ROSPIGLIOSI, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROSPIGLIOSI, Giacomo

Irene Fosi

– Nacque a Pistoia da Camillo e da Lucrezia Cellesi il 29 dicembre 1628, quartogenito di diciassette fratelli.

Da quando Giulio Rospigliosi, il futuro Clemente IX, suo zio, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica a Roma, protetto dai Barberini, si aprirono anche per i suoi nipoti possibilità di lasciare la nativa Pistoia per completare la formazione e profittare della sua posizione nella Curia romana. Nel 1641 Rospigliosi raggiunse lo zio a Roma, dove studiò diritto fino al 1643. Con la nomina, nella primavera del 1644, di Giulio a nunzio in Spagna, Rospigliosi insieme con il fratello Girolamo si unì al suo seguito a Civitavecchia. Durante il periodo della nunziatura (1644-53) completò la sua formazione prima presso i gesuiti, poi si addottorò in diritto canonico presso l’Università di Salamanca con il maestro in teologia Martín de Villa Gutierrez (6 luglio 1648: la data è riportata in Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 13637, c. 182).

Nelle sue lettere ai familiari, fonte preziosa per ricostruire i rapporti con il fratello e i nipoti, il futuro Clemente IX decantava sia l’abilità diplomatica sia le doti letterarie di Rospigliosi. In una lettera del 1° febbraio 1648 al fratello Camillo, il nunzio scriveva che il nipote «ha bellissimo ingegno, applicatione e buona volontà accompagnata da gentilezza e cortesia straordinaria per le quali parti è amatissimo e stimato sopra modo in Salamanca come anche in questa Corte e [...] spero che in simile sarà in ogni luogo e che sia per fare un’ottima riuscita con sodisfattione di tutti» (13366, c. 28v cit. in Negro, 2007, p. 97 nota 11). Il 17 aprile dello stesso anno, scrivendo ancora al fratello Camillo, annunciava che Rospigliosi «il prossimo mese si graduerà in Salamanca dove hora continua i suoi studi con la solita applicatione con lode universale [...] L’Abate» – Rospigliosi aveva avuto il titolo di abate di S. Maria – «per quello che hora lascia intendere ha intentione di non lasciare l’abito Ecclesiastico» (cc. 48 ss., cit. in Negro, 2007, p. 97 nota 10).

La morte del fratello Girolamo, nel 1647, lo aveva lasciato solo ad affiancare lo zio nell’azione diplomatica presso la corte spagnola, in un momento in cui si intrecciavano complesse problematiche legate sia alle conseguenze delle rivolte catalana e portoghese, sia alle difficili trattative di pace che si svolgevano a Münster. Rospigliosi si dimostrò un accorto consigliere del nunzio che, in occasione del suo viaggio a Saragozza, gli affidò il compito di vicegerenza degli affari della nunziatura. Con il ritorno a Roma dello zio, egli entrò nella corte del cardinale Flavio Chigi come maestro di camera. Per le sue doti letterarie ormai conosciute e apprezzate anche nel Sacro Collegio, gli fu affidato il compito di pronunciare l’Oratio De subrogando Summo Pontifice, in cui, pur nella retorica d’occasione, ricordava i gravi impegni per il futuro successore di Pietro, sottolineando in particolare la necessaria difesa della cristianità contro i turchi e gli eretici.

