DEBENEDETTI, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DEBENEDETTI, Giacomo

Renato Bertacchini

Nacque a Biella (Vercelli) il 25 luglio 1901 da Tobia e da Elena Norzi. Di origine "ebraica al cento per cento", visse nella città natale fino a quando nel 1913. con i genitori e il fratello Corrado, si trasferì a Torino. In piena guerra mondiale, al compimento dei sedici anni, il dolore lo colpì due volte: il 3 nov. 1917 gli morì il padre e il 30 novembre dello stesso anno perdette anche la madre. Lo zio e tutore Alessandro Debenedetti accolse i due nipoti fratelli nella sua casa di corso S. Maurizio 36, in riva al Po. Nel 1917-18 il D. frequentò il biennio preparatorio presso il politecnico di Torino, sostenendo tutti gli esami con i massimi voti (salvo che in geometria descrittiva e disegno geometrico). Quell'apprendistato, che il D. ricorderà spesso negli scritti dell'età matura, lascia segni produttivi in tutta la sua opera come "lavoro in corso" promosso e positivamente incentivato dallo stretto rapporto tra attività letteraria e svolte filosofico-scientifiche del pensiero contemporaneo (psicanalisi, fenomenologia, sociologia, marxismo, passaggio dalla fisica meccanicistica alla fisica dei quanti).

Dopo le matematiche, gli studi giuridici e gli emergenti interessi letterari lo portarono nel 1921 a laurearsi in giurisprudenza all'università di Torino (punteggio 110, lode e pubblicazione), discutendo con F. Solari una tesi in filosofia del diritto sulla Filosofia civile di G. D. Romagnosi; in seguito la dissertazione ottenne il premio Dionisio. Ma a "lavorare letterariamente sulla letteratura" il D. aveva già cominciato verso il 1920. Nella Torino della strategia industriale e delle lotte operaie - mentre la Fiat di G. Agnelli si sviluppava al terzo posto tra le industrie italiane e i lavoratori occupavano le fabbriche nel settembre 1920 - gruppi nuovi di giovani, politici militanti come A. Gramsci, P. Gobetti, e intellettuali "letterati" come M. Fubini, A. Monti, N. Sapegno, U. Morra, distaccandosi dai quadri della vecchia intellettualità agivano storicamente da "spiriti liberi" sulle riviste gramsciane Energie nove, Ordine nuovo e sulla imminente, gobettiana Rivoluzione liberale.

In un ambiente simile, culturalmente libero e antifascista, il D. risulta una figura di studente e di laureato abbastanza singolare, entusiasta e contrariato, che coltiva "le matematiche severe con un amore stranamente estetico". Matematica, legge e in seguito lettere contraddistinguono la trafila dei suoi studi umanistici. Nella Torino gobettiana, gramsciana e operaia, il D. iniziò la sua "carriera di frequentatore attivo delle lettere", fondando con S. Solmi, E. F. Sacerdote e M. Gromo la rivista letteraria mensile Primo tempo. Del periodico uscirono dieci numeri (sette fascicoli) dal maggio 1922 al dicembre 1923. Nell'articolo-manifesto Constatazioni ilgiovane D. attribuì la crisi della cultura postbellica in Italia al proliferare delle mitologie irrazionalistiche e attivistiche; distinse nettamente Croce, "genio della cultura nostra" dagli "sciocchi", inintelligenti crociani; ipotizzò nuovi modelli culturali che al fare letterario concedevano più larghi, autonomi spazi- metodologici nel rispetto della pluralità di tensioni che dovranno guidare il lavoro critico. Alle Constatazioni segue, nel n. 4-5, Sullo "stile" di Benedetto Croce, un saggio che, convertendo a "ro manzo cosmico la prosa del filosofo napoletano coi suoi episodi tipici e plastici di vita morale", chiarisce il crocianesimo sul generis professato dal D.: un capitolo di debiti e di insolvenze insieme destinato a concludersi, più avanti, in termini negativi.

