PINTOR, Giaime

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PINTOR, Giaime

Andrea Landolfi

PINTOR, Giaime. – Nacque a Roma il 30 ottobre 1919, da Giuseppe e da Adelaide Dore, in una famiglia della buona borghesia sarda.

Il padre (1889-1941), quinto e ultimo figlio di un medico, da Cagliari si era trasferito presto a Roma dove, dopo la morte dei genitori, crebbe sotto la guida della sorella e del fratello maggiori, Francesca e Fortunato, i quali ebbero poi un ruolo importante anche nella formazione di Giaime; entrato nella burocrazia statale, nel 1918 sposò Adelaide Dore (1890-1973), figlia di un ingegnere cagliaritano: univa i due giovani una particolare sensibilità artistica, che entrambi dovettero sacrificare alle ragioni della vita. Nel 1925, dopo anni di continui trasferimenti che videro spesso il piccolo Giaime ospite per lunghi periodi nella casa romana degli zii paterni, Giuseppe e Adelaide si stabilirono a Cagliari, con la famiglia che nel frattempo si era accresciuta: nel 1921 era nata la secondogenita, Silvia (morta nel 2001) e, poco prima del trasferimento, nel 1925, Luigi; l’ultimogenita, Antonietta, nacque nel 1928.

Nella «strana e amatissima casa […] inerpicata come per caso tra rose e cespugli di capperi, alta e solitaria sulla città» (Pintor, 1998, p. 17) i ragazzi Pintor vissero un’infanzia serena all’insegna della libertà, della luce e del mare, di avventure e di giochi sfrenati. Ma accanto a questa dimensione ‘naturale’ conviveva fin già dai primissimi anni, in Giaime, una particolare propensione per le storie e la storia.

Questa passione precoce mette in luce un tratto decisivo del carattere del futuro intellettuale, quello di una curiosità vorace che, insofferente di vincoli e limitazioni, aspira a possedere integralmente i campi sui quali si esplica. Così si esprimeva il diciassettenne in alcune frammentarie annotazioni retrospettive: «Sentivo molto tutte le privazioni di libertà […]. Certo leggevo moltissimo […]: fra i sei e i quindici anni credo di aver letto tutto quello che è stato scritto per ragazzi» (p. 8).

Curiosità e insofferenza, gioia della lettura e voglia di crescere in fretta contraddistinsero anche gli anni del ginnasio, nei quali il pensum scolastico veniva sbrigato parallelamente a una diuturna attività di studi e letture liberamente scelti.

Nel 1935 Pintor vinse la prima battaglia per la propria autonomia ottenendo di poter lasciare l’isola e trasferirsi a Roma, a casa degli zii Francesca e Fortunato, per terminare il liceo in un ambiente culturalmente più stimolante. Documento di quella prima affermazione di sé è una lettera al padre in cui il sedicenne, pur nell’ossequio dichiarato al dogma dell’obbedienza filiale, perora la propria causa con intelligenza politica non inferiore all’abilità retorica (pp. 10 ss.). Anche se in parte deluso nelle proprie aspettative, a Roma Pintor ebbe modo di ampliare i suoi orizzonti soprattutto grazie agli zii, la cui casa era una sorta di approdo sicuro di una variegata intellighenzia che intratteneva con il regime i rapporti più disparati. Tra gli ospiti abituali vi era infatti Giovanni Gentile – al quale Fortunato Pintor, di là dalle divergenze politiche, fu legato da un’amicizia profonda – ma anche esponenti giovani e meno giovani della fronda al fascismo. E proprio a casa degli zii Pintor strinse un’amicizia fraterna con Lucio Lombardo Radice, che lo proiettò nella cerchia dei cosiddetti ‘giovani comunisti romani’ (Antonio Amendola, Paolo Bufalini, Aldo e Ugo Natoli e via enumerando).

Il dato più evidente di questa fase della vita del giovane è, ancora una volta, la curiosità: pur tenendosi lontano da ogni attività ‘sovversiva’ frequentò assiduamente il piccolo gruppo; contemporaneamente, seppur sempre in modo ironico e distaccato, partecipò al clima generale degli anni del consenso al fascismo. Intanto procedeva, come sempre in modo autonomo, nelle letture e negli studi, dedicandosi approfonditamente al tedesco, che aveva iniziato a studiare già a Cagliari. Nel 1936, spinto dalla consueta insofferenza, decise, contro il parere della famiglia, di saltare l’ultimo anno di liceo e sostenere l’esame di maturità come privatista; promosso a pieni voti trascorse l’estate a Cagliari, tra progetti e letture (Candide, Werther, il Viaggio in Italia definito in una lettera agli zii «libro fra i più noiosi che mai uomo abbia scritto», cit. in Calabri, 2007, p. 37) finché, una volta tornato a Roma, si iscrisse, per mere ragioni di praticità, alla facoltà di giurisprudenza.