Dopo la questione dei soldati corsi (20 agosto1662) che mise in aperto conflitto Alessandro VII con Luigi XIV, Rospigliosi, su richiesta di Flavio Chigi, raggiunse nel proprio palazzo l’ambasciatore francese Charles III de Blanchefort, duca di Créquy, per ricomporre il dissenso e cercare una possibile riconciliazione che non umiliasse il pontefice. Considerata la buona riuscita della mediazione, venne inviato dal papa a Parigi per preparare il viaggio del cardinal nipote come legato a latere presso Luigi XIV e, soprattutto, per esporre e difendere le posizioni pontificie. Il 5 maggio 1664 annunciò al re, a Fontainbleau, il prossimo arrivo del cardinale Flavio Chigi. Si impegnò a trattare le questioni relative a Castro, che il papa aveva dovuto disoccupare concedendo la dilazione di otto anni al duca di Parma, all’esecuzione del trattato di Pisa del febbraio 1664; cercò inoltre di ottenere la revoca, poi accordata, dell’obbligo per i sudditi del Contado Venassino e di Avignone, di pagare tasse demaniali e sulle manifatture seriche. Di fatto Rospigliosi trattò soprattutto con Hugues de Lionne che delle richieste dette poi, con toni anche ironici, ampio ragguaglio (Mémoires de Monsieur de Lionne au Roy..., 1668, pp. 35-57).

Tornò altre due volte a Parigi per risolvere le questioni sospese relative alla pace tra Francia a Spagna e al riconoscimento dell’indipendenza portoghese e avviare la cosiddetta pace clementina che avrebbe, di fatto, sfumato le tensioni con la Francia. Già nel dicembre 1664 si parlava a Roma della sua nomina a internunzio a Bruxelles come successore di Girolamo De Vecchi, che lo avrebbe atteso per consegnargli, come da prassi, una istruzione. La sua partenza per Bruxelles fu differita, a causa dell’impegno a Parigi per continuare la mediazione con il sovrano in favore delle richieste pontificie.

La funzione di internunzio a Bruxelles – che Rospigliosi ricoprì dal 14 giugno 1665 al 12 luglio 1667 – rivestiva un significato politico di rilievo in una posizione di frontiera: si trattava non solo di difendere l’ortodossia romana nei confronti del giansenismo, ma anche di osservare le condizioni dei cattolici in Inghilterra, di vigilare sugli affari di Scozia, Danimarca, Irlanda, delle Provincie Unite e persino dei Paesi scandinavi.

Non mancarono problemi con le locali istituzioni, come mostra il conflitto con il rettore dell’Università di Lovanio che aveva proibito il libro di Nicolas Du Bois: Rospigliosi dichiarò nulla la proibizione considerandola lesiva dell’autorità ecclesiastica (Sopra la condanna..., 1668). Durante la sede vacante seguita alla morte di Alessandro VII, era ancora internunzio a Bruxelles quando Luigi XIV invase le Fiandre dando inizio alla guerra di devoluzione: nel suo viaggio di ritorno a Roma si era fermato a Parigi, dove gli fu consegnato un memoriale (31 luglio 1667) redatto da Angelica Arnauld, per chiedere al papa di intercedere a favore delle consorelle di Port- Royal, ma a causa di una malattia dovette fermarsi presso il duca di Savoia prima di ripartire per Roma.

Fu nominato protonotario apostolico partecipante il 28 ottobre 1667 e creato cardinale prete con il titolo di S. Sisto il 12 dicembre successivo. Pur nella parsimonia che distinse la politica di Clemente IX verso i familiari, al cardinal nepote furono conferiti numerosi benefici fra cui una commenda sul monastero benedettino di S. Crispolto a Bettona e diversi altri elencati, non senza imprecisioni, nei regesti e appunti tratti dall’archivio familiare (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 13637). Mantenne rapporti con la città natale, sebbene i suoi concittadini si attendessero da lui, come dagli altri esponenti della sua famiglia, maggiori favori, soprattutto per intraprendere carriere nella corte romana. In qualità di cardinal nipote e grazie alla sua esperienza diplomatica, affiancò il cardinale segretario di Stato Decio Azzolini.