Polemici, sempre in Primo tempo, ai nn. 6 e 7-8, i due interventi su Michelstaedter (oscuro simbolo dell'"inespresso", all'opposto della armoniosa chiarezza crociana) e su Boine (nel quadro della cultura modernista, "bizzarra coesistenza di ingegno e di complicazione"). Vero e proprio saggio di "somiglianza" e forte, congeniale pronostico, La poesia di Saba (nel n. 9-10, dove compaiono del poeta triestino i sonetti dell'Autobiografia e de I Prigioni) sostiene i moventi autobiografici, l'eccezionalità etnica e culturale dell'"uomo intero", di un "temperamento d'uomo"; componendo già per l'autore dei Versi militari, della Casa di campagna e de L'amorosa spina la "cronaca interna" di un profilo aperto e totalizzante in direzione psicanalitica.

Dietro la pressione crescente e tragica degli avvenimenti (delitto Matteotti e opposizione aventiniana, reazione fascista, discorso e colpo di Stato mussoliniano del 3 genn. 1925), i redattori di Primo tempo, e il D. tra essi, passarono nelle file de IlBaretti, la nuova "rivista di scrittori giovani" pensata e fondata da P. Gobetti nel dicembre 1924 dopo che a Rivoluzione liberale fuinterdetta ogni possibilità di operare sul terreno dell'azione politica. Il rigore etico-scientifico osservato dal D. nel trattare le verità dell'arte si incontravano con le istanze illuministiche e civilmente europee del Baretti, dove pubblicò i paragrafi su Radiguet (Cauto omaggio a Radiguet, 10 febbr. 1925; Vera natura dei romanzi di Radiguet, 16 apr. 1915) e i saggi Proust 1925. Proust e la musica (1927), e Commemorazione di Proust (1928), tutti e tre questi ultimi raccolti nei Saggi critici (Torino 1929). La rete delle collaborazioni, dai periodici culturali e letterari (IlConvegno, Solaria, Rassegna musicale, L'Italia letteraria), si allargò anche a quotidiani come la Gazzetta del popolo e L'Ambrosiano. Per le edizioni torinesi del Baretti pubblicò nel 1926 il suo primo libro, Amedeo e altri racconti, scritto all'inizio del 1923, a poco più di vent'anni.

Nella nota in calce alla ristampa (Milano 1967) di Amedeo - compreso Amedeo II -, Cinema Liberty, Suor Virginia, Riviera, Amici, i quattro racconti apprezzati da Montale e da Saba ma che spiacquero a Italo Svevo, il D. ne spiega la nascita non tanto sotto "la costellazione proustiana" quanto piuttosto sulla traccia tonale di Bergson e delle Operette morali leopardiane. Il racconto Amedeo, senza "fatti", è composto interamente dalla durata dei ricordi, dalle analisi di coscienza, dagli "interni" mentali e dai soliloqui del personaggio Amedeo, narcisista di "tragica civetteria", uomo affetto dal "tedioso bisogno di sapersi eccellente", eppure incapace di essere "individuo attivo e significante"; il destino di questo alter ego dalla "vita difficile", riscritto psicanaliticamente (come spiega ancora la nota citata), sarebbe stato quello del figlio del "ghetto", naturale "candidato psicologico" ai campi di sterminio in un prossimo futuro.

Nel 1927 si laureò in lettere (110 e lode) all'università di Torino, discutendo con V. Cian e C. Calcaterra una tesi sugli esordi di Gabriele D'Annunzio; nel 1941 la rivista fiorentina Argomenti, diretta da Alberto Carocci, iniziò a pubblicarla a puntate col titolo Nostro D'Annunzio e lo pseudonimo G. Orengo (interrotta la pubblicazione, perché la rivista venne soppressa per motivi politici, la tesi uscirà intera col titolo Nascita del D'Annunzio nella seconda ediz. dei Saggi critici, n. 5., Milano 1955). Dopo aver partecipato nell'abbazia di Pontigny, ai convegni 1927-29 indetti da Roger Martin du Gard - dove conobbe Gide, Malraux, Chamson -, nel 1929 raccolse per le edizioni fiorentine di Solaria la prima serie dei Saggi critici (poi rist. nella collana "Il pensiero critico", Milano 1952).

