BOSCHETTI, Gian Galeazzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BOSCHETTI, Gian Galeazzo

Gaspare De Caro

Nacque in data imprecisabile, probabilmente a San Cesario sul Panaro, feudo della sua famiglia, dal conte Albertino e da Diamante Castaldi. La prima notizia su lui risale al 1502, allorché, insieme con i suoi fratelli, ottenne in donazione tutti i beni del padre, che tuttavia ne conservava l'usufrutto.

Processato e condannato a morte nel 1506 Albertino, sotto l'accusa di aver partecipato alla congiura di Giulio e Ferrante d'Este contro il duca Alfonso, il feudo di San Cesario fu confiscato agli eredi del conte e annesso alla giurisdizione di Modena: il B. scrisse in questa occasione a Ippolito d'Este, facendo appello "alla clemenza della illustrissima casa, perché non permettesse che del peccato del padre patissero li figli innocentissimi" (cfr. A. F. Boschetti, Il monumento del Begarelli, p. 82). Non ottenne alcuna risposta, ma non si stancò allora e negli anni successivi, e in questo fu il più attivo tra gli eredi di Albertino, di rivendicare il possesso di San Cesario, basandosi, oltre che su potenti protezioni, anche su alcune ragioni giuridiche di indubbia consistenza: in primo luogo la donazione del 1502, che aveva emancipato i figli di Albertino, i quali, pertanto, secondo il diritto del tempo, cessavano "esse de familia patri sui" e quindi non potevano essere colpiti nei beni in conseguenza della condanna paterna; in secondo luogo, e questo elemento si dimostrò poi di assai maggior peso, era assai controverso il diritto degli Estensi sul feudo di San Cesario, sul quale da secoli avanzava pretese la giurisdizione ecclesiastica. Al momento, però, queste ragioni non valsero in alcuna misura, né maggiore successo ottenne l'intervento compiuto presso il duca Alfonso della marchesa di Mantova Isabella d'Este Gonzaga, la quale era sorella dello stesso duca.

Proprio a Mantova, alla cui corte i Boschetti godevano da tempo di notevole favore, è presumibile che si rifugiasse il B. dopo l'espulsione dal ducato estense ed è altrettanto verosimile che, in virtù della protezione del marchese Francesco Gonzaga, potesse entrare di lì a poco al servizio, in qualità di segretario, del cardinale Leonardo Grosso della Rovere, legato pontificio di Perugia e cugino di papa Giulio II. La stessa protezione dei Gonzaga e quella del cardinale valsero nel 1507 al B. la nomina a conte del Sacro palazzo lateranense (7 aprile) e la carica di protonotario apostolico (8 aprile), e più in generale il favore del pontefice, al quale in quello stesso anno poté chiedere di intervenire presso Alfonso d'Este perché perdonasse ai figli di Albertino: neanche in questa occasione, però, il duca cedette, a riprova del fatto che la confisca di San Cesario non costituiva soltanto una rappresaglia contro un feudatario fellone, ma aveva un più preciso significato nel quadro della politica egemonica di Alfonso d'Este contro le signorie particolari dello Stato ferrarese. Del resto San Cesario confermava proprio in quell'anno la sua grande importanza strategica, giacché appunto di lì il cardinale Ippolito d'Este poteva sventare un tentativo dei Bentivoglio di rientrare in Bologna.

Il B. poteva ottenere soddisfazione soltanto nel 1510, allorché, caduto il territorio modenese sotto il dominio della Chiesa, Giulio II con un breve del 9 settembre investì nuovamente i Boschetti della signoria di San Cesario. L'investitura fu ratificata da Leone X nel 1513, confermata dallo stesso pontefice con un breve del 18 apr. 1520 e dal suo successore Clemente VII con un breve del 22 febbr. 1524: ma Alfonso d'Este si decise a considerare reintegrati i Boschetti in San Cesario soltanto nel 1527, quando il B. era già morto, dopo che inutilmente si erano a lui rivolti a questo fine Leone X il 17 apr. 1517, tramite il segretario Sadoleto, e il re d'Inghilterra Enrico VIII, su richiesta di Andrea Ammonio, che, a quanto pare, era legato d'amicizia al Boschetti.

Questi intanto si era trasferito definitivamente a Roma, dove si addottorò in diritto l'8 dic. del 1514. Il 13 maggio del 1516 ricevette gli ordini sacri e negli anni successivi vari benefici ecclesiastici: rettore del beneficio di San Pietro nella cattedrale di Modena, di cui la famiglia Boschetti aveva il patronato; priore della chiesa di S. Croce di Langurano, nella diocesi di Mantova e di S. Croce di Montaiulo in quella di Perugia; rettore del priorato della chiesa di S. Zenone in Cesena, della chiesa parrocchiale di S. Giacomo a Piumazzo, della abbazia di S. Stefano nella diocesi di Vercelli, del lebbrosario di S. Tommaso a Trevi, oltre a vari benefici nella diocesi di Bamberga e in quella di Saluzzo, nonché governatore dell'abbazia cisterciense di S. Maria di Cereto nella diocesi di Lodi, beneficio, quest'ultimo, ottenuto il 20 nov. del 1517. Da queste notizie risulta evidente che il B. dovette godere di notevoli appoggi nella corte pontificia e dovette essere nel governo ecclesiastico persona di qualche considerazione. Allo stato attuale della documentazione, tuttavia, non è possibile accertare quale fosse la sua effettiva influenza presso la S. Sede: certo è significativo che Clemente VII pensasse nel 1523 di elevarlo alla porpora cardinalizia. Nel 1518 gli fu offerto il vescovato di Cagli, ma lo rifiutò nella speranza, poi delusa, di ottenere invece quello più lucroso di Fossombrone, o addirittura quello di Urbino.

