BODONI, Giambattista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BODONI, Giambattista

Francesco Barberi

Nacque a Saluzzo il 26 (non il 16) febbr. 1740, terzo figlio del tipografo Francesco Agostino e di Paola Margherita Giolitti. Dopo il tirocinio nell'officina paterna, soprattutto quale intagliatore in legno, e dopo quello a Torino sotto la guida di F. A. Mairesse, il 15 febbr. 1758 partì per Roma, seguendo l'esempio dell'avo paterno Giovanni Domenico, che era stato compositore nella Stamperia camerale e più tardi, tornato in patria, appassionato incisore di caratteri. Il B. fu apprezzato dall'abate C. Ruggeri sovrintendente alla Stamperia di Propaganda Fide, e dal prefetto della Congregazione cardinale G. Spinelli. Assunto nella celebre tipografia e appresi alla Sapienza gli elementi di alcune lingue orientali, lavorò come compositore; ebbe inoltre l'incarico di riordinare numerose serie di punzoni, che due secoli prima erano stati incisi dai francesi C. Garamond e G. Le Bé. Avendo dato ottima prova, il B. fu autorizzato a sottoscrivere col proprio nome ("Excudebat J. B. Bodonus Salutiensis") un Pontificale copto-arabo (1761-62), in due volumi, e un Rituale nella stessa lingua (1763), dei quali rimangono le prove dei frontespizi, probabilmente incisi in legno. Il periodo romano fu decisivo per l'orientamento del B. quale incisore di caratteri e per il suo interesse agli alfabeti orientali; alla Stamperia di Propaganda Fide rimase sempre legato da profonda gratitudine.

Ambizioso di maggiori affermazioni, il B. lasciò Roma nel 1766 con l'intento di raggiungere Londra, capitale di un paese dove l'arte tipografica, per merito di W. Caslon e di J. Baskerville, attraversava un felice periodo di rinascita. Ma a Saluzzo cadde malato. Nella Pasqua del 1767 impresse un Sonetto con caratteri da lui stesso incisi: il saggio ebbe successo e gli procurò ordinazioni da parte di tipografi piemontesi. Lo raggiunse l'anno seguente l'invito di G. Du Tillot, ministro del duca Ferdinando di Borbone, a impiantare e dirigere a Parma una Stamperia reale, del genere di quelle esistenti a Parigi, Madrid, Vienna, Napoli, Torino e Firenze.

Il nome del B. era stato suggerito al Du Tillot da P. M. Paciaudi, già bibliotecario del cardinal Spinelli e ora della Reale Biblioteca di Parma, la cui recente istituzione, insieme con quelle dell'Accademia di Belle Arti e del Museo e col restauro dell'università, si doveva alla illuminata politica culturale del ministro francese. Dopo brevi trattative, e con l'assenso del suo sovrano Carlo Emanuele III re di Sardegna, il B. accettò l'offerta e giunse a Parma il 24 febbr. 1768. Il 24 marzo sottoscrisse il contratto, che prevedeva l'alloggio e l'installazione dell'officina nell'ala occidentale del palazzo della Pilotta, lo stipendio annuo di 6.450 lire parmensi, l'impegno di procurarsi punzoni e matrici, anche di caratteri greci ed ebraici, e di comporre personalmente i lavori di natura segreta.

Il B. cominciò a stampar libri nell'ottobre del 1768 con materiale tipografico ordinato a Saluzzo, a Torino e soprattutto al celebre incisore e fonditore francese P. S. Fournier il Giovane; ma si propose subito d'incidere caratteri propri e a tale scopo chiamò il fratello Giuseppe a sovrintendere alla fonderia, che iniziò la sua attività nel 1770. Nel 1771 pubblicava il primo campionario di propri Fregi e majuscole, d'imitazione fournieriana; questo e i successivi campionari, insieme con gli squisiti saggi che uscivano dalla Stamperia, resero ben presto noto e ammirato il nome del B. in Italia e fuori. La Stamperia regia occupò al massimo una ventina di operai.

Tuttavia il genere delle pubblicazioni, che rispecchiava le modeste esigenze culturali di una corte pur illuminata, non poteva a lungo soddisfarlo. La sede, lo stipendio, l'ambiente stesso, la stima crescente da cui era circondato offrivano da un lato le condizioni ideali per l'esercizio dell'arte tipografica come il B. la intendeva; dall'altro rappresentavano un vincolo, dal quale egli cercò di liberarsi fino dal 1783, installando due torchi di una propria tipografia al secondo piano del palazzo. Da questa, prima dell'autorizzazione ducale, uscirono fino al 1790 solo un paio di edizioni. L'invito del suo amico e ammiratore J. N. de Azara, ministro del re di Spagna a Roma, a trasferirsi presso di lui per pubblicare una serie di classici (quattro di ciascuna delle lingue greca, latina e italiana), e il rifiuto del duca di lasciar partire un artista che tanto lustro dava alla corte e alla città di Parma, fecero ottenere al B. la desiderata autorizzazione. Proto della officina privata fu L. Orsi; essa occupò non più di una dozzina di persone. Per conto del de Azara uscì nel 1791 l'Orazio, seguito nel '93 dal Virgilio e nel '94 da Catullo, Tibullo e Properzio: la correzione dei testi veniva fatta a Roma dagli eruditì E. Q. Visconti, C. Fea e S. Arteaga. L'impresa fu interrotta per l'impedimento del de Azara, sopravvenuto a causa di eventi politici, e per il suo successivo trasferimento a Parigi nel 1798; tuttavia un Tacito (1795) e altri classici furono pubblicati dalla Stamperia reale e dal B. a sue spese.

