Giacomino da Verona

Enciclopedia Dantesca (1970)

Giacomino da Verona

Eugenio Ragni

L'assoluta mancanza di documenti diretti o indiretti (sappiamo soltanto, per sua esplicita dichiarazione, che appartenne all' " Orden de Minori ", De Babilonia 335) impedisce di sistemare questo rimatore volgare nella cronologia della nostra letteratura duecentesca; e solo induttivamente (alcuni elementi fanno ritenere la trascrizione del codice più antico in cui sono compresi i suoi due poemetti - il Marciano 4744 - di poco posteriore alla stesura delle operette stesse) si può indicare la seconda metà del Duecento: G. sarebbe contemporaneo di Bonvesin da la Riva, e questo potrebbero confermare anche la comunanza dell'argomento escatologico, l'intento dichiaratamente moralistico, la struttura metrica e, in parte, l'affinità culturale.

Nel De lerusalem coelesti, poemetto in quartine monorime di 280 alessandrini spesso assonanzati, G. con accenti di un'ingenuità peraltro cattivante descrive le gioie e le bellezze del Paradiso, presentato come una stupenda e fiabesca città circondata di mura e ricca di giardini, lastricata e ricoperta di perle, cristallo, pietre e metalli preziosi, e guardata da un angelo armato di spada " k'è de foga divin ". Lo sforzo del rimatore, che, forse con una punta di polemica, dichiara di non rivolgersi ai dotti, soliti ad avvilire i dettati semplici con le loro sottigliezze dialettiche, ma a " l'om ke semplament l'à entendro " (vv. 19-28), è volto a rappresentare il luogo santo come trionfo di splendori e di luci; ma per far ciò si avvale di similitudini o, diremo, di ‛ materiali ' tutti terreni giustapposti con un'ingenua tecnica iconografica che talora ricorda assai da vicino le rappresentazioni figurative di alcuni primitivi duecenteschi. Più che un mondo di luce spirituale, G. rappresenta insomma un luogo di delizie dei sensi: l'udito gode del canto degli uccelli (v. 113 ss.) e dei cori dei beati (vv. 145-170, brano che tra l'altro mostra in G. una discreta conoscenza della tecnica polifonica: cfr. vv. 161-164), l'occhio di colori e splendore, l'olfatto del profumo " d'ambra e de moscà, de balsamo e de menta " (v. 179), il gusto di frutti " plu... dulgi che mel " (v. 104) che risanano ogni malattia.

In puntuale contrasto con il De lerusalem sta il De Babilonia civitate infernali, nei cui 340 versi G. descrive gli orrori dell'Inferno, concretizzati in contatti con animali ripugnanti, fuoco senza splendore, gare di demoni nel torturare i dannati, caldo e freddo insopportabili. Qui indubbiamente " l'intento didattico-deterrente sopravanza e soffoca, con l'esagerazione, quello figurativo-letterario " (Rossi), sì che l'opera sembra più decisamente accordarsi con la tradizione giullaresca che con la struttura fondamentalmente letteraria di tanta parte della produzione didascalico - morale del Duecento, in particolare di Bonvesin, meno brioso forse di G., ma certo assai più agguerrito retoricamente e soprattutto linguisticamente.

Inserito da non pochi storici della letteratura nel novero dei cosiddetti ‛ precursori ' di D., in realtà G., come già i molti autori di ‛ visiones ', non offre nei suoi due poemetti alcun elemento strutturale o ideologico di positivo accostamento con la Commedia: né la vivace rappresentazione dei demoni torturatori che si esortano e incitano a vicenda (De Babilonia 157-200) può considerarsi, come qualche critico ha affermato, un quadro affine alla ‛ rappresentazione ' dei Malebranche; e solo da un comune ‛ tòpos ' retorico procederà l'apparente rispondenza dell'invettiva " malëeta sia l'ora, la noito, 'l dì e 'l ponto / quando la mia mare cun me' pare s'açonso, et ancora quelui ke me trasso de fonto " con il concetto di If III 103-105 (Bestemmiavano Dio e lor parenti, l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme / di lor semenza e di lor nascimenti).

Seppure nella Commedia è talora possibile rintracciare qualche elemento del mondo rappresentativo eideologico di Bonvesin, di G. e di altri ‛ precursori ', non se ne dovrà trarre l'incauta deduzione di una dipendenza: ancora una volta ciò sarà testimonianza dell'alta sintesi di elementi formali, culturali e morali attuata da D. nell'ambito della tradizione retorico-letteraria a lui precedente.

Bibl. -La più recente edizione del testo del De Ierusalem e del De Babilonia, " la prima che si fondi su una rappresentazione genealogica dei manoscritti ", è quella approntata da R. Broggini per Contini, Poeti (I 627-652), che sostituisce ormai le edizioni per differenti riguardi invecchiate di A. Mussafia (1864) e di E.I. May (1930). Si vedano inoltre: F. De Sanctis, Storia della letter. italiana, a c. di G. Lazzeri, I, Milano 1940, 132-136 (notizie), 219-237 (testo del Mussafia, ma con varianti di altri editori e con commento); L. Russo, in Ritratti e disegni storici, serie 1, Firenze 1960², 144-150; A. Rossi, Poesia didattica e poesia popolare del Nord, in Storia della letter. italiana, a c. di E. Cecchi e N. Sapegno, I, Milano 1965, 452-459.

Per i ‛ precursori ' di D., v. COMMEDIA: Le fonti.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Bonvesin da la riva

Escatologico

Malebranche

Babilonia

Quartine