Il 4 dic. 1930 sposò Anna Maria Renata Orengo; il 24 maggio 1933 e il 12 maggio 1937 gli nacquero i figli Elisa e Antonio. Nell'aprile 1937 si trasferì a Roma, sistemandosi con la famiglia nella zona dell'Aventino. Diverse ragioni lo indussero al trasferimento: l'ambiente culturale torinese diventato sempre meno aperto, stimolante, dopo la vivace stagione gobettiana; gli aumentati interessi collaborativi alla famosa rivista Cinema; illavoro "clandestino" di sceneggiatore filmico motivato da necessità economiche. Nella capitale non venne tuttavia meno la sua vigile attenzione per i libri e gli autori. Sul Meridiano di Roma (1937-38), facendo parte del comitato direttivo (insieme con A. G. Bragaglia, A. Consiglio, C. Di Marzio, N. Quilici), tenne una rubrica settimanale di letteratura italiana contemporanea; molti articoli li raccoglierà poi nella seconda serie dei Saggi critici (Roma 1945).

Durante questi stessi anni cresce l'interesse per il cinema; nel racconto giovanile Cinema Liberty, che fa parte di Amedeo, il venticinquenne D. appare già "convertito" ai riti cinematografici che offrono "al travaglio dei pensieri e alle costose divagazioni della fantasia, un surrogato blando rassicurante". Dopo aver lavorato nel 1932 presso la casa cinematografica Pittaluga, dall'agosto 1936 al marzo 1938 risulta titolare della rubrica di recensioni cinematografiche sulla rivista Cinema.

La sua lucida competenza di "addetto ai lavori" anche nel settore del cinema - proprio quando la critica cinematografica diventava adulta - rivela intensa ammirazione per la drammaturgia filmica americana (fondata "su impostazioni elementari, di una energia quasi rozza e primitiva"); freddezza invece verso il cinema "industria di stato" tedesco; simpatetico apprezzamento per il cinema francese (Duvivier), impegnato in ricerche di "intelligenza, finezza, spiritualità e buon gusto". Nel periodo 1937-1943, "cineasta" oltre che "cinecritico", scrive una ventina di sceneggiature (anonime dopo il 1938 a causa, ripetiamo, delle leggi razziali), collaborando specialmente con Amidei; tra i lavori del D. cineasta ricordiamo le sceneggiature o più spesso cosceneneggiature dei films: Amicizia di O. Biancoli; Partire e Le due madri di A. Palermi, La mazurca di papà di O. Biancoli (1938), Cose dell'altro mondo di N. Malasomma (1939), Capitan Fracassa di D. Coletti, Addio giovinezza di F. M. Poggioli, La fanciulla di Portici di M. Bonnard (1940), L'ultimo ballo di C. Mastrocinque (1941), La regina di Navarra di C. Gallone, Don Cesare di Bazan di R. Freda, Gioco pericoloso di N. Malasomma (1942), Ilcappello a tre punte e Gelosia di F. M. Poggioli, Harlen: di C. Gallone (1943).

Il 13 sett. 1943, dopo l'entrata dei Tedeschi a Roma, il D. sfollò con la famiglia a Cortona, dapprima nella casa di P. Pancrazi, poi nella villa Baldelli, in frazione Cegliolo, dove rimase fino al luglio 1944; nell'agosto, lasciata Cortona, visse a Gragnano presso Sansepolcro, sempre in provincia di Arezzo, ospite dei cognati Gaudioso.

I giorni a Cegliolo sono rievocati dal D. in una lettera a Pancrazi, Testimonianza di gratitudine, che lo stesso Pancrazi raccoglierà nel volume La piccola patria. Cronache della guerra in un comune toscano. Giugno-luglio 1944 (Firenze 1946): "Trascorsi quei mesi a Cortona, con Pietro Pancrazi e Nino Valeri e mi misi a studiare Alfieri; in un'Italia e in un'Europa per mesi e anni occupate dai tedeschi, non paia spudorato ricordare come la parola libertà facesse veramente piangere, la parola tirannide veramente fremere. Nel giugno mi riuscì finalmente di unirmi alle formazioni partigiane che operavano nell'Appennino toscano".

