ne cerca più la soluzione altrove, ma intorno a sé, entro di sé, nella propria vita; e tutti i problemi si sono risolti in uno: "poter vivere fino in fondo la propria vita", perché nessuna bellezza e ricchezza più grande vi è che la possibilità di vita di un'anima umana; ma gli uomini, incalzati dall'illusione ed ostacolati dalla realtà, spesso vi passano accanto senza poterla far propria; la poesia acquista così uno sfondo d'ombra su cui la bellezza della vita si rinnova inesauribile, incantatrice eterna che attira e fugge. E anche Gottfried Keller (1819-1890) ha una posizione in parte analoga: anch'egli vorrebbe suggere con gli occhi il "goldener Überfluss der Welt" quanto le pupille ne possono contenere; e tutta la sua poesia è innamorata della vita; ma poesia di un poeta che conosce la realtà degli uomini con tutte le loro debolezze e la rileva con una lucidità di sguardo a cui nulla sfugge e vede la vita rinnovarsi perennemente in una problematicità continua, mescolata di bene e di male, di spirituale elevazione e di meschinità e di comicità ma appunto perciò più ricca; tale che lo sguardo dell'umorista sembra accompagnare dappertutto al sorriso la carezza, tale che mentre l'umorista porta il suo sorriso anche nel mondo della leggenda, al tempo stesso segue commosso le vie per cui dalle piccole cose la vita s'ingrandisce veramente in proporzioni da leggenda e quasi da mito: così dalla marginale posizione verso la vita che il poeta ha assunto dopo aver chiarito nel Grüner Heinrich (1848-55) sé a sé medesimo, nasce la prodigiosa varietà delle figure che delinea.

Respinto dal "più grande mondo" nel "più piccolo mondo" della vita intima, la poesia venne così scoprendo quanta ricchezza quel "piccolo mondo" poteva contenere. Già A. Stifter (1805-1868), erede del dolce quieto spirito dell'Austria del Vormärz, aveva chiesto alle solitudini della foresta, all'osservazione dei sottili e lievi moti dell'anima il segreto più profondo della vita, e aveva intitolato Studien (1844-50) e Bunte Staine (1852) umilmente le sue composizioni, assurgendo infine alla calma serenità del Nachsommer (1857). "Im engsten Ringe - im stillsten Herzen - weltweite Dinge", canterà poco dopo anche W. Raabe (1830-1910), e, analizzando con umorismo amaro la realtà delle cose che vorrebbero essere o sembrare più grandi, troverà nell'intimo raccoglimento dello spirito la luce che trasfigura le cose. Non altrimenti Ferdinand von Saar (1833-1906) si compiacerà soprattutto d'indugiare nell'intima dolcezza di uno spirito che, rinunziando alla vita esteriore, raggiunge con l'interna pace la via verso il riconoscimento della vita. Così, più tardi ancora, nell'interna armonia dell'anima con sé medesima, Marie Von Ebner-Eschenbach (1830-1916) ricercherà la meta della vita, nella quale è una bellezza senza fine. E in fondo, in diverso modo, è a questo stesso sentimento che s'ispirò anche quella poesia del pittoresco paesano che, ancor spesso convenzionale in B. Auerbach (1812-1882), acquistò più tardi con P. Rosegger (1843-1918) un'amabile vivacità e freschezza.

Intanto, raggiunto nel 1862 il potere, Bismarck, costruiva l'unità e la potenza dell'impero. E nella sua gigantesca figura si riassumeva non solo la ridesta coscienza del diritto nazionale, ma una generale volontà di grandezza che, da Federico il Grande in poi, nella storia spirituale della Germania era stata sempre, ora manifesta ora latente, una delle forze dominanti. Dall'oscura irruenza d'istinti dello Sturm und Drang all'eroico slancio della filosofia idealistica verso la conquista della totalità della vita; dall'idea herderiana ripresa da Humboldt, che il carattere tipico della civiltà germanica sia di fondere e di superare in sé tutto ciò che vi è di vivo nella civiltà di tutti gli altri popoli, alla struggente aspirazione dei romantici verso la realtà di Dio e dell'infinito nella propria coscienza; dal veemente risvegliarsi della coscienza nazionale dopo Jena fino al momento in cui questa raggiungerà le sue mete, continuamente, in forme diverse e qualche volta opposte, si assiste al dilatarsi di quest'ansia. La letteratura, che sempre riflette la realtà presente nella poesia, passato il momento della prima grandiosa affermazione, sotto il premere dei tempi, fu bensì spinta per altre vie; ma nel profondo delle coscienze tale forza restava viva e operante. La grande storiografia tedesca del secolo ne fu tutta una grandiosa espressione. B. G. Niebuhr (1776-1831), G. Droysen (1808-1884), H. v. Sybel (1817-1895), Th. Mommsen (1817-1903), F. Gregorovius (1821-1891), L. v. Ranke (1795-1886), che a 80 anni incomincia ancora a scrivere la storia del mondo e la scrive, son tutte figure potenti di lavoratori quadrati, metodici, costruttivi, figure di uomini che sanno la loro strada e la percorrono con passo fermo, sicuri di sé. E, a eccezione forse di Ranke, spirito più universale, e più tardi di J. Burckhardt (1818-1897), lo spirito che li anima è, in forme più vigilate, già quello che irromperà con travolgente eloquenza negli scritti di H. v. Treitschke (1834-1896). Contemporaneamente l'opera dei grandi filologi dai Grimm a K. Müllenhoff (1818-1884) continuava, con la sua opera di scoperta della poesia medievale, anche la rivelazione del germanesimo a sé stesso.

Così, la poesia d'ispirazione storica si rinnovò; e il tono romanzesco, a cui ancora l'agitato spirito di Victor Scheffel (1826-1886) domandò il troppo romantico colore per i suoi popolari romanzi, passò al tono realistico di G. Freytag (1816-1895), in cui i Germani del passato sono disegnati realisticamente fraterni di modi, di sentire e di agire coi Tedeschi del presente (Die Ahnen, 1873-81); e i Tedeschi del presente sono interpretati secondo lo spirito dei germanici antenati (Soil und Haben, t854); iniziando una corrente di poesia che resterà a lungo viva fino a Felix Dahn (1834-1912), evocatore dei re dei Germani e romanziere dell'ultragermanico Kampf um Rom (1886). E soprattutto accadde che, dopo un cinquantennio, quello che era stato lo spirito eroico che aveva segnato gl'inizî della nuova poesia tedesca, rinacque, con una nuova ricchezza di esperienza storica, con una nuova coscienza di sé medesimo. I tempi erano sordi a rispondere; e, in contrasto con coloro i quali attraverso la rinunzia e la limitazione erano giunti a ritrovare la gioia della vita, il tono della nuova poesia fu pessimistico. Non un pessimismo di uomo che s'ammanta nel senso della propria grandezza e porta per il mondo il suo vano lamento come ancora R. Hamerling (1830-1889), in ritardo sui tempi, andava byronianamente facendo; ma un pessimismo che, ritemprando nel dolore lo spirito, lo rinsalda in sé medesimo: quello che, riferendosi a Schopenhauer, Nietzsche rappresenterà nella figura del cavaliere di Dürer "che fra il diavolo e la morte cavalca impavido sebbene senza speranza". Ed è un fatto sintomatico che precisamente gli anni che seguirono il '50 videro, dopo oltre un trentennio dalla comparsa del Mondo come volontà e rappresentazione, l'improvviso trionfo di Schopenhauer. Wagner vi trovò l'avvenimento decisivo della sua vita. F. Hebbel (1813-1863), pur movendo da Hegel e dal realistico concetto della razionalità di ciò che esiste, giunse anch'egli a quel suo sentimento della vita come di un'immanente universa tragedia, che, se non come ideologia, per lo meno come stato d'animo è a Schopenhauer abbastanza vicino. E per tutti e due il dolore si risolvette in un modo di potenziare ed esaltare la vita. Attraverso il peccato e la sofferenza e la morte Judith (1841) giunge alla quasi superumana realtà di sé stessa; attraverso una sofferenza Genoveva (1843) alla sua beatitudine di purità e di umana pietà; e se di una potente ebbrezza di vita s'illumina l'idillio di Siegfried e di Bmnhilde, nessuna ebbrezza è paragonabile a quella che accompagna Tristano nell'amore, verso la morte. L'analisi delle oscure profondità della vita sessuale dischiude nuove misteriose forme di sentimento. La vita tutta ampliò i suoi confini illimitatamente. Hebbel diceva che in ultima analisi tutti i suoi drammi avevano la loro origine in Dio; e anche Wagner intendeva i suoi drammi musicali come un cosmico mistero, di cui i personaggi erano simbolici segni sensibili. Sorge così un mondo poetico di figure gigantesche, nelle quali la vita è portata al suo estremo limite di tensione. E tutte di germanico stampo: massicce, come un blocco di natura, immobili sulle loro posizioni, decise a tutto o a nulla. In una nuova interiorità il mito germanico antico trovava, nella rinnovata nibelungica volontà di grandezza, la sua rinascita.

