CASTELNUOVO, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CASTELNUOVO, Giacomo

Bruno Di Porto

Nacque a Livorno il 26 nov. 1819 dal commerciante Raffaello e da Ester Sonnino, e crebbe nell'ambiente di quella comunità ebraica che era la più libera in Italia, protetta da una particolare legislazione granducale. Laureatosi in medicina all'università di Siena nel 1841, per la sua partecipazioneal movimento patriottico, probabilmente nella Giovine Italia, dovette riparare all'estero, spostandosi tra l'Egitto e la Tunisia, dove prosperavano due colonie di israeliti livornesi. Distintosi per alcuni brillanti interventi chirurgici e per ricerche su malattie endemiche nell'Africa settentrionale (pubblicò a Torino, nel 1850, i Pensieri sull'elefantiasi scrotale), divenne nel 1851 medico di fiducia, poi protomedico del bey di Tunisi Abmed, quindi del successore Moḥammed, formulando per loro un piano di risanamento igienico del paese e valorizzando, con studi e applicazioni, i fanghi termali di Hammamel. In Egitto, dove fu medico del vicere, aveva fondato, verso il 1847, con l'avv. G. Leoncavallo, il giornale Lo Spettatore egiziano, che ebbe vita per circa vent'anni, e un Bullettino, per i connazionali, nei quali svolse propaganda patriottica. Attivo anche nell'ambiente ebraico, fondò e presiedette il comitato tunisino della Alliance israélite universelle, e promosse la costruzione della grande sinagoga di Tunisi su terreno concessogli dal bey.

Scoppiata nel 1859 la seconda guerra d'indipendenza italiana, curò l'invio di volontari e di mezzi dall'Egitto, accorrendo poi come medico tra i combattenti. Fu così notato dal Cavour e dallo stesso Vittorio Emanuele II, che lo nominò nel 1860 suo medico onorarlo e consulente. Il C. fece allora da tramite per lo sviluppo dei rapporti commerciali tra il Regno àakdo e l'Egitto, fondando nel contempo con un socio a Firenze una piccola banca, la ditta Castelnuovo-Costa. Sempre a Firenze, fondava nel 1862 la casa di cura La Mattonaja".

Nello stesso anno pubblicava una comunicazione (Caso di cachessia sifilitica... Delle attinenze della elefantiasi degli arabi colle malattie sifilitiche. Lettera del dott. cav. G. Castelnuovo al prof. comm. A. Bo, in Annali univers. di medic... t. CLXXIX [1862], pp. 430-448). In questo lavoro il C., valorizzando alcune similitudini morfologiche esistenti tra i tessuti sede di flogosi croniche e quelli colpiti da elefantiasi, e soprattutto in considerazione della larga diffusione della sifilide tra le popolazioni arabe nelle quali notevole è l'incidenza della elefantiasi scrotale, sosteneva l'etiologia sifilitica delle manifestazioni elefantiasiche dello scroto e degli arti inferiori. In realtà l'agente etiologico della malattia è un parassita, "Wuchereria Bancrofti", che, osservato nella forma embrionale da O. E. H. Wucherer nel 1866, venne poi sicuramente individuato e descritto con compiutezza da J. Bancroft dieci anni più tardi (Cases of filarious disease, in Trans. of the Patholog. Soc. of London, XXIX [1878], pp. 406-419).

Sistemando poi i risultati delle sue vaste ricerche condotte in Africa, il C. componeva le Osservazioni medico-fisiche sul clima e sugli abitanti di Tunisi e d'altre parti d'Africa, pubblicate nel 1865, in Annali universali di medicina (t. CXCI, pp. 254-317, 481-544; tCXCII, pp. 3-98-, 542-586; t. CXCIII, pp. 97-146, 257-334; t. CXCIV, pp. 241-358) e subiti dopo raccolta in volume (pubbl. Milano 1865). L'opera esaminava, da un punto di vista medico, le caratteristiche e le condizioni geografiche, geologiche, climatologiche, emografiche e sociali dei paesi nordafricani, e sosteneva l'utilità e la necessità della penetrazione culturale europea, e in particolare italiana. In essa il C. Prendeva anche in esame le più comuni e diffuse forme morbose delle popolazioni in studio, e tornava sulla questione già dibattuta dell'etiologia dell'elefantiasi, riaffermando le proprie convinzioni circa i presunti stretti rapporti tra tale malattia e la sifilide.

Membro della massoneria, il C. partecipò, con Q. Filopanti ed A. Fortis, a un convegno tenuto in Firenze ai primi di giugno del 1863, inteso a riorganizzare l'associazione e a darle interna coesione dopo la crisi di Aspromonto, in vista delle successive lotte per il completamento dell'unità nazionale.

