RHO, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RHO, Giacomo

Aliocha Maldavsky

RHO, Giacomo. – Nacque a Pavia nel 1592, da Alessandro, giurista, e da Livia Raggia (Raggi).

I Rho erano un’importante famiglia dell’oligarchia milanese le cui origini risalgono intorno al 1430. Erano conti di Borghetto e possedevano anche altri feudi.

Erano parenti dei Borromeo tramite un’alleanza matrimoniale stipulata nel XVI secolo, in quanto Cornelia Rho, figlia di Giovanni Paolo Rho, aveva sposato un figlio di Filippo Borromeo e Francesca Visconti (Casanova, 1930). Soprattutto erano parenti dei Visconti, poiché la nonna di Giacomo era Paola Visconti. Alessandro Rho era un giurista conosciuto, legato ai cardinali Borromeo, e piu precisamente a Federico, con il quale scambiò una corrispondenza regolare anche se non fitta, dal 1587 al 1616. Secondo le schede della Biblioteca Braidense di Milano, sarebbe morto nel 1627 intorno agli 85 anni di età. Un altro suo figlio, Paolo, fratello di Giovanni e Giacomo, fu senatore dal 1610 al 1631. Uno zio dei fratelli Rho ottenne il titolo di cavaliere dell’Ordine di S. Giacomo, prova di nobiltà e di considerazione da parte della monarchia spagnola. La madre di Giacomo Rho, Livia Raggia, apparteneva forse a una famiglia di mercanti liguri stabilitasi a Piacenza nel 1600.

Rho entrò nella Compagnia di Gesù il 24 agosto 1614 (Archivum Romanum Societatis Iesu, Med. 48, c. 97v) e partì per l’Oriente nel 1618 con la spedizione di Nicolas Trigault. Sappiamo da una lettera scritta da Alessandro Rho a Federico Borromeo il 2 luglio 1613, che il padre aveva per lui altri disegni. Alessandro parlava infatti del «clerico Jacomo mio figlio, studiante di teologia in Brera» (Milano, Biblioteca Ambrosiana, G215 INF 278 [542]) e chiedeva per lui un posto nel Collegio Borromeo. Giacomo seguì però un’altra strada.

Spesso la partenza di un giovane come missionario incontrava l’opposizione delle famiglie, soprattutto quando il padre non c’era più. Non sono note le circostanze della scelta di Giacomo Rho per la Cina: in una lettera scritta il 14 giugno 1616, e firmata come fratello perché non era ancora stato ordinato, ringraziava il generale Muzio Vitelleschi di averlo scelto per la Cina, «cosa che molto ho desiderato sino al principio del mio nivitiato» e gli chiedeva tempo per «accomodare le cose di casa», ovvero la rinuncia ai beni di famiglia (Fondo gesuitico, 735, c. 466rv).

Il fratello, Giovanni, invece, scrisse dieci lettere indipetae fra il 1607 e il 1609, ma non partì mai. Secondo Louis Pfister (1932, p. 188), Giovanni Rho era stato designato per partire, ma suo fratello ne prese il posto. Nella sua lettera indipeta del 6 gennaio 1609, il maestro dei novizi della Provincia milanese, Costanzo Borroni, spiegava che il padre dei Rho approvava la partenza di suo figlio.

L’indipeta, ovvero la lettera per sollecitare l’invio in missione, appare come uno spazio di libertà per questi giovani, il cui futuro era spesso sottoposto all’autorità paterna e alle capacità della famiglia di mobilizzare le sue reti sociali (Castelnau L’Estoile, 2007).

Per quanto riguarda la formazione di Rho, la famiglia fu primo luogo di educazione e di devozione, con l’avvio alla conoscenza storica e geografica e la disponibilità dei libri. Le due pubblicazioni in italiano che sono arrivate fino a noi raccolgono lettere scritte da Rho ai membri della propria famiglia, nelle quali raccontava il suo viaggio e la sua esperienza a Goa. In questi scritti, conservati nella Biblioteca Braidense di Milano, egli condivideva una cultura comune con il padre e i fratelli, citando tavole e conoscenze astronomiche, mappe geografiche, segno di un’esperienza domestica animata dalla curiosità verso il mondo.

Il fatto stesso che questa corrispondenza sia stata pubblicata da un tipografo legato alla famiglia – Giovanni Battista Paganello – dimostra che questa non aveva perso il legame con il figlio missionario e riteneva la sua partenza in Oriente come un onore (Lettere del padre Giacomo Rho della Compagnia di Giesù, Milano 1620; Lettera scritta dal padre Giacomo Rho della Compagnia di Giesu da Goa alli 27 Febr. 1621, Milano 1622). Per la Compagnia di Gesù queste lettere servivano da mediazione tra l’Ordine religioso e le élites delle città europee (Maldavsky, 2015).