Ma le truppe che nel '71, tornando da Parigi, a Berlino, passato l'arco di Brandeburgo, sfilavano per Unter den Linden fra le acclamazioni del popolo osannante, portavano con sé il pericolo di un male che è forse per gl'individui come per i popoli il più grande: lo spirito di sufficienza. Alla vasta influenza spirituale che da Madame de Stäel in poi la Gemiania aveva esercitata su tutta l'Europa, s'aggiungeva ora la potenza politica, a cui lo sviluppo della civiltà industriale doveva rapidamente aggiungere nel corso di pochi decennî una sempre crescente potenza economica. Quella che era stata la forza più grande nel divenire di tutto un secolo - lo sforzo spirituale per il raggiungimento di un'alta realtà di sé stessi - si attenuò: cedette il posto al godimento della realtà raggiunta. Mentre l'attività produttrice nel campo del progresso tecnico e della vita economica trovava nelle nuove vie aperte al lavoro un potente sviluppo, l'attività spirituale perdette il suo naturale carattere di fatica di creazione; da Burckhardt a Scherer, a Lamprecht, singoli grandi figure continuarono a sorgere sul primo piano; ma lo spirito era mutato. La vita si adagiava nel proprio benessere. Nietzsche solo si rese conto del pericolo, e, gettato l'allarme nelle Intempestive (1873-75), visse da solo entro di sé il suo dramma: malato di tutti i mali del secolo, ma con la coscienza di essi e con la volontà di superarli; chiuso interamente nel mondo dei suoi pensieri dove una spietata critica di giorno in giorno gli sgretolava i valori caduchi del passato, ma lo spirito della passata grandezza riviveva purificato in un sogno di umanità superiore; finché nella solitudine della sua tragedia gli si inabissò la coscienza.

Di tutto ciò che questo dramma significava nessuno si accorse. L'esasperata violenza di Nietzsche contro Wagner era, oltreché uno sforzo di liberazione di sé medesimo, una lotta contro lo spirito di passività che il wagnerianesimo diffondeva. L'esasperata critica contro i concetti della filosofia del passato era uno sforzo di salvare la spiritualità, da cui quella filosofia era nata, cercandovi una formulazione rispondente al nuovo spirito critico e al nuovo bisogno di realtà. La violenza di assalti scatenata contro la religione e contro la morale cristiana era diretta soprattutto contro lo spirito di acquietamento in cui tali valori erano accolti. In fondo, dietro i suoi colpi, il nemico a cui mirava era sempre quello già individuato nell'Intempestiva contro Davide Federico Strauss.

Invece il materialismo storico, col socialismo sorgente sulla base della lotta di classe, divenne il signore dei nuovi tempi, e con l'elevarsi delle masse proletarie si rifletté sulla cultura, la quale crebbe in diffusione fra il popolo e in estensione, perdendo in profondità. Contemporaneamente l'avvento del positivismo, spostava su fondamenta fisiche, materiali, le basi della vita.

E questo fu l'ambiente in cui si sviluppò la nuova letteratura. I rappresentanti della precedente generazione continuarono ancora per anni la loro opera. Altre personalità ancora sorsero, nelle quali l'ispirazione spirituale del passato si rinnovava: come E. v. Wildenbruch (1845-1909) che riallacciando alla nuova coscienza nazionale la grande tradizione drammatica del secolo, fu il classico interprete dello spirito del '70; e come, e soprattutto, Conrad Ferdinand Meyer (1825-1898), che movendo dall'esaltazione del gotico spirito medievale (Der Heilige, 1880) e dall'orgogliosa coscienza della sua germanicità protestante (Huttens letzte Tage, 1871; Jürg Jenatsch, 1876), sotto l'influenza dell'opera di Burckhardt e delle impressioni d'Italia, divenne il fastoso evocatore della vita del Rinascimento italiano. Ma restarono figure isolate, come altre analoghe: da quando uscì il Prometheus und Epimetheus (c880-81), ci vollero più di vent'anni perché K. Spitteler (1845-1924), il poeta dell'Olympischer Frühling (1900-1906), venisse scoperto. Agli uomini dei nuovi tempi occorreva ormai altra parola.

Preparata da una sempre crescente ripresa di realismo - con Th. Fontane (1819-1898), che attraverso l'esperienza giornalistica, lasciata la romantica ballata cui aveva domandata la prima ispirazione, si volse a poco a poco alla diretta osservazione della vita borghese del suo tempo, e divenne il poeta della vita uniforme, grigia, della grande città, e in Irrungen, Wirrungen (1888) e in Effy Briest (1895) e in altri romanzi fissò la fisionomia della società berlinese del tempo; con F. Spielhagen (1829-1911), che, dopo la felice intuizione che è a base di moblematische Naturen (1861-62), mirò ad agitare idee nei suoi romanzi sociali; con L. Anzengruber, che sotto la rozza maschera scoperse la viva e sensibile anima del suo popolo e risollevò ad altezza d'arte il Volksstück viennese degenerato in crassezza caricaturale con J. Nestroy (1801-1862); con Fritz Reuter (1810-1874) che, oggettivando in Ut mine Stromtid (1862-64) la sua soggettiva esperienza, con un largo sorriso di umorista e un lucido intuito delle anime, creò una pittoresca e viva immagine di vita popolare, a cui l'uso del dialetto basso-tedesco conferisce una robusta nota di spontaneità e di colore -; preparata - e più ancora - da un rapido estendersi dell'influenza della contemporanea letteratura francese in Europa, la nuova parola, in cui si riassumevano la mutata atmosfera sociale e la filosofia positivistica, fu: naturalismo. Tanto più vera era la poesia, quanto più fedelmente riproduceva, secondo le leggi della natura, la vita. E indubbiamente tutto ciò significò un ampliamento del mondo poetico. Liberò la letteratura dal sempre rinascente accademismo e dal vuoto formalismo esteriore. Dissipò ogni gusto per il sentimentalismo. Reagì contro l'unilaterale dominio di talune correnti del passato, creando intorno al poeta un'atmosfera di libertà e di fiducia in sé medesimo. Rinnovò l'arte scenica, in cui l'opera svolta dalla compagnia del duca di Meiningen aveva a suo tempo esercitato un influsso benefico, restituendo al teatro dignità e ricchezza d'illusione, ma aveva condotto a un nuovo accademismo storico-romantico. E si comprende che, nel fervor combattivo dei suoi giovani apostoli, il naturalismo si annunciava come una rivoluzione. Nei Kritische Waffengänge (1884-86) di Heinrich (1855-1906) e Julius Hart (1859-1930), nella Revolution der Literatur (1886) di K. Bleibtreu (1859-1928), nel Buch der Zeit (1885) di Arno Holz (1863-1929) e Johannes Schlaf, nella rivista Gesellschaft (1885-1902) di Michael Georg, nella rivista Freie Bühne (1890-94) di Otto Brahm (1856-1912) e Paul Schlenther (1854-1916), ecc., è tutto un tumultuare di idee in fermento, di polemiche, di demolizioni, di promesse, di attese. Ma già quando si prende a leggere quell'antologia Moderne Dichtercharaktere (1885) in cui W. Arent (nato nel 1864), Hermiann Conradi (1862-1890), l'autore di Adam Mensch e Karl Henckell (1864-1929) presentavano gli esempî della nuova poesia, subito appare l'interno equivoco di cui tutto il movimento ebbe fatalmente a soffrire. Il naturalismo è un momento necessario nella formazione di ogni poeta: il momento in cui il poeta impara a riconoscere la realtà perché quella è anche la via per conoscere la verità di sé stesso; ma la poesia nasce sempre quando quel momento è superato nella raggiunta personalità del poeta, del suo stile. Invece con la formulazione di quel che c'era di verità nel principio messo a base della nuova estetica fu associato un elemento eterogeneo: l'esaltazione di taluni aspetti della vita fisica psichica sociale, che erano tipici del nuovo pensiero e della nuova epoca; e nel ricondurre la vita a una materialità d'istinti o nel descriverne l'esterna apparenza parve consistere la poesia. Nacque così tutto un profluvio di liriche, e più ancora romanzi, drammi, il cui interesse è oggi per la più gran parte soltanto storico, documentario. E si produsse sotto nuovi aspetti un fenomeno analogo allo Sturm und Drang. Non mancarono personalità ricche di promesse, dal torbido, caotico, ma a tratti geniale Conradi, ad Arno Holz, il cui tormento sul problema dello stile, negli ultimi anni, presenterà più tardi un drammatico interesse. Ma l'opera di grande poesia mancò. E solo nel 1892 il trionfo dei Weber di G. Hauptmann, con le masse proletarie portate sulla scena e con il problema sociale posto al centro dell'opera, parve tradurre finalmente in realtà le aspirazioni letterarie dell'epoca.

