GIGANTE, Giacinto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)

GIGANTE, Giacinto

Carolina Brook

Primogenito di Gaetano e di Anna Maria Fatati, nacque a Napoli l'11 luglio del 1806, in una casa della rampa di S. Antonio a Posillipo.

Suo padre Gaetano, figlio di Francesco, un pescatore della zona di Mergellina, era nato a Napoli verosimilmente nel 1770 e aveva studiato alla Reale Accademia del disegno sotto la guida di G. Diano, allievo di F. De Mura, sensibile al classicismo romano di P. Batoni. Gaetano si affermò grazie soprattutto alla pittura ad affresco. La sua prima opera nota appartiene in realtà alla maturità dell'artista che, intorno ai quarant'anni, per la reggia di Caserta dipinse il Banchetto offerto ai legionari da Gioacchino Muratin villa (firmato e datato 1811; il bozzetto è conservato presso il Museo nazionale di S. Martino a Napoli), in cui l'allineamento delle figure e le lunghe prospettive, che conducono a un lontano punto di fuga, enfatizzano l'impostazione teatrale della scena secondo i canoni del vedutismo settecentesco. Fra il 1818 e il 1822 egli affrescò la volta di S. Maria di Piedigrotta con Storie di Maria e Gesù, in cui fornì uno degli ultimi saggi tardobarocchi di pittura religiosa (Napier). Nello stesso periodo dipinse la pala d'altare con La nascita della Vergine per S. Maria di Caravaggio e un'Assunta per l'altare di S. Maria della Vigna, a Pietravairano, opera rintracciata da Ortolani (1970) che l'ha definita di fattura mediocre. Nel 1825 dipinse la Festa popolare della Madonna dell'Arcoa S. Anastasia presso Napoli (Museo di S. Martino) che s'ispira alle illustrazioni francesi dell'epoca napoleonica di L. Robert (Ortolani, 1970), alle quali il pittore unì l'ultima vena pittoresca del tardo Seicento, espressa a Napoli da P. Fabris.

Gaetano partecipò alle Mostre di belle arti del Museo Borbonico, nel 1830 con Il ritorno dalla festa della Madonna dell'Arco (Museo di S. Martino), e nel 1833, quando si aggiudicò la medaglia d'argento di seconda classe avendo esposto due Bambocciate, Il ritorno dalla festa di S. Paolino a Nola e Il ritorno dalla festa di S. Gennaro a Pozzuoli (All'ombra del Vesuvio…, 1990, p. 389). Gaetano si concentrò nella produzione di scene di genere e di costume, di medio e piccolo formato, destinate alla commercializzazione: due sue Danze si conservano al Museo di Ajaccio; mentre una terza è al Museo di S. Martino di Napoli, in cui si trova anche il dipinto Largo dello Spirito Santo a via Toledo (1837), nel quale la rappresentazione dell'incrocio delle vie non mira alla documentazione topografica, ma ha uno svolgimento narrativo, quasi fosse lo sfondo teatrale di una immagine pittoresca.

Intorno al 1801 egli aveva sposato Anna Maria Fatati, di Antonio e Fortunata Di Paolo, dalla quale ebbe otto figli, quattro dei quali morirono prematuramente; mentre gli altri - il G., Ercole, Achille ed Emilia (n. 1809) - divennero come lui pittori. Gaetano morì a Mergellina, dove aveva sempre vissuto, il 23 sett. 1840 all'età di settant'anni (Ortolani, 1970).