Fu nominato arciprete della basilica di S. Maria Maggiore (14 gennaio 1667) sulla quale ebbe una commenda; nello stesso anno cambiò il titolo cardinalizio con quello dei Ss. Giovanni e Paolo. Ricoprì diversi incarichi di governo nello Stato pontificio: fu nominato, il 24 gennaio 1668, governatore di Capranica e Tivoli per tre anni, poi di Fermo (10 gennaio 1668) per un triennio e legato di Avignone (30 gennaio 1668-70). Fu protettore dei minimi, dei ministri degli infermi (1° febbraio 1668), intervenendo soprattutto nel sollecitare il processo di beatificazione di s. Camillo de Lellis, divenendone ponente il 21 gennaio 1665, ma anche nel disciplinare le norme che regolavano l’elezione dei provinciali. Fu protettore dei cappuccini, per i quali si adoperò affinché la custodia della Campania fosse trasformata in provincia (25 gennaio 1679); prefetto della Segnatura di Grazia (20 dicembre 1667) e, come cardinal nipote, fu nominato sovrintendente dello Stato ecclesiastico. Con altri porporati, nel luglio del 1667, fece parte di una congregazione incaricata di trattare la questione giansenista.

Sempre stretti furono i suoi rapporti con i Barberini e in particolare con il cardinale Antonio, al quale ricordava, in occasione della sua promozione al cardinalato, «quanta parte delle mie fortune io deva alla grande, e santa memoria di Papa Urbano, a V.a Em.a et a tutta la sua Ecc.ma Casa» (Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 8789, c. 137r, Roma, 13 dicembre 1667). Antonio Barberini aveva resignato in favore di Rospigliosi sia la carica di arciprete di S. Maria Maggiore sia l’abbazia di S. Lorenzo fuori le Mura e per questi «eccessi di generosità» fu caldamente ringraziato in una lettera del 20 dicembre 1667, «sottolineando il debito indelebile» verso il nipote di Urbano VIII (c. 139r). Proprio in virtù di questi legami con i Barberini e per i rapporti intessuti in precedenza con la corte di Luigi XIV, Rospigliosi fu sempre fautore di una linea morbida anche nei confronti dei vescovi francesi che rifiutavano il formulario imposto da Roma. Il 14 luglio 1668 scrisse al nunzio in Francia Pietro Bargellini, perché invitasse i quattro vescovi di Alet, Pamiers, Anger e Beauvais a sottoscrivere «sinceramente» tale formulario (Pastor, 1961-1962, XIV, 1, pp. 578-605). Dovette però rivedere la sua posizione conciliante per aver constatato che le sottoscrizioni dei quattro ordinari non erano sincere e che, anche con la conclusione della cosiddetta pace clementina, non si poteva accettare l’equiparazione del papa al re come mostrava una «scandalosa medaglia» celebrativa di questa raggiunta pacificazione (p. 605 nota 6).

Partecipò insieme con alcuni teologi e cardinali alla congregazione voluta dal papa per esaminare la questione del matrimonio fra la regina di Portogallo Maria Francesca Savoia-Nemours e il principe Pedro, sollecitato dal gesuita François de Ville, confessore della regina inviato a Roma, e da una serie di memorie che illustravano e difendevano la legittimità di tale unione. Il suo ruolo fu inoltre decisivo nel far risolvere, con un indulto, l’annosa questione della nomina dei vescovi nella restaurata monarchia portoghese e nel suo impero. Per dimostrare la sua posizione in favore della monarchia lusitana si impegnò ad approvare la regolarità dei processi precedentemente celebrati (1641 e 1665) per la canonizzazione di Ignatio de Azevedo e dei trentotto martiri gesuiti, fortemente sollecitata dal principe Pedro, anche con l’invio a Roma del padre António Vieira.