Invece precisamente Hauptmann doveva diventare la personalità rappresentativa del carattere di transizione che il movimento aveva avuto. Dopo soli quattro anni, la fiaba drammatica La campana sommersa (1896) già mostrava Hauptmann su una nuova e diversa via: il simbolismo. E, se non mancarono, i ritorni al tono naturalistico, da Fuhrmann Henschel (1898) a Rose Bernd (1903), non furono mai definitivi: già nello stesso anno dei Weber, un altro dramma Hanneles Himmelfahrt (1895) rivelava più profonde aspirazioni del suo spirito. E il carattere dominante della sua personalità, nella più disparata molteplicità dei tentativi compiuti, resta quello di un'infaticabile ricerca. E fu fenomeno comune a molti altri spiriti. Negli stessi anni del nuovo movimento, influenze disparate erano venute a confluirvi: dalla Scandinavia, dalla Russia, dalla nuovissima letteratura francese. Se anche Ibsen, Tolstoj venivano interpretati come poeti del naturalismo, la realtà era diversa: Ibsen aveva superato il naturalismo dei primi drammi sociali per assurgere a una poesia di alta spiritualità: Tolstoj in un'ispirazione di mistica profondità si risolveva in classico equilibrio di arte; e questa realtà della loro opera s'imponeva a ogni teorica interpretazione.

Dopo meno di un decennio il naturalismo puro era finito. E secondo l'esempio della nuova pittura, sotto l'influenza del decadentismo francese e inglese e del romanzo di Jacobsen, una nuova soluzione del problema della poesia si affacciò: l'impressionismo. La vita non doveva essere riprodotta come è nella realtà, ma come il poeta la vede, secondo il succedersi e l'assimilarsi delle sue impressioni. Già nella lirica di Liliencron, e precisamente nella migliore, si potevano trovare, nella Germania, esempî di questo nuovo modo di poesia. J. Schlaf, W. Bolsche, C. Flaischlen (1864-1920), A. Bahr, ecc., ne furono fra i più caldi propugnatori. E come prima il naturalismo aveva dato il sopravvento agli stimoli elementari della vita, al problema sociale, alla brutalità della realtà; il nuovo atteggiamento condusse a un abbandono alla sensibilità, al giuoco delle sensazioni nell'inconscia vita dell'anima. E s'offerse alla poesia una materia più delicata. E le forme della poesia divennero con predilezione la lirica, la prosa poetica, il dramma simbolico. E poiché si raffinò nuovamente la sensibilità per l'elemento formale nella poesia, ne nacquero talvolta piccole cose squisite. Danthendey, Schankal, ecc., vi trovarono lo spunto a liriche di delicata melodia o intenso colore. Particolarmente nella signorile, sentimentale, molle anima viennese il movimento trovò felice risonanza: A. Schnitzler (1862-1931), fra altro, ne derivò la dolcemente malinconica melodia della prosa dei suoi Einakter, delle sue commedie, delle sue novelle, dei romanzi, in cui si trovano momenti di poesia vitale. Tuttavia, anche nel nuovo orientamento, le basi restavano ancor sempre quelle poste dal naturalismo: con una realtà esteriore da riflettere nella poesia, la quale era per così dire un compromesso fra la realtà e il poeta. E non soltanto ciò si può rilevare dal fatto che alcuni fra i naturalisti come Max Halbe si volsero a trattare coi loro metodi la materia della nuova arte, e altri scrittori come O. J. Bierbaum (1865-1910), O. E. Hartleben (1864-1905), rimasero sempre ondeggianti fra l'una e l'altra tendenza; non soltanto ciò si può rilevare dalla materialità di tono che l'impressionismo assunse in taluni scrittori come G. Meyrink; ma sensibile alle due tendenze continuò anche a rimanere il poeta maggiore del gruppo, R. Dehmel (1863-1920), il quale era un poeta vero, con il dono di dare corposità sensuale alle più vaghe e indefinibili impressioni, e trasse dall'agitata intimità del suo spirito alcune ispirazioni di profonda e schietta vena, ma, mentre affinava le forme della sua poesia per accogliervi le proprie fuggenti sensazioni, aspirava a interpretare in quelle stesse forme il problema sociale. Una fusione delle due tendenze offre quasi tutto il romanzo del tempo da J. Wassermann a H. Hesse, e dalla fusione delle due tendenze, ha tratto anche Thomas Mann il tono della sua ispirazione, mettendo il problema stesso, col decadentismo, al centro della sua opera.

All'alba del nuovo secolo numerose reazioni contro il naturalismo e l'impressionismo si vennero così a poco a poco delineando: da una parte il neo-classicismo di Paul Ernst e di Wilhelm von Scholz e il classicismo di Otto zur Linde e degli aderenti al gruppo della rivista Charon (1904 e segg.), per un'altra parte un ritorno alla semplicità e schiettezza dell'ispirazione con la poesia regionale e paesana della Heimatdichtung; per un'altra parte infine un ritorno alle fonti del primo romanticismo, quale era stato nelle sue origini. Il neoclassicismo esercitò soprattutto un influsso nel campo della critica militante; la Heimatdichtung, con tempestoso vigor battagliero sostenuta da A. Bartels, ebbe fra altro un clamoroso trionfo teatrale con K. Schönherr e trovò aderenti in ogni regione e di diverso temperamento e, fra altri, anche in personalità complesse come Clara Viebig o come Enrica von Handel-Mazzetti, che nelle evocazioni baroccamente fastose della Carinzia secentesca effuse con ampiezza il suo sentimento religioso della vita; il neo romanticismo trovò la sua personalità più rappresentativa con Riccarda Huch, che, dopo liriche e romanzi in cui è immediato e pulsante un caldo senso dell'intimità umana, segnò coi due volumi sul romanticismo nuove vie anche all'indagine storica, e in epiche evocazioni del Risorgimento italiano e della guerra dei Trent'anni portò un senso di profonda umanità.

Nel frattempo, in posizione solitaria, fin dal 1891 Stefan George con pochi fedeli, aveva incominciato nei Blätter für die Kunst (1892-1919) la sua attività per una più essenziale e profonda comprensione dell'arte e del suo valore per gli uomini. Pur movendo anch'egli in origine dai simbolisti francesi, vi aveva trovato soltanto un'esperienza nel divenire del pensiero del gruppo, per il quale l'arte assurse a valor religioso, e il culto dell'arte a disciplina severa, e l'elevazione dell'arte a elevazione di vita. George stesso dalle traduzioni di Verlaine e di Baudelaire si sollevò alla poesia di alto tono e di squisite interne risonanze dello Jahr der Seele (1897), per concludere con le lapidarie "annunciazioni", dell'ultima opera. Ma ne ebbe origine anche tutto un rinnovamento nel pensiero critico, di cui le monumentali raffigurazioni di Goethe, di Cesare, di Shakespeare, fatte da Friedrich Gundolf (1880-1931), sono un documento. E contemporaneamente si creò l'atmosfera spirituale, in cui alcuni fra i poeti più puri degli ultimi decennî poterono creare la loro opera: alcuni di essi divisi da George da contrasti di pensiero; ma tutti partecipi dello stesso alto senso del valore dello stile: R. M. Rilke (1875-1926), che dalla religiosità estatica del suo spirito trasse alcuni dei più delicati e puri accenti della poesia moderna; H. v. Hoffmannstahl (1874-1929), che dall'impeto lirico pieno armonioso della poesia giovanile, attraverso il fasto decadente dei drammi della maturità, giunse infine alla levità delle ultime commedie e alla religiosità d'ispirazione dell'ultimo teatro, finché la vita tragicamente gli si spezzò sulla bara del figlio suicida; G. H. Borchardt, che alla poesia meridionale, specialmente italiana, attinse il senso pieno, sonoro della forma, a cui continua a ispirare tanto la sua poesia quanto la sua stilistica interpretazione di Dante; Hans Carossa, che nella prosa aerata, chiara, senza peso, di Eine Kindheit (1922), ha risolto in trasparenze le più indefinibili intimità dell'anima; R. G. Binding, che nella purità dello stile superò, chiarendolo, il suo sentimento romantico.

Tuttavia l'ultimo compatto movimento della letteratura tedesca fu indipendente dai poeti di questa tendenza. Fu anch'esso, come quelli che lo avevan preceduto, un'evoluzione del gusto generale, un movimento di masse, non di uomini d'eccezione. E anch'esso trasse, come già l'impressionismo, dalle arti figurative, il suo nome: espressionismo. Le posizioni dell'impressionismo vennero rovesciate. Il mondo esterno non è che materia: il poeta crea dall'interno la poesia, atteggiando la materia secondo la sua ispirazione. Solo nell'interno dell'individuo la vita è libertà, realtà infinita. E dall'interno il poeta deve dar forma al suo mondo, che nella verità del poeta trova anche quella che sola può essere la sua verità. Solo così la vita può essere veduta di nuovo secondo i suoi valori etici e religiosi, in una prospettiva di eternità. Già prima della guerra il movimento si era affermato. Lo stesso Frank Wedekind (1864-1918), che afferrando con mano brutale ciò che nell'uomo vi è di più delicato, lo aveva portato senza scrupoli e senza pudori sul teatro, trasformando il dramma in un'impetuosa ballata, dove l'umanità nell'attrazione e nella lotta dei sessi vertiginosamente s'inabissa, aveva aperto in questo senso prospettive verso un'arte nuova. E già accenni ad essa erano affiorati specialmente nel campo della critica, attraverso scrittori di opposte tendenze. Giovani poeti nuovi vi avevano ispirato la loro poesia, da G. Heym (1887-1912), morto a ventiquattr'anni, al giovane F. Werfel, al giovane Max Brod, ecc. La guerra, e, più ancora, la tragica situazione della Germania nel dopoguerra, ne accelerarono, anzi ne precipitarono lo sviluppo. In una psicologia collettiva, in cui il crollo della potenza nazionale determinava stati d'animo di disorientamento senza vie d'uscita, il sentimento individuale offriva l'unica via di ripresa. Spengler proclamava il tramonto della civiltà occidentale; la trionfante filosofia relativista proclamava la caducità e transitorietà di tutti i valori; la rivoluzione sociale urgeva alle porte. La vita non poteva essere che un ricominciare da capo: l'individuo a tu per tu con Dio; a tu per tu con tutti i valori morali, tutti caduti, tutti da ricostituire.