Il 18 marzo 1791 il B. aveva preso in moglie l'assai più giovane Margherita Dall'Aglio, che lo assisté amorevolmente, lo aiutò nell'abbondantissima corrispondenza e ne continuò l'opera dopo la morte, avvenuta a Parma il 30 nov. 1813.

Nella produzione del B. possono considerarsi un gruppo a sé stante i campionari di caratteri, che sono i più numerosi tra quelli pubblicati da fonderie e tipografie europee del Settecento: Fregi e majuscole (1771); Essai de caractères russes (1782); Manuale tipografico (1788); Manuale tipografico, pubblicato postumo dalla vedova (1818). Si aggiungano i saggi di caratteri su fogli sciolti, che il B. mandava in dono a tipografi italiani e stranieri. Possono comprendersi inoltre in tale gruppo, per l'intento del tipografo e la grande varietà dei caratteri impiegati, alcune celebri edizioni quali Pel solenne battesimo di S. A. R. Ludovico Principe Primogenito di Parma... Iscrizioni esotiche... di G. B. De Rossi (1774); Epithalamia exoticis litteris reddita dello stesso (1775); Oratio dominica in CLV linguas versa (1806), contenente duecentoquindici caratteri diversi.

Il Manuale tipografico del 1788 comprende cento caratteri tondi e cinquanta corsivi, dal più piccolo ("parmigianina") al più grande ("papale"). I caratteri "mostrano talora le tracce di una filiazione antica, talaltra le caratteristiche del modern face, con un deciso contrasto tra i pieni e le finezze. Questi contrasti, tuttavia, non sono ancora spinti al limite e conservano alla riga nel suo insieme un aspetto di transizione e una bella armonia" (Veyrin-Forrer). Separatamente fu stampata nello stesso anno la Serie dei caratterigreci, che ne contiene ventotto. Altri estratti contengono caratteri esotici, lettere maiuscole e cancelleresche.

Il Manuale tipografico pubblicato nel 1818, sebbene incompleto e contenente alfabeti esotici usati (ma non disegnati), incisi o fusi dal B. (Lane), comprende in tutto duecentottantacinque tipi dei seicentosessantasette esistenti nella Stamperia, ed è stato giustamente considerato la somma tipografica dell'artista.

Nell'ampia introduzione, che segue la presentazione della vedova, il B. accenna a principi di estetica secondo le idee correnti ("il bello" consiste nella "convenienza e nella proporzione") e passa ad esporre con chiarezza la propria opinione sui rapporti tra ornamentazione e tipografia. Della prima "non sarà dunque saggio partito il farne pompa, salvo forse in que' libri, che meno da' letterati si apprezzano... Ma quanto più un libro è classico, tanto più sta bene che la bellezza de' caratteri vi si mostri sola". Riassume la bellezza dei caratteri in quattro doti: regolarità, nettezza e forbitura, buon gusto e grazia, che dev'essere "naturale ed ingenita... lontana dall'affettazione e dallo sfarzo". Il B. tratta inoltre delle operazioni di allineamento e spaziatura, della uguaglianza d'impressione, della bontà della carta e dell'inchiostro. L'ultima parte è dedicata ai "progressi dell'Arte", dei quali parla ordinatamente con riferimento alle lettere, ai numeri e ai fregi. Quest'introduzione è divenuta un testo classico dell'arte tipografica ed è stata tradotta in più lingue.

Il primo volume del Manuale contiene i caratteri latini tondi e corsivi (cc. 1-144), i cancellereschi, finanzieri e inglesi (cc. 145-169), le lettere maiuscole latine, tonde, corsive e cancelleresche (cc. 170-265); il secondo è dedicato ai caratteri greci (cc. 1-19), alle lettere maiuscole greche tonde e corsive (cc. 20-62), ad altri caratteri esotici (cc. 63-182), infine ai fregi, agli ornati e ai contorni, a "cartelle da racchiudervi de' numeri", a linee finali, grappe, cifre diverse, numeri arabici e musica.

La straordinaria quantità di caratteri incisi dal B. va posta in relazione con la sua concezione tipografica. Attesta la vedova: "intendeva egli che una ben compiuta fonderia dovesse esser fornita di una tal gradazione di caratteri, per cui l'occhio potesse appena discernere la differenza che passa tra l'uno e l'altro". L'acuta sensibilità e la grande perizia d'incisore permettevano al B. di concepire e realizzare le più lievi differenze nel disegno e negli spessori delle lettere, le quali, pur nella varietà, rivelano l'individualità e la coerenza stilistica del loro creatore, ciò che le rende a colpo d'occhio riconoscibili come bodoniane. Una valutazione dell'immane lavoro sostenuto dal B. punzonista può farsi sulla base di quanto egli stesso dice: "che la somma delle matrici per un solo tondo ascende a 196, e che ne bisognano altre 184 per lo corsivo della stessa grandezza ed occhio...". Lascia perplessi l'enorme quantità di alfabeti greci e orientali (esotici), taluni perfino fantastici.

Alla perfezione tecnica e alla regolarità delle lettere il B. attribuiva la più grande importanza: "Dalla maestria del punzonista dipende che le misure e le parti che possono essere comuni a più lettere siano precisamente ed esattamente le medesime in esse tutte; e questa esatta regolarità riesce grata allo sguardo ché presso che sola basta a far parere bella qualunque scrittura".

Il B. portò inoltre a compimento con estrema coerenza la trasformazione dei tipi, cominciata in Francia agli inizi del secolo da Ph. Grandjean con l'incidere per l'Imprimerie royale il carattere "romain du roi". Tale trasformazione, che fece perdere alla lettera le ultime tracce della origine umanistica manoscritta, consisté nell'accentuare il contrasto fra i tratti grossi e i sottili, nel collocare i primi nella medesima posizione centrale su ciascuno dei lati delle lettere tonde, infine nel concepire le "grazie" non più oblique ma come sottilissimi tratti rettilinei. Prima del B. avevano operato nel medesimo senso Fournier il Giovane, dal quale l'italiano prese le mosse, e il Baskerville, i cui caratteri, come quelli dei due francesi, vengono comunemente definiti "di transizione"; mentre i Didot e, più ancora, il B. della seconda maniera portarono nel disegno delle lettere un rigore neoclassico. La perfetta aderenza al gusto dell'epoca e l'estrema accuratezza nella incisione e nella fusione assicurarono il successo ai "moderni" tipi bodoniani.