Partecipò come medico al seguito del re alla guerra del 1866, e ne annotò in un diario le vicende, le impressioni e i giudizi sulla condotta delle operazioni e le responsabilità dei comandi (B. Di Porto, G. di C. ed il suo diario di guerra. Un documento inedito del 1866, in Rass. stor. del Risorg., LX 1197-31, pp. 376-08). L'anno successivo, divenuto medico effettivo di corte, fu inviato a Tunisi dal governo per trattare la questione dei crediti italiani messi in pericolo, con quelli delle altre comunità europee, dalla grave situazione finanziaria della Reggenza. Risolti alcuni aspetti, quelli delle obbligazioni rilasciate ai commercianti e di certi debiti contratti dai principi tunisini, il C. negoziò col governo del bey il trattato di commercio e navigazione italo-tunisino, firmato l'8 sett. 1868, che tra l'altro garantiva agli italiani la proprietà immobiliare e l'esercizio delle manifatture in essere. Nel corso delle trattative ottenne la consegna all'Italia di un pregiato cannone in bronzo del XVII secolo, opera dello scultore Cosimo Cenni, ora custodito al Museo del Bargello in Firenze, e un contingente di animali rari per i giardini zoologici italiani, quali gesti di cortesia del bey Moliammed es Saddok, per conto del quale compì in altri momenti missioni a Vienna e a Bruxelles.

Per le benemerenze acquisite, il 9 genn. 1868 era stato insignito da Vittorio Emanuele II del titolo baronale, che si aggiunse alle sue altre onorificenze: ufficiale della Corona d'Italia, grande ufficiale del Nicham Iftiar, commendatore dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e dell'Ordine di San Marino. Con lettera del successivo settembre il suo cognome veniva fatto precedere dal "di" nobiliare.

La questione però dei debiti tunisini si era frattanto venuta acuendo. Sotto la pressione del gruppo Pinard-Erlanger, la Francia aveva imposto al bey, nella primavera del 1868, un progetto che urtò nell'opposizione anglo-italiana e non fu pertanto ratificato di Tunisi. Il C. presentò allora un suo piano di riordinamento, che prevedeva l'istituzione di una commissione finanziaria anglo-franco-italiana, il pagamento degli interessi delle obbligazioni col finanziamento del gruppo inglese Hope-Blackmore (associato con la casa francese di Londra Devaux), l'unificazione dei debiti tunisini e la riduzione delle spese pubbliche della Reggeriza, la cui autonomia e neutralità doveva essere posta sotto la garanzia internazionale delle tre potenze. Un accordo in tal senso venne stipulato a Parigi il 22 luglio 1868 e il 19 agosto ratificato dal bey, che compensava il C. e due collaboratori stranieri con la concessiolle delle miniere piombifere del Gebel Ressas. Il piano però fu bloccato dalla Francia, che ottenne la preminenza nella commissione finanziaria, mentre da più parti si levavano critiche al Castelnuovo.

Cogliendo le possibilità offerte all'iniziativa italiana dal trattato di commercio, il C. fondò l'azienda agricola della Gedeida, su un terreno di 3.000 ettari nella vallata del fiume Medjerda, locatogli dal primo ministro Mustafà Khaznadār. Per il finanziamento della azienda, diretta dal figlio Guglielmo, costituì nel giugno 1870 a Firenze la Società anonima commerciale, industriale e agricola per la Tunisia, che fu presieduta dal barone N. Nisco. L'impresa tuttavia incontrò localmente crescenti contrasti, che causarono strascichi sul piano diplomatico e giudiziario, e cessò nel 1873.

L'attività della Gedeida, per cui si faceva venire dall'Italia manodopera specializzata, era stata presto turbata da attriti con la gendarmeria tunisina, cominciati per il maltrattamento e l'arresto di lavoranti pastori indigeni, e proseguiti con l'occupazione di una casa interna alla tenuta, trasformata in abitazione del governatore della zona e chiesta in restituzione dal direttore. La controversia si spostò allora circa il potere giurisdizionale sul lavoratori indigeni e l'accesso della polizia nei luoghi di lavoro, che il C., in base alla consuetudine delle capitolazioni (talora avvalorata dalle dubbie procedure locali) e per analogia con quanto il trattato di commercio prevedeva nel campo delle manifatture, voleva condizionare all'autorizzazione consolare italiana, mentre le autorità tunisine rivendicavano l'intera sovranità. La vertenza si collocava nel quadro dei fermenti xenofobi, specialmente antitaliani, connessi all'affermazione della tendenza indipendentista che faceva capo al generale Khair ad-din. Di qui la reazione della colonia italiana, manifestata attraverso le proteste del consolato, che il 13 genn. 1871 portava alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Italia e Tunisia, con minaccia di una dimostrazione navale, esagerata in taluni ambienti, particolarmente francesi, come preludio di una occupazione.