Come dalle teorie scientifiche di Einstein si pretese di dedurre in senso relativistico una posizione filosofica, così dalle indagini psichiatriche di Freud si credette di poter trarre, insieme con un rinnovamento della psicologia, tutta una nuova estetica. Ogni misticismo trionfò: anche quello di Keyserling e quello di Steiner. Sotto ogni aspetto della vita si cercò la forza occolta che lo determina. Il mondo prediletto della poesia divenne il mondo del subcosciente, dove le forme della vita sono ancora indistinte. Dappertutto la poesia volle essere Urschrei che svela gli Urgründe dell'esistenza. Infinito, eternità, universo, cosmica verità: l'individuo, già sperduto nel mondo della realtà, ad un tratto parve aver ritrovato tutto entro di sé, nel caos dei proprî sentimenti tumultuanti. Mai non si vide più grande orgia di grosse parole. Nella lirica si determinò uno stile spezzato ed estatico, turgido d'immagini, esaltato, barocco, non di rado grottesco. Un'intensità estrema di tono e un'estrema condensazione di pathos dominò il dramma e il romanzo. Nella tessitura linguistica i nessi logici si attenuarono e disciolsero. La poesia parve aspirare a diventare "un terremoto di emozioni". E se nella lirica da G. Trakl e E. Stadler, morti in guerra giovanissimi, fino a R. Schickele, a H. Lersch, a R. Becher, a I. Goll, a E. Lasker-Schüler, la liberazione da ogni vincolo di forme tradizionali condusse talvolta a un'immediatezza di esplosione verbale che poté far credere al reale avvento di una nuova poesia; e se tale liberazione da F. v. Unruh, a E. Barlach, a C. Sternheim, a E. Toller, a Hasenklever, a P. Kornfeld, maggiori speranze ancora suscitò come esperienza teatrale per la scioltezza di movimento e la novità di situazioni drammatiche che parvero poterne derivare, d'altra parte invece fu proprio nel confuso disordine e nella forsennata veemenza degli atteggiamenti ispiratori che l'espressionismo trovò la sua fine. Nella lirica la poesia si realizzò solo a frammenti: e altrettanto frammentaria appare anche nelle opere di più ampio respiro, come nella Hymne an Italien e nel Nordlicht di Däubler. Nel dramma una sola personalità continuò veramente a svilupparsi da una propria pienezza interiore: Georg Kaiser. Nel romanzo, malgrado talune manifestazioni di singolare interesse, ora artistico ora psicologico, ad opera, fra altro, di K. Edschmid, di M. Brod, di O. Flake, di Klabund, di Kafka, di Zweig, ecc., più che opere d'arte si ebbero ricerche e presentimenti di uno stile non raggiunto. Nel giro di pochi anni, gli stessi scrittori che avevano dominato il movimento, sentivano il bisogno di una parola nuova. In quel mondo di vertigine "molti valori non soltanto estetici si erano inabissati". E sorse un desiderio nuovo di concretezza, di chiarezza, di oggettività, di realtà. Tutti si rinnovarono. Werfel divenne l'autore del Verdi; L. Frank divenne l'autore di Karl und Anna; lo stesso H. Hesse, dopo lo Steppenwolf, scrisse il Trost der Nacht. Ma soprattutto fu la più giovane generazione quella che cercò in questa direzione la propria via. Nella lirica comparvero toni d'ironia, come in quella di Kästner. Nel dramma, sia in forma di dramma sociale, con B. Brecht, A. Bronnen, F. Bruckner, ecc., sia in forma di dramma storico con B. Frank, A. Neumann, W. Goetz, E. Ortner, ecc., la forza espressiva fu cercata in un nudo "stile di fatti". Nel romanzo - passata la moda dei libri di guerra già trionfanti con E. Remarque, L. Renn, E. Glaeser, A. Zweig, ecc. - gli "uomini del giorno" divennero A. Döblin, A. Grimm, H. Johst, ecc., i quali in vario modo avvicinarono nella loro opera la nuda realtà del proprio tempo. Certo è un realismo nuovo, che ha dietro di sé l'espressionismo e in nuovi atteggiamenti ne ha ereditato in parte lo spirito, ed è profondamente diverso da quello dell'epoca del naturalismo. Dietro talune semplificazioni di stile - come nel modo di narrare di J. Roth o di W. E. Schäfer, o di O. Heuschele, ecc., - così come dietro il pathos realistico-romantico di Paula Grogger; dietro la nuda linearità della lirica di R. Billinger così come dietro la rude e potente mistica semplicità del dramma sacro di M. Mell, il sentimento della realtà a cui tutti aderiscono si presenta spesso con un accento di liricità, tanto più intensa quanto meno appariscente. Ma qui è la forza e la originalità del nuovo movimento che si è venuto delineando. Le due esperienze artistiche dell'espressionismo e della Neue Sachlichkeit non si possono scindere, sebbene amino contrapporsi: formano due momenti successivi di un'esperienza spirituale unica, di là dalla quale la poesia in Germania va cercando le sue nuove vie.

Bibl.: Storie generali della letteratura. - Fra le più antiche, v. A. Koberstein, Grundriss der Geschichte d. deutschen Nationallitteratur, 1ª ed., Lipsia 1827, 5ª ed., a cura di K. Bartsch, voll. 5, Lipsia 1872-73; G. Gervinus, Geschichte der d. Dichtung, 1ª ed., Lipsia 1835-40, 5ª ed., a cura di K. Bartsch, voll. 5, Lipsia 1871-74; W. Wackernagel, Geschichte der deutschen Literatur, voll. 2, fino al sec. XVII, 1ª ed. Basilea 1851-53, 2ª ed. a cura di E. Martin, fino al 1780, voll. 2, Basilea 1879-94; H. Kurz, Geschichte der deutschen Literatur, 4ª ed., voll. 4, Lipsia 1871 segg.; fondamentale resta ancor sempre W. Scherer, Geschichte der deutschen Literatur, 1ª ed., fino alla morte di Goethe, Berlino 1883, nuova ediz. con continuazione fino alla lettura contemporanea di O. F. Walzel e con bibliografia di J. Körner, Berlino 1928. Fra le più recenti, oltre il Handbuch der Literaturwissenschaft, diretto dal Walzel, Potsdam 1927 segg., v.: W. Golther e K. Borinski, Geschichte der deutschen Literatur, voll. 2, 1892-94; F. Vogt e M. Koch, Geschichte d. d. Literatur, 4ª ed., voll. 3, Lipsia 1919-20, trad. italiana di G. Balsamo Crivelli, 2ª ed., Bari 1924; K. Borinski, Geschichte der deutschen Literatur, voll. 2, Stoccarda 1921; J. Nadler, Geschichte der deutschen Literatur nach Stämmen und Landschaften, 3ª ed., voll. 4, Ratisbona 1929-32; A. Bartels, Geschichte der deutschen Literatur, con tendenza nazionalistica, 4ª ed., Berlino 1924; A. Biese, Geschichte der deutschen Literatur, voll. 3, nuova ed., Monaco 1923; K. Francke, Die Kulturwerte der deutschen Literatur, I, 2ª ed., Berlino 1925; J. Wiegand, Geschichte der deutschen Dichtung in strenger Systematik, Colonia 1922; A. Kleinberg, Die deutsche Dichtung in ihren sozialen, zeit-und geistegeschichtlichen Bedingungen, Berlino 1927; P. Wiegler, Geschichte der deutschen Literatur, I, Berlino 1930. Interesse storico, come documento spirituale del tempo, offrono soprattutto talune storie letterarie: come quella dell'Eichendorff, dal punto di vista cattolico romantico (1857); quella del Laube, dal punto di vista del Jung Deutschland; quella del Menzel, dal punto di vista della polemica antigoethiana e del culto dell'arte antica, ecc. Fra le più diffuse storie letterarie di carattere divulgativo basti ricordare quelle del Vilmar (protestante), del Lindemann (cattolica), del König, di R. M. Meyer, dello Storck, dell'Arnold, dell'Oehlke, del Suler, del Hankamer, ecc.