Anche per il corsivo il B. seguì la tendenza del Fournier e si accompagnò a quella contemporanea del Didot nel concepirlo come un romano inclinato, armonizzante con la sua classicità (Johnson). Il B. incise trentaquattro alfabeti greci di grandezze e forme differenti; alcuni furono criticati nel Bollettino della Societé de Correspondance, soprattutto per "gli arricciamenti delle teste e delle code"; da queste critiche il B. cercò di difendersi nella lettera al marchese S. L. de Cubières (1º sett. 1785). Delle due edizioni di Anacreonte, dello stesso anno 1784, in una il B. usò la varietà del greco di H. Estienne per lo stesso poeta (1554), nell'altra impiegò lettere maiuscole. Nel greco usato nel Longo Sofista del 1786 viene esagerato il contrasto fra i tratti grossi e i sottili; una variante migliore è nella Iliade del 1808 (Scholderer): delle centonovantacinque lettere, trentanove furono battute insieme con gli spiriti. Una fondata, unanime critica è stata rivolta ai numeri arabi, che il B. non sentì e alcuni dei quali sono decisamente di cattivo gusto.

La fama del B. è affidata anche al talento di compositore e alla perfezione di stampatore, benché secondo il Bertieri il solo scopo della composizione in B. fosse quello di far risaltare i caratteri, il che lo avrebbe portato spesso a peccare come tipografo, la cui opera "per quanto meravigliosa dovremmo dirla passata e morta, mentre tuttora vivente è la gloria di Lui quale rinnovatore e perfezionatore di tipi".

Sembra difficile isolare i due momenti nel B., ovviamente ispirato dal medesimo gusto sia nel creare tipi che nel comporli; del resto, è stato osservato, la enorme disponibilità di caratteri permetteva al tipografo amplissime scelte per ogni genere di composizione. Ciò non esclude che il B. abbia potuto peccare come tipografo: la pagina allungata è talvolta in contrasto con l'occhio piuttosto largo del carattere; si citano come anomalie le prefazioni in tutte maiuscole cancelleresche (Aminta) o capitali (Iliade) e la strana abolizione delle iniziali maiuscole perfino nei nomi propri (Introduzione alla storia naturale di G. Bowles, 1783); nuocciono spesso all'estetica della pagina le numerose spezzature delle parole e gli apostrofi in fin di riga; in alcune edizioni greche fu rimproverata la mancanza di accenti. Compensano largamente i difetti del B. compositore (alcuni sono piuttosto licenze consapevoli) la scelta sapiente dei caratteri per le differenti parti di un'opera, l'equilibrio nella distribuzione dei neri (caratteri) e dei bianchi (spazi tra le singole lettere e parole, interlinee e margini), l'esattezza del registro, ossia dell'appiombo e dell'allineamento delle lettere. La solenne compostezza, apparentemente priva di calore umano, della pagina bodoniana soprattutto dell'ultimo periodo tradisce lo sforzo appassionato dell'artista di attingere le vette dell'armonia.

Nel primo periodo della sua attività il B. seguì il gusto settecentesco del libro ornato di fregi, testate, iniziali figurate, finalini e vignette, di rado in un gusto rococò, più spesso in quello antiquario, anticipatore dello stile Impero: trabeazioni, lapidi, meandri greci, medaglie. Per la magnificenza delle molte pubblicazioni celebrative, che la Stamperia reale era tenuta ad apprestare, non veniva certo meno l'ambizioso mecenatismo del duca. Il fiorire in Italia di abilissimi calcografi quali F. Rosaspina, R. Morghen, G. Volpato, D. Cagnoni, A. Baratti, B. Bossi e altri (il più grande di tutti, G. B. Piranesi, non lavorò per il B.); l'elevato clima artistico di Parma, con E. Petitot e una fiorente Accademia; i rapporti che il B. stesso intratteneva personalmente con artisti figurativi (A. Appiani e G. Lucatelli) o per mezzo dei suoi amici o collaboratori (sono noti quelli che il de Azara ebbe con R. Mengs) spiegano l'inclinazione del grande tipografo, fino a un certo momento, alla ornamentazione e alla illustrazione.