Il governo del bey inviò allora a Firenze il generale Hussein, col quale il ministro degli Esteri E. Visconti Venosta firmò il 5 marzo protocolli aggiuntivi al trattato del 1868: si stabilivano la giurisdizione tunisina sui dipendenti indigeni delle imprese italiane dietro impegno a non turbarne i lavori, la restituzione al C. del locale conteso, la destituzione del governatore, l'inchiesta per l'eventuale punizione dei gendarmi che avessero commesso arbitri e l'impegno di massima da parte tunisina a risarcire la Società commerciale, industriale e agricola per i danni subiti. Al ristabilimento delle relazioni diplomatiche, avvenuto il 25 marzo, seguì il dibattimento giudiziario per la valutazione dei danni, accompagnato da polemiche tra gli esponenti della Società e i governanti tunisini. Con la sentenza del 19 ott. 1872 ed il definitivo accordo tra le partì del maggio 1873, la tenuta tornò a Mustafà Khaznadār, che pagò 125.000 franchi più gli interessi sul capitale investito dalla Società.

Entrato nel frattempo tra le file della Destra, il C. era stato eletto deputato nel gennaio 1871 per l'XI legislatura nel collegio veneto di Vittorio, che nel 1874 lo rielesse per la XII. Alla Camera intervenne sul progetto di legge per l'estensione alla Marina delle norme circa il matrimonio dei militari dell'Esercito, e sul progetto di legge per la costruzione di ponti sulle strade nazionali; votò a favore dell'inviolabilità pontificia, ed espresse le sue riserve sulla riforma giudiziaria attuata in Egitto che modificava il regime delle capitolazioni.

Tornato a Tunisi nel 1875, volle intraprendere lo sfruttamento delle miniere di piombo del Gebel Ressas, ottenute in concessione nel 1868, e rilevò perciò le quote dei due soci stranieri, che passò poi a due italiani. Incorse però in una seconda vertenza col governo tunisino per l'ostilità del generale Khair ad-din, divenuto primo ministro. Questi oppugnò la validità dei passaggi avvenuti, che alteravano - a suo avviso - i termini della concessione, considerata dei resto prescritta poiché gli interessati non la avevano utilizzata per anni. Intanto si verificavano arbitri e violenze delle autorità locali contro il personale della miniera. Il C. ricorse, facendo presente la mancanza di un vincolo di tempo nell'atto di concessione per l'inizio dei lavori, e poté risolvere a suo vantaggio la controversia. Intrapreso lo sfruttamento delle scorie, che giacevano dall'antichità sul Gebel, si trovò presto scoperto per la rilevante somma di due milioni con la Banca industriale e commerciale sarda, da cui era finanziata l'attività, e dovette di conseguenza cederle i diritti sulla miniera.

Il C. si impegnava intanto in una spedizione geografica nell'interno del paese, cui offri i mezzi e partecipò personalmente in un primo tratto. L'impresa, compiuta tra la fine di maggio e la fine di giugno del 1875, fu diretta da O. Antinori e amministrata dal colonnello De Galvagni; vi parteciparono, oltre il C., il chimico e paletnologo G. Bellucci, il capitano O. Baratieri, gli ingegneri Vanzetti e Lambert, il pittore G. Ferrari e il personale tecnico. A fianco di interessi scientifici, l'iniziativa stava a significare l'incipiente orientamento verso una penetrazione coloniale, alimentato dall'impegno della Società geografica italiana cui il C. aveva aderito fin dalla fondazione, nel 1867.

Il proposito principale era di verificare le possibilità di realizzazione - risultate negative - di un mare interno nel Sahara attraverso l'inalveazione di acque marine nel letto degli sciott, bassifondi pantanosi del deserto, secondo un progetto del francese Roudaire dibattuto negli ambienti geografici intemazionali. Si aggiungevano altre indagini di varia natura scientifica (geologica, archeologica, zoologica, ecc.).

Giunti per mare nel golfo di Gabes, gli esploratori procedettero, divisi in due gruppi, fino alle oasi di Nefzāwah, ai monti Tabagua e ai primi sciott, constatando, se non altro per l'altezza superiore al livello del mare, l'inattuabilità del progetto Roudaire, almeno sotto il profilo della convenienza economica. Ne riferì poi C. Correnti al congresso geografico di Parigi, sulla base della relazione ufficiale stesa dal Bellucci.

Tornato in Italia, il C. visse a Roma, dove fino a tutto il 1877 fu medico di corte. Fece poi altri viaggi in Tunisia, dove morì alla Goletta il 21 ag. 1886, rattristato dal passaggio sotto il protettorato francese di quella terra.

Sposatosi due volte (la seconda, nel 1853, con Rachele Herrera), ebbe sedici figli: oltre Guglielmo (1845-1907), che partecipò alla guerra del 1866 come sottotenente nel 1º reggimento dei volontari garibaldini, e fu ingegnere attivo in Italia e in Africa, si ricordano Raffaello, medico ed agente diplomatico del bey a Firenze fino al 1871, Achille, nato nel 1842, medico ed agente generale a Tunisi della Società anonima commerciale, industriale ed agricola per la Tunisia, Giulio, Arturo e Ugo.

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