PLANTERY, Gian Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PLANTERY, Gian Giacomo

Bruno Signorelli

PLANTERY, Gian Giacomo (Giovanni Giacomo Gerolamo). – Nacque a Torino nel 1680, da Giovanni Giacomo e da Giovanna Maria. La famiglia Plantery proveniva da Briga (oggi La Brigue, Francia); il padre operava come prestatore di denaro, anche per cifre importanti. Una delle prime informazioni note su Gian Giacomo riguarda la concessione per due anni della detenzione, uso e porto delle armi da fuoco «di misura» (Archivio di Stato di Torino, Camera dei Conti, Piemonte, Patenti controllo finanze, Registri di provvidenze e concessioni sovrane, m. 197, anni 1697-99, c. 212r). Da un censimento effettuato nell’agosto del 1705, all’approssimarsi dell’assedio franco-spagnolo di Torino (1706), risulta che viveva di reddito (Baudi di Vesme, 1968).

Si sposò due volte. La prima moglie, Cristina Maria Comune, era sorella di Francesca Maria, madre del celebre ingegnere Bernardo Antonio Vittone. Dal matrimonio nacquero sei figli: Clara Francesca, poi monaca a Villafranca Piemonte con il nome di suor Maria Adeodata; Angelina Caterina, sposata con il medico Stefano Benedetto Allione; Paolo Ignazio Francesco, sacerdote carmelitano con il nome di fra Deodato; Giovanni Amedeo Giuseppe, medico; Ludovico Francesco Giuseppe, avvocato; Maurizio Giuseppe, avvocato e prefetto di Mortara.

La seconda moglie di Plantery fu Rosa Francesca Chiaves e dal matrimonio non nacquero figli (Archivio di Stato di Torino, Senato di Piemonte, Testamenti pubblicati, vol. XXV: Testamento di G. G. Plantery, p. 179).

Non sono noti gli studi giovanili né come avvenne la formazione da ingegnere, anche perché non è pervenuta la sua biblioteca con gli strumenti professionali e i disegni che nel 1746 lasciò in eredità al figlio Giovanni Amedeo Giuseppe.

Con un codicillo del marzo 1755 Plantery modificò i legati in favore di questo figlio e, in luogo della biblioteca e degli strumenti scientifici, gli lasciò «vestim[en]ta, robbe da camera, lingerie» e tutte le altre cose di «uso personale» (ibid., p. 193). Poiché nel codicillo non esistono indicazioni per la biblioteca e gli strumenti scientifici, si può ipotizzare che siano stati lasciati in eredità al nipote Bernardo Antonio Vittone.

Si potrebbe supporre che Plantery sia stato allievo dell’ingegnere Rocco Rubatti, che fu pure consigliere del Comune di Torino. In alternativa potrebbe essersi formato con Michelangelo Garove.

La prima opera conosciuta di Plantery è la chiesa per la Confraternita della Pietà in Savigliano (1708), che Attilio Bonino (1933, p. 93), giudicò la sua migliore prova di edilizia religiosa. L’edificio è a pianta esagonale con «tre lati contrapposti ed uniti tra di loro a mezzo di due superfici curve» (ibid.). Le finestre aperte nella cupola e nel cupolino illuminano ampiamente l’aula, creando un ambiente di grande suggestione.

Nel 1712 fu eletto nel Consiglio decurionale di Torino.

La sua attività in questa istituzione, in qualità di consigliere di seconda classe (giacché non era di ceto nobile), è documentata nei verbali degli Ordinati e proseguì sino alla morte. In questo contesto esercitò anche la carica di vicesindaco di Torino, nel 1726 e per tre mesi nel 1751, oltre che di direttore del Monte di S. Giovanni (l’ente che emetteva una sorta di buoni fruttiferi per conto del Comune di Torino), nonché di chiavario, ragioniere, mastro di ragione, deputato per lo Spedale di Carità. Il 1° gennaio 1726, il sindaco di Torino, Carlo Amedeo Romagnano di Virle, fu ricevuto in udienza da Vittorio Amedeo II di Savoia insieme a Plantery. Il re si espresse in termini favorevoli verso l’amministrazione torinese e in particolare lodò «la persona e virtù del suddetto ingegnere Plantery come celebre architetto civile» (Archivio storico della Città di Torino (d’ora in avanti ASCT), Ordinati, 1726, c. 2r). Come osservò Augusto Cavallari-Murat, «a molte riprese si trovò a essere l’unico ingegnere in consiglio decurionale e pertanto a svolgere le funzioni attribuite oggi agli assessori per i lavori pubblici» (Cavallari-Murat, I, 1982, p. 298).