Libero dagli obblighi scolastici riprese con maggiore impegno il proprio programma di letture e approfondimenti, il cui ventaglio divenne via via sempre più ampio: accanto allo studio delle lingue, cui ormai attendeva da solo, le letterature europee, la filosofia, la storia, la politica. Pur continuando a mantenere un atteggiamento di ironica distanza nei confronti delle attività obbligatorie di esercitazione e istruzione paramilitare, partecipò attivamente, insieme con molti altri coetanei in seguito confluiti nell’antifascismo militante, ai Littoriali. E fu proprio grazie a queste manifestazioni, in cui appariva evidente il tentativo di sottomettere le ragioni della cultura a quelle dell’ideologia dominante, che Pintor iniziò a maturare dentro di sé un distacco sempre più marcato e radicale dal fascismo e dalle sue liturgie collettive. Contribuirono a questo processo, oltre all’addensarsi di ombre sempre più cupe sulle sorti dell’Europa, altre fondamentali amicizie, come quelle con Manlio Mazziotti, Jader Jacobelli, Mischa Kamenetzky (quest’ultimo dopo la guerra adottò, anche in omaggio alla memoria dell’amico scomparso, il nome Ugo Stille, con il quale entrambi avevano firmato alcuni articoli). Nell’aprile 1938, meno di un mese dopo l’Anschluß, nella rivista Il Frontespizio apparve la sua prima traduzione rilkiana.

La coincidenza, evidentemente casuale, dà tuttavia la misura dell’atteggiamento ‘difensivo’ del giovane intellettuale, il quale da una parte cercava di non farsi distogliere dai suoi studi dai venti di guerra, e dall’altra, con la scarna modernità delle proprie versioni, proponeva un Rilke ‘nuovo’, lontano anni luce tanto dallo stile ‘dannunziano’ delle traduzioni di Vincenzo Errante, quanto, e soprattutto, dalla autorappresentazione anche ‘poetica’ dello hitlerismo trionfante.

A quel primo componimento, intitolato Annunciazione, seguirono diverse altre versioni del poeta praghese, soprattutto dai Sonetti a Orfeo, che confluirono nel volume Poesie, pubblicato da Einaudi nel 1942. All’intensa attività di traduttore, che forse davvero rispondeva all’esigenza inconfessata di dare voce a un mondo tedesco diverso da quello ufficiale (versioni da Arnim, Tieck, Kleist, Hesse, Hofmannsthal, Trakl, Jünger e altri), Pintor affiancò una sempre più nutrita attività di pubblicista, scrivendo tra il 1939 e il 1942 una quantità di recensioni e articoli di argomento soprattutto letterario, ma anche politico e di costume, sulle riviste più importanti dell’epoca, da Oggi a Primato, da Letteratura a Leonardo.

L’entrata in guerra dell’Italia fu registrata nel suo diario con sconcertante freddezza: «Così ci unimmo alla fiumana di persone che si avviava a Piazza Venezia. […] Il discorso fu breve e poi tutto quel popolo chiassoso e felice si riversò nelle strade e corse al Quirinale a salutare il Re. Noi seguimmo perplessi il movimento della folla, guardando i volti eccitati delle donne e godendo lo splendido crepuscolo di giugno. Così questo fatto atteso e temuto era entrato nella nostra vita…» (Doppio diario, a cura di M. Serri, 1978, p. 72). Pochi giorni dopo, non ancora ventunenne si laureò e il 1° luglio partì alla volta di Perugia, per raggiungere il proprio reggimento. Quei primi mesi di servizio militare e di guerra ‘invisibile’ il giovane ufficiale li trascorse in un’atmosfera sostanzialmente serena («Qui a Perugia sanno appena che c’è la guerra, e la tradizione papalina gliela deve far apparire come un fatto in fondo trascurabile», p. 75); risalgono ad allora anche due incontri decisivi, con Filomena d’Amico, cui lo legò una complicata amicizia amorosa (l’epistolario tra i due giovani, pubblicato nel 2000, costituisce una testimonianza fondamentale sui rapporti, le tensioni, le attese di quella generazione negli anni della guerra), e con la tedesca Ilse Bessel, il grande amore cui Pintor dedicò il volume einaudiano delle poesie di Rilke. Ma a quel primo impatto indolore con l’istituzione militare seguì ben presto un’irritazione crescente, il senso divorante di essere privato della propria libertà e del proprio tempo, il desiderio di sottrarsi in qualunque modo all’inazione («Il dovere di vivere con uomini che non si stimano […]. Il tempo si perde stupidamente in questioni senza valore […]. Essere in Grecia almeno servirebbe a qualche cosa», p. 82).

La tragica morte, in un incidente aereo dai risvolti mai chiariti, dello zio Pietro Pintor, generale e presidente della Commissione di armistizio con la Francia, impose un diverso corso alla vita di Giaime. Su intervento di alcuni colleghi del generale egli fu infatti trasferito a Torino presso la Commissione, una sorta di sinecura che se da un lato fu vissuta dal giovane con sempre maggiore frustrazione (tanto da pensare seriamente, ancora nel 1942, di fare domanda per essere mandato sul fronte orientale, p. 171), dall’altra gli concesse due anni e mezzo di straordinario fervore intellettuale, grazie soprattutto all’amicizia con Felice Balbo e Cesare Pavese e al sodalizio con la casa Einaudi.