Intorno al 1818 il G. ricevette i primi rudimenti di pittura dal padre, eseguendo alcuni paesaggi e diversi ritratti, fra i quali l'olio in collezione Talamo a Cava dei Tirreni, Vecchio pescatore seduto, in cui, oltre alla firma, si legge: "questo marinaio fu la prima figura che io feci dal vivo nel 1818". Nel 1820, insieme con Achille Vianelli, con il quale svolse tutto il percorso formativo, frequentò per qualche mese lo studio del paesaggista tedesco J.W. Hüber, dal quale apprese l'uso dell'acquerello, dell'acquatinta e della "camera ottica" o "camera lucida" (il perimetro del paesaggio veniva tracciato su un lucido, quindi ricalcato sul foglio da disegno). Questa tecnica del "disegno a contorno", detta anche "a fil di ferro" secondo la fortunata formula di Raffaello Causa, si dimostrò particolarmente adatta alla riproduzione in incisione di più esemplari, ciascuno rifinito all'acquerello, destinati a un mercato in rapida espansione. L'alunnato presso Huber e la frequentazione di Vianelli sono documentati da una nota autografa (posta al margine di un Paesaggio a matita datato 1820, conservato a Napoli nel Museo di S. Martino, collezione Ferrara-Dentice), dalla quale si ricava che in quello stesso anno, grazie al padre e insieme con l'amico pittore, il G. venne impiegato come disegnatore di mappe nel Reale Officio topografico, diretto da F. Visconti. Qui il G. ebbe modo di approfondire, oltre all'acquaforte, la nuova tecnica della litografia che, in maniera sperimentale, era stata introdotta nelle attività dell'Officio dal 1818 (Alisio - Valerio) e che egli utilizzò sistematicamente a partire dal 1829 per la realizzazione di numerose copie delle sue vedute (Fusco). Va ricollegata alle ricognizioni svolte per l'Officio topografico la serie di disegni, dal segno netto e preciso, realizzati tra 1822 e 1823 a Ischia e Capri, e oggi divisi tra la collezione dell'Accademia di belle arti napoletana, il Museo di Capodimonte e quello di S. Martino.

Con ogni probabilità il G. venne coinvolto nella seconda metà degli anni Dieci nella realizzazione della Carta topografica e idrografica di Napoli e dintorni; questo lavoro fu determinante per il suo sviluppo artistico in quanto ebbe modo di integrare l'esperienza tecnica appresa presso Hüber con il compito di documentazione geografica dei luoghi da tradurre in mappe e atlanti (ibid.). Da questo momento il G. cominciò ad applicare questa tecnica alle vedute di monumenti e di scorci urbani, avviando un'attività, particolarmente fortunata e remunerativa, di vendita di incisioni acquerellate, singole, o riunite in album, a un pubblico sempre più vasto di turisti alla ricerca di immagini souvenir di luoghi mitici. Causa (1984) ha posto in evidenza come queste "piccole impressioni d'après nature formato tascabile" fossero indirizzate a una nuova classe di collezionisti, che in esse trovava "una semplificazione, in chiave borghese, delle grandi vedute care ai viaggiatori del grand tour".

Nel 1821, partito Hüber da Napoli, il G. entrò nello studio di A.S. Pitloo a Vico del Vasto a Chiaia. Presso il pittore olandese, giunto in città nel 1816, il G. dipinse nel 1824 il suo primo dipinto a olio, il Lago Lucrino (Napoli, Museo di S. Martino), caratterizzato da "un tocco grasso e denso, ora slargato, ora minuto e fitto" che, secondo Ortolani (1932, p. 84), richiama "il gusto pittorico per "l'impressione" del vero" di tipo nordico, piuttosto che la tradizione del paesaggio napoletano del Seicento (Cecchi) o del vedutismo settecentesco (Biancale, 1932). Sempre nel 1824 a Pitloo venne affidata la cattedra di paesaggio presso l'Accademia di belle arti di Napoli; ed è probabile che il G., pur non risultandovi iscritto, seguisse l'andamento del corso visto che proprio quell'anno vinse il premio di seconda classe del paesaggio.

Se da Hüber il G. aveva ricevuto una lezione essenzialmente tecnica, con Pitloo pervenne a una nuova visione della pittura (Causa, 1956), che teneva conto dei numerosi apporti stranieri, tra cui W. Turner, J.C. Dahl e J. Rebell, confluiti nella cosmopolita città partenopea. Attraverso la pennellata libera del maestro olandese, il G. giunse a una pittura dal registro più alto, che superava il dato illustrativo (Id., 1984). Tuttavia, la sua interpretazione del paesaggio assunse una connotazione originale e inconfondibile grazie all'innesto della nuova sensibilità romantica nella tradizione napoletana del paesaggismo secentesco.

Nel 1826, tra aprile e maggio, il G. si recò a Roma, dove soggiornò presso l'acquerellista tedesco J.J. Wolfenberger. E, al ritorno, partecipò alla prima Mostra delle opere di belle arti allestita nel Real Museo Borbonico, esponendovi due vedute romane e due paesaggi campani. Come testimonia una preziosa memoria autobiografica pubblicata nel 1922 dalla nipote M. Zezon (Ortolani, 1970), nel 1827 il G., per evitare il servizio di leva e non avendo la possibilità di pagare un sostituto, decise di partecipare al concorso accademico, che vinse con il dipinto Casa rurale con cespugli e boscaglie, in seguito donato al pittore olandese P. van Hanselaere, il quale in cambio eseguì il ritratto del padre Gaetano (entrambe le opere sono di ubicazione ignota).