Per il Comune torinese esercitò anche un’intensa attività professionale, quasi sempre a titolo gratuito, e fu incaricato più volte dalla congregazione di esaminare professionisti che chiedevano di divenire estimatori. Tra i molti interventi effettuati nel corso degli anni per conto del Comune si segnalano in particolare: l’allestimento dei fuochi di gioia lungo la via Po per il matrimonio di Carlo Emanuele, principe di Piemonte, con Cristina di Sulzbach (ASCT, Ordinati, 1722, cc. 16r-18r); il trasloco della libreria di sua maestà (circa diecimila volumi) nella Biblioteca universitaria di Torino, unitamente ai volumi della Biblioteca comunale, aperta nel 1714 (ibid., 1723, cc. 38r-39v); il progetto di ricostruzione delle case dell’Università con l’ingegnere Giovanni Antonio Sevalle, sebbene gli fosse poi preferito il progetto dell’ingegnere Francesco Gallo (ibid., 1723, cc. 58r-61v); l’intervento con Ignazio Bertola per la chiusa sul fiume Dora e l’esame del progetto dello stesso architetto per il ponte sulla Dora (ibid., 1745, cc. 95rv, 119v-120r).

Nel 1713 disegnò la Pianta e prospetto della macchina per i fuochi di gioia per il felice esito della guerra di successione spagnola (ASCT, Tipi e disegni, n. 1179, 1713, I, 207). Nel 1715 progettò la sua opera più nota e imponente: il palazzo per il conte Baldassarre Saluzzo di Paesana, edificato nell’ambito del terzo ampliamento torinese verso Porta Severa.

Si trattava di un grandioso edificio con l’abitazione del proprietario al piano nobile, alloggi per professionisti al secondo piano e al piano mansardato per persone con minori possibilità finanziarie. Il palazzo fu abbellito da un magnifico cortile con ampio colonnato al primo piano.

Nel 1718 visitò a Ivrea i lavori per l’abbazia di S. Stefano e per l’annesso seminario. Di nuovo a Torino, negli anni Venti effettuò una serie di interventi sull’isolato in cui sorgeva l’antica chiesa di S. Maria di Piazza. Ben documentata è l’attività per palazzo Siccardi in via Barbaroux, dove operarono come suoi collaboratori i lapicidi Francesco Aprile e Giacomo Domenico Fontana, insieme ai pittori Francesco Alberti, Agostino Emanueli e Domenico Guidobono (Signorelli, 2010-11). Nel 1725 sostenne le ragioni del priore nella ricostruzione della parrocchiale di Riva presso Chieri, mentre l’ingegnere Luigi Andrea Guibert difese quelle del conte Grosso di Bruzolo (Olivero, 1925, p. 20).

Tra il 1725 e il 1733 iniziò la ricostruzione della chiesa parrocchiale dell’Assunta presso Chieri, completata dal nipote Bernardo Antonio Vittone (Canavesio, 2001, p. 147).

Nel 1729 progettò per il marchese Benso il palazzo Cavour e per i carmelitani quello del Carmine (oggi Convitto Umberto I), a eccezione dello scalone, opera di Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano (1741).

Nel 1733 progettò la ricostruzione della chiesa di S. Maria Assunta in Scalenghe (Torino), terminata nel 1738 come si ricava da documenti inediti custoditi nell’archivio parrocchiale.

L’elenco delle opere attribuite a Plantery (Brayda - Coli - Sesia, 1963) comprende anche alcuni edifici per i quali manca tuttora documentazione relativa alla paternità progettuale. Tra questi si ricordano, a Torino, i palazzi Cigliano (via Barbaroux, 28; 1700-30) e Capris di Ciglié (via S. Maria di Piazza, 1; 1720-30) ambedue abbelliti dalle cosiddette volte ‘planteriane’, ma attribuibili ad altri progettisti. Sono inoltre da espungere dal suo catalogo il palazzo in via Cavour 10, autografo di Benedetto Alfieri (1736-39) (Signorelli, 2011, p. 303) e quello dei Fontana di Cravanzana in via Garibaldi 28 (1750-60) (Bo, 2012). Per quanto riguarda il palazzo Novarina di S. Sebastiano (1700-30), sempre a Torino, è noto solo che Plantery fu impegnato come rappresentante del Comune torinese per l’acquisto di una casa vicina al palazzo (ASCT, Ordinati, 1736, cc. 22v-23r, 48rv).