Repertorî bibliografici. - Per la ricerca bibliografica v. il manuale di Q. F. Arnold, Allgemeine Bücherkunde zur neueren deutschen Literaturgeschichte, 2ª ed., Berlino 1919. Gli strumenti di ricerca principale sono: K. Goedeke, Grundriss der Geschichte der deutschen Dichtung, 2ª ed., Dresda 1884-1932 (per il vol. IV, Goethe, v. la 3ª ed., Dreesda 1901-13); H. Paul, Grundriss der germanischen Philologie, 2ª ed., Strasburgo 1901-09 (una terza edizione ha incominciato a uscire nel 1911); Jahresberichte über die Erscheinungen auf dem Gebiete der germanischen Philologie (dal 1876 in poi: particolarmente per la storia della lingua e per la letteratura fino al sec. XVIII); Jahresberichte für neuere deutsche Literaturgeschichte (dal 1890 in poi; ripresi, dopo la guerra, nel 1924, col titolo Jahresberichte über die wissenschaftlichen Erscheinungen auf dem Gebiete der neueren deutschen Literatur): da completarsi, per le pubblicazioni più recenti, con gli elenchi bibliografici mensili del Literaturblatt für romanische und germanische Philologie, e, per la letteartura contemporanea, con la bibl. dei periodici Die Literatur (già Das literarische Echo) e Die schöne Literatur. Manuali bibliografici hanno compilato: A. Bartels, Handbuch zur Geschichte d. d. Literatur, 2ª ed., Lipsia 1909 e, per il sec. XIX, R. M. Meyer, Grundriss d. neueren deutschen Literaturgeschichte, 2ª ed., Berlino 1907. Per la ricerca biografica v. le bibliografie di H. A. Krüger, Deutsches Literaturlexikon, Lipsia 1914 e W. Kosch, Deutsches Literaturlexikon, Halle 1927-31. Eccellenti sono per la filologia e le antichità medievali il Reallexikon der deutschen Altertumskunde di J. Hoops (voll. 4, Strasburgo 1911-19), e per la filologia e la storia della letteratura moderna il Reallexikon der deuschen Literaturgeschichte di P. Merker e W. Stammler, voll. 3 e 1 supplemento, Berlino 1925-31. Utilità per la consultazione possono offrire anche M. Schneider, Titelbuch, elenco di opere disposte alfabeticamente secondo il loro titolo, 2ª ed., Lipsia 1927; M. Holzmann e H. Bohatta, Deutsches Anonymen Lexikon, voll. 6, e suppl., Weimar 1902 segg., 2ª ed., Marburgo 1912.

Letteratura medievale. - L. Uhland, Geschichte der altdeutschen Poesie (fino al sec. XVI); J. Kelle, Geschichte der deutschen Literatur von der ältesten Zeit bis zu Mitte des 11. Jahrhunderts, voll. 2, Berlino 1892-94; R. Koegel, Geschichte der deutschen Literatur bis zum Ausgang der Mittelalters, incompiuta, voll. 2, Strasburgo 1894-97; W. v. Unwerth e Th. Siebs, Geschichte der deutschen Literatur bis z. Mitte des 11. Jahrhund., Berlino 1920; G. Ehrismann, Geschichte der deutschen Literatur bis zum Ausgang des Mittelalters, voll. 3, Monaco 1918-27; W. Golther, Die deutsche Dichtung im Mittelalter von 800 bis 1500, 2ª ed., Stoccarda 1922; G. Aschner, Geschichte der deutschen Literatur vom 9. Jahrhundert bis zu den Staufen, Berlino 1920; H. Schnerdes, Heldendichtung, Geistliche Dichtung, Ritterdichtung, Heidelberg 1925; A. Heusler, Die altgermanische Dichtung, 2ª ed., Lipsia 1927.

Per l'Umanesimo e la Riforma v.: G. Voigt, Die Wiederbelebung des klassischen Altertums, oder das erste Jahrhundert des Humanismus, voll. 2, 3ª ed., Berlino 1893; W. Stammler, Von der Mystik zum Barock, Stoccarda 1927; K. Burdach, Vom Mittelalter zur Reformation, voll. 6, Berlino 1912-1930; id., Reformation, Renaissance, Humanismus, Berlino 1918; G. Ellinger, Humanismus, nel Reallexikon di Merker e Stammler, cit.; E. Troeltsch, Die Bedeutung des Protestantismus für die Entstehung der modernen Welt, Monaco 1911; H. Schubert, Revolution und Reformation im 16. Jahrhundert, Tubinga 1927; H. Naumann e G. Müller, Höfische Kultur, Halle 1929; G. Müller, Deutsche Dichtung vom d. Renaissance bis zum Ausgang des Barocks, Berlino 1926-1929.

Sul Sei-Settecento: H. Hettner, Literaturgeschichte des 18. Jahrhunderts, III: Geschichte der deutschen Literatur vom westfälischen Frieden bis zur Thronbesteigung Friedrichs des Grossen, 7ª ed., Brunswick 1925; J. Schmidt, Geschichte der deutschen Literatur von Leibniz bis auf unsere Zeit, voll. 5, Berlino 1886-96; K. Lemke, Geschichte der deutschen Dichtung neuerer Zeit, da Opitz a Klopstock, Lipsia 1882; A. Eloesser, Die deutsche Literatur vom Barock bis zur Gegenwart, I, Berlino 1930; F.I. Schneider, Die deutsche Dichtung vom Ausgang des Barocks bis zum Beginn des Klassizismus, Stoccarda 1924.

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Per la letteratura del sec. XIX v.: G. Brandes, Die Literatur des 19. Jahrh. in ihren Hauptströmungen, ediz. tedesca, Lipsia 1882-91; A. Stern, Die deutsche Nationalliteratur vom Tode Goethes bis zur Gegenwart, 6ª ed., Lipsia 1909; R. M. Meyer, Die deutsche Literatur des 19. Jahrh., 7ª ed. a cura di H. Bieber, Berlino 1923; G. Wittkowsky, Die Entwicklung der d. Literat. seit 1830, Lipsia 1912; F. Kummer, Deutsche Literaturgeschichte des 19. Jahrh., 2ª ed., Dresda 1923; W. Kosch, Geschichte der deutschen Literatur im Spiegel der nationalen Entwicklung von 1813 bis 1918, Monaco 1922 segg.; O. F. Walzel, Die deutsche Litertur seit Goethes Tod, 2ª ed., Berlino 1920; W. Oehlke, Die deutsche Literatur seit Goethes Tode und ihre Grundlagen, Halle 1921; A. Bartels, Die deutsche Dichtung von Hebbel bis zur Gegenwart, 10ª ed., Lipsia 1925; R. Riemann, Von Goethe bis zum Expressionismus, Lipsia 1922, ecc.

Per la letteratura moderna e contemporanea v.: K. Lamprecht, Zur jüngsten deutschen Vergangenheit, Friburgo 1905; A. Bartels, Die deutsche Dichtung der Gegenwart, 10ª ed., Lipsia 1921; E. Lemke, Die Hauptrichtungen im deutschen Geistesleben der letzten Jahrzehnte, Lipsia 1916; V. Eckert, Vom Naturalismus zum Neuidealismus, Karlsruhe 1914; F. Landsberger, Impressionismus und Expressionismus, Lipsia 1919; F. von der Leyen, Deutsche Dichtung in neuerer Zeit, 2ª ed., Jena 1927; W. Stammler, Deutsche Literatur vom Naturalismus bis zur Gegenwart, 2ª ed., Breslavia 1927; Ph. Wittkop, Deutsche Dichtung der Gegenwart, Lipsia 1924; H. Naumann, Die deutsche Dichtung der Gegenwart, 3ª ed., Stoccarda 1927; W. Mahrholz, Deutsche Dichtung der Gegenwart, Berlino 1926; L. Mazzucchetti, Il nuovo secolo della letteratura tedesca, Bologna 1926; H. Kindermann, Das literarische Antlitz der Gegenwart, Halle 1930.

Storie locali della letteratura: v. fra le più importanti, J. W. Nagl, J. Zeidler e E. Castle, Deutsch-Österreichische Literaturgeschichte, Vienna 1899 e segg.; J. Bächtold, Geschichte der deutschen Literatur in der Schweiz, Frauenfeld, rist. 1919; E. Jenny e V. Rossel, Geschichte der schweizerischen Literatur, Lipsia 1920; R. Eckart, Handbuch zur Geschichte der plattdeutschen Literatur, Brema 1911; R. Krauss, Geschichte der schwäbischen Literatur, Friburgo 1897-99; R. Wolkan, Geschichte der deutschen Literatur in Böhmen, Augusta 1925, ecc.

Storia dei generi letterarî: W. Creizenach, Geschichte des neueren Dramas, 2ª ed., Halle 1911 segg.; R. F. Arnold, Das deutsche Drama, Monaco 1925; K. Holl, Geschichte des deutschen Lutspiels, Lipsia 1923; B. Busse, Das Drama, 2ª ed. Lipsia 1918 segg.; A. Mielke, Gesch. des deut. Romans, 2ª ed., a cura di W. Rehm, Berlino 1927; H. H. Borcherdt, Gesch. des Romans und der Novelle in Deutschland, Lipsia 1926; R. Findeis, Gesch. der deut. Lyrik, Lipsia 1914; E. Ermatinger, Die deutsche Lyrik in ihrer gesch. Entwicklung seit Herder, 2ª ed. Lipsia 1925; Ph. Wittkop, Die neuere deutsche Lyrik, 3ª ed., Lipsia 1925.