La condizione di ebreo perseguitato dal razzismo nazifascista, le personali, motivate riflessioni "alfieriane" su "libertà" e "tirannide", la nuova realtà delle classi popolari emergenti dalla guerra e la necessità della lotta per una diversa vita sociale, portarono il D. a militare tra le file della Resistenza da "neofita marxista" (G. Ferrata). Nel medesimo inverno 1943-44 tradusse Un amore di Swann di M. Proust, che verrà pubblicato da Bompiani nel 1948.

Il rientro a Roma nel settembre 1944 e l'iscrizione al Partito comunista italiano furono immediatamente seguiti dalla pubblicazione di due rapporti sulle persecuzioni razziali e sui valori dell'ebraismo: 16 ottobre 1943 (pubblicato a Roma nel 1945, con prefazione di C. Sforza) e Otto ebrei (Roma s. d., ma scritto nel settembre 1944).

La cronaca narrativa 16ottobre 1943 racconta la razzia effettuata nel ghetto di Roma dalle SS al comando di H. Kappler, che in una sola mattinata arrestarono più di mille ebrei destinandoli ai campi della morte, nonostante avessero puntualmente pagato la taglia loro imposta (cinquanta chili d'oro); per forza documentaria ed efficacia stilistica, 16ottobre1943 regge al confronto avanzato da lettori e critici (nel 1947, J.-P. Sartre lo fa tradurre per Temps Modernes) con la Peste di Londra di Defoe e i primi capitoli della manzoniana Storia della Colonna infame. Scritto all'indomani della liberazione dell'Italia centrale, quando ancora durava la guerra e nei paesi liberati si cercava di risarcire con l'amore e la generosità i pochi ebrei scampati ai campi di sterminio hitleriani, Otto ebrei prende lo spunto da un fatto di cronaca politico-giudiziaria: il commissario di pubblica sicurezza Raffaele Alianello, incriminato per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, davanti all'Alta Corte di giustizia che puniva i reati fascisti, dichiarò di aver "subito, per prima cosa, cassato i nomi di otto ebrei" dalla lista iniziale degli ostaggi da fucilare. Deprecando questo pietismo dell'ultima ora verso gli ebrei, il D. si tira addosso l'accusa di ingratitudine; ma oltre a rilevare il "machiavellico" voltafaccia dell'antisemitismo fascista che diventa ipso facto filosemitismo antifascista, il D. intendeva denunciare il perpetuarsi dell'atteggiamento ancora razzista che considerava l'ebreo come altro e diverso, come uomo sempre e comunque da ghetto, vittima predestinata ieri di persecuzioni e oggi di antipersecuzione: "Se prima negli ebrei si puniva l'ebreo, oggi al vedere la situazione non già corretta, ma semplicemente capovolta con sì perfetta simmetria di antitesi, può nascere il dubbio che negli ebrei si perdoni l'ebreo. E il perdono richiama l'idea di una colpa, di un trascorso".

Rinata l'"aurora della libertà", il secondo dopoguerra portò il D., "personaggio delicato, elegante, colto e sottile" (A. Moravia), ad un assorbente, versatile impegno di energie civili, politiche, intellettuali. La larga iniziativa culturale debenettiana tende a raccontare le vicende storiche della letteratura italiana dell'Otto e del Novecento, da Tommaseo a Pascoli, a Ungaretti, a Montale, da Verga a Pirandello, rapportate, confrontate sui temi, sulle idee e sui generi con i classici europei, Flaubert e Zola, Proust, Joyce, Mallarmé, Kafka, Camus. Nella nuova maniera esegetica di meditare, riscoprire, ristrutturare la letteratura italiana moderna e contemporanea al vaglio e nel contesto della civiltà europea, il critico D. introduce, mette avanti la storia spesso drammatica del proprio lavoro, del proprio "destino" con le vicende storiche e il destino dell'opera d'arte di volta in volta esaminata. Questa nuova misura del "racconto critico" (secondo la esatta, suggestiva definizione di E. Sanguineti), pronto a diventare confessione, autoanalisi, mimesi, prospetta alcune linee progettuali e di tendenza che per il momento, in fase di proemio 1946-49, si chiamano L'avventura dell'uomo di Occidente (pubbl. sulla rivista olivettiana Comunità, nel marzo e nell'aprile-maggio 1946), Personaggio e destino (letto a Perugia come introduzione alla Settimana dello scrittore, nel settembre 1947). Probabile autobiografia di una generazione (letto nel settembre 1949 a Venezia, al congresso internazionaledel PenClub). Il termine d'arrivo sarà la Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo, anticipata in parte dalla lettura tenuta alla Mostra del cinema di Venezia del 1965 (nella tavola rotonda sul tema Forme della comunicazione cinematografica anche in rapporto alla narrativa e alle esperienze televisive), con il finale, significante rifiuto di dire addio al personaggio-uomo anche dopo la sua dissoluzione in arte e il trionfo al suo posto del personaggio-particella.