Le edizioni più illustrate e ornate sono per componimenti d'occasione: Descrizione delle feste... per le auguste nozze di... Don Ferdinando colla R. Arcid. Maria Amalia (1769), adorna del più bel frontespizio figurato, inciso dal Volpato (esso fu probabilmente tenuto presente dal Piranesi in quello, di pochi anni posteriore, del Trofeo o sia magnifica colonna coclide), e inoltre di numerose illustrazioni, vignette, iniziali incise dal Baratti, da G. Patrini, dal Bossi e da S. F. Ravenet il Giovane; Epithalamiaexoticis linguis reddita di G. De Rossi (1775), contenenti centotrentanove rami dei medesimi e di altri artisti; Atti della solenne coronazione... della insigne poetessa Corilla Olimpica (1779), con bel ritratto inciso dal Cagnoni, vignette e ogni pagina entro cornice; Gestorum ab Episcopis Salutiensibus'Ανακεϕαλαίωσις recusa... (1783), con cinquantaquattro rami del Cagnoni e del Patrini su disegni del Lucatelli; Prose e versi per onorare la memoria di Livia Doria Caraffa (1784), abbellito da due ritratti del Morghen, da incisioni a piena pagina, da numerose testate, iniziali, cornici; Scherzi poetici e pittorici di G. G. De Rossi (1795), con quarantuno figure di stile neoclassico a puro contorno tirate in differenti colori e inquadrate da cornici pompeiane (diverse edizioni, alcune con rami del Tekeira, altre del Rosaspina); infine Le più insigni pitture parmensi (1809), con sessanta tavole in rame dello stesso Rosaspina. Di opere letterarie propriamente dette hanno decorazione, desunta peraltro dagli Epithalamia, soltanto una delle quattro edizioni degli Inni, in greco, di Callimaco (1792) e il Bardo della Selva Nera del Monti (1806). A opere di minore impegno editoriale e ai numerosissimi fogli volanti conveniva, dice il B., l'ornamentazione tipografica in rilievo. Nelle cornici, composte di minuti elementi tipografici, la grande varietà di motivi e la leggerezza di colore intonata alla pagina di testo non attenuano l'impressione di freddezza meccanica, propria di questo genere di decorazione, nei confronti di quella calcografica. Il Bertarelli avverte una stancante uniformità tra ornamentazione e tipografia in tutti i libri decorati del B., il quale "non si servì delle figure come di un valido sussidio estetico, ma volle fonderle colla pagina e le assoggettò alle regole tipografiche, quasi fossero altrettanti caratteri del testo". L'osservazione ha un sottinteso riferimento alle edizioni illustrate contemporanee, nelle quali manca ogni preoccupazione dello stampatore di un accordo tra tipografia e decorazione; e va obbiettato che l'uniformità bodoniana è espressione di coerenza stilistica.

I classici che uscivano dall'officina privata affermano nel B., oltre all'ambizione editoriale, una concezione della tipografia "pura", intesa a dimostrare che la magnificenza delle edizioni potevasi conseguire coi soli mezzi tipografici. L'abbandono della decorazione liberò nel B. la tendenza ad accentuare il contrasto fra i tratti grossi e i sottili delle lettere: sarebbe difficile immaginare perfino un genere di decorazione "antiquario" nell'Orazio o nell'Iliade greca.

I monumenti tipografici della seconda maniera possono pertanto considerarsi, assai più di quelli della prima, espressioni genuine della individualità artistica del B. Tra i più ammirati sono ῾Υπόμνημα Parmense in adventu Gustavi III Sueciae Regis (1784), notevole anche per le incisioni, pertanto opera di transizione; Anacreonte (1784); Gli amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista nella traduzione del Caro (1786); Aminta del Tasso (1789), composta in caratteri appositamente incisi e fusi; Orazio (1791); De imitatione Christi (1793); infine i capolavori Iliade greca (1808), con dedica a Napoleone I, e Les aventures de Télémaque di Fénelon (1812), considerata dal B. stesso la propria edizione più bella.

Il B. dichiarò l'interesse particolare che aveva per il frontespizio, fu cosciente dei meriti conseguiti in questo campo, e confessò il proprio travaglio d'artista allo scopo di raggiungere i migliori risultati. Con gusto architettonico e sapienza epigrafica egli concepì la lunghezza delle righe in proporzione all'importanza concettuale dei gruppi di parole; da espertissimo tipografo seppe scegliere in ordine a tale importanza caratteri e corpi, misurare spazi e interlinee.

La concezione epigrafica del B. si rivela appieno negli Epithalamia, nelle dediche e in molti fogli volanti, specialmente iscrizioni, dove intervengono anche i punti a dividere una parola dall'altra. I titoli delle opere sono racchiusi talvolta entro contorno (lo sono di regola i fogli volanti); nell'Oratiodominica e nel Manuale tipografico del 1818 è contornata ogni pagina del testo. Nei frontespizi il B. rifuggì dalle minuscole, presenti anche in quelli dei migliori tipografi contemporanei quali il Baskerville e i Didot; evitò titoli largamente spaziati occupanti l'intera pagina (frequenti nel tipografo inglese) e dette importanza alla leggenda tipografica equilibrandola col titolo, se occorresse, mediante un medaglione centrale; adottò quasi esclusivamente righe sciolte alternando le forti e le leggere seguite solo di rado da un blocco di linee compatte; all'effetto ottico sacrificò talvolta l'integrità del testo e la stessa armonia ideografica, cardine della sua concezione del frontespizio.

Come tutti i tipografi d'arte il B. dette la massima importanza al processo di stampa; scelse ottime qualità di carta, che dal 1796 al 1807 ordinò al Miliani di Fabriano, criticandone talvolta la fornitura e impartendo istruzioni; corresse gli inchiostri, che faceva venire da Venezia, e modificò il torchio allo scopo di ottenere le migliori impressioni. Le edizioni bodoniane si distinguono infatti tra le contemporanee per freschezza e nitidezza.

Nel primo catalogo, compilato dal De Lama e compreso nel secondo volume della sua Vita del cavaliere G. B., e in quello del Brooks i prodotti della Stamperia reale e di quella privata sono elencati promiscuamente in una unica serie cronologica. Gli uni tuttavia sono distinguibili dagli altri per le differenti soscrizioni: "dalla Stamperia Reale"; "ex Typographia Regia" (dopo il 1804 anche "dalla Stamperia Nazionale"; "dalla Stamperia Imperiale"; "nel Giardino Imperiale") e simili, i primi; "nel regal Palazzo co' tipi bodoniani"; "in aedibus Palatinis typis bodonianis"; "de l'Imprimerie Bodoni", e simili, gli altri. S'incontrano però anche forme diverse come "Crisopoli [Parma], nella Stamperia Apollinea"; "Tipografia Omerica"; "aux deux-Ponts". G. Giani (Milano 1948), sulla base di lettere, cataloghi di vendita e altri documenti, ha ristretto il numero delle "autentiche" edizioni bodoniane, pure rinunziando a "una particolareggiata disamina dei valori estetici".

