BONI, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)

BONI, Giacomo

Pietro Romanelli

Nato a Venezia il 25 apr. 1859 da Luigi e da Maria De Nardi, rimase orfano all'età di otto anni. Nel 1871 portò a compimento il corso di studi tecnici e commerciali e nel 1877-78 conseguì il diploma di stenografia, oltre a frequentare corsi d'inglese all'istituto di commercio "Paolo Sarpi". Rivelate assai per tempo buone qualità di disegnatore, all'età di diciannove anni partecipò, sotto la direzione di A. Forcellini, ai lavori di restauro del palazzo ducale.

In questa attività il B. ebbe modo di riaffermare, di contro alla tendenza di condurre il restauro monumentale con criteri di ripristino e di completamento sotto l'influsso della concezione "architettonica" e "dottrinale" di E. E. Viollet-le-Duc, l'esigenza di conservare al monumento la sua autenticità e il suo carattere storico.

Sulla base di tali principî il B. condusse parallelamente una intensa campagna in difesa dei monumenti e della fisionomia stessa della città, incoraggiato fra l'altro anche dalla pubblicazione di The stones of Venice (1851-53) diJ. Ruskin, con il quale avviò presto un'intensa relazione epistolare e con cui si incontrò nel 1882.

Fra il 1880 e 1884 il B. frequentò i corsi d'architettura all'Accademia di Belle Arti. Approfondita contemporaneamente la sua conoscenza dell'inglese, apprese da solo il latino e il greco. Lesse Omero, Virgilio ed Orazio e tentò, ancora, una traduzione in veneziano delle Siracusane di Teocrito.

Sempre più profondi rapporti andava intanto stringendo con il mondo culturale inglese, di cui ci resta testimonianza in un'attiva corrispondenza (soprattutto con W. Morris, Ph. Webb, W. D. Caröe, che erano tutti legati al movimento neogotico e preraffaellita), interessante fra l'altro per la conoscenza della sua convinta e vigorosa opera in difesa di Venezia, minacciata di sventramenti, e in particolare dei suoi monumenti più insigni fatti oggetto di errati restauri.

Nel 1885 il B. conduceva il suo primo scavo con metodo stratigrafico intorno alle fondazioni del campanile di S. Marco, mentre la solida fama acquistata gli procurava la nomina a socio corrispondente del Royal Institute of British Architects.

Nel 1888 venne chiamato a Roma dal ministro dell'Istruzione P. Boselli, prima come segretario per la Regia Calcografia, quindi come ispettore dei monumenti presso la Direzione generale delle Antichità e Belle Arti, tenuta allora da G. Fiorelli.

In tale incarico, nel quale ebbe come collega A. Venturi, il B. ebbe modo di condurre numerose esplorazioni artistiche e di restauro e, quindi, di conoscere personalmente le molteplici e gravi necessità che richiedeva la conservazione dei monumenti italiani. Di ciò che poté constatare nelle diverse regioni italiane, dei suoi giudizi sullo stato dei monumenti e su ciò che era opportuno fare per essi è traccia nelle sue lettere al Webb, oltre che nei suoi appunti e nelle sue relazioni.

Particolarmente feconda fula sua azione in difesa delle basiliche palatine di Puglia e fortunata quella per impedire la demolizione della cattedrale di Nardò. Inoltre, lungimiranti furono le sue proposte, seppur accolte dapprima con qualche riserva, della istituzione di un gabinetto fotografico presso il ministero dell'Istruzione e di un catalogo dei monumenti, e la formulazione di norme per la loro conservazione e restauro.

A Roma il B. entrò presto in contatto con il vario mondo intellettuale che si dava soprattutto convegno nei salotti del cardinale G. A. Hohenlohe-Schillingsfürst e di E. Lovatelli-Caetani e si iniziò allo studio della storia e dei monumenti romani. Nel 1892 partecipò con L. Beltrami e con G. Sacconi alle ricerche archeologiche intorno al Pantheon. Fra il 1895 e il 1896 resse l'ufficio regionale dei monumenti di Roma. Nel 1898 il ministro della Pubblica Istruzione G. Baccelli lo propose per la direzione degli scavi del Foro romano.

Si iniziò così quell'attività di ricerca nell'area del Foro che, con l'esplorazione successiva del Palatino, doveva rimanere il risultato maggiore e l'espressione più caratteristica di tutta quanta l'opera del Boni.