Quanto al tipo di ricerca e alle sedi per realizzare un programma simile, il metodo "non metodico" del D. adotta e pratica la fenomenologia del "ritratto critico", una forma interpretativa eterodossa sia rispetto al crocianesimo, sia rispetto allo specialismo accademico di stretta osservanza. Attratto e coinvolto nell'operante spessore delle correnti e dei testi campione della cultura novecentesca italiana ed europea, dialetticamente situato in osservazione ai punti nevralgici civili, politici, ideologici, oltre che artistico-letterari dei nostro tempo, il ritratto critico nell'uso aperto di angolazioni e verifiche interpretative bergsoniane, freudiane, pirandelliane (lo "sciopero" dei personaggi, in cerca e in rivolta contro l'autore), introduce e manovra gli apporti di valore e gli strumenti funzionali della contemporanea conoscenza scientifica: da Marx a Lévi-Strauss, dalla fenomenologia di Husserl e di Paci alla "probabilità" einsteiniana, alla fisica delle particelle di Kenneth Ford.Le sedi pratiche, organizzative, di lavoro sono l'insegnamento universitario: dal 1950 a Messina e poi dal 1958 all'ateneo di Roma; e il sodalizio come "operatore di cultura" a partire dal 1950 con Alberto Mondadori nella fondazione e direzione della casa editrice Il Saggiatore (per la quale cura la pubblicazione di oltre 250 volumi). Redattore editoriale eccezionalmente preparato, generoso promotore di cultura senza mai esser servo dell'industria culturale, il D. formulava i suoi "pareri" dignitosamente selettivi e consapevoli nelle frequenti, acute prefazioni scritte per le opere mondadoriane della 44 Silerchie" e nei numerosi, organici risvolti di copertina destinati all'altra collana, "Cultura", per testi di L. Borges (Storia universale dell'infamia), V. Sereni (Gliimmediati dintorni), K. Mann (Finestra con le sbarre),J.R. Wilcock (Luoghi comuni), M. Butor (Una lettera di Baudelaire), D'Arco S. Avalle ("Gliorecchini" di Montale), E. Montale (Auto da fé), Ch. Mauron (Dalle metamorfosi ossessive al mito personale), S.de Beauvoir (Il secondo sesso).

Nel periodo 1950-1955, incaricato di storia della letteratura italiana alla facoltà di lettere dell'università di Messina, tenne corsi su Svevo, Verga (biennale), la poesia di Pascoli (biennale). Le lezioni verghiane 1951-52 e 1952-53 sono state pubblicate sulla scorta. dei relativi quaderni inediti a cura della moglie Renata Debenedetti nel volume Verga e il naturalismo (Milano 1976).

Dopo aver confutato la pretesa crociana della "conversione" di Verga al verismo come spartiacque discriminante tra la mondanità provinciale dei romanzi giovanili e l'anabasi in terra di Sicilia della maturità, il D. individua il "sistema di posti di blocco" che, a partire dai "presagi" di Nedda e della Storia di una capinera, ilgiovane Verga va costruendosi per lasciare libero, imperativo davanti a sé quell'arcaico, fatalistico sentimento del male di vivere che lo porterà a I Malavoglia e a Mastro don Gesualdo.

Anche gli altri quaderni inediti serviti, sempre a Messina, per le lezioni pascoliane 1953-54 e 1954-55 sono stati raccolti e pubblicati da Renata Debenedetti, con la collaborazione di Isabella Gherardini, nel volume Pascoli: la "rivoluzione inconsapevole" (Milano 1979).