Un'idea del carattere della produzione bodoniana nel suo insieme può aversi dalla bibliografia del Brooks, la più ricca - benché incompleta - di quelle esistenti: nei suoi 1140 numeri (fino alla morte del B.) comprende oltre un centinaio di classici greci, latini, italiani e francesi; una cinquantina di opere di filologia, storiografia, erudizione, tra cui primeggiano per numero e importanza quelle, legate alla migliore cultura parmense, di I. Affò, G. Andrès e G. De Rossi; circa trecento fogli volanti, contenenti poesie d'occasione, epigrammi e iscrizioni, nonché stampe ufficiali come proclami, regolamenti, passaporti, biglietti d'invito, ecc. Il resto - circa settecento numeri, fino alla morte del B. - sono opere di varia mole e indole, suggerite, spesso imposte alla tipografia ufficiale dall'ambiente di corte.

Dopo il 1791, anno dell'apertura dell'officina privata, la massima parte delle edizioni di classici e delle opere fornite di valore letterario recano il nome del B.; del resto l'attività della Stamperia reale andò via via scemando. Nel ventennio successivo alla morte del B., dalla tipografia privata, in minima parte da quella ufficiale diretta da G. Paganini, uscirono circa duecento edizioni; nel 1814 proseguì, con il La Fontaine e il Boileau, la serie dei classici francesi in folio (dei quali il B. aveva stampato nel 1812 il Fénelon e nel 1813, quasi per intero, il Racine), intrapresa su invito di Gioacchino Murat.

La fama delle edizioni più sontuose, talvolta in folio massimo, ha fatto sottovalutare i numerosi libri di piccolo formato e di aspetto modesto, ma anch'essi ben proporzionati, "signorilmente garbati, disadorni, asciutti" (Bertierj): questi, più facilmente dei primi, poterono essere imitati dai tipografi dell'Ottocento.

Le edizioni bodoniane di rado ebbero tirature superiori a centocinquanta esemplari; molte presentano varianti di formato, di qualità o colore di carta, persino di testo (ad esempio edizioni greche con o senza traduzione; aggiunte di avvisi, di fogli di dedica, di sonetti); inoltre varianti nei frontespizi, nelle interlinee, nel numero e nel colore dei rami, ecc. Tirature speciali e varianti di ogni genere soddisfacevano a un tempo la ricca fantasia del B. tipografo d'arte e il suo desiderio di appagare il gusto dei bibliofili traendone guadagno: a quest'ultimo scopo egli evitò sempre più la mediazione dei librai, facendo eccezione per J. Blanchon, agente a Parma del Renouard. Aiutato dalla moglie pubblicò cataloghi di vendita (il primo è del 15 ott. 1793), che spediva alla clientela di principi e di amatori; adottò anche il metodo delle sottoscrizioni.

Negli anni in cui rinasceva, dopo almeno due secoli, la copertina di carta pesante con fregi incisi, il B., al fine di proteggere le proprie edizioni pregiate e di evitare le manomissioni dei legatori, ideò un tipo semplice ed economico di legatura in cartone, dal dorso piatto e alta unghiatura sui margini, generalmente coperta di carta priva di decorazione, ovvero con carta solo agli angoli e al dorso. Questa legatura ebbe successo ed è oggi universalmente nota col nome di bodoniana. Il "bibliopega" del B. apprestò tuttavia per alcuni esemplari anche rilegature d'arte.

Il gran numero di fogli volanti, di stampati ufficiali, annunzi, saggi, estratti, prove, varianti di ogni genere rende pressocché impossibile un catalogo completo delle edizioni bodoniane; analogamente nessuna collezione, per quanto ricca, le comprende tutte. Le raccolte cominciarono a formarsi vivente il B.: il De Lama ne elenca undici, la più ricca delle quali fu quella appartenente al Blanchon; oggi le collezioni più cospicue in Italia sono possedute dalla Biblioteca Palatina di Parma (circa 3000 esemplari, compresi i duplicati e 1500 fogli volanti), dalle Nazionali di Milano, Napoli e Firenze, dalle Civiche di Torino e di Saluzzo; all'estero particolarmente notevole quella acquisita dalla Universitaria di Uppsala.

La Biblioteca Palatina di Parma conserva inoltre l'intero corredo di punzoni e matrici, oggetto di vive preoccupazioni da parte del B., il quale intendeva venderlo al re di Spagna. Trent'anni dopo la morte dell'artista, e in seguito a quella della vedova, per evitarne la dispersione o la vendita all'estero (sollecitazioni e offerte allettanti venivano da ogni parte d'Europa), il bibliotecario Angelo Pezzana indusse Maria Luisa ad acquistarlo per la modesta somma di 50.000 lire; la suppellettile comprende 22.618 punzoni e 42.148 matrici di 289 caratteri diversi, e inoltre forme, torchietti, morse, linee, ecc., per un totale di oltre 76.000 pezzi. Nel 1847 la duchessa assicurò alla biblioteca per 3000 lire anche l'importante carteggio bodoniano che sebbene sfoltito dal Pezzana, per distruzione e cambi, di migliaia di lettere, ne comprende tuttora circa 12.000: fonte preziosa, solo in parte sfruttata.

Con la suppellettile dei punzoni e delle matrici, integrata da edizioni parmensi e bodoniane, è stato costituito nel 1960 presso la Biblioteca Palatina un Museo bodoniano, al quale si è affiancato nel 1962 un Centro, o Sodalizio, di studi grafici intitolato al B., avente come scopi di favorire la preparazione professionale e culturale dei soci, di diffondere la conoscenza del B., di elevare il livello culturale dei grafici, infine di stringere rapporti con istituti affini, italiani e stranieri.