A differenza degli allievi dell'Accademia, il G. svolse i suoi studi dal vero. Il contatto diretto con la natura conferì alle sue opere una realtà della luce e un senso cromatico originali. In questa pratica il G. non era solo: intorno al tema del paesaggio si era infatti andato riunendo un gruppo di pittori, aggregati nella cosiddetta Scuola di Posillipo - denominazione che aveva inizialmente una valenza dispregiativa poiché fu coniato dagli accademici - che ebbe in Pitloo e nel G. gli interpreti più significativi. Gli artisti della Scuola di Posillipo, partendo dall'insegnamento di Pitloo, rinnovarono in direzione romantica il genere del paesaggio, che arricchirono di suggestioni personali derivanti dall'osservazione diretta dei luoghi.

Il 1° febbr. 1831 il G. sposò Eloisa Vianelli, sorella di Achille. Dalla loro unione nacquero otto figlie che si imparentarono con le famiglie di altri pittori della Scuola di Posillipo: Silvia e Marianna sposarono Ferdinando e Giovanni Zezon, rispettivamente nipote e figlio del pittore Antonio; Sofia e Laura si unirono ai fratelli Mariano e Francesco Fergola, figli di Salvatore; Natalia sposò il pittore Pasquale De Luca; ed Elena si maritò con Augusto Witting, nipote di Teodoro.

Tra il 1829 e il 1832 il G. si concentrò sull'attività grafica, collaborando ai tre volumi del Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie, testi di R. Liberatore, pubblicati a puntate da D. Cuciniello e L. Bianchi, con disegni e vedute del Regno di Vianelli, R. Carelli, S. Fergola e A. Marinoni, litografati da R. Müller, F. Horner, F. Wenzel e altri. Per il primo volume (1830), il G. realizzò due litografie originali con il Lago Lucrino, variante del soggetto del 1824, e Gli avanzi del tempio di Venere a Baia, oltre a diverse vedute di Pompei, Posillipo, S. Chiara e altre immagini; per il secondo tomo (1831-32) fornì 23 vedute a Wenzel, a G. Forino e a G. Dura; per il terzo (1832) disegnò alcuni soggetti di Marinoni. Sempre nel 1832 venne pubblicato Esquisses pittoresques et decriptives de la ville et environs de Naples, con testo di E. Liberatore, per cui il G. realizzò 100 disegni litografati da Wenzel, molti dei quali tratti dagli scavi di Pompei. Appartengono a questo periodo numerosi acquerelli (soprattutto vedute di Capri e Pompei, quali Grotta azzurra del 1832, Capri dalla salita di Anacapri, il Portico dei teatri e La casa dei capitelli colorati del 1835, conservati nel Museo di S. Martino), nei quali l'intensificazione dei tagli prospettici accentua i contrasti di chiaroscuro.

Durante gli anni Venti il G. conobbe il pittore russo S.F. Ščedrin, giunto in Italia nel 1819 e attivo fra Roma e Napoli fino alla morte avvenuta a Sorrento nel 1830; in sua compagnia l'artista dipinse molte vedute dei dintorni della città, ricavandone una certa influenza nello sciogliere lo stile (Ricci). Attraverso Ščedrin il G. entrò inoltre in contatto con l'ambiente dell'ambasciata russa e degli aristocratici di passaggio nella città partenopea, rapporti che a partire dal 1835 andarono intensificandosi tanto che il G. divenne il loro pittore preferito, come è testimoniato da numerose opere.

Al Museo di Capodimonte di Napoli (collezione Astarita: Spinosa, 1972) si conservano l'acquerello del 1839 circa raffigurante La Villa di Chiaia dal palazzo Esterhazy (una versione a olio del medesimo soggetto è conservata presso il Museo di S. Martino); i disegni con i ritratti del principe M. Hotgetrouby, di D. Dolgoruki, di M.J. Oustikoff e del conte Potosky (dei quali esistono altre versioni al Museo di S. Martino); il bozzetto del grande quadro Golfo di Napoli da villa Graven (1843) che, con La veduta di Napoli dalla tomba di Virgilio (testimoniata anche da studi preparatori: Napoli, Museo di S. Martino, collezione Ferrara-Dentice), fu eseguito per lo zar Nicola I.