L'originalità della esperienza lirica pascoliana viene fissata nell'obbedienza involontaria all'evolversi della poesia in direzione novecentesca, simbolista ed ermetica, scandendone i due momenti: l'impressionismo del visibile (Myricae) e l'impressionismo dell'invisibile (amore e mito, dal Gelsomino notturno a Solon, "la morte come atto d'amore"). I quaderni pascoliani terminano con l'esame di Gog e Magog.

Molto probabilmente il D. pensava a un terzo corso su G. Pascoli per il 1955-56, ma in quell'anno accadernico passò al magistero di Messina ainsegnare letteratura francese, tenendo un corso su Montaigne. Nel 1957 conseguì la libera docenza in storia della letteratura italiana moderna e contemporanea. L'incarico per questa disciplina presso la facoltà di lettere dell'università di Roma dal 1958 fino all'anno accademico 1967-68 gli consentì di svolgere con sistematica continuità corsi su Niccolò Tommaseo, la poesia ermetica, la storia del romanzo italiano nel primo dopoguerra (proseguito per quattro anni), la storia della critica ("Renato Serra e il romanzo del suo tempo").

Nei quaderni preparatori per le lezioni 1958-59 e 1959-60 (pubbl. da Renata Debenedetti nel volume postumo Tommaseo, Milano 1971), adoperando "tutti i possibili strumenti di aggressione, storia, sociologia, psicologia, estetica, stilistica", il D. traccia il destino letterario dello scrittore dalmata, uomo introverso che tenta "l'uscire da sé" fallendo nella vita ma non nella poesia, dove incontra il segno di Dio. Gli altri quaderni per le lezioni 1958-59 hanno visto la luce, sempre a cura di Renata Debenedetti, nel volume Poesia italiana del Novecento (Milano 1974, con intr. di P. P. Pasolini): lo svolgersi della lirica novecentesca in Italia, dalla condizione dell'ermetismo al sorgere opposto della poesia impegnata, viene studiata attraverso sette "ritratti critici" dedicati ad altrettatiti poeti: Montale, Ungaretti, Luzi, Saba, Penna, Noventa e Sereni. I temi delle pagine raggruppate sotto il titolo L'ermetismo e Mallarmé risultano anche nella cartella Lezioni tenute all'Università di Budapest nel 1962; la consuetudine del D. con Budapest era dovuta alla sua fervida amicizia col critico marxista G. Lukács. Le lezioni tenute a Roma fra l'autunno del 1960 e l'estate del 1966 sono state raccolte da Renata Debenedetti, con una presentazione di E. Montale, nel volume postumo Ilromanzo del Novecento (Milano 1971).

Il volume riguarda le origini - dal 1920 quando appare Tre croci di Tozzi - e gli sviluppi del romanzo contemporaneo in Italia nella trama di continui, motivati riferimenti comparatistici alla coeva civiltà letteraria europea; così Pirandello esprime "un ignoto del personaggio simile a quello degli oggetti che aprono a Proust la loro scorza o si epifanizzano per joyce". L'architettura prospettica e discorsiva delle lezioni considera il romanzo europeo del Novecento come uno dei modi di essere "della condizione umana non più omogenea con l'idea tradizionale che avevamo dell'uomo, ridiventata enigmatica perché non sa più le sue ragioni d'essere in un mondo in via di cambiamento così nelle strutture come nelle ideologie".