Il B. trascorse a Parma quarantasei anni di protetta, indefessa attività, che interruppe solo per rari brevi viaggi, intrapresi soprattutto allo scopo di avvicinare personalità e ricevere onori: si recò nel 1788 a Roma e a Napoli, nel 1789 a Pavia, nel 1795 a Bologna, nel 1798 a Milano, Torino e Saluzzo, nel 1806 a Milano. Forse nessun altro tipografo conobbe mai altrettanti riconoscimenti morali e materiali.

Fu editore del Parini, del Monti, del Pindemonte; ammirato dall'Alfieri, dal Foscolo, dal Botta, dal Tiraboschi (quest'ultimo e il Monti trovarono però a ridire sulla correttezza di alcune edizioni) e da molti altri eruditi e bibliofili italiani e stranieri, alcuni dei quali furono suoi collaboratori, desiderosi tutti di avere i pregiati volumi bodoniani: il cardinale G. G. Mezzofanti, E. Leone, T. de Ocheda, A. A. Renouard, lord G. J. Spencer. Fu in corrispondenza anche con dotti tedeschi; ebbe elogi da celebri tipografi quali i Didot e B. Franklin. Da parte di sovrani fu onorato di visite, privilegi, decorazioni, doni; il papa Pio VI lo ricevette in udienza; il re Carlo III di Spagna lo nominò "impresor de Cámera de S. M." e il successore Carlo IV gli concesse nel 1793 una pensione annua di 6000 reali; nel 1810 il B. n'ebbe un'altra da Napoleone I. Fu ascritto a numerose accademie, a cominciare da quella di pittura, scultura ed architettura di Parma; in Arcadia assunse il nome di Alcippo Perseio. La città natale lo festeggiò nel 1798; il 17 ag. 1803 gli Anziani di Parma gli decretarono la cittadinanza onoraria e una medaglia d'Oro, e nel 1806 fu dal governatoreJunot nominato maire-adjoint della città; nel 1807 il prefetto Nardon lo esentò dal pagamento delle imposte; nello stesso anno ottenne la medaglia d'oro alla Esposizione di Parigi, alla quale aveva partecipato l'anno prima con quattordici edizioni. Più volte il B. fu sollecitato a trasferirsi a Roma, a Milano, a Napoli, in Spagna; da ogni parte, anche da Parigi, da Madrid, da Berlino, da Zurigo e da Londra gli giungevano richieste di matrici e di caratteri, che in parte soddisfece.

Contrariamente a quanto è stato da alcuni asserito, benché epistolografo fecondo, autore di prefazioni e forse di qualche sonetto, il B. fu sprovveduto letterariamente e immune da velleità in tal senso. Se si eccettua la sua avversione per i gesuiti, che lo fece passare per filogiansenista, non partecipò a movimenti d'idee né ai rivolgimenti contemporanei; la professata fedeltà al sovrano non gli impedì di accettare i successivi mutamenti di regime.

Tra i collaboratori del B., prima ancora della moglie e del fratello Giuseppe, sono da ricordare l'abate A. Amoretti (entrato poi in conflitto col B., che abbandonò verso il 1795 per aprire a San Pancrazio Parmense, insieme con altri familiari, una rinomata fonderia di caratteri) e il fedele L. Orsi, proto della stamperia privata, della quale assunse la direzione dopo la morte del Bodoni.

Già dai contemporanei furono rimproverati al B. errori materiali di composizione, particolarmente gravi in alcune edizioni di classici. I pochi che Firmin Didot denunciò in un articolo del Magazin encyclopédique del 1799, concludendo con un giudizio sommario ("comme littérateur, je condamne ses éditions; comme typographe, je les admire"), e gli altri che il fratello Pierre rilevò nel Virgilio del 1793 colpivano nel B. anche il tipografo, il quale cercò di scagionarsene. Manca uno studio sull'argomento, come pure sul valore filologico delle edizioni bodoniane; ma che questo non fosse trascurabile, come si ripete comunemente - almeno nelle edizioni dei classici greci e latini -, può desumersi dai nomi stessi dei dotti curatori: L. Lamberti, O. Morali, P. M. Paciaudi e P. A. Serassi. Quanto al rilievo, mosso dal Barbera, dal Fumagalli e da altri, circa la sua insensibilità verso la funzione sociale della tipografia, esso non tiene conto che dall'intento del B. esulava appunto lo scopo comunemente detto editoriale, mirando alla tipografia d'arte. Mentre unanime è il riconoscimento della perfezione dell'incisore, del fonditore di caratteri e dello stampatore, il giudizio sul disegnatore di lettere e sull'architetto di pagine è stato influenzato dalla evoluzione del gusto. I contemporanei non potevano non esaltare, nel rigoroso interprete del trapasso dalla ornata tipografia settecentesca alla nudità neoclassica, i propri stessi ideali; enfatico, dogmatico, frigido, astratto il B. fu detto solo quando quegli ideali erano da tempo tramontati.

I modelli bodoniani di caratteri e di architettura tipografica, in particolare dei frontespizi, vennero largamente imitati in Italia (in Inghilterra lo furono da W. Martin e in Spagna influenzarono J. Ibarra), anche se spesso resi opachi dalla mancanza di talento degli imitatori o involgariti dal "macchinismo" e da esigenze commerciali, ovvero frammisti al deteriore romanticismo dei caratteri fantasia. Allorché sul finire del secolo XIX, in Inghilterra prima che altrove, per merito di W. Morris, rinacque la tipografia artigiana come reazione ai procedimenti meccanici di composizione e di stampa e fotomeccanici di riproduzione, ci si orientò verso i modelli tardogotici e protorinascimentali; si ebbe perciò in sommo fastidio, tra le altre espressioni dell'arte neoclassica, quella grafica del Bodoni. Meno spiegabile è l'antistorico rimprovero mosso dal Fumagalli, che il B., per i caratteri latini, "avrebbe potuto rievocare il bel carattere 'romano' degli incunaboli romani e veneziani, che si inspirava alla vaghissima scrittura umanistica...", quasi che avesse potuto evadere dalla sua epoca, da quello stile neoclassico (comune pertanto ai Didot e agli altri maggiori tipografi contemporanei), del quale le caratteristiche della lettera bodoniana sono rigorosa espressione.