All'Ermitage di San Pietroburgo si conservano un Paesaggio (1839), Sorrento (1842), Panorama di Napoli (1845), Golfo di Napoli (1849), Monastero sui monti (1862) e Baia (All'ombra del Vesuvio…, 1990). Al Museo di Omsk, in Siberia, si trova una Veduta di Napoli (Ortolani, 1970).

Intorno al 1835 il G. eseguì alcuni dipinti a olio, tra cui Tempio di Nettuno a Paestum (Museo di Capodimonte) e Mercato a Castellammare (Sorrento, Museo Correale), opere dall'esito "frenato" (Causa, 1956) per via della tecnica poco congeniale all'artista.

Alla morte di Pitloo, avvenuta nel 1837 a causa del colera, il G. divenne il protagonista della Scuola di Posillipo (Causa, 1972). Nello stesso anno si trasferì nella casa del maestro al n. 11 del vicoletto del Vasto; ma, grazie alle numerose commissioni russe (Ortolani, 1970), nel 1844 poté acquistare una tenuta sulle pendici del Vomero, villa Salute, dove dal 1846 riunì la numerosa famiglia.

In opere degli anni Quaranta come Sorrento (1842: Museo di S. Martino) o Marina di Posillipo e Golfo di Napoli (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) emerge quella che Ortolani (1970) ha definito la "maniera rosea" di questo periodo, mentre in altre vedute coeve l'accento turneriano appare più esplicito, nell'attenuazione del dato documentario a favore di una trasfigurazione visionaria della luce e della densità atmosferica.

Nel 1846, su richiesta dello zar Nicola I, il G. accompagnò la zarina Alessandra in Sicilia; dal viaggio nell'isola il pittore trasse, oltre a un album del quale si sono perse le tracce, il dipinto a olio Il teatro di Taormina (ubicazione ignota, già collezione Polisiero).

Nel 1848 il G. si rifugiò a Sorrento, dove si dedicò allo studio delle variazioni cromatiche della natura (Casa ad Amalfi, Querce a Sorrento: Museo di S. Martino; Casarlano: Museo di Capodimonte), rivelando una certa sintonia con le ricerche dei pittori della Scuola di Barbizon.

Nel 1850 il G. entrò nell'orbita della corte di Ferdinando II ricevendo la commissione di disegni con vedute di Gaeta per la regina Maria Teresa. L'anno seguente venne nominato professore onorario dell'Accademia di belle arti. Sempre nel 1851 fu incaricato di dare lezioni di pittura alle principessine al seguito delle quali, tra il 1852 e il 1855, si recò nelle dimore di Caserta, Ischia e Gaeta, ricevendo il titolo di cavaliere dell'Ordine di Francesco I: documentazione suggestiva di questi soggiorni sono la Villa reale a Ischia (Museo di S. Martino), il Parco reale di Quisisana, il Casino di caccia nel parco di Caserta, La Marinella e Napoli dalla via Posillipo (Museo di Capodimonte), in cui le architetture si fondono con il paesaggio in una scrittura rapida che dona un'intonazione lirica alle vedute. Tra il 1855 e il 1860 il G. tornò su uno dei suoi temi giovanili, Pompei, realizzando una serie di acquerelli e studi a seppia attraverso i quali tentò di rendere i colori a encausto della pittura romana, come è testimoniato, tra l'altro, dalla Casa di Castore e Polluce e dalla Via dei Sepolcri (Sorrento, Museo Correale).

A partire dal 1860 il G. scelse come soggetti delle sue opere anche gli interni delle chiese, quali S. Lorenzo e S. Domenico. In questi lavori scompare la descrizione analitica dei particolari architettonici (per esempio, le opere dedicate a S. Giovanni a Carbonara, divise fra il Museo di S. Martino, quello di Capodimonte e le collezioni D'Urso e Talamo), che divengono veicoli di diffusione della luce (S. Maria Donnaregina: Museo di S. Martino); la pennellata tende a sfaldarsi in brevi macchie di colore, restituendo l'atmosfera emotiva e corale del luogo.

Verso la fine del 1860 il G. ricevette l'incarico di eseguire l'acquerello Cappella di S. Gennaro al duomo durante il miracolo del sangue (Museo di Capodimonte) per il nuovo sovrano Vittorio Emanuele II. Il quadro, dal complesso taglio prospettico, venne inviato nel 1867, insieme con La tomba di Sergianni Caracciolo in S. Giovanni a Carbonara, all'Esposizione universale di Parigi, dove l'artista si recò in quell'anno, e ancora nel 1869; l'opera suscitò il commento entusiasta di P. Villari (1869), secondo cui "Gigante è un acquerellista di cui non si troverebbe in Italia un altro di egual merito".