Plantery si dedicò anche all’attività di prestatore di denaro, proseguita in modo molto più ampio dal nipote Bernardo Antonio Vittone. La collaborazione tra lo zio e il nipote diede vita al Collegio delle provincie, un’istituzione a carattere universitario per la formazione dei funzionari dello Stato sabaudo. Bernardo Antonio approntò gratuitamente il progetto della sede del Collegio, forse come captatio benevolentiae dopo la partenza per la Spagna del primo architetto civile, Filippo Juvarra, carica cui Vittone ambiva. La costruzione fu finanziata in parte da Plantery con l’acquisto di un censo di entità cospicua.

Connessa all’attività di prestatore è una notizia di particolare interesse per la storia dell’arte. Nel suo testamento sono menzionati trentuno dipinti del pittore savonese Domenico Guidobono, dati a garanzia di una somma di denaro concessa in prestito da Plantery e tenuti nella sua abitazione sin dal 1726, a eccezione del grande quadro situato nel salone del palazzo del conte Saluzzo, consegnato all’avvocato Antonio Viotti. Non si conosce la sorte di questi quadri: le ricerche d’archivio nei numerosi atti rogati dalla vedova e dagli eredi di Plantery non hanno prodotto risultati soddisfacenti.

Morì a Torino il 26 aprile 1756.

Fonti e Bibl.: E. Olivero, La parrocchia di Riva di Chieri, in Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti, IX (1925), 1-2, pp. 19-21; A. Bonino, La chiesa della Pietà di Savigliano, ibid., XVII (1933), 3-4, pp. 91-101; A. Cavallari-Murat, Nella ricorrenza del bicentenario della morte di G.G. P., architetto barocco, in Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e degli architetti in Torino, n.s., XI (1957), 7, pp. 313-346; C. Brayda - L. Coli - D. Sesia, Ingegneri e architetti del Sei e Settecento in Piemonte, Torino 1963, p. 56; A. Baudi di Vesme, Schede Vesme: l’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, III, Torino 1968, pp. 839 s.; A. Cavallari-Murat, Come carena viva, Torino 1982, ad ind.; W. Canavesio, Piemonte barocco, Milano 2001, p. 155-162; E. Piccoli, Le strutture voltate nell’architettura civile a Torino, in Sperimentare l’architettura, a cura di G. Dardanello, Torino 2001, pp. 86-96; Il voluttuoso genio dell’occhio. Nuovi studi su Bernardo Antonio Vittone, a cura di W. Canavesio, Torino 2005, ad ind.; B. Signorelli, Il fondo dell’Insinuazione presso le Sezioni Riunite dell’Archivio di Stato di Torino: una fonte inesauribile di informazioni, in Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti, n.s., LXI-LXII (2010-2011), p. 272; Id., Sotto lo stesso tetto: le sedi dal XVI al XX secolo, in Le Figlie della Compagnia. Casa del Soccorso, Opera del deposito, Educatorio duchessa Isabella fra età moderna e contemporanea, a cura di A. Cantaluppi - W.E. Crivellin - B. Signorelli, I, Torino 2011, pp. 303 s.; Domenico Bo, Il lato sud dell’Isola di San Dalmazzo e il suo coinvolgimento nell’ampliamento della contrada Dora Grossa ora via Garibaldi, in Studi Piemontesi, XLI (2012), 2, p. 443; R. Spallone - M. Vitali, Architettura - ri-Costruzione - Geometria: un percorso conoscitivo applicato allo studio delle volte ‘planteriane’ in Torino, in Disegnarecon, V (2012), 9, pp. 187-196.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Carlo emanuele, principe di piemonte

Guerra di successione spagnola

Vittorio amedeo ii di savoia

Bernardo antonio vittone

Villafranca piemonte