Ancor prima della sua rivalutazione teorica, il carattere "bodoni" fu uno dei primi impiegati in Italia per la composizione meccanica. A Parma mai venne meno il culto bodoniano, ch'ebbe tra i risultati più apprezzabili la pubblicazione, a cura di A. Boselli, dell'indice del ricchissimo carteggio e la pubblicazione di una parte di esso; mentre ineguali, talvolta scarsamente originali, sono i numerosi contributi biografici e critici occasionati dalle ricorrenze celebrative del 1913 e soprattutto del 1940 e del 1963. Nel periodo di rinascita della tipografia d'arte, di cui fu partecipe anche l'Italia all'inizio di questo secolo per merito soprattutto del Bertieri, si cercò di trarre dal B. ogni utile insegnamento, pure rifiutandogli la qualifica di legislatore dell'arte tipografica attribuitagli dal Barbera. G. Mardersteig, con la sua Officina Bodoni di Verona e la monumentale edizione in quarantanove volumi delle opere del D'Annunzio in caratteri fusi nelle matrici del B. (1927-36), contribuì ad accrescere attualità e prestigio ai caratteri bodoniani, nel 1940, in un clima particolare, si chiese al B. addirittura di dare uno stile nazionale alla tipografia. Il Modiano lo esaltò per aver "liquidato tutte le bizzarrie e le improvvisazioni che da almeno due secoli inquinavano le tipografie" e precorso il moderno astrattismo grafico e la tendenza attuale a "riportare la tipografia alla sua vera natura geometrica". Ciò spiega la fortuna perdurante del carattere "bodoni" che "non manca mai nelle dotazioni di matrici, nella composizione meccanica sia linotipica che monotipica..., ed è uno dei primi scelti dai nuovissimi sistemi di composizione fotografica" (Rossi).

Il B. giunse appena in tempo a vedere i primi progressi tecnici della tipografia, destinata a subire profondi mutamenti nel corso del secolo; personalmente recò alcune modificazioni al torchio e creò il contropunzone per le lettere con vuoti; fu inoltre il primo in Europa, nelle Pitture di Antonio Allegri detto il Correggio (1800), a dare un saggio litografico dopo l'invenzione del Senefelder.

Il B. è "per un verso alla fine di un'epoca, cioè della tipografia artigiana; ma per altro anticipa il futuro; egli è quindi a cavallo di due epoche" (Barbera). Ciò può intendersi in senso più ampio. Pur considerando soltanto l'ultimo B., nella monumentale austerità delle sue creazioni è evidente la sopravvivenza di uno spirito ancien régime e insieme uno spirito nuovo: il B. appartiene al Settecento per la regalità, al secolo seguente per la semplicità, che paradossalmente impose per mezzo della prima.

Fonti e Bibl.: La più ricca bibliografia sul B., che ne include altre particolari, è quella di G. Avanzi, G. B. fra due centenari: 1913-1940. Saggio bibl., in Arch. stor. per le provincie parmensi, s. 3. V (1940), pp. 137-161. Fondamentale, e fonte principale per i futuri biografi, è la Vita del cavaliere G. B. tipografo italiano e catalogo cronologico delle sue edizioni (di G. De Lama), Parma 1816, in due tomi. Tra le altre biografie e opere d'insieme si segnalano: P. Barbera, G. B. B., Genova 1913 (rist. 1939); P. Trevisani, Bodoni. Epoca, vita, arte, 2 ediz., Milano 1951; Bodoni. Pubblicazione d'arte grafica edita in occasione delle manifestazioni parmensi, Parma 1940; B. celebrato a Parma, Parma 1963.

Particolari periodi della vita del B. e rapporti coi contemporanei sono stati oggetto di numerose pubblicazioni, basate in prevalenza sui suoi carteggi: G. Aliprandi, Carteggio bodoniano, in Aurea Parma, XLIII (1959), nn. 3-4, pp. 165-180; Autobiografia di G. B. B. in duecento lettere inedite all'incisore F. Rosaspina, a cura di L. Servolini, Parma 1958; U. Benassi, Il tipografo G. B. e i suoi allievi punzonisti (gli Amoretti di San Pancrazio parmense), in Arch. stor. per le provincte parmensi, n. s., XIII (1913), pp. 43-155; G. B. B. e la Propaganda Fide, Parma 1959; A. Boselli, G. Mezzofanti e G. B., in La Bibliofilia, XXVI (1924-25), pp. 128-134; Id., G. B. B. e il bibliotecario della "Spenceriana", in Gutenberg Jahrbuch, XIII (1938), pp. 194-201; Id., Alfieri e B., in Aurea Parma, XXIV (1940), pp. 111-122; Id., Corrispondenza di A. A. Renouard con G. B., in La Bibliofilia, XXVIII (1926) - XXXII (1930), passim; Id., Il carteggio bodoniano della "Palatina" di Parma, in Arch.stor. per le provincie parmensi, n.s., XIII (1913), pp. 157-288; F. Boyer, B. et la France, in B. celebrato a Parma, Parma 1963, pp. 181-204; R. Brun, Una memoria inedita di B. su "Notizie intorno a vari incisori di caratteri e sopra alcune getterie d'Italia", ibid., pp. 112-119; M. G. Castellano Lanzara, Napoli e il cav. G. B., in Archivi, s. 2, XXI (1954), pp. 48-156; A. Mercati, "Bodoniana" nell'Archivio segreto Vaticano, in Aurea Parma, XXIV (1940), pp. 85-96; C. Revelli, La prima attività tipografica di G. B. B., in Epoche, novembre-dicembre 1962, pp. 121-125; Id., Il carteggio Bodoni-Lucatelli, in Graphicus, XLV (1964), nn. 7-8, pp. 41-47; S. Samek Ludovici, Esordi di G. B. B., in Atti e mem. della Acc. naz. di scienze, lett. e arti di Modena, s. 6, VI (1964), pp. 20-29; Id., G. B. B. e la Propaganda Fide, in Accademie e Biblioteche d'Italia, XXXIII (1965), pp. 141-57.