Risolti ormai i principali problemi topografici della zona, il B. iniziò la campagna di scavo pienamente consapevole della complessità di una indagine nell'area che aveva costituito il centro politico e religioso di Roma dalla sua fondazione alla caduta dell'Impero e, senza soluzione di continuità, all'età medievale e moderna. Sicché la ricerca, preliminarmente orientata dalla vasta conoscenza dei testi antichi, doveva essere condotta con metodo nuovo che non mandasse perduto nessuno dei dati acquisibili. A questo proposito il B. applicò, prima di W. Dörpfeld, nel campo dell'archeologia classica il metodo dello scavo stratigrafico, per cui dettò norme tuttora valide nella Nuova Antologia del 16 luglio 1901.

Gli anni più fecondi delle esplorazioni del B. nella zona del Foro furono quelli compresi tra il 1899 e il 1905. Essi s'iniziarono con lo scavo davanti al tempio di Cesare, al tempio di Vesta e nei pressi dell'arco di Settimio Severo. Quest'ultimo condusse ben presto alla scoperta del Niger Lapis e dei monumenti ad esso sottostanti, cui il B. era stato indirizzato dalla lettura delle testimonianze disponibili. Del 1900 sono i saggi stratigrafici sotto l'area del Comizio, lo scavo della Regia, l'inizio della demolizione della chiesa di S. Maria Liberatrice nell'angolo del Foro sotto il Palatino, dove sarà riportata in luce la chiesa di S. Maria Antiqua. Seguono l'esplorazione del fonte di Giuturna, la scoperta delle cosiddette gallerie cesaree sotto il piano della piazza e quelle degli Horrea Agrippiana e del cosiddetto carcere sul fianco della Via Sacra, presso il tempio di Antonino e Faustina. Nello stesso luogo apparve nel 1902 la prima tomba del sepolcreto arcaico. L'esplorazione della necropoli, continuata regolarmente negli anni successivi e ampiarriente illustrata dalle relazioni nelle Notizie degli scavi (dal 1902al 1911), costituì, con la scoperta del Niger Lapis, l'altro notevole contributo alla storia arcaica di Roma, per la quale nuovi elementi dovevano essere forniti dall'esame stratigrafico del terreno sotto lo equus Domitiani, identificato dallo stesso B., e dal ritrovamento del Lacus Curtius. Lavori di minore rilievo furono, invece, quelli effettuati intorno alla Basilica Aemilia e alla Curia, portati a termine da A. Bartoli dopo la morte del Boni. Purtroppo, oltre alle relazioni citate sui rinvenimenti del sepolcreto arcaico, il B. ne lasciò pubblicate ben poche altre: sul sacrario di Vesta (Not. scavi, 1900, pp. 159-191), sull'area del Comizio (ibid., pp. 295-340), sui Rostri (ibid., pp. 627-634), sul fonte di Giuturna (ibid., 1901, pp. 41-144), con grave pregiudizio dei successivi studi di archeologia. Inoltre, pur se si tratta di relazioni sempre accurate, e precise, esse si presentano a volte appesantite da divagazioni e da interpretazioni prive di ogni fondamento scientifico, frutto caratteristico della cultura del B. aperta a suggestioni molteplici, ma non tutte sufficientemente rimeditate. Degli altri lavori non restano, invece, che rapporti manoscritti e solo parzialmente rielaborati, che risentono maggiormente di quei difetti accennati di disordine e di improvvisazione.Nel 1906 il B. fu incaricato delle ricerche nel Foro di Traiano e successivamente di quelle intorno alle mura serviane (di entrambe restano le relazioni nelle Not. scavi, 1907, pp. 361-427; 1910, pp. 495-513). Appartiene a questi anni l'opera da lui data alla ricostruzione (ultimata nel 1912) del campanile di S. Marco a Venezia (crollato nel 1902), cui volle far precedere un'esplorazione delle fondazioni e del terreno circostante.

Nel 1907 la competenza dell'ufficio degli scavi del Foro venne ampliata alla zona del Palatino.

Guidato dalle riproduzioni di pitture viste da ricercatori del Sei e del Settecento sotto il palazzo dei Flavi, il B. riportò in luce, oltre a una cisterna a tholos (1913), in cuicredette di poter riconoscere il mundus, e a tutto il complesso di gallerie sotterranee ad essa collegate, la casa dei Grifi del II sec. a. C., la cosiddetta aula isiaca e i cosiddetti bagni di Tiberio, l'una e gli altri adorni di pitture e di stucchi del I secolo. A ciò si aggiunse la scoperta rimasta inedita di un fondo di capanna che si trovava al di sotto del peristilio della Domus Flavia e sopra la cisterna citata.