Quando Giacomo partì per l’Oriente, aveva alle spalle studi di filosofia e teologia e anche un anno di matematica. Lo studio della matematica nella Compagnia di Gesù, malgrado gli sforzi di Cristoforo Clavio durante la redazione della Ratio Studiorum alla fine del Cinquecento, non era autonoma ma faceva parte del curriculum di filosofia. Un insegnamento specifico fu, però, impartito nel Collegio Romano, prova dello sforzo dei gesuiti per partecipare al profondo rinovamento dei saperi nell’Europa moderna (Baldini, 1992; Romano, 2004b). Fu in quel contesto che Rho ricevette una formazione matematica. Ancora studente, sarebbe stato ordinato dal cardinale Roberto Bellarmino a Roma nel 1617, prima della partenza. Imbarcatosi nel 1618 con la spedizione organizzata da Trigault, Giacomo rimase a Goa per finire il ciclo di teologia, poi raggiunse Macao nel 1622, dove partecipò alla difesa della città contro gli olandesi, grandi rivali dei portoghesi in quello scacchiere asiatico.

Si tratta di un episodio celebre della sua biografia: Rho sarebbe stato l’artefice della cannonata che permise di mettere in fuga 800 soldati olandesi e inglesi sbarcati con l’ammiraglio Kormlis van Reyerszoon. La cultura matematica, e forse una formazione militare a Milano, avrebbero permesso a Giacomo di fare il calcolo giusto per il tiro d’artiglieria. L’episodio dimostra soprattutto la partecipazione attiva dei religiosi nella difesa di postazioni portoghesi contro il nemico protestante.

Entrato nel territorio cinese verso l’anno 1624 per partecipare all’evangelizzazzione della provincia dello Shanxi, probabimente accompagnato dal gesuita Lazzaro Cattaneo, Rho imparò in quel periodo la lingua cinese a Jiangzhou con Alfonso Vagnoni. La sua precaria salute – pativa di gotta – gl’impediva di muoversi facilmente e tuttavia il gesuita milanese sarebbe stato all’origine dell’introduzione fra i convertiti cinesi della città della devozione al ‘santo del mese’ (Cervera, 2011, p. 86; Brockey, 2007, p. 383). Conosciuto soprattutto come matematico e astronomo, egli scrisse e tradusse in cinese anche opere di devozione per catecumeni e convertiti: preghiere, le istruzioni spirituali di Teresa di Gesù, commentari sul digiuno e la mortificazione, un trattato sulla vita di Maria.

Rho fu chiamato a Pechino nel 1630 per lavorare alla riforma del calendario imperiale con i gesuiti Johan Adam Schall von Bell e Johann Schreck e il concorso di una ventina di collaboratori cinesi (Romano, 2004a). Durante quest’ultimo periodo della sua vita, si concentrò, con i suoi compagni, nell’attività scientifica, sulla scia di Matteo Ricci, traduttore, con Xu Guangqi, degli Elementi di Euclide, secondo la versione latina di Clavio.

La seconda generazione di matematici gesuiti, alla quale appartenne Giacomo Rho, introdusse in Cina teorie, strumenti e metodi matematici occidentali che furono importanti nel progetto globale della riforma del calendario voluta dai Ming. Rho vi partecipò con la sua traduzione in cinese della Rabdologia di John Napier, matematico scozzese che contribuì allo sviluppo di tavole logaritmiche e di strumenti di calcolo, utili per l’astronomia. La traduzione e l’adattamento di Giacomo Rho di una parte del libro di Napier (Chou Suan) faceva parte della grande collezione di libri di matematica e astronomia compilati per la riforma del calendario da Rho e da Adam Schall, fra il 1631 e il 1635 (Xi Yang Xin Fa Li Shu).

Il doppio, se non triplo, legato bibliografico di Giacomo Rho, composto di opere di religione, di matematica e di lettere di viaggio, disegna la complessità e l’ambiguità dell’attività dei gesuiti in Cina. Religiosi inviati per la conversione al cristianesimo e l’evangelizzazione dei cinesi, Rho e i suoi compagni divennero gesuiti professionisti dell’astronomia per rispondere alla sollecitazione del potere imperiale cinese (Romano, 2004a). I suoi anni nello Shanxi, prima di essere chiamato a Pechino, dimostrano però che sarebbe falso considerarlo solamente matematico. Fu anche un gesuita missionario.

Rho morì nel 1638 e una stele commemorativa fu eretta alla sua memoria con il suo nome cinese, Luo Yagu, nel cimitero detto di Zhalan. Alle sue esequie avrebbero assistito piu di trecento fedeli cinesi.

Opere. La bibliografia più completa dell’opera religiosa e scientifica di Rho è stata compilata recentemente (Cervera, 2011, pp. 97-133) sulla base dei cataloghi delle opere conservate nell’Archivio segreto Vaticano e l’Archivum Romanum Societatis Iesu, a Roma (Yu Dong, 1996; Chan, 2002).

Fonti e Bibl.: Madrid, Archivo histórico nacional, Ordenes militares, Caballeros de Santiago, exp. 6447; Archivio di Stato di Milano, Fondo famiglie, cart. 155; Milano, Biblioteca Ambrosiana, G215 INF, 278 (542); D 103 INF: Dell’origine et progressi della famiglia da Rho milanese (Milano 1620); Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, FG 734, c. 246rv (Indipeta di Costanzo Borroni a Claudio Aquaviva, 6 gennaio 1609); G. Sitoni di Scozia, Theatrum genealogicum familiarum illustrium nobilium et civium inclytae urbis Mediolani, Milano 1705.

Sulle origini: E. Casanova, Dizionario feudale delle provincie componenti l’antico stato di Milano all’epoca della cessazione del sistema feudale (1796). Ducato di Milano…, Milano 1930, p. 144; Id., Nobiltà lombarda. Genealogie, a cura di G. Bascapé, II, Milano 1930, tav. VII; F. Ares, Elenchi dei magistrati patrizi a Milano dal 1535 al 1796, in Archivio storico lombardo, LXXXIV (1957), p. 162; Alberi genealogici delle case nobili di Milano, a cura di C. Manaresi - M.P. Zanoboni - C. Maspoli, Milano 2008, ad nomen.

Biografie, notizie biografiche e bibliografie: A. De Backer - C. Sommervogel, R., Jacques, in Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, 1898, vol. 6, coll. 709-711; L. Pfister, S.I., Le p. Jacques R., in Notices biographiques et bibliographiques sur les Jésuites de l’ancienne mission de Chine. 1552-1773, I, XVIe et XVIIe siècles, Shanghai 1932, pp. 188-191; E. Morpurgo, Nuovi documenti sui Gesuiti in Cina alla memoria di P.G. Coole, in La clessidra, n. speciale, XXVI (1970), pp. 58-61; J. Dehergne, Répertoire des jésuites de Chine de 1552 à 1800, Roma-Paris 1973, p. 430; L. Carrington, R, G., in Dictionary of Ming biography, 1368-1644, a cura di L. Carrington - Zhaoying Fang, II, New York 1976, pp. 1136 s.; Yu Dong, Catalogo delle opere cinesi missionarie della Bibliotheca Apostolica Vaticana : XVI-XVIII secolo, Città del Vaticano 1996; N. Standaert, Handbook of christianity in China, I, 635-1800, Leiden-Boston-Köln 2001, p. 964; A. Chan, Chinese books and documents in the Jesuit archives in Rome. A descriptive cataloque: Japonica-Sinica I-IV, New York-London 2002, p. 626; J.A. Cervera, Las Varillas de Napier en China. G. R., S.J. (1592-1638) y su trabajo como matemático y astrónomo en Beijing, México 2011, p. 375.

Sulla partenza per l’Oriente: E. Lamalle, La propaganda du p. Nicolas Trigault en faveur des missions de Chine (1616), in Archivum Historicum Societatis Iesu, IX (1940), pp. 86 s. e passim; C. de Castelnau L’Estoile, Élection et vocation. Le choix de la mission dans la province jésuite du Portugal à la fin du XVIe siècle, in Notre lieu est le monde. Missions religieuses dans le monde ibérique à l’époque moderne, direzione di P.-A Fabre - B. Vincent, Roma 2007, pp. 21-43; A. Maldavsky, Les familles du missionnaire. Une histoire sociale des horizons missionnaires milanais au début du XVIIe siècle, in Milano, l’Ambrosiana e la conoscenza dei Nuovi Mondi (secoli XVII-XVIII), a cura di M. Catto - G. Signorotto, Milano 2015, pp. 125-160.

Sui gesuiti, sulle matematiche e l’apostolato scientifico in Oriente: I. Iannaccone, G. R.: un astronomo italiano del ’600 in Cina, in Atti dell’VIII Congresso nazionale di storia della fisica, a cura di F. Bevilacqua, Milano 1988, pp. 241-245; U. Baldini, Legem Impone subactis. Studi su filosofia e scienza dei Gesuiti in Italia. 1540-1632, Roma 1992, p. 601; C. Jami - H. Delahaye, L’Europe en Chine: interactions scientifiques, religieuses et culturelles aux XVIIe et XVIIIe siècles, Paris 1993, p. 255; C. Jami, From Clavius to Pardies. The geometry transmitted to China by Jesuits (1607-1723), in Western humanistic culture presented to China by jesuit missionaries (XVII-XVIII centuries), a cura di F. Masini, Roma 1996, pp. 175-199; Ead., Mathematical knowledge in the Chong Zhen Li Shu, in Western learning and Christianity in China. The contribution and impact of Johann Adam Schall von Bell, S. J. (1592-1666), a cura di R. Malek, Nettetal 1998, pp. 661-674; A. Romano, Observer, vénérer, servir. Une polémique jésuite autour du Tribunal des mathématiques de Pékin, in Annales. Histoire, sciences sociales, LIX (2004a), 44, pp. 729-756; Ead., Réflexions sur la construction d’un champ disciplinaire: les mathématiques dans l’institution jésuite à la Renaissance, in Pedagogica historica, 2004b, vol. 40, n. 3, pp. 245-259; L.M. Brockey, Journey to the East: the Jesuit mission to China, 1579-1724, Cambridge 2007, p. 496; F.C. Hsia, Sojourners in a strange land: Jesuits and their scientific missions in Late Imperial China, Chicago 2009, p. 273.

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