V. Tavv. CI-CXXVIII.

Diritto.

Medioevo. - Con la fine del sec. IX si apre un nuovo periodo nella storia del diritto germanico: il periodo che si dice propriamente del Medioevo (per il periodo anteriore, v. germanici, popoli: Diritto). Esso abbraccia i secoli del Medioevo dalla fine del sec. IX alla fine del sec. XV. È un periodo di transizione, in cui si preparano gli elementi per la formazione della società e del diritto moderno.

Dalla rovina dell'impero carolingio era sorto il regno nazionale germanico, composto dalle schiatte tedesche riunite a propria unità politica. Col trattato di Verdun dell'anno 843, che segna la divisione del regno franco dal regno italico e dal regno propriamente germanico (v. germania: Storia) i popoli tedeschi della parte orientale di quell'impero, parlanti la lingua theudisca, ossia la lingua volgare, si distinguono dagli altri delle parti occidentali, parlanti la lingua latina, e si hanno così propriamente i natali della nazione tedesca. Sotto il potere di Lodovico il Tedesco, si forma un regno, che più tardi, nei secoli XI e XII, si disse teutonicum o Regnum Germaniae, base propriamente del nuovo diritto gemanico. Ma anche questo territorio aveva subito un profondo influsso del diritto romano; e perciò anche la costituzione di questo regno indipendente, se segna un orientamento meno incerto verso le forme proprie del diritto locale, non si distacca tuttavia da quelle correnti civili venute dall'Occidente, che già lo avevano pervaso. Quando poi i re germanici, Arnolfo, Ottone e successori, Enrico II e i suoi discendenti, assunsero anche la dignità di re d'Italia e di imperatore di Occidente, il diritto germanico si trovò nuovamente accostato al diritto romano, finché nel sec. XV, si ebbe l'accoglimento integrale del diritto romano-comune o diritto italiano, che, salvo lievi divergenze, divenne il diritto comune della Germania dei tempi moderni.

Durante questo periodo medievale si ha in Germania il frazionamento dei grandi ducati nel sistema dei feudi; la lotta per le investiture, e poi lo sviluppo dei principati territoriali, che caratterizzano la nuova costituzione dell'età moderna. Nella costituzione del regno germanico del periodo medievale, si assottiglia ancora la classe dei semplici liberi, e si rafforzano invece le classi nobiliari, che comprendono i feudatarî, principi e baroni, e i cavalieri, insieme con le varie categorie cavalleresche; mentre numerose si fanno le classi plebee, rustici (Gemeinfreie), pertinenti (servi della gleba), censuali (Grundhörige), o servi veri e proprî (mancipia, Eigenleute, Leibeigenen). Tuttavia tra le classi cavalleresche si trovano ormai numerosi i ministeriali, legati a un rapporto di servizio col signore (Dienstrecht), ma dotati di privilegi; e nelle classi plebee, si distinguono intanto, guadagnando i pieni diritti della libertà, i borghesi, ossia gli abitanti delle città, che si fanno sempre più numerosi anche in Germania, da cui si verrà formando il terzo stato. L'organizzazione di queste varie classi importa la prevalenza del principio di parità (Ebenb ürtigkeit) per cui le persone di una stessa categoria (pares, coaequales) si distinguono da quelle delle altre classi, guadagnando giurisdizione e diritti indipendenti. Il riflesso di queste distinzioni si scorge nel matrimonio con donna di categoria inferiore, che dà luogo a un disparagium (Missheirath).

Nella vita del diritto, si ha in Germania, in questo periodo, la tendenza a creare nuove forme, prodotte dalla consuetudine, e a dimenticare la codificazione dell'età antecedente. Prevale quindi, di fronte al sistema della personalità del diritto, quello della territorialità. Il Volksrecht, Stammesrecht, diventa diritto territoriale o provinciale, ossia Landrecht. Si manifesta il particolarismo. Tuttavia vi sono regioni del regno germanico, che restano sotto l'influenza del diritto franco, come la Svevia, la Baviera, la Turingia; invece il diritto sassone resiste al diritto franco, e manifesta un'individualità spiccata, che produsse anche un'opera dottrinaria indipendente. Così si spiega la divisione in due gruppi, profilata dalla bolla d'oro del 1356, tra il gruppo in iure franconico e i loca ubi saxonica iura servantur. Si conserva una legislazione del regno, che prende le mosse dalle paci territoriali (constitutiones pacis o Landfrieden), diretta a limitare la faida o le guerre private e le rappresaglie; ma che si svolge poi nelle constitutiones dei re e degl'imperatori germanici, tra cui meritano ricordo la constitutio de regalibus, emanata a Roncaglia, accanto a una constitutio pacis, e poi la serie delle altre costituzioni di pace. La bulla aurea, promulgata nella dieta di Norimberga e poi in quella di Metz nell'anno 1356, fu la legge fondamentale per l'elezione del re e per i diritti dei principi elettori.

Ma di fronte alla scarsità delle leggi germaniche, si ha gran numero di leggi particolari o provinciali. Si ebbe un diritto particolare della Frisia (sec. XII), un diritto provinciale austriaco (sec. XIII), un diritto provinciale dell'Alta Baviera (sec. XIV), accanto a numerosi Landrechte derivati dalle consuetudini particolari dei paesi. In questa corrente devono essere enumerate anche le leggi municipali o statuta, che consistettero in privilegi, in consuetudini, in statuti veri e proprî. Dal sec. XIII troviamo che anche in Germania le città sono dotate di autonomia e di ordinamenti proprî, per cui si ebbero gli Stadtbücher o libri municipali, gli Stadtrechte o diritti municipali, le raccolte di consuetudini. Il più importante dei diritti municipali fu quello di Magdeburgo, sulla base del diritto sassone; ma fu pure diffuso il diritto di Lubecca, quello di Amburgo, di Goslar, di Eisenach, di Dortmund e via via, che si fondano sulla stessa fonte giuridica. Diritti municipali sulla base del diritto di Franconia furono quelli di Aquisgrana, di Colonia, di Francoforte, di Bamberga. In genere si può dire che i testi municipali più antichi si ebbero nella Franconia, Lotaringia, Alsazia.

Tutti questi diritti che abbiamo enumerati, erano diritti di città indipendenti, con proprio sviluppo giuridico, e queste, avendo quasi sempre un tribunale d'appello (Oberhöfe), avevano carattere di città madri (Mutterstädte): le minori città, che venivano via via sorgendo in Germania, ricevevano il diritto e gli statuti delle città madri, e figuravano come città derivate (Tochterstädte), e avevano l'obbligo di uniformarsi a questa dipendenza giuridica (Bewidmung). Vi erano poi testi di diritto rustico, che raccoglievano le consuetudini locali, detti anche rotuli, Rodel. La raccolta fondamentale dei Weisthümer tedeschi fu fatta dal Grimm, in sette volumi (1840-1878). Finalmente vi erano numerosi testi di diritto feudale, privilegia ministerialium, Hofrecht, che poi furono travolti dalla prevalenza guadagnata anche in Germania dai Libri feudorum (v. feudo), compilazione di diritto feudale longobardo formata in Lombardia tra la fine del sec. XI e la prima metà del sec. XII, che divenne di diritto comune per tutte le terre dell'Impero d'Occidente.

Particolare posizione tra le fonti del diritto germanico tengono i libri giuridici, ossia le opere giurisprudenziali che si proposero di riassumere e precisare il diritto dei diversi territorî. In questa specie, l'opera più insigne e più antica è il cosiddetto Specchio sassone (Sachsenspiegei), trattazione sistematica del diritto sassone, dovuta al cancelliere e scabino Eike di Reppgau o Reppichau, tra gli anni 1234 e 1235. L'opera si divide in due parti: Landrecht o diritto provinciale e Lehenrecht o diritto feudale. La prima parte, la più importante, fu, nel sec. XIV, ripartita in tre libri. Fu originariamente dettata in latino, ma lo stesso autore la tradusse nel dialetto della Bassa Sassonia, a istanza del conte Hoyer di Falkenstein. ll testo ha invenzioni cervellotiche e inesattezze, ma giova alla ricostruzione del diritto germanico ed ebbe grande diffusione.

Dallo Specchio sassone, che descrive il diritto e la giurisprudenza della Germania settentrionale, derivano due testi, che descrivono il diritto della parte meridionale della Germania: lo Specchio tedesco (Deutschenspiegel) e lo Specchio svevo (Schwabenspiegel). Gli autori di questi due testi, che non ebbero la fortuna del primo, sono ignoti. Lo Specchio tedesco fu compilato forse da un giurista pratico di Augusta fra il 1235 e il 1275, sulla base di quello sassone, oltreché di varie fonti romane, o canoniche statutarie; ma la sua parte più interessante riguarda il diritto della Germania meridionale. Lo Specchio svevo, di poco posteriore, cerca di perfezionare l'opera di quello tedesco, tenendo anche più strettamente a modello lo Specchio sassone, ma riferendosi più specialmente al diritto alamanno. Lo Specchio svevo compilato forse da un sacerdote, con tendenze politiche divergenti da quelle dello Specchio sassone, ebbe larga diffusione. Lo Specchio sassone e lo Specchio svevo determinarono una letteratura giuridica, che contribuì allo sviluppo e alla conoscenza del diritto germanico settentrionale e meridionale.