Intorno al 1860 il G. cominciò a riordinare il suo materiale, arricchendo i fogli disegnati molti anni prima di notazioni preziose per la comprensione delle opere, ma anche di aggiunte grafiche e pittoriche. In questo periodo il G. si dedicò anche allo studio di figura e ai dipinti narrativi, come dimostra il progetto di una grande composizione storica, L'ingresso di Garibaldi a Napoli, della quale rimane solo il bozzetto (Museo di S. Martino).

Il G. morì a Napoli il 29 nov. 1876.

Il fratello Ercole (Ercole Leone) nacque il 29 genn. 1815 a Napoli, dove morì nel 1860. Venne avviato alla pittura dal G. e da Achille Vianelli, con il quale egli stesso strinse una profonda amicizia che li portò a compiere insieme diversi viaggi in Irpinia, Lucania e Puglie nel 1838 e in Francia nel 1857 (Ortolani, 1970). Di questi viaggi restano alcuni dipinti a olio e disegni a seppia di scorci e angoli di paesaggio cari all'iconografia della Scuola di Posillipo. Le vedute di Ercole sono organizzate secondo una trama ordinata e una prospettiva puntuale che rimanda da un piano all'altro della composizione senza interruzioni brusche o tagli arditi; la pennellata riprende, in chiave minore, il tocco "a macchia" del G., pur mantenendosi entro i limiti di un linearismo narrativo; nella Valle dei mulini ad Amalfi (1851: Museo di S. Martino) si percepisce inoltre un'attenzione alle soluzioni di C. Corot, mentre nella Villa Martinelli a Posillipo (Ibid., collezione Autiello) e nell'Eruzione del Vesuvio (Ibid., collezione D'Angelo), la diffusione della luce e l'apertura del paesaggio si ricollegano direttamente alla pittura del fratello maggiore. Suoi disegni sono conservati nelle raccolte Astarita (Museo di Capodimonte) e Ferrara-Dentice (Museo di S. Martino); fra questi: Anfiteatro di Pozzuoli a seppia, Il castello di Baia da Pozzuoli e alcune vedute di Posillipo.

Dell'altro fratello, Achille, nato a Napoli il 3 ag. 1823 e morto a soli ventitré anni nel 1846, resta un esiguo corpus di opere che, tuttavia, rivela le notevoli qualità dell'artista, soprattutto nella tecnica dell'acquaforte e della litografia. Anch'egli cominciò col dipingere a olio alla maniera di Pitloo e viaggiò per la Campania alla ricerca di luoghi da fissare nei suoi fogli. Lavorò con F. Alvino, autore ed editore di alcune guide della zona, per il quale illustrò nel 1838 i volumi Due giorni a Capri (1838), La penisola di Sorrento (1842) e Viaggio da Napoli a Castellammare (1845) con 30 acqueforti, progetto che dovette lasciare incompiuto, per l'aggravarsi delle condizioni di salute, poi terminato da Gustavo Witting. Fra queste incisioni ve ne sono due dedicate alla Costa sorrentina che, secondo Rotili, rivestono una particolare importanza perché si presentano come "uno degli esiti più alti dell'esperienza posillipiana". Achille si distingue per le capacità grafiche, il segno sicuro e forte, "la trama linearistica di ampio respiro" (ibid., p. 21). Nella collezione Ferrara-Dentice (Museo di S. Martino) è conservato il gruppo più numeroso di suoi disegni e incisioni, con vedute di Pompei, Pozzuoli, Posillipo, Mergellina e Gaeta, oltre al bozzetto a matita Castello di Barbarossa identificato in base all'incisività del segno (L'immagine di Capri [catal.], a cura di S. Abita - M.A. Fusco - L. Arbace, Napoli 1980, ad indicem); nella collezione Astarita (Museo di Capodimonte), oltre alla Veduta della solfatara, dallo stile asciutto, vi sono degli studi di figura e il Sepolcro di Agrippina a Bacoli; infine, per i sei fogli appartenenti alla Società napoletana di storia patria, fra cui Casale di Posillipo, alcuni pongono dei dubbi circa l'attribuzione ad Achille (Causa Picone).

Del resto, finora il lavoro di Achille, come quello del padre e del fratello Ercole, è stato analizzato soprattutto in rapporto alla produzione del fratello maggiore.

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