Mazzacurati, Giancarlo

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Critico letterario italiano nato a Padova nel 1936, fu allievo a Napoli di Toffanin e di Battaglia; in quell'università insegnò e animò una numerosa scuola, sino a che si trasferì nell'università di Pisa. La morte lo colse prematuramente nel 1995. Studioso insigne del Rinascimento e della formazione del romanzo europeo tra Sette e Novecento, egli ha tradotto e introdotto per i "Millenni" Einaudi l'arduo Tobias Smollett, La spedizione di Humphry Clinker, 1987; tradotto e commentato Un viaggio sentimentale di Laurence Sterne (1991, 2 voll.) e con acume e ampiezza introdotto la "Pléiade" dei Conteurs italiens de la Renaissance, 2 voll., 1993 [la Préface è di XCV pp.]. D'altra parte ha studiato la fortuna europea di Pirandello nel volume Pirandello nel romanzo europeo, 1987 e 1995. Il fantasma di Yorick. Laurence Sterne e il romanzo sentimentale, 2006, raccoglie parte degli studi sulla nascita del romanzo europeo ed è magnifica prova di quella "sterminata biblioteca plurilingue" che è divenuta nei secoli l'Europa.

Questa coscienza europea della letteratura si era formata su una solida lettura dell'Umanesimo italiano (al quale sono consacrati i suoi primi libri) e sul puntuale commento dei maggiori dei nostri classici della narrativa (da Boccaccio a Straparola, da Verga a Pirandello), dei quali ha pubblicato pregevoli edizioni.

Nato - nel solco della scuola di Toffanin - come studioso dell'Umanesimo, dei suoi modelli, della sua eredità [si ricordino i saggi di esordio: La crisi della retorica umanistica nel Cinquecento: Antonio Riccoboni, 1961; Pietro Bembo e la questione del 'volgare', 1964; La questione della lingua dal Bembo all'Accademia Fiorentina, 1965; Letteratura cortigiana e imitazione umanistica nel primo Cinquecento, 1966 e 2000; Misure del classicismo rinascimentale, 1967], M. è divenuto negli anni, sempre più, interprete della coscienza ironica del moderno, scegliendo per sé quella linea critica e umoristica, lucida e corrosiva, della tradizione inglese (da Sterne a Smollett a Twain) che è così lontana dai principi classici del "romanzo di formazione" che si sono imposti per generazioni nella critica italiana, sino a inverarla - nella nostra letteratura - nei suoi modelli esemplari, Nievo, Pirandello e Svevo (si veda in particolare il volume postumo Stagioni dell'Apocalisse. Verga, Pirandello, Svevo, 1998). Egli - per il costante controllo di coscienza che ha esercitato sul proprio agire e sul mondo - ha preferito riscontrare la "destrutturazione comica dell''io' ideale" piuttosto che contribuire al sublime della "costruzione del sé". Come egli scrive a proposito del Nievo, il fascino inalterato della sua prosa critica è in quell'avvicinarsi per allusioni ed ellissi, per indugi e per meditazioni, al binomio che più lo avvinceva, come conoscenza ed impegno: quello di "dignità e felicità".

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