Oltre al catalogo del De Lama, il più ricco è quello di H. C. Brooks, Compendiosa bibliografia di ediz. bodoniane, Firenze 1927; si vedano inoltre: H. Bohatta, Zur Bodoni-Bibliographie, in Gutenberg Jahrbuch, X (1935), pp. 280-283; G. Giani, Saggio di bibliografia bodoniana, Milano 1946; Id., Catalogo delle autentiche edizioni bodoniane, Milano 1948.

Integrano in varia misura i precedenti repertori, cataloghi o notizie su singole raccolte: A. Ciavarella, La Collezione bodoniana della Palatina di Parma, in B. celebrato a Parma, Parma 1963, pp. 23-47; M. Fittipaldi, La collezione bodoniana della Biblioteca Nazionale di Napoli,ibid., pp. 135-141; R. Hadl, Druckwerke des G. B. und der Parmenser Staatsdruckerei gesammelt von R. M., Leipzig 1926; Collezione bodoniana del cav. Antonio Enrico Mortara, Casalmaggiore 1857; C. Revelli, La collezione bodoniana della Bibl. Civica di Torino, in Accademie e Biblioteche d'Italia, XXXII (1964), pp. 12-28; H. Sallander, Die Bodoni-Sammlung in der Universitätsbibliothek zu Uppsala, in Libri, X (1960), pp. 271-291.

Sulla raccolta di punzoni e matrici e sul Museo bodoniano: A. Ciavarella, L'eredità bodoniana e i tentativi di vendita della vedova, in B. celebrato a Parma, Parma 1963, pp. 257-287; Id., Catalogo del Museo bodoniano di Parma, Parma 1968.

Sull'arte del B., soprattutto in quanto creatore di caratteri, v. anzitutto le storie generali della tipografia: A. Nesbitt, The history and technique of lettering, New York 1957, pp. 138-140 e passim; A. F. Johnson, Type designs: their history and development, London 1959, pp. 68-69, 150; D. B. Updike, Printing types: their history, forms, and use. A study in survivals, Cambridge, Mass., 1962, II, pp. 163-176 e passim; J. Veyrin-Forrer, Campionari di caratteri nella tipografia del Settecento. Scelta, introduzione e note, Milano 1963, pp. 28-31, tavv. 34-44; sui caratteri greci v. V. Scholderer, Greek printing types1465-1927, London 1927, p. 13.

Sul B. incisore, compositore e stampatore, fondamentale è lo studio del Bertieri, in R. Bertieri G. Fumagalli, L'arte di G. B., Milano 1913; Id., G. B., in Il risorgimento grafico, XXXVII (1940), pp. 99-116; Id., Piccole ediz. bodoniane,ibid., pp. 321-327; A. Ciavarella, Ricettario d'inchiostri adoperati nella Stamperia Reale, in B. celebrato a Parma, Parma 1963, pp. 247-255; P. Colombo, La rilegatura d'arte in Italia dall'epoca di B. ai nostri tempi,ibid., pp. 227-233; A. F. Gasparinetti, B. e le cartiere,ibid., pp. 225-239; Inediti sull'Anacreonte di G. B. B., Parma 1961; R. F. Lane, The B. punches, matrices and molds at Parma, in Printing and graphic arts, dicembre 1957, pp. 61-69; K. J. Luethi, Gutenberg,B., Morris, Bern 1925; G. Micheli, La risposta di B. alle critiche di un funzionario francese, in B. celebrato a Parma, Parma 1963, pp. 124-133; G. Modiano, Attualità di B.,ibid., p. 156; A. Novarese, Il neoclassicismo nella evoluzione del carattere, in Graphicus, XLV (1964), nn. 7-8, pp. 21-32; C. Orsenigo, B. e gli inchiostri, in B. celebrato a Parma, Parma 1963, pp. 241-245; R. M. Rosarivo, Aldo Manuzio e G. B.B. nella sublime estetica del libro stampato, in Graphicus, XLV (1964), nn. 7-8, pp. 33-36; A. Rossi, Il carattere bodoniano nella tipografia moderna, in B. celebrato a Parma, Parma 1963, pp. 205-224; S. Samek Ludovici, B. e il neoclassicismo,ibid., pp. 117-137; S. Ajani, B. e la stampa della musica, in Graphicus, XLV (1964), nn. 7-8, pp. 37-40; S. Samek Ludovici, I manuali tipografici di G. B. B., in Italia grafica, 31 dic. 1963, pp. 9-30.

Sulla decorazione delle ediz. bodoniane: A. Bertarelli, G. B. B. e la decorazione del libro, in Il libro e la stampa, n. s., VI (1912), pp. 176-180.

Il Manuale tipografico del 1818 è stato riprodotto in due volumi nel 1960 da The Holland Press, e in tre da F. M. Ricci (Parma 1965), che ha riprodotto in facsimile anche l'Oratio Dominica (1967).

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