ORSI, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORSI, Giacomo (detto Comino)

Marino Zabbia

– Nacque verso la metà del Quattrocento a Candelo, borgo nei pressi di Biella, in direzione Vercelli.

Svolse attività di maestro di scuola a Biella (Bugellae docens si autodefinisce). Della sua biografia non rimangono altre tracce se non quanto egli stesso racconta nella cronaca (Cronaca latina di Biella di Giacomo Orsi, a cura di P. Vayra, Biella 1890), composta tra il luglio 1488, periodo cui risalgono gli ultimi fatti narrati, e il marzo 1490 quando morì il duca Carlo I di Savoia che è ricordato ancora in vita nelle pagine conclusive del testo (p. 50), nelle quali per dimostrare l’attendibilità del racconto, ricorda la propria partecipazione a un fatto d’armi avvenuto nel 1488 durante la disputa che contrappose Biella ad Andorno (oggi Andorno Micca), una località a circa 6 km a nord di Biella. Allo stesso tempo coglie l’occasione per ribadire la propria fedeltà a Biella e ai duchi di Savoia cui la cittadina si era data sin dal 1379.

La cronaca è piuttosto breve, ma, anche a causa della povertà della tradizione di memorie storiografiche del Vercellese, è un testo non privo di rilievo. Si apre con una lettera di dedica con la quale l’autore affida l'opera a Giacomo dal Pozzo, giudice di Pinerolo e personaggio eminente della società biellese durante la seconda metà del Quattrocento. Nel testo Orsi precisa di essersi messo al lavoro ai margini della sua attività di insegnante su commissione della Credenza (il consiglio cittadino) di Biella, che voleva fosse conservato il ricordo della disputa tra la città e Andorno. Venendo forse in parte meno alla volontà dei committenti, prima di soffermarsi sui fatti recenti, fa precedere il racconto da una sintesi di storia cittadina che in certa misura riprende i toni delle laudes civitatum e costituisce all'incirca un terzo dell'opera. Il primo dei 94 capitoli (introdotti tutti da un breve titolo) che costituiscono l'opera, infatti, è dedicato all’origine del nome Biella e a una rapida descrizione del sito su cui la città sorge. Il cronista passa poi a raccogliere quanto (in effetti poco) i testi antichi e medievali a lui noti contenevano sulla storia biellese, mostrando così di non conoscere cronache locali precedenti alla sua. Dopo un cenno al periodo delle guerre puniche che l’autore dichiara di ricavare da una storia conservata presso il convento di S. Francesco a Tortona, gli episodi relativi al passato cittadino sono legati ai rapporti della città con i vescovi di Vercelli, signori di Biella per alcuni secoli. Nelle tradizioni di memorie locali raccolte da Orsi ricopre un ruolo di primo piano il vescovo di Vercelli Almerico, un personaggio mai esistito e collocato in un periodo non definito (forse la leggenda nacque intorno al confuso ricordo del lungo episcopato di Arderico, vissuto nella prima metà del secolo XI), cui Orsi  attribuisce una serie di iniziative compiute dai vescovi vercellesi in oltre due secoli e altri fatti di natura diversa databili dalla prima metà del secolo XI all'inizio del Trecento. Si dovrebbe, per esempio, all’attività di Almerico l’aspetto che Biella ancora oggi conserva con due centri: il Piano, a valle, e il Piazzo nella collina che sovrasta la città e che fu a lungo sede del palazzo comunale. Quel vescovo, poi, avrebbe proceduto a ornare la città con molte chiese e avrebbe mirato a realizzare una strada che unisse Biella alla Val d’Aosta. Inoltre dai privilegi da lui emanati (ma in questa pagina l'autore, malgrado rimandi a documenti notarili, retrodata le concessioni accordate dai Savoia al momento della prima dedicazione di Biella nel 1379 e della conferma nel 1408) sarebbe dipeso il ruolo egemone che la cittadina aveva ancora nel XV secolo sulle comunità circostanti e che consisteva anche nel diritto a essere l’unica sede di mercato nella zona.