Intanto, già dalla fine degli anni Cinquanta, il D. aveva ripreso l'attività di traduttore iniziata nel 1940 a Milano, con Il mulino sulla Floss di G. Eliot. Mentre raccoglieva una terza serie di Saggi critici per la collana "La Cultura." (Milano 1959), nel medesimo tempo per lo stesso editore Alberto Mondadori traduceva Felicità. Qualcosa di infantile ma di molto naturale di Katherine Mansfield; nel 1961 rivedeva integralmente la versione milanese di Esuli di J. Joyce effettuata da C. Linati (per i "Classici contemporanei" mondadoriani, nel 1958, curò l'edizione italiana delle opere di joyce); nel 1963 ridusse per il teatro stabile di Genova IlDiavolo e il buon Dio di Sartre; nel 1966 tradusse Il tempo degli assassini (Milano), saggio critico su Rimbaud di Henry Miller. La partecipazione al concorso universitario di storia della letteratura italiana moderna e contemporanea, nel 1962, gli provocò la grande amarezza della cattedra rifiutata, nonostante il riconoscimento della maturità. La tappa finale, letterariamente e scientificamente conoscitiva, a cui il D. conduce la storia e la fenomenologia del romanzo contemporaneo è rappresentata da Un punto d'intesa sul romanzo contemporaneo? (letto a Leningrado nel 1963 alla tavola rotonda organizzata dalla Comunità europea degli Scrittori), Ilpersonaggio uomo nell'arte moderna (letto a New York nel settembre 1963, durante il congresso dell'Accademia di scienze biologiche e morali), Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo del 1965, tre saggi raccolti nel volume postumo Il personaggio-uomo (Milano 1970).

Anche mantenendo l'antitesi tra il realismo-naturalismo, necessario nei paesi socialisti, e lo sperimentalismo, necessario e peculiare nei paesi capitalisti, il D. constata per entrambi la convergenza analogica tra la moderna visione del mondo e le ipotesi probabilistiche della fisica contemporanea. Il personaggiouomo, "quell'alter ego, nemico e vicario, che in decine di migliaia di esemplari tutti diversi tra loro ci viene incontro dai romanzi e adesso anche dai film", può frantumarsi, dissolversi nel naufragio dell'antiromanzo; può beccheggiare tra le tenute a distanza visiva dell'école du regard e le negazioni totali da parte di Jonesco e di Beckett. Eppure, per testimoniare l'homo sapiens dioggi valgono ancora, secondo l'ultimo D., alcuni aspetti visibili nei personaggi, negli homines ficti della narrativa e del cinema più recenti. L'isolamento, l'incomunicabilità, l'estraneità, la insignificanza, la nevrosi, questi predicati attinenti alla nozione di antipersonaggio nel Dottor Zivago di Pasternak e nella Noia di Moravia, nella Jalousie di Robbe-Grillet e nel Capriccio italiano di Sanguineti, come nei film di Antonioni, L'eclisse, Il desertorosso, scoprono e riconfermano "una sorprendente, innegabile contemporaneità col modo odierno di guardare, studiare il mondo".

Il D. mori a Roma il 20 genn. 1967. Nello stesso anno gli venne conferito il premio dei Lincei alla memoria; aveva ricevuto precedentemente il premio Tor Margana nel 1961 e il premio Fila nel 1962.

Oltre gli scritti e le edizioni citate, si ricordano: Amedeo e altri racconti, a cura di E. Ghidetti, con l'inedito Amedeo II e due lettere di U. Saba, Roma 1984; Opere di G. De Benedetti, I,a cura di C. Garboli con la collaborazione di R. Debenedetti: Saggi critici. Prima serie, Milano 1969 (precede la Prefazione, 1949, Probabile autobiografiadiunagenerazione); L. Golding, Lettera a Hitler e G. Debenedetti, Ottoebrei, Milano 1961; Opere di G. Debenedetti, IV,a cura di G. Garboli; 16 ottobre 1943. Otto ebrei, con prefaz. di A. Moravia, Milano 1973; 16ottobre 1943. Otto ebrei, a cura di O. Cecchi, con pref. di A. Moravia, Roma 1978 e 1984; Saggi critici. Nuova serie, Roma 1945; seconda edizione accresciuta, Milano 1955; Opere di G. Debenedetti, II,a cura di C. Garboli e con la collaboraz. di R. Debenedetti: Saggi critici. Seconda serie, Milano 1971; Radiorecita su Marcel Proust, Roma 1952; Saggi critici. Terza serie, seconda ediz., Milano 1961; Intermezzo. Milano 1963 e 1972; Vocazione di Vittorio Alfieri, a cura di R. Debenedetti e L. Potorti, Roma 1977; Personaggio e destino. La metamorfosi del romanzo contemporaneo, a cura di F. Brioschi, Milano 1977; Saggi1922-1966, a cura di F. Contorbia, Milano 1982; Rileggere Proust e altri saggi proustiani, Milano 1982 (contiene Proust 1925, Proust e la musica, Commemorazione di Proust, Confronto col Diavolo, Radiorecita su "Jean Santeuil"); Al cinema, a cura di L. Miccichè, Padova 1983; prefazioni a opere curate: Quasi una vicenda del critico, precede A. Mondadori, Quasi una vicenda, Milano 1957; Brixen Idyll, prefazione a D. Valeri, Flauto a due canne, Milano 1958; La sua quinta stagione, Milano 1959, prefazione al Canzoniere di U. Saba, Torino 1965; Confronto col Diavolo, prefaz. a M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Torino 1961; prefaz. a L. Repaci, Un riccone torna alla terra. Romanzo e sceneggiatura, Milano 1973.

