GHILINI, Vittorio Amedeo, marchese di Maranzana

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GHILINI, Vittorio Amedeo, marchese di Maranzana

Paola Bianchi

Nacque nella provincia di Alessandria il 30 maggio 1714, primo maschio degli otto figli che il marchese Tommaso Ottaviano ebbe da Francesca Botta Adorno.

L'anno prima - con la pace di Utrecht - l'Alessandrino era stato annesso allo Stato sabaudo. Non a caso il nome del neonato era quello del re: con una lettera del 15 luglio 1716 Vittorio Amedeo II (che aveva assistito al battesimo ufficiale del G., celebrato due anni dopo la nascita, il 2 giugno 1716) si diceva lieto del fatto che i Ghilini avesse innalzato le armi sabaude sopra il portone della loro dimora alessandrina.

Cresciuto e formatosi presso il Collegio dei nobili di Milano, ad Alessandria il G. ritornò trentenne, unendosi in matrimonio con Gabriella, secondogenita del principe della Cisterna Alfonso Dal Pozzo e di Barbara Benedetto Roero, figlia del marchese di Cortanze, generale d'artiglieria e governatore della cittadella di Torino. Con queste nozze i Ghilini si legavano a una delle più potenti famiglie della capitale, ricevendo in dote un patrimonio di 60.000 lire, un prezioso corredo e diversi gioielli. Il 9 apr. 1751 nasceva il primogenito, Tommaso Augusto, morto all'età di tre anni.

Al G. sopravvissero l'ultimo dei cinque figli maschi e due delle tre femmine: Ambrogio Maria (suo erede universale), Barbara (che sposò il patrizio genovese Giovanni Battista Pallavicino, marchese di Castellazzo, finito in miseria per debiti di gioco e scomparso in giovane età nel 1778) e Angela (morta di parto a neppure un anno dal matrimonio con il marchese Pio Bellisomi, gentiluomo di Maria Teresa d'Austria, decurione e consigliere di Pavia).

Titolare della cospicua eredità paterna, minato da uno stato di salute piuttosto cagionevole, il G. assunse alcuni pubblici impieghi di secondo piano. Nel 1736, 1749, 1752, 1758-60 e 1764 veniva nominato capitano di fiera (carica che il padre aveva rivestito nel 1730). Godendo della piena fiducia dei Savoia, nel 1746 fu chiamato, insieme con altri selezionati nobili alessandrini, a far parte della Ragioneria, l'organo di governo appena istituito, che sarebbe rimasto attivo fino al 1775.

Si era nel corso della guerra di successione austriaca. Cinta d'assedio dalle truppe franco-spagnole, Alessandria era stata da poco liberata grazie all'intervento dei rinforzi piemontesi alleati dell'Austria. Cogliendo l'occasione per fare scontare alla città di "nuovo acquisto" la benevola accoglienza che nel 1745 i delegati alessandrini avevano riservato agli occupanti spagnoli, nel maggio 1746 Carlo Emanuele III soppresse gli antichi organismi comunali, sostituendo a essi un Consiglio di quattordici membri di nomina regia, tra i quali era appunto il G., che entrò nell'esecutivo.

L'intesa con il re sarebbe stata formalizzata con una visita presso la corte di Torino, alla quale parteciparono il G. e Giuseppe Cuttica di Cassine (2 genn. 1747). Nel 1754, in sostituzione di Giacomo Francesco Guasco, che aveva rinunciato all'incarico, il G. divenne giudice delle vettovaglie. Per decreto del 21 nov. 1748, egli fu chiamato inoltre a ricoprire il posto che era già stato di suo padre presso il S. Uffizio di Alessandria. Ma il suo contributo all'ascesa della famiglia consistette soprattutto nel consolidare i titoli feudali. Le rendite immobiliari dei quattro feudi di Maranzana, Rivalta, Sezzadio e Gamalero e il milione circa di monete d'oro ereditate dal padre gli consentirono non solo di mantenere il fasto del palazzo di famiglia nel cuore di Alessandria, ma di dedicarsi con munificenza a opere di carità. Ad Alessandria commissionò dei marmi per la cappella di S. Antonio dei padri osservanti di S. Francesco, e donò 6000 lire per abbellire la cappella della Madonna della Salve in duomo. Dedicò cure particolari anche alla chiesa del Carmine e a quella di S. Bernardino (abbattuta nel 1842 per far posto al carcere), dove si trovavano la cappella gentilizia e le tombe di famiglia. A Gamalero fondò, mantenendone il patronato attivo, la cappellania della Beata Vergine del Carmine e di S. Caterina da Genova (nella chiesa di S. Lorenzo), attuando quanto era stato stabilito nel testamento di Francesco Passaggio, già maggiordomo dell'ospedale dei Ss. Antonio e Biagio.

A palazzo Ghilini erano divenuti nel frattempo sempre più frequenti, come nelle principali dimore patrizie alessandrine (Cuttica, Dal Pozzo, Guasco, Prati, Calcamuggi), pranzi e banchetti, incontri di gioco e di conversazione. Rinomate erano le feste di carnevale, divenute un punto di riferimento del costume cittadino, e le visite di ospiti eccellenti, come Edoardo di York, fratello di Giorgio III d'Inghilterra, che nel febbraio del 1764 si recò in visita ufficiale ad Alessandria.

Scelto come proprio amministratore e agente generale Ignazio Vimercati, originario del vicino paese di Bassignana, il G. fu coinvolto come intermediario nella risoluzione di più di una lite tra famiglie rivali. Fu il caso, per esempio, del contrasto nato da una sfida armata a Sezzadio tra Bernardino Angeleri e i cugini Andrea e Sebastiano Buffa, dello scontro nel 1746 tra i Bruno e i Ricagno e di quello nel 1761 tra i Piccione e i Ricagno. Apprezzato nelle comunità di cui era feudatario, il G. fu inoltre chiamato a rappresentare il Comune di Sezzadio nella vertenza che i Borromeo aprirono rifiutando di pagare alla Municipalità i tributi sui boschi che essi avevano ricevuto in eredità dai Visconti. Si trattava di misurarsi con sottili questioni catastali rimaste insolute dal 1644, e il G. lo fece con successo, sfruttando una rete di relazioni costruite col tempo, grazie alle quali era riuscito, tra l'altro, a difendere il suo monopolio della vendita del pane nella piazza di Alessandria.

Il G. fu oggetto di diverse ricostruzioni erudite, talvolta benevole - come nel caso di Francesco Gasparolo - talvolta invece irriguardose e polemiche, come nelle pagine di Francesco Guasco. Secondo P. Litta fondò un giornale dedicato alla cronaca, ma di esso non è dimostrata l'esistenza.

Morì in Alessandria il 5 dic. 1766 e fu sepolto nella chiesa di S. Bernardino, cui erano andate alcune delle sue più cospicue donazioni.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Camera dei conti, Patenti Controllo Finanze, reg. 1736, 16, c. 154; F. Gasparolo, Memorie storiche di Sezzè alessandrino. L'abadia di S. Giustina. Il monastero di S. Stefano o S. Maria di Banno, Alessandria 1912, I, pp. 364-367, 417; II, pp. 288-291; T. Santagostino, Settecento in Alessandria, Alessandria 1947, pp. 272-277; L. Bassi, Ghilini, il palazzo e la sua storia, Alessandria 1989, pp. 61-77; P. Litta, Famiglie celebri italiane, s.v. Ghilini di Alessandria, tav. III; F. Guasco, Tavole genealogiche di famiglie nobili alessandrine, VI, Alessandria 1930, tav. VII.

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