Negli ultimi anni si ritirò a San Cesario, della cui chiesa era rettore. Nel 1521 promosse la costituzione in San Cesario di un mercato settimanale, autorizzato l'anno precedente da Leone X: una sua lettera del 1521 all'abate benedettino di San Pietro, in Modena, lo mostra però insoddisfatto dell'esito di questa iniziativa, poiché "quelli villani ingrati non vi vogliono venire" (A. F. Boschetti, San Cesario, p. 85).

Morì in San Cesario il 5 marzo 1524.

Un fratello del B., Giacomo, nato intorno al 1471, fu uno dei più brillanti cavalieri della corte mantovana, alla quale il padre lo aveva mandato a servire sin dall'adolescenza, nel quadro della politica personale che Albertino perseguiva, di contrapporre la protezione dei Gonzaga alla ingrata tutela che gli Estensi esercitavano su San Cesario. Giacomo fu gentiluomo di camera del marchese Francesco Gonzaga, il quale lo fece in più occasioni oggetto della sua munificenza, regalandogli, per esempio, nel 1489, una corte chiamata il Zovo (il Giogo), dove poi Giacomo costruì una villa denominata la Pallatina; e nel 1491 un palazzo nella località di Bondonaccio, presso Gonzaga, con beni e privilegi del valore di 14.000 ducati. Francesco Gonzaga lo ordinò cavaliere il 25 dic. 1494 e gli concesse poi il diritto ereditario di unire al cognome Boschetti quello di Gonzaga, segno di speciale favore alla corte di Mantova. Nel 1495 Giacomo fu, con lo stesso marchese, che comandava l'esercito della lega contro Carlo VIII, alla battaglia di Fornovo e nel febbraio dell'anno successivo lo seguì nel Regno di Napoli, a soccorrere con le truppe veneziane contro i Francesi il re Ferdinando d'Aragona. Sposò in Mantova il 26 febbr. 1498 Polissena di Cristoforo Castiglione e di Luigia Gonzaga, divenendo così cognato di Baldassarre Castiglione, il quale gli indirizzò la prima delle sue Lettere familiari. Una sua figlia, Isabella, nata nel marzo del 1500, brillò alla corte di Federico Gonzaga e fu la notissima favorita di lui. Morì prima del 23 genn. 1509.

Un altro figlio di Albertino Boschetti, Sigismondo, nacque nel 1478. Combatté nel 1495 alla battaglia di Fornovo insieme con il padre. Con il fratello Roberto entrò al servizio di Francesco Gonzaga, seguendolo nel Regno di Napoli, nella spedizione organizzata dalla Repubblica di Venezia contro l'esercito francese lasciatovi da Carlo VIII. Nel 1498, ancora con Roberto, entrò al servizio della Repubblica di Firenze, partecipando alla guerra di Pisa, mentre il padre, al servizio di Ferrante d'Este, militava nell'opposto campo. Nel 1500 faceva parte delle milizie affidate al padre da Giovanni Bentivoglio, in difesa di Bologna contro Cesare Borgia. Il complotto ispirato nel 1506 ad Albertino Boschetti da Giulio e Ferrante d'Este per uccidere il duca di Ferrara e il cardinale Ippolito, avrebbe dovuto avere in lui l'esecutore materiale. Ritenuto "uomo forte e audace", qualità che, come gli eventi dimostrarono, mancavano a tutti gli altri protagonisti del complotto, avrebbe dovuto uccidere Alfonso d'Este con un pugnale avvelenato, ma i suoi compagni mancarono di decisione, rinviarono più volte l'attentato e infine indussero Sigismondo, con le loro incertezze, ad abbandonare la partita prima ancora che la congiura venisse scoperta. Sigismondo si ritirò quindi nella fortezza della Mirandola, presso il fratello Roberto, donde poi, quando fu certo di non essere sospettato, ritornò a San Cesario. Nel processo tuttavia il suo nome venne fuori: sotto le più atroci torture il padre riconobbe che Sigismondo aveva accettato di uccidere una persona di cui non conosceva il nome, rinunziandovi poi quando aveva sospettato che si trattasse di un personaggio troppo in vista. Albertino non rinunziò mai a questa versione, ma a salvare Sigismondo dovette essere soprattutto la considerazione che non conveniva allargare eccessivamente il campo degli inquisiti, per non provocare complicazioni politiche che si temevano particolarmente da parte della corte di Mantova, protettrice dei Boschetti. Fatto sta che Sigismondo non venne nemmeno interrogato dagli inquisitori.

Non si hanno ulteriori notizie su di lui. Nel 1525, comunque, risulta già morto. Aveva sposato una Lucia di cui non si conosce il casato. Da lei ebbe due figli, Sigismondo e Faustina.

Bibl.: P. Balan, Roberto Boschetti e gli avvenimenti italiani dei suoi tempi, Modena 1879-1884, passim;A. F.Boschetti, San Cesario... dall'anno 752 fino al presente, Modena 1922, passim; R. Bacchelli, La congiura di don Giulio d'Este, Milano 1931, passim;A. F. Boschetti, La famiglia Boschetti di Modena e i Buschetti di Chieri, Modena 1938, tavv. V-VI; Id., Il monumento del Begarelli a G. B. nella chiesa di San Cesario, in Atti e Mem. d. Deput. di storia patria per le antiche prov. modenesi, s. 8, I (1948), pp. 79-89.

CATEGORIE