Fonti e Bibl.: Necrol.: E. Emanuelli, Rabdomante della critica, in Corr. della sera, 21genn. 1967; N.Sapegno, Ricordo di D., in Avanti!, 19 febbr. 1967; Boll. del Sindacato naz. scrittori, Roma, gennaio 1968, pp. 10 ss.; J. Nobecourt, Unreprésentant de la culture, in Le Monde, 1967 (in G.D., 1968, p. 158); M.Lavagetto, Ilcritico sulletracce di Orfeo, in Paragone, XXVIII (1967), pp. 114-28; L'Approdo letter., n. s., XIII (luglio-settembre 1967), pp. 3-25 (contiene: G. Contini, Unaparola per G. D.; L. Baldacci, D. e la criticaosmotica; A. Rinaldi, L'esempio di G. D.); R. Frattarolo, Per G. D., in Critici e saggisti italianitra il primo e il secondo Novecento, Bari 1967, pp. 217-25; E. Sanguineti, Cauto omaggio a G. D., in Aut Aut, VI (1956),quindi in Traliberty e crepuscolarismo, Torino 1961, pp. 183-93; J. Steinhauf, Intervista a G. D. sulle analogie tra la letteratura e la fisica, in DziennikPolski (Cracovia), 13 giugno 1966; M. David, Letter. e psicoanalisi, Milano 1967, specie alle pp. 18, 25 ss., 137, 153 s., 194; G. D. 1901-1967, a cura di C. Garboli, Milano 1968 (contiene cronologia della Ata e degli scritti dei D., contributi alla bibliografia [di N. Sapegno, B. Contini, A. Moravia S. Solmi, G. Pampaloni, E. Sanguineti, P. Cili, G. Ferrata, G. Vigorelli, G. Raimondi, L. Baldacci, W. Pedullà, E. Siciliano] e una bibliografia essenziale); R. Bertacchini, G.D., in Letter. italiana. I critici, V, Milano 1969, pp. 3398-407, con bibl. (dal 1927) alle pp. 3426 ss.; F. Mattesini, La critica letteraria di G. D., Milano 1969, con bibl. alle pp. 325-34; D. Tarizzo, D., l'intelligenza libertina, Milano 1970; A. M. Mutterle, G. D., in Belfagor, XXV (1970), pp. 288-322; G. Pampaloni, Un vero critico, in Corr. della sera, 21 marzo 1971; P. Bianchi, Unapatetica testimonianza, in IlGiorno, 24 marzo 197 1; O. Cecchi, Incontri con D., Padova 1971; L. Mondo, All'ombra di Proust, in La Stampa, 14 maggio 1971; F- Contorbia, "Primo tempo" 1922-1923, Milano 1972 (riproduce interamente la prima rivista dei D.); C. Bo, Letteratura per vivere, in Corr. della sera, 10 nov. 1974; G. Spagnolettì, La presenza di G. D., in Scrittori di unsecolo, Milano 1974, pp. 719-27; Un rabdomantedella poesia, in La Stampa, 22 nov. 1974; A. Granese, La maschera e l'uomo, Salerno 1976; Storia d'un critico, in La Stampa, 11 genn. 1977; G. Bonura, L'uomo senza volto del romanzo d'oggi, in Avvenire, 10 apr. 1982.

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