GHIACCI MARINI

Enciclopedia Italiana (1932)

GHIACCI MARINI

Roberto Almagià

. Il fenomeno del congelamento dell'acqua marina fu accertato in epoca relativamente tarda (fine del sec. XVIII) poiché per lungo tempo prevalse l'opinione che tutti i ghiacci delle regioni polari fossero di provenienza terrestre; opinione che sembrava convalidata dal fatto che il ghiaccio marino si riscontra privo o scarsissimo di sale. Oggi si sa che l'acqua del mare può gelare, ma che, a causa della sua salsedine, il punto di congelamento è al disotto di 0°, in media a circa − 2°. Quando l'aria raffreddata a questa temperatura o a una temperatura inferiore, incombe a lungo sulla superfice del mare, questa comincia a coprirsi di una crosta superficiale di ghiaccio, che si fa tanto più spessa, quanto più rapido e intenso è il manifestarsi di basse temperature. Tale crosta protegge gli strati di acqua sottostanti, cosicché, anche col perdurare di temperature bassissime per settimane e mesi, il congelamento si propaga con molta lentezza in profondità. Si è constatato che lo spessore raggiunto dal ghiaccio che si forma in un inverno non supera nell'Artide 2-3 m., nell'Antartide 1-1 1/2 m.; uno spessore molto maggiore si raggiunge allorché sul ghiaccio formatosi cade della neve che gela a sua volta; questo ghiaccio di neve ha grande importanza soprattutto nei mari antartici. Le recenti ricerche (F. Nansen, E. v. Drygalski, W. Brennecke) hanno accertato che nel congelamento i sali vengono eliminati, sia con la formazione di piccoli cristallini alla superficie esterna del ghiaccio (Rassol), sia con l'espulsione verso l'acqua sottostante, che diviene pertanto più salsa e perciò più restia a congelarsi. Il ghiaccio marino da poco formatosi contiene ancora il 10-15 per mille di sale e la proporzione è tanto maggiore quanto più rapida è la formazione, i blocchi di vecchia formazione sono molto più poveri di cloruri, cosicché l'acqua che se ne ricava è talvolta potabile.

Il congelamento dà luogo dapprima a blocchi di ghiaccio, che finiscono col riunirsi in campi di ghiaccio (ted. Eisfeld, ingl. ice fields; italiano banchisa) tra i quali rimangono spesso aree d'acqua non congelata (tedesco Waken). Le masse di ghiaccio, sospinte le une contro le altre dai venti, dalle correnti, dalle opposte onde di marea, e accavallate in manierā complicata, formano il packeis (ingl. pack, in Siberia toross) che può raggiungere localmente uno spessore molto maggiore di quello sopra indicato ed è caratterizzato dalla presenza di blocchi giganteschi ammucchiati in forme torreggianti (in inglese hummocks). Il cosiddetto ghiaccio paleocristico dell'Arcipelago nord-americano non è probabilmente che un complesso di zolle ammonticchiate. Il pack costituisce il maggiore ostacolo alla navigazione nei mari polari, anche quando è interrotto da canali o da aree libere (in russo polyn'ja) come avviene non di rado anche nell'inverno. Le pressioni alle quali il pack è soggetto possono riuscir pericolosissime alle navi che vi restano imprigionate, qualora esse non siano costruite appositamente, come la famosa Fram di Nansen. Oggi si costruiscono anche navi rompighiaccio, come il Krassin, impiegato per raggiungere i naufraghi del dirigibile Italia nel 1929. Anche all'attraversamento con slitte il pack oppone ostacoli talora insormontabili; nel 1861 I.I. Hayes per attraversare in slitta lo Stretto di Smith (122 km.), coperto dal pack, impiegò 31 giorni.

Dai margini della banchisa si staccano dei frammenti che vengono sospinti poi dalle correnti e dai venti, e, se si muovono in direzione di sud, verso regioni più calde, si riducono progressivamente e finiscono da ultimo per fondersi del tutto. Tali frammenti hanno talora in origine dimensioni enormi, talché più volte su taluno di essi trovaron rifugio e scampo i membri di spedizioni polari: nel 1871-72 C.F. Hall e 18 compagni rimasero per 196 giorni su uno di tali blocchi, che percorse oltre 2000 km. (18° gradi di lat.) e, avendo dapprima 2300 m. di diametro, si ridusse poi tanto che fu dovuto abbandonare.

I ghiacci marini galleggianti alla deriva (in ted. Treibeis, ingl. floating ice), insieme con le masse di origine terrestre, distaccatesi cioè dal piede dei ghiacciai delle terre polari dalle quali spesso è difficile distinguerli (Iceberg; v.), giungono fino a latitudini molto variabili a seconda delle località e delle stagioni; il limite estremo (equatoriale) dei ghiacci galleggianti è indicato dalla cartina annessa: nell'emisfero sud esso non supera il 45° lat.; mentre nell'emisfero nord ha nell'Atlantico un andamento molto più irregolare, influenzato soprattutto dalle correnti. Anche i limiti della banchisa variano di posizione da anno ad anno in entranbi gli emisferi. L'Istituto meteorologico danese raccoglie ed elabora tutti questi elementi dedotti da osservazioni sistematiche per l'emisfero nord, da circa 25 anni; da esse risulta che le oscillazioni non dipendono tanto dalle temperature estive, quanto dalle condizioni dei venti e delle correnti in tutto il bacino artico. G. Boguslawski ha calcolato a 32 bilioni di mc. il ghiaccio che nella calotta artica viene ogni anno trasportato in deriva verso sud; la massa di provenienza antartica è certo anche maggiore. I ghiacci marini hanno una grande importanza climatica; essi non solo agiscono nel senso di raffreddare le terre circostanti, ma mantengono nell'aria sovrastante pressioni basse, e quindi aree anticicloniche; da queste dipende in gran parte il regime dei venti nelle calotte polari.

Bibl.: L. Mecking, Das Eis des Meeres, Berlino 1909; H. Wieleitner, Schnee und Eis der Erde, Lipsia 1913 (cap. 14°); E. v. Drygalski, Das Eis der Antarktis, in Deutsche Südpolarexpedition, I, Berlino 1920; K. Fricker, Die Entstehung und Verbreitung der antarkt. Treibesises, Lipsia 1893; G. Isachsen, Das paläokrytische Eis, in Petermanns Mitteil., 1906; B. Schulz, Die Untersuchungen der "Maud", Exped. über die Eigenschaften des Meereises, in Ann. der Hydrogn., 1930.