Durante le ultime fasi disastrose della guerra di Candia, fece parte con altri cardinali di una congregazione per costituire una lega santa per difendere l’isola, dopo il ritiro delle truppe francesi, ma il tentativo fu vanificato dalla caduta di Candia (9 settembre 1669) e dall’armistizio concluso dai veneziani. Alla morte di Clemente IX raggruppò intorno a sé alcuni cardinali, ma in numero insufficiente per pesare sul conclave, nel quale si schierò con i partiti guidati dai cardinali Barberini e Azzolini; poi, insieme anche con Flavio Chigi, dette l’assenso per l’elezione del cardinale Emilio Altieri. Ottenne in commenda nel 1670 l’abbazia di Nonantola, che visitò due volte. Nell’anno santo 1675, come legato a latere, aprì e chiuse solennemente la porta santa della basilica di S. Maria Maggiore. Durante il pontificato di Innocenzo XI spinse la duchessa Maria Giovanna Battista di Savoia a intervenire presso Luigi XIV nella questione dei quattro articoli della Chiesa gallicana, mentre lui stesso si adoperava a Roma nelle trattative con il cardinale César d’Estrées. Quando Innocenzo XI, con la bolla del 12 maggio 1687, volle abolire la libertà di quartiere, minacciando i trasgressori di incorrere nelle censure previste dalla bolla In Coena Domini, il risentimento di Luigi XIV non si fece attendere e fu inviato a Roma il nuovo ambasciatore francese Henri de Beaumanoir, marchese de Lavardin, con precise istruzioni di ripristinare e mantenere tutta l’ampiezza del quartiere francese e le sue libertà. Ancora una volta Rospigliosi si propose come mediatore alla ricerca di un compromesso, insieme con il cardinale Alderano Cibo e al rappresentante di Venezia a Roma, Girolamo Lando. Si mostrò favorevole, come il cardinale Altieri, all’emanazione della bolla contro il nepotismo.

Protagonista, sebbene senza eccessi, della vita letteraria romana, seppe coniugare i suoi interessi e le capacità poetiche con gli impegni nelle numerose congregazioni di cui fece parte. Molte le opere a lui dedicate fra cui L’eroe coronato oratione panegirica (1668) del vallombrosano Arsenio Barboni. Autore di rime e di melodrammi come Dal male il bene e anche di altri testi teatrali attribuiti a Giulio Rospigliosi. Abitò in Vaticano fino al 1672 quando, con altri membri della sua famiglia, si traferì nel palazzo Ludovisi a S. Lorenzo in Lucina.

Morì a Roma il 12 febbraio 1684 e fu sepolto nella basilica di S. Maria Maggiore, fra i canonici della stessa basilica. La lapide sulla sua tomba fu posta nel 1748.

Che Rospigliosi fosse, di fatto, il protagonista dell’ascesa e del consolidamento familiare a Roma, anche dopo la morte di Clemente IX, si deduce osservando le vicende dei fratelli Felice e Giovan Battista.

Felice era nato a Pistoia e fu là battezzato il 9 febbraio 1639. Ricoprì diversi incarichi nel governo dello Stato pontificio: fu vicelegato di Ferrara e di Avignone e internunzio a Bruxelles. Nel 1669 fu ammesso come cavaliere di giustizia nell’Ordine di Malta. Per la relativa parsimonia di Clemente IX nel beneficiare i nipoti con il cardinalato, per la presenza nel Sacro Collegio di Giacomo ma soprattutto per non dispiacere alle ambizioni francesi, Felice cedette a César D’Estrée la precedenza nella nomina cardinalizia. Clemente X lo creò cardinale diacono il 16 gennaio 1673 con il titolo di S. Maria in Portico (27 febbraio 1673), cambiato poi con quelli di S. Angelo in Pescheria (17 luglio 1673), di S. Eustachio (12 gennaio 1685), di S. Maria in Cosmedin (1° ottobre 1685) e, infine, di S. Agata dei Goti (30 settembre 1686) che mantenne fino alla morte. Come il fratello, fu membro di diverse congregazioni, fra cui quella del Concilio e dei Vescovi e Regolari e delle Immunità e protettore dei cappuccini. Il 4 maggio 1678 presiedette il XV Capitolo generale dei ministri degli Infermi. Godette di diversi benefici, fra i quali l’abbazia di S. Sebastiano dei benedettini nella diocesi di Locri (1676); la badia di S. Ginesio e Mauro a Brescello, nel Parmense (1678), la commenda di S. Giovanni in Silva a Montefiascone (1679). Favorevole all’elezione di Innocenzo XI, si distinse per la sua passione per la musica e il teatro – nel 1678 gli fu conferita la protezione dei musici della cappella pontificia – per le lettere, ma soprattutto per la matematica. Alla morte di Giacomo gli successe nella carica di arciprete di S. Maria Maggiore e nel possesso di diversi benefici nel Pistoiese. Morì a Roma il 9 maggio 1688 e fu sepolto in S. Maria Maggiore, divenuta ormai mausoleo di famiglia.