Dopo la morte del leggendario vescovo Almerico, vero e proprio fondatore della città nella prospettiva di questa cronaca, signore di Biella fu il vescovo Lombardo Della Torre che resse la chiesa di Vercelli dal 1328 al 1343. A lui Orsi fa succedere Giovanni Fieschi (ma tra Lombardo e Giovanni era stato vescovo Emanuele Fieschi che il cronista dimentica), giungendo così, con un balzo cronologico di circa due secoli, al tempo in cui Biella uscì dalla signoria dei vescovi di Vercelli per passare – dopo un breve periodo in cui fu controllata dai milanesi Visconti – sotto la dominazione sabauda. Da notare come il governo del vescovo Fieschi sia dipinto con le tinte più cupe: il prelato assume in tutto il carattere del tiranno che non rispetta le leggi, si appropria dei beni dei suoi sudditi e viola le loro donne (e fa costruire un castello ad Andorno, azione gravida di conseguenze nello sviluppo dei rapporti tra Biella e quel centro). Contro il tiranno i biellesi si ribellarono e, a distanza di oltre un secolo, nella memoria cittadina erano ancora vivi i dettagli della sommossa che portò nel 1377 alla cacciata del vescovo e nella quale, secondo il cronista, ebbe un ruolo notevole Gribolo, protagonista della cattura di Fieschi con modalità di cui Pietro Torrione (curatore di La guerra di Andorno. Versione della cronaca latina di Biella scritta nel 1488 da Giacomo Orsi da Candelo, Biella 1946) ha dimostrato i fondamenti di realtà. Dopo un anno i biellesi consegnarono Fieschi, loro prigioniero, a un mediatore inviato dai Savoia. Nel periodo successivo il vescovo cercò di riappropriarsi della cittadina, i biellesi fecero ricorso all'aiuto dei Visconti e infine si sottomisero ai duchi di Savoia sotto il cui governo Biella godette di un lungo periodo di pace.

Ma proprio la floridezza generata dalla pace fece prosperare, oltre a Biella, anche altri centri, tra cui Andorno: comincia così, dall'anno 1469, la seconda parte dell’opera, dedicata alla lunga disputa che contrappose Biella ad Andorno e che, dopo molte controversie giudiziarie, si concluse con uno scontro armato. Anche nell’introduzione di questa sezione Orsi riprende le forme delle laudes civitatum e descrive il sito di Andorno e il carattere dei suoi abitanti, osservando come la floridezza economica abbia favorito gli studi, un progresso tuttavia solo apparente perché gli andoresi si sono insuperbiti e hanno avanzato rivendicazioni, prima fra tutte la concessione del diritto di mercato che sarebbe andato a scapito di Biella. Le pretese presentate dagli andornesi già verso il 1430 furono all'origine di una lunga disputa con Biella, che in una prima fase ebbe carattere giudiziario: entrambe le parti, infatti, si rivolsero al tribunale dei Savoia che incaricarono loro ufficiali di risolvere la situazione sino all'emanazione di una sentenza favorevole a Biella nel 1469, di un'altra aperta alle richieste di Andorno nel 1484 e infine di una terza ancora favorevole a Biella nel 1486. In questa parte del racconto il testo di Orsi è assai ricco di informazioni e dettagli, anche minuti: compaiono molti nomi di personaggi eminenti tanto di Biella quanto di Andorno e vengono ricordati numerosi ufficiali sabaudi, mentre si ricostruiscono – senza però mai indicare nel testo un riferimento cronologico puntuale – vicende giudiziarie durate per decenni. Il ritmo del racconto rallenta e i dettagli diventano ancora più numerosi nel momento in cui lo scontro da giudiziario diventa militare: vengono ricostruite le varie fasi sempre più aspre della guerra e dei tentativi di giungere a una conciliazione sino alla sconfitta di Andorno per opera dei biellesi fiancheggiati dalle milizie sabaude.

L’opera di Orsi dovette avere una certa circolazione. Si conserva ancora un codice coevo alla stesura, un piccolo manoscritto pergamenaceo di dedica (Torino, Biblioteca nazionale e universitaria, F. IV. 23). Inoltre nel 1680 l’opera venne tradotta e continuata da Giorgio Olivato su richiesta di Tommaso Coppa.

Secondo una tradizione raccolta dagli storiografi biellesi, ma non fondata su evidenze documentarie, Orsi morì nel 1520.

Fonti e Bibl.: F. Gabotto, Biella e i vescovi di Vercelli, in Archivio storico italiano, s. 5, XVIII (1896), pp. 6-8. Repertorium fontium historiae medii aevi, VIII, 3, Roma 2000 p. 416.