La costituzione politica di questo periodo ha alla sua base il feudo, e rivela perciò l'estremo frazionamento del paese. Il regno è elettivo, e il principio dell'elezione prevale sulle tendenze dinastiche, che avrebbero voluto far trionfare un principio di successione ereditaria. L'elezione è privilegio di principi elettori, e il suo regolamento si fissa nella bolla d'oro del 1356. Dalla fine del secolo XIII, dopo l'estinzione della dinastia sveva, le elezioni si rivolgono, con alterna fortuna, su tre famiglie, Wittelsbach, Lussemburgo, Asburgo. Da Alberto di Asburgo in poi (1438), la corona di Germania rimase sempre nella dinastia degli Asburgo fino all'estinzione di essa. Sotto l'influenza dello Specchio sassone, si determinò che il diritto di elezione spettasse, in prima linea, ai tre arcivescovi di Magonza, Treviri e Colonia, e a quei principi secolari che coprivano le supreme dignità palatine: al conte palatino del Reno (arcidapifero), al duca di Sassonia (maresciallo) e al margravio di Brandeburgo (tesoriere). Restava esclusa una delle supreme dignità di palazzo, quella dell'arcicoppiere, tenuta dal re di Boemia; ma il diritto di quest'ultimo, trionfò sulla fine del secolo XIII. Così si formò il diritto elettorale dei sette principi palatini elettori. La bolla d'oro stabilì il principio della maggioranza, e le regole delle elezioni. Più tardi si ebbero alcune aggiunte.

Dall'elezione al trono di Ottone I, in forza della corona imperiale a lui assegnata dal pontefice Giovanni XII nel 967, aveva poi prevalso la regola che il re di Germania dovesse conseguire l'autorità d'imperatore. Ora, poiché, secondo l'idea dominante, il re di Germania aveva anche diritto d'essere re d'Italia e re di Borgogna, avveniva di fatto un'estensione di potenza di questo principe, che saliva agli onori dell'Impero, e assegnava all'erede presuntivo della corona il titolo di Rex Romanorum. Ma la dignità imperiale era data dal pontefice. Di qui la lotta per il predominio tra papa e imperatore, che riempie tutta la storia germanica dall'epoca degli Ottoni fino a Carlo IV. La teoria della subordinazione dell'impero al papato venne teorizzata dal pontefice Bonifacio VIII nella famosa bolla Unam sanctam (1307). Ma contro queste pretese, ai tempi di Lodovico il Bavaro, si affermò il principio che l'elezione a re di Germania conferisse già il titolo imperiale senza la coronazione papale, sennonché il principio era contrario alla consuetudine fino allora seguita. Di fatto, tuttavia, l'incoronazione a Roma divenne sempre meno frequente, finché nel sec. XVI cessò del tutto.

La corte regia era costituita dalle dignità palatine sopra ricordate, dal iustitiarius Curiae, introdotto nel 1235 sull'esempio del Regno di Napoli e di Sicilia, dal magister Curiae (Hofmeister), un ufficio esistente dall'epoca di Enrico VII in poi, sdoppiato in una dignità domestica (Haushofmeisteramt) e in una dignità più elevata (Oberhofmeisteramt); al primo spettavano funzioni di prefetto domestico, all'altro attribuzioni di governo. Gli uffici di corte, che avevano in prima linea funzioni di stato, erano il comes sacri palatii e la cappella palatina, che aveva funzioni di cancelleria.

Nell'amministrazione provinciale, sul sistema ancora perdurante delle contee e delle centene, nei singoli distretti maggiori e minori, si sovrappongono i grandi ducati o ducati di schiatta (Stammesherzogthum) divenuti potentissimi, a cui al tempo degli Ottoni, come contrappeso, si oppongono le contee palatine di schiatta (Stammespfalzgrafschaft), quelli di Lotaringia, di Sassonia, di Baviera, di Svevia. In seguito le contee palatine scompaiono e resta soltanto il Palatinato di Lorena, detto del Reno (Pfalzgrafschaft). Grande importanza ebbero le marche di frontiera, specialmente quella orientale, che si lega alla storia austriaca, e quella di Carinzia.

Ricorre frequente anche la magistratura dei Langravii (Landgrafen, comites provinciales, magni comites) che sembra un titolo di distinzione dato ai maggiori conti. Attraverso queste dignità, si formano poi i diversi principati territoriali germanici, che continuano, con confini abbastanza stabili, fino all'età moderna.

La dieta del regno (Reichstag) è formata dai grandi dignitarî o vassalli convocati dalla corona, per trattare gli affari più gravi; ma la convocazione di essa è diritto esclusivo del re, sicché perde via via d'importanza.

Alla classe dei grandi del regno appartengono anche taluni maggiori dignitarî ecclesiastici, che sono principi ecclesiastici, come titolari dei vescovati e delle abbazie del regno (Reichskirchen). In conformità del concetto delle chiese private o patrimoniali (Eigenkirchen), i beni delle chiese regie si consideravano come in proprietà del regno e solo in possesso utile delle chiese stesse. Su questo diritto regio s'impostarono lunghe lotte, complicate anche dalla definizione del diritto delle investiture, onde si ebbe l'atto di Worms (1122) e poi una serie di altre disposizioni sul diritto di regalia.

Con lo sviluppo degli ordinamenti centrali si ebbe anche un ordinamento giudiziario più organico: si costituirono tribunali centrali, formati dal tribunale aulico (Reichshofgericht, Pfalzgericht) e dai tribunali ducali, nei grandi ducati. Vi erano poi i tribunali di marca, quelli di contea, i tribunali superiori d'avvocazia, e finalmente i tribunali inferiori o ordinarî. Col sorgere delle autonomie cittadine si formarono i tribunali provinciali (Landgerichte) sotto i quali stavano i minori tribunali locali. Caratteristica posizione ebbero, nella Germania meridionale, principalmente in Vestfalia, i cosiddetti Femgerichte o tribunali criminali, a cui era riservata la materia penale. V'erano inoltre tutti i diversi tribunali feudali, ministeriali, rustici, ecclesiastici e via via, con infinite complicazioni, che la consuetudine soltanto era in grado di chiarire.

Sulla fine del Medioevo, il diritto germanico, sulle basi delle sue antiche e nuove consuetudini, e per le influenze del diritto romano e canonico, presenta un aspetto estremamente complicato, che giustifica e spiega il fenomeno della Riforma.

Periodo moderno. - Con la fine del sec. XV, si apre anche per la storia del diritto germanico, il periodo moderno, che assiste alla decadenza e alla fine dell'antica istituzione dell'Impero romano di nazione germanica, istituzione che fu superata dal predominio dei principati territoriali sovrani. Uno di questi principati, quello d'Austria, riuscì a conservare nella propria dinastia, quella degli Asburgo, la dignità imperiale, ma, dopo i tempi di Carlo V, ebbe scarsi poteri. Si staccarono via via dall'Impero diversi territorî, o per effetto della Riforma protestante, o per effetto di accordi internazionali. Nel 1648 si staccò la Confederazione svizzera; per opera di Luigi XIV la Francia strappò all'Impero l'Alsazia; si formò prima il ducato, poi regno, di Prussia, che finì per contrapporsi all'Impero. Con le vittorie napoleoniche, il 12 luglio 1806, si formò la Lega renana, che raccoglieva sedici principati tedeschi sotto il protettorato di Napoleone. Ciò significava di fatto la fine dell'Impero; fine formalmente proclamata dall'imperatore Francesco II, che rinunciò alla corona di Germania, dopo aver già, nel 1804, in previsione degli eventi, assunto il titolo d'imperatore d'Austria.

Il quadro delle condizioni economiche e sociali della Germania, all'aprirsi dell'età moderna, è chiarito dal movimento della Riforma protestante. ll movimento della Riforma infatti non fu solo d'ordine religioso ma sorse anche per opporsi, almeno in alcune regioni e per alcune categorie sociali, a una grande trasformazione, che, sulla fine del Medioevo, si andava compiendo in Germania sotto la spinta delle classi colte e delle classi commerciali; ossia alla profonda trasformazione giuridica che era conseguente al fenomeno della cosiddetta recezione del diritto straniero (Rezeption der fremde Rechte).

