ANGUILLARA, Giampaolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANGUILLARA, Giampaolo (detto Giampaolo da Ceri e Giampaolo Orsini)

Gaspare De Caro

Nacque nei primi anni del sec. XVI da Lucrezia Orsini e da Lorenzo, del ramo di Ceri (Cerveteri) della famiglia Anguillara, uno dei più famosi capitani del suo tempo. Come il padre l'A. fu talmente legato, per vincoli familiari e politici, alla famiglia Orsini da essere universalmente considerato dai contemporanei un Orsini, sicché con questo cognome figura presso la maggior parte degli storici. Esercitò anch'egli il mestiere delle armi e si guadagnò fama di buon capitano, tale stimandolo anche il re di Francia Francesco I. Il 20 sett. 1526, durante il saccheggio, quasi presagio di quello più famoso dell'anno successivo, cui i Colonna in odio a Clemente VII e agli Orsini sottoposero Roma, l'A. tentò invano di organizzare una qualche resistenza, ma, benché abbondantemente fornito di denaro dal pontefice, non riuscì a reclutare gente per la generale ostilità della popolazione romana al Medici. Nel novembre successivo, però, potè prendere le sue vendette sulla famiglia rivale partecipando con molti altri della fazione degli Orsini alla forte azione organizzata da Clemente VII contro alcuni feudi dei Colonna. Sempre nel 1526, durante la guerra della lega di Cognac, l'A. riuscì con un audace e fortunato colpo di mano a conquistare al pontefice Orbetello, allora dipendente da Siena. Nei primi giorni del maggio 1527 il pontefice incaricò Lorenzo Anguillara della difesa di Roma contro l'esercito imperiale del connestabile di Borbone. Con un piccolo contingente di cavalleria leggera, cui era stato preposto dal padre, l'A. oppose in Trastevere, il 6 maggio, una disperata resistenza ai lanzichenecchi, dapprima alla Porta Settimiana e poi a Ponte Sisto. Infine, penetrati da ogni parte nella città gli imperiali, l'A. si rifugiò in Castel S. Angelo, donde uscì libero il 7 giugno, dopo la capitolazione stipulata da Clemente VII.

È probabile che allora l'A. seguisse le vicende del padre, imbarcandosi per la Francia e ritornandone poi per partecipare alla spedizione del Lautrec nelI'Italia meridionale. Combattendo in Puglia nel settembre del 1528, nella dura ed efficace guerriglia condotta dal padre contro gli imperiali per incarico di Francesco I e delle repubbliche di Venezia e di Firenze, l'A. fu preso prigioniero dal marchese del Vasto e liberato in seguito al trattato di Cambrai (5 ag. 1529). Recatosi a Venezia, vi rimase ben poco tempo inattivo, ché, iniziatasi la guerra per la restaurazione medicea in Firenze, offrì alla Repubblica i suoi servigi senza chiedere alcun compenso, poiché "pareva vergogna a chiunque faceva professione d'arme, il non trovarsi in una tanta e tal guerra o di dentro o di fuori, dove militavano tutti gli uomini più segnalati d'Italia" (Varchi). La sua offerta fu accettata dai Fiorentini che gli affidarono la custodia di Pisa, dove l'A. si recò con circa tremila soldati reclutati nel Veneto e tra essi un nutrito gruppo di veterani della guerra di Puglia. Il 21 luglio 1530, per decisione del governo fiorentino, l'A. unì le sue truppe a quelle di Francesco Ferrucci, il quale gli affidò il comando di quattordici "battaglie", che, poste alla retroguardia, costituivano circa la metà del piccolo esercito del commissario generale di guerra. Correndo la campagna toscana nel tentativo di reclutare nuove truppe, il Ferrucci e l'A. si scontrarono a Gavinana, il 3 ag. 1530, con le milizie imperiali di Filiberto d'Orange.

Mentre il Ferrucci a Gavinana combatteva contro le truppe guidate da Fabrizio Maramaldo, l'A., approntate rapidamente alcune trincee all'esterno, affrontò con i suoi archibugieri toscani la cavalleria tedesca, riuscendo momentaneamente a prevalere profittando della morte, nello scontro, del principe d'Orange. Al sopraggiungere, però, di una forte colonna di imperiali guidata da Alessandro Vitelli e Niccolò Bracciolini le sorti della battaglia si capovolsero: l'A. resistette a lungo, finché con pochi dei suoi riuscì ad aprirsi la strada per raggiungere il Ferrucci. Non lo abbandonò nemmeno quando la situazione consigliò una resa che il Ferrucci, militare non professionale e pertanto esposto alla vendetta degli imperiali, non poteva accettare.Catturato, dopo l'uccisione del Ferrucci, l'A. fu liberato dietro pagamento di un pesante riscatto di 4000 ducati.

Tornò quindi a Roma, dove divenne uno dei principali esponenti della fazione degli Orsini e in rappresentanza di essa partecipò ad alcune sedute del Gran Consiglio in Campidoglio (1534). Tuttavia non rinunciò a lungo alle armi: nel gennaio del 1537, dopo l'assassinio del duca Alessandro de' Medici ad opera del cugino Lorenzino, fu chiamato dai fuorusciti fiorentini, che d'accordo con Francesco I andavano organizzando una spedizione per rientrare in Firenze e riportarla all'alleanza francese. Giunto però con millecinquecento fanti a Montepulciano, luogo di incontro di tutti i fuorusciti, l'A. non poté che assistere al fallimento dell'iniziativa per l'avvenuta elezione di Cosimo e l'avanzata minacciosa delle truppe spagnole mossesi da Genova alla difesa di Firenze. Sciolte le truppe dai fuorusciti, l'A. passò allora al diretto servizio dei Francesi, combattendo in Piemonte col grado di colonnello delle fanterie italiane agli ordini del conte Guido Rangone, e poi del successore del Rangone, Monsignore d'Humières, come capitano generale, distinguendosi particolarmente all'assedio del castello di Barges e nella difesa di Savigliano (1537-38). Ancora al servizio di Francesco I prese parte alle operazioni di guerra in Provenza nel 1542, comandando cinquemila fanti italiani. È ignota la data della sua morte.

Non lasciò figli maschi e con lui si estinse il ramo di Ceri della famiglia Anguillara. La figlia Porzia sposò in prime nozze Silvio Savelli, noto capitano anchegli, e in seconde nozze Paolo Emilio Cesi, marchese di Acquasparta, al quale portò in dote le terre di Ceri e di Riano, che in tal modo entrarono nel patrimonio degli Acquasparta.

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