Alle sue indagini archeologiche, cui trovava sussidio nello studio della geologia, della linguistica, dell'etriografia, si accompagnava nel B. la meditazione dei più gravi problemi di storia romana, sopra tutti quello del declino e della caduta dell'Impero. Problema che egli legava all'altro dei rapporti fra patrizi e plebei, impostato sulla base di una differenza razziale fra gli uni e gli altri, fra ariani e mediterranei, dominatori i primi, sconfitti i secondi. I plebei resi peggiori dall'influenza sempre più vasta della cultura orientale corruppero l'elemento patrizio fino al suo esaurimento e alla dissoluzione di Roma. Tanto più che la storia di Roma si poneva poi per il B., che sentiva le sue ricerche circondate da orrore sacro (Croce), come la storia di un passato d'ordine civile e di potenza politica, sugli ideali del quale doveva sempre essere misurata la realtà del presente.

Con lo scoppio della guerra in Libia, che egli considerava quasi una nuova "guerra romana", il B. fu inviato nel 1912 a Tripoli insieme con L. Mariani, con l'incarico di accertare la natura e le condizioni del sottosuolo dell'arco di Marco Aurelio e di predisporre le necessarie opere di consolidamento e di restauro.

La prima guerra mondiale portò a una completa interruzione delle attività di ricerca del Boni. In un primo tempo, sgomento dai pericoli della guerra e preoccupato fra l'altro del destino riservato alle opere d'arte (lettera al Boselli dell'11 maggio 1915), egli interruppe gli scavi, si recò a Venezia e quindi al fronte, dove approntò per i combattenti una veste biancoazzurra appena distinguibile sulla neve e una controscarpa impermeabile a imitazione della caliga romana.

Ammalatosi al ritorno dal fronte nel 1916, il B. riprese sì la sua attività archeologica, ma questa, dopo la stasi del periodo bellico, si avviava ormai verso un arresto pressoché completo.

Davanti alla marcia su Roma il B. si limitò dapprima a generici inviti alla moderazione e alla pacificazione interna; ma nominato senatore il 3 marzo 1923, il 27 aprile dello stesso anno votò la fiducia a Mussolini. Inoltre, pochi giorni prima, il 21 aprile, egli, che già il 1ºmarzo dell'anno precedente aveva rievocato la festa del Natalis Martis, si era impegnato nel Foro d'Augusto nella celebrazione del natale di Roma. Il 28 ottobre, nel primo anniversario della marcia su Roma, sovrintese all'adunata dei fasci di combattimento davanti all'ara di Cesare, dopo essersi adoperato, su una esplicita richiesta di L. Federzoni, per la ricostruzione del fascio littorio, assunto come insegna dal Partito nazionale fascista, e dando inizio a quella attiva trasposizione dell'idea di Roma e dell'Impero romano nelle motivazioni ideologiche del fascismo, la cui opera legislativa gli si configurava come una ripresa sicura e continua dell'ideale romano di "giustizia purificatrice".

Morì a Roma il 10 luglio 1925 e fu sepolto per decisione del governo al centro degli Orti Farnesiani sul Palatino.

Temperamento irrequieto, appassionato, scontroso, dotato di cultura - per quanto ampia - farraginosa, e nel contempo incline a "rapimenti estetizzanti", con il suo "aspetto tra di mago e di veggente" e con "andamenti accoratamente morali" (Croce), il B. si impose per il suo metodo e per le sue scoperte all'attenzione degli studiosi soprattutto stranieri. Il mondo archeologico ufficiale italiano gli si mostrò, infatti, decisamente ostile, mentre ampi riconoscimenti gli vennero invece dall'estero, dalle università di Cambridge e di Oxford, che gli conferirono la laurea honoris causa.

Bibl.: D. Giordano, Elogio di G. B., in Atti dell'Ist. Veneto, LXXXV(1925-26), n. 3, pp. 3970; E. Tea, G.B. nella vita del suo tempo, Milano 1932; Id., L'attività di G.B. nell'Italia meridionale (1888-1898), in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, VII (1937), pp. 1-17; Id., G. B. e i monumenti del Mezzogiorno d'Italia,Lucania e Calabria,ibid., pp. 129-144; Id., G. B. nelle Puglie,ibid., IX (1939), pp. 3-34, 193-224; Id., Il carteggio Boni-Caröe sui monumenti veneziani: 1881-1889, in Archivi, XXVI (1959), pp. 234-254; Ph. Webb-G. Boni, Corrispondenza, a cura di E. Tea, in Annales Institutorum, XIII (1940-41), pp. 127-148; XIV (1941-42), pp. 135-209; E. Battisti, Di G. B. Ricordi trentini, in Trentino, XVIII (1942), pp. 102-106; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, VI, Bari 1957, pp. 195-199; P. Romanelli, G. B., in Studi romani, XI (1959), pp. 262-274; Enc. ital., XII, pp. 402 s.

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