Negli articoli di quegli anni la riflessione sul mondo culturale tedesco, iniziatasi già nel 1940 con la recensione, apparsa in Primato, Un’antologia tedesca (in Il sangue d’Europa, a cura di V. Gerratana, 1950, p. 59), nella quale con piglio coraggioso e deciso si negava qualsiasi valore artistico alla produzione poetica nata sotto l’ala del Partito nazista, si sostanzia, nel Commento a un soldato tedesco e in altri articoli di analogo tenore, fino a investire la psicologia di una intera generazione che con voluttà si stava annullando nel grande organismo collettivo della guerra (p. 73). All’ottobre 1942 risale invece l’articolo, rifiutato da Primato, scritto all’indomani del Convegno dell’Unione degli scrittori europei che si era tenuto a Weimar, e al quale Pintor si era recato in veste ufficiale insieme con Elio Vittorini. Di là dalla polemica postuma sulla partecipazione dei due intellettuali a quella tarda e sinistra ostentazione di potenza del declinante nazionalsocialismo (cfr. Serri, 2002; Calabri, 2007, pp. 353-355), è utile registrare, e mettere sul conto della irreprimibile curiosità e irrequietezza pintoriane, la frase di una lettera ai familiari del 16 ottobre: «Gli scrittori europei adunati a Weimar costituivano la più numerosa assemblea di cretini che io abbia vista riunita, ma il viaggio e il soggiorno in Germania sono stati egualmente interessanti» (Doppio diario, cit., 1978, p. 173).

Ma quanto più le riflessioni sulla guerra e sul fascismo si andavano precisando e radicalizzando, tanto più stretta si faceva la collaborazione con la Einaudi, di cui Pintor divenne uno fra gli elementi di punta. L’energia e l’ampiezza di orizzonti del giovane consulente editoriale appaiono oggi straordinarie e fanno presagire quale importante ruolo egli avrebbe potuto assumere nel panorama culturale postbellico. All’indomani del 25 luglio, appena rientrato da Vichy dove era stato trasferito mesi prima presso la missione italiana, tornò a Roma, dove rimase fino al settembre, lavorando senza sosta al progetto einaudiano di una testata giornalistica e intessendo relazioni a tutti i livelli in una sorta di ruolo di collegamento tra le sfere militari e i partiti antifascisti. Dopo aver partecipato agli scontri a Porta San Paolo (cfr. la testimonianza di Aldo Natoli, in Giaime Pintor e la sua generazione, 2005, pp. 323 s.), l’11 settembre partì per il Sud, raggiunse fortunosamente Brindisi, dove trascorse «dieci pessimi giorni presso il Comando Supremo» (Il sangue d’Europa, cit., 1950, p. 185), e di lì, dopo aver disertato, Napoli, dove con l’appoggio di Croce si stava cercando di costituire un corpo di volontari, i Gruppi combattenti Italia, da affiancare agli Alleati. Fallito anche questo progetto, con Aldo Garosci e Dino Gentili decise di riattraversare le linee per raggiungere e organizzare i gruppi armati che operavano a sud di Roma.

Tuttavia la spedizione, organizzata di concerto con gli Alleati, ebbe un tragico esito: Giaime Pintor rimase ucciso, infatti, il 1° dicembre 1943 a Castelnuovo al Volturno in seguito allo scoppio di una mina.

Il suo ultimo scritto, l’intensa e lucidissima lettera al fratello Luigi (pp. 185 ss.), divenne un manifesto dell’epica resistenziale, ciò che contribuì, fino in anni recenti, a fare di Pintor una sorta di icona, e almeno in parte a ridurne e falsarne la complessa personalità.

Opere. Il sangue d’Europa (1939-1943), a cura di V. Gerratana, Torino 1950-19772); Doppio diario 1936-1943, a cura di M. Serri, Torino 1978; G. Pintor - F. d’Amico, C’era la guerra. Epistolario 1940-1943, a cura di M.C. Calabri, Torino 2000.

Fonti e Bibl.: Per una bibliografia esaustiva degli scritti di Pintor e per i riferimenti al ricco materiale autografo custodito in diversi archivi si rimanda alla monografia di M.C. Calabri, Il costante piacere di vivere. Vita di G. P., Torino 2007. Si vedano inoltre: L. Pintor, Servabo. Memoria di fine secolo, Torino 1991, passim; Id., La signora Kirchgessner, Torino 1998, passim; Id., Il nespolo, Torino 2001, passim; Da casa Pintor. Un’eccezionale normalità borghese: lettere familiari, 1908-1968, a cura di M. Pacini, Roma 2011, ad indicem.

Tra gli studi recenti: M. Serri, Il breve viaggio. G. P. nella Weimar nazista, Venezia 2002; G. P. e la sua generazione, a cura di G. Falaschi, Roma 2005; M.C. Calabri, Il costante piacere di vivere. Vita di G. P., Torino 2007.

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