Questo sorprendente fenomeno fu il prodotto di un lungo processo storico, i cui inizî risalgono a parecchi secoli indietro. Fin dal chiudersi del sec. XII, allorché si era sparsa più largamente la fama dello Studio di Bologna, anche dalla Germania erano accorsi numerosi gli studenti, ansiosi di conoscere e di apprendere il diritto romano. Nel corso del sec. XIII e del seguente, questa frequenza si accentuò; e gli studiosi provenienti dalla Germania si fecero più numerosi, non soltanto a Bologna, ma anche a Padova, a Siena, a Pisa, a Pavia, e formarono una parte cospicua tra gli ultramontani. Tornati in patria, con la mente piena di ammirazione per il mirabile edificio del diritto romano giustinianeo e coi testi della compilazione giustinianea interpretati dai Glossatori e dagli Accursiani, questi studiosi, che avevano guadagnato, col baccellierato o con la laurea, un singolare prestigio, non mancavano di far sentire l'importanza del diritto romano e canonico da essi studiato e di divulgarne i principî. Anche i testi dello Specchio sassone e dello Specchio svevo, così diffusi nella pratica e che ebbero poi una serie di commentatori, non erano altro che un riflesso vivo della dottrina romanistica e canonistica, la quale piegava così il diritto germanico alle forme e ai perfezionamenti del diritto insegnato in Italia dai dotti. Questo nuovo avviamento scientifico era favorito anche dal fatto che il titolo di doctor utriusque iuris, in molti paesi della Germania, conferiva il diritto di appartenere alla nobiltà bassa.

Tutto questo trasporto per il diritto romano, e precisamente per il diritto romano-canonico insegnato nelle università italiane, si spiega anche per il fatto che, secondo il diritto pubblico tedesco, al diritto romano-canonico competeva vigore di diritto sussidiario, accanto alle leggi dell'Impero, perché il diritto romano non era altro che l'emanazione legislativa dell'autorità degl'imperatori romani, continuata dagl'imperatori tedeschi (recezione teoretica). Da ciò nasceva che il diritto romano-canonico penetrava ogni giorno più profondamente nella vita del diritto anche in Germania, per opera della scuola, dei tribunali e della scienza (recezione pratica).

Già erano penetrate numerose in Germania le opere del diritto romano-canonico, e principalmente i testi della compilazione giustinianea con le glosse di Accursio; ma, con l'invenzione della stampa, queste opere e questi testi si divulgarono anche con maggiore fortuna, determinando il trionfo della grande corrente scientifica e pratica che richiedeva un sempre più largo e decisivo ricorso al diritto romano-canonico nell'applicazione del diritto. Finalmente l'impulso decisivo alla vittoria dei giuristi fu dato dall'istituzione del tribunale camerale dell'Impero (Reichskammergericht) nel 1495, per il quale si stabilì che dei sedici assessori la metà almeno dovesse essere di cavalieri esperti nel diritto romano-canonico.

Oggetto della recezione fu essenzialmente il diritto italiano; ossia il Corpus iuris civilis, il Corpus iuris canonici e i Libri feudorum, tutti testi che avevano preso la loro definitiva configurazione in Italia e che dai giuristi italiani avevano avuto la loro decisiva interpretazione. Per effetto di questo grandioso fenomeno, si ebbe, sulla fine del sec. XV, una profonda trasformazione, per cui al diritto locale, prevalentemente germanico, si volle sostituire in gran parte il diritto romano-canonico. Ma una simile trasformazione non doveva essere scevra d'inconvenienti. I giuristi, nel loro cieco fanatismo invece di conciliare questo mutamento col diritto locale e limitare l'applicazione del diritto romano-canonico alle materie nuove, vollero quasi svellere il diritto nazionale, sostituendovi, senza misura e senza discernimento, il diritto straniero, che su tutto doveva prevalere. Così nacque un'antitesi che, accanto a grandiosi benefici, creò anche gravi difficoltà allo sviluppo del diritto germanico e alla codificazione di esso. Ne seguì una forte reazione, che fu promossa principalmente dalle classi rustiche contro i giuristi (corse allora il motto: Juristen, schlechten Christen!), per cui furono promosse le sollevazioni dei contadini del sec. XVI e in parte il movimento riformatore (v. riforma). Tuttavia questa reazione venne in ritardo e non ebbe durevole efficacia: i giuristi, spalleggiati dai principi, rimasero al loro posto e la grande lotta fra il diritto nazionale e il diritto straniero terminò con la vittoria di quest'ultimo.

Così fonte del diritto divenne specialmente la giurisprudenza e s'imposero i grandi giuristi dei secoli XVI e XVII: Stryck, Schilter, Carpzow, Pufendorf, Thomasius, che furono gl'interpreti dei grandi testi del diritto romano-canonico; formandosi così il complesso del diritto comune (gemeine Recht) con a base il diritto romano-canonico e avente validità di diritto sussidiario immediato ogni volta che non vi fossero leggi territoriali precise sull'argomento; diritto comune che è rimasto in vigore in Germania, fino al chiudersi del sec. XIX.

Continuò tuttavia una legislazione imperiale, sia in materia di diritto pubblico (tregua territoriale perpetua del 1495; leggi sulla reggenza dell'Impero del 1500-1521; capitolazioni elettorali del 1520, patti religiosi di Passavia e di Augusta del 1552 e del 1555, pace di Vestfalia del 1648 e via via); sia in materia civile e di polizia (ordinanze di polizia dell'Impero del sec. XVI; statuto notarile dell'Impero del 1512), sia in materia giudiziale e processuale (statuti del tribunale camerale dell'Impero), sia in materia penale (Constitutio criminalis carolina, emanata sotto gli auspici di Carlo V nel 1537 ad opera di Giovanni di Schwarzenberg, Constitutio criminalis Bambergensis e via via).

Si ebbero poi altresì leggi territoriali dei diversi stati e principati tra cui merita ricordo lo statuto tirolese del 1526, la riforma provinciale bavarese del 1518, lo statuto bavarese del 1616. Tra queste leggi locali prendono posto anche gli statuti di famiglia dell'alta nobiltà (Herrenstand), che riguardano i grandi casati ed ebbero importanza di legge, e i compattati (Kompaktaten), accordi tra i principi e gli stati provinciali.

A incominciare dalla seconda metà del sec. XVIII, lo sviluppo giuridico dei territorî germanici entra in una nuova fase di risveglio e di progresso, cercando di spezzare i vincoli di assoluto servilismo verso i diritti stranieri e dando luogo al fenomeno della codificazione. Il re di Prussia Federico II il Grande fu primo a gettare il disegno di una codificazione; ma il principe elettore di Baviera, Massimiliano II, fu primo ad attuarlo, e si ebbe colà il Codex iuris batavici criminalis, del 1751, quello iuris iudiciarii del 1753, e finalmente nel 1756, il Codex civilis. In Austria si ebbe la Constitutio criminalis Theresiana del 1768, sostituita poi dal codice criminale di Giuseppe II nel 1788 e, più tardi ancora, nel 1803, dal codice penale austriaco, che precedette quello definitivo del 1852. Soltanto nel 1786, sotto il governo di Giuseppe II, si pubblicava la prima parte di un codice civile, detto Codice giuseppino, opera che fu compiuta più tardi, nel 1811, col Codice civile austriaco. Nel dominio prussiano si ebbe, nel 1781, il Codice di procedura civile, e poi, nel 1791, il Codice generale per gli stati prussiani (Allgemeine Landrecht für die preussischen Staaten).

Una nuova recezione del diritto straniero si ebbe, in alcuni paesi della Germania, con l'introduzione del codice civile francese e degli altri codici connessi. Ma poi si ritornò al diritto antecedente, con la Restaurazione, e si prepararono le condizioni per il nuovo codice civile (Bürgerlisches Gesetzbuch), che, superando il diritto comune, romano-canonico, fino allora vigente, e seguendo gli altri codici moderni, fu pubblicato il 18 agosto 1896, ed entrò in vigore il 1° gennaio 1900, come diritto civile generale della nuova Germania.

Bibl.: E. Brunner, Deutsche Rechtsgeschichte, Lipsia 1887-1892, I, 2ª ed., 1906; II, 2ª ed., 1928; id., Grundzüge d. deut. Rechsgeschichte, 8ª ed., Lipsia 1924; C. Amira, Grundriss d. germ. Rechts, 3ª ed., Strasburgo 1913; R. Schroder, Lehrbuch d. deut. Rechtsgeschichte, 7ª ed., Lipsia 1908; O. Gierke, Das deut. Genossenschaftsrecht, Berlino 1868-1881, voll. 3; id., Deutsches Privatrecht, Lipsia 1895-1905; A. Heusler, Institutionen d. deut. Privatrecht, Lipsia 1885-1886, voll. 2; G. Waitz, Deutsche Verfassungsgeschichte, 2ª ed., Berlino 1880-1899, voll. 8; H. Fehr, Deutsche Rechtsgeschichte, Berlino 1925. Sulla storia del diritto germanico, almeno fino al sec. XIII, si possono vedere anche le opere di storia del diritto italiano: A. Pertile, St. del diritto italiano, 2ª ed., Torino 1892-1902; E. Besta, Storia del diritto italiano. Leggi e scienza, Milano 1923; G. Salvioli, Trattato di storia del diritto italiano, 9ª ed., Torino 1924; C. Calisse, Storia del diritto italiano, I, 3ª ed., Firenze 1930; A. Solmi, Storia del diritto italiano, 3ª ed., Milano 1930.

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