Anche le sorti dell’ultimogenito Giovan Battista furono guidate dall’abilità diplomatica di Rospigliosi. Indicato in diverse opere (cfr. Moroni, 1852, pp. 162 s.) come pronipote di Clemente IX, nacque a Pistoia e fu battezzato il 23 giugno 1646, ebbe l’onere di perpetuare la discendenza dopo la morte del fratello Tommaso (1669) con un matrimonio che arricchisse le fortune familiari che la politica austera del papa e la situazione generale dello Stato non avevano permesso di impinguare. Il padre Camillo aveva individuato nella ricca dote di Maria Camilla Pallavicini una concreta possibilità di consolidare le fortune familiari, ma i Pallavicini richiedevano l’acquisto di un feudo e un cappello cardinalizio per Lazzaro, zio della sposa: matrimonio e cardinalato erano strettamente legati e «non si può fare l’uno senza l’altro», come si osservava a Roma (Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 6403, c. 416v, 30 nov. 1669, cit. in Roberto, 2004, p. 100 nota 221). A differenza del fratello, Clemente IX cercava di incrementare i possessi dei suoi congiunti nel Pistoiese e in altre parti del Granducato e avrebbe preferito il matrimonio con una Chigi, secondo una strategia che aveva visto potenziare la presenza toscana nel Sacro Collegio e doveva tradursi, anche su consiglio di Bernini, nell’acquisto dell’incompiuto palazzo Ludovisi a Monte Citorio, situato proprio a fianco di palazzo Chigi. Fu invece il lavoro diplomatico del cardinale Giacomo a far concludere il parentado con i Pallavicini che, fino ad allora, erano stati «trattati da mercanti, che vuol dire, con cautele infinite» (Roberto, 2004, p. 100 nota 218). Il matrimonio veniva rinviato e c’era pericolo che, con la morte del papa, fallisse il piano delle nozze.

Per aumentare il prestigio del figlio, Camillo gli trasferì la carica di generale di Santa Chiesa (30 agosto 1667). Giovan Battista fu nominato governatore di Benevento, poi castellano di Ascoli e Perugia (23 dicembre 1667) e governatore di Borgo (31 agosto 1669), carica ricoperta dal fratello Tommaso morto quell’anno. Giovane e di bell’aspetto, Giovanni Battista non era entusiasta del matrimonio con Camilla Pallavicini, sgraziata, brutta e «quel che è peggio Genovese», come commentava un avviso del 30 novembre 1669 (Roberto, 2004, p. 126 nota 23). Grazie al cardinale Giacomo e all’intermediazione del nunzio Federico Borromeo, i Rospigliosi acquistarono diverse proprietà, approfittando delle precarie condizioni finanziarie dei Ludovisi: oltre al palazzo già in affitto in S. Lorenzo in Lucina, nel 1670 comprarono il feudo di Zagarolo. Rospigliosi ambiva soprattutto al possesso della villa pinciana dei Ludovisi con la preziosa collezione di statue. Il matrimonio fu celebrato il 17 gennaio 1670, ma la situazione finanziaria, dopo la morte del papa, era fortemente debitoria (circa 855.000 scudi) e Giovan Battista fu costretto a vendere le statue e suppellettili della villa di porta Pinciana. Alla morte del cardinale Lazzaro Pallavicino (1680) unica erede fu Maria Camilla che, in virtù di un fedecommesso istituito dallo zio, portò ai Rospigliosi, insieme con l’obbligo di unire al proprio il nome Pallavicini, il principato di Gallicano e i marchesati di San Cesareo e Colonna. Con la somma lasciata dal cardinale Lazzaro, la nipote fondò posti per lo studio del diritto, destinate a giovani genovesi e pistoiesi.

Amante dei teatri, frequentatore di accademie, Giovan Battista morì a Roma il 21 luglio 1722.

Fonti e Bibl.: L’Archivio Rospigliosi, ora in Archivio segreto Vaticano, è stato in gran parte danneggiato da un incendio. Fra la documentazione consultabile si segnalano: bb. 251, 1101: Registro di lettere di cambio ed altro spettanti al card. G. R.; 1105: Rincontro del banco del card. G. R.; b. 1112: Registro di mandati del card. G. R.; b. 1114: Eredità della fe.me. del card. G. R.; bb. 1116-1117: Registro di polizze e ordini del card. F. R.; b: 253: Giornale di contabilità del card. Felice Rospigliosi; bb. 1229-1233: Minute di lettere del card. G. R; b. 1239: Lettere di vari personaggi al card. G. R.; Archivio segreto Vaticano, Nunziatura di Fiandra, nn. 51-53; Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 8789; 6450: Diario dell’anno 1668 (notizie varie sulla città e curiosità e ironie sulla corte e cardinali); Vat. lat., 13637, 13366, 13373, 13374; Chigi, IV, 167 (3): Decretum D. Magnifici rectoris Lovaniensis et libelli supplices adversus illud exhibuit, 1668 (Sopra la condanna e la revoca d’un libro di Nicolas Du Bois); Mémoires de Monsieur de Lionne au Roy..., s.l. 1668, pp. 35-57; L’eroe coronato oratione panegirica in lode dell’eminentissimo G. R..., Pistoia 1668; Congregatione Sacrorum Rituum sive Em.o ac Rev.mo D. Card. Rospigliosio Brasiliensis Canonisationis, sive declarationis Martirij servorum Dei Ignatij Azevedi, et Triginta octo Sociorum e Societate Iesu..., Romae 1670-1671; R. Registrum Scripturarum della procura generale dell’ordine cappuccino, 1650-1688, a cura di G. Avarucci, Roma 2015, pp. 282, 388, note 513, 554. L. Cardella, Memorie de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, VII, Roma 1793, pp. 186-188; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LIX, Venezia 1852, pp. 162-168; L. Karttunen, Les nonciatures apostoliques de 1650 à 1800, Genève 1912, p. 258; J. Lefèvre, Documents rélatifs à la jurisdiction des nonces et internonces des Pays-Bas pendant le régime espagnol (1596-1706), Bruxelles-Rome 1943, p. 303; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 1-2, Roma 1961-1962, ad ind.; G. Beltrami, Notizie su prefetti e referendari della Segnatura apostolica desunti dai brevi di nomina, Città del Vaticano 1972, p. 12; P. Sannazzaro, Storia dell’Ordine Camilliano (1550-1699), Torino 1986, ad ind.; S. Roberto, Gianlorenzo Bernini e Clemente IX Rospigliosi. Arte e architettura a Roma e in Toscana nel Seicento, Roma 2004, ad ind.; A. Negro, La collezione Rospigliosi: la quadreria e la committenza artistica di una famiglia patrizia a Roma nel Sei e Settecento, Roma 2007, ad ind.; O. Poncet, La politica dell’indulto. Diplomazia pontificia, rivoluzione portoghese e designazioni episcopali (1640-1668), in Gli archivi della Santa Sede come fonte per la storia del Portogallo in età moderna. Studi in memoria di Carmen Radulet, a cura di G. Pizzorusso et all., Viterbo 2012, p. 86, n. 66; E. Tamburini, Gian Lorenzo Bernini e il teatro dell’arte, Firenze 2012